L'etimologia del sambuco è a desumersi dal nome dell'istrumento a cui servì primamente. Il greco sambuke ed il latino sambuca era istrumento musicale fatto a triangolo, forse la synphonia biblica, citata dal Calmet; in sostanza, la cornamusa, la nostra tiorba fatta di cannuccie di sambuco, quella stessa che adoperava Orfeo, uno dei primi sambuciarii, per far ballare i sassi. Onde sambucistria la ballerina, e sambucam cothurno aptare, che era l'operetta d'allora. Anche oggi i ragazzi zufolano come Orfeo entro la canna del sambuco. Il sambuco è un arboscello perenne delle nostre siepi, che cresce in ogni terreno. Nel linguaggio dei fiori: Umiltà, riconoscenza. Dà fiori piccoli, bianchi, ad ombrella, di odore delizioso, da noi chiamati panigada. La parola panigada alcuni vogliono venga dal greco pana gatoz, che vuol dire ottimo, altri da panis gaudium, per il gratissimo sapore che dona al pane. I fiori cedono il posto ai frutti a forma di bacche verdi in principio, nere quando sono mature, grosse quanto i frutti del ginepro ed in gran numero. I suoi fiori servono al cuoco che li frigge, al fornaio che li mescola col pane, al pasticciere che ne aromatizza le leccornie, al cantiniere che con quelli dà un sapore di moscatello al vino, principalmente al bianco, e all'aceto. Con essi si aromatizzano altresì le acque. I frutti, quando sono maturi e neri, servono a tingere le acque ed i vini senza pericolo alcuno. La polvere stessa di essi frutti disseccati comunica ai liquidi grato sapore. Le bacche nere si mangiano talora preparate con zuccaro e droghe. Il sambuco è adoperato in medicina in molti modi. Se ne prepara un roob diaforetico, un infuso teiforme. L'odore aromatico dei fiori finisce col diventare nauseante e nocevole aspirandolo lungamente. Plinio dice: E sambuco vertigines sonnusque profundus: dal sambuco vertigini e sonno profondo. Colle bacche nere, fino da' suoi tempi, le donne usavano tingersi i capelli, forse con minore risultato, ma certo con minori pericoli che oggi. In Norvegia si mangiano infuse in aceto, come i citrioli. In Inghilterra se ne fa una specie di vino. I frutti sono alquanto purgativi e gradito pascolo dei merli. I rami del sambuco, scrive il cardinal Simonetta, sono preziosissimi per fare orinare i cavalli, battendoli con essi sotto la pancia. L'odore graveolente del sambuco scaccia le mosche, le farfalle e gli scarafaggi. Il sugo delle cime del sambuco unito a grasso di maiale, ungendone i cavalli e gli asini, li libera dalle zanzare. Mettendone dei rami fra i cavoli, si liberano dalle gatte, al qual uso servirebbe meglio l'altra specie puzzolente detta sambucus ebutus o sambuco nano, da noi conosciuto sotto il nome di ughetta, la quale scaccia pure i topi.
panigada. La parola panigada alcuni vogliono venga dal greco pana gatoz, che vuol dire ottimo, altri da panis gaudium, per il gratissimo sapore che dona al
Pianticella gramignacea annuale, originaria delle Indie. Se ne contano 3 varietà, secondo il colore del seme, bianco gialliccio e nero. Da noi si coltiva solamente il gialliccio e vuol terreno sciolto, pingue, solatio. Si semina raro in Giugno e Luglio, dopo la messe. Si chiama miglio dai mille semi che produce. Anche il miglio dà farina per alimento. Lo stesso nome antico di panicum indica che serviva a far pane. Da noi si dice ancora pan de mej perchè una volta anche da noi se ne usava, onde il sonetto del Burchiello: Perchè a Milan si mangia pan di miglio? Plinio al lib. 28 cap. 10 dice: Milio campania gaudet præcipuo, pultemque candidam ex eo facit: fit et panis prœdulcis. Appare da qui che ai tempi di Plinio si coltivava la varietà bianca, e che fino d' allora il miglio serviva per chicche da offelleria. In Asia se ne fà una certa polenta che si mangia con olio e grasso di porco. Del resto era usato come farina da pane nell'Etiopia, nell'Egitto, Persia, Siria e nell'Arabia. I semi del miglio si possono cocere in minestra col brodo e massime col latte, se ne fà torte. Ridotto in farina è buono a far polenta e pane che appena uscito dal forno è saporitissimo e non isdegnato dai gusti più delicati. La farina serve pure in pasticceria. Col miglio si alimentano i pulcini, le galline, il pollame e molti uccelli. I selvaggi lo arrostiscono. In Tartaria se ne compone una specie di birra e una certa aquavite che chiamano Bysa. Il miglio dev'essere conservato in luogo assai asciutto e dura così più d'ogni altro grano.
: Milio campania gaudet præcipuo, pultemque candidam ex eo facit: fit et panis prœdulcis. Appare da qui che ai tempi di Plinio si coltivava la varietà
L'Orzo dopo il frumento ed il riso è il cereale che serve più d'ogni altro all'alimentazione dell'uomo. Si crede originario della Palestina e della Siria - si afferma però che fu trovato indigeno in Sicilia. Il suo nome da horreo, per le reste ruvide al tatto. Viene in quasi tutti i terreni, ama però meglio quello sciolto. Sopporta il freddo più della segale, nella Svizzera si coltiva a m. 1900 sul livello del mare. Seminasi in primavera ed autunno. Ve ne sono diverse varietà; se ne coltivano due specie: il volgare e lo scandella, questo per pascolo al bestiame. Del volgare migliore quello di Germania e della Siberia. Colla farina del grano d'orzo se ne fà pane, la si mescola con quella del frumento. Coll'orzo se ne fanno eccellenti, saporite e sanissime minestre. L'orzo mondo, di scelta qualità, precedentemente con meccanico sfregamento arrotondato, chiamasi perlato, e viene preferito a farne pappine alimentari e cataplasmi. Un principio di germinazione altera i principi costitutivi dell'orzo, sì che, mentre aumenta la proporzione dell'amido e zuccaro, diminuisce quello del glutine e dell'ordeina. In questo stato chiamasi orzo tallito, o germinato, che è preferito negli ospedali come base al decotto pettorale. L'orzo è il principale ingrediente e la base della birra. Gli antichi lo chiamano frumento nobilissimo. Gli Etiopi e gli Indi non conobbero altro pane che quello di miglio e di orzo. Nella Grecia era celebre l'orzo di Atene dove era in antichissimo uso di cibo, al dire di Meandro e pare che fosse pure l'alimento più omogeneo dei gladiatori, i quali forse per ciò venivano chiamati Hordearii. Presso i Romani non godette molta fama. Es hordearium, veniva chiamato il foraggio dei cavalli, lo si dava al bestiame e ai soldati vigliacchi, ignominiæ causa. Marcello diede alle sue legioni dell'orzo invece del frumento, perchè si erano lasciate battere da Annibale. Aristotele scrive che i fornai e coloro che facevano il pane d'orzo diventavano imbecilli. Nella Sacra Scrittura l'orzo è pure ritenuto come cibo ignominioso e da poco. L'orzo, il miglio e la veccia sono pressochè sempre messi insieme (Isaia). Ezechiele parlando dei falsi profeti dice: Et violabant me (cioè Iddio) ad populum meum propter pugillum hordei etfragmen panis. (Ezech.). Di tale opinione è pure S. Gerolamo, vedi In Isaiam. Lo stesso S. Gerolamo asserisce aver visto in Siria un'eremita che visse trent'anni con orzo ed acqua sporca. Galeno ne scrisse lungamente in un libro tutto dedicato al decotto: De Phtisana hordacea.
hordei etfragmen panis. (Ezech.). Di tale opinione è pure S. Gerolamo, vedi In Isaiam. Lo stesso S. Gerolamo asserisce aver visto in Siria un'eremita che
L'etimologia del sambuco è a desumersi dal nome dell'istrumento a cui servì primamente. Il greco sambuke ed il latino sambuca era istrumento musicale fatto a triangolo, forse la synphonia biblica, citata dal Calmet; in sostanza, la cornamusa, la nostra tiorba fatta di cannuccie di sambuco, quella stessa che adoperava Orfeo, uno dei primi Sambuciarii, per far ballare i sassi. Onde Sambucistria la ballerina, e sambucam cothurno aptare, che era l'operetta d'allora. Anche oggi i ragazzi ciuffolano come Orfeo entro la canna del sambuco. Il sambuco è un arboscello perenne delle nostre siepi, che cresce in ogni terreno. Nel linguaggio dei fiori: Umiltà, riconoscenza. Dà fiori piccoli, bianchi, ad ombrella di odore delizioso, da noi chiamati panigada. La parola panigada alcuni vogliono venga dal greco pana gatos che vuol dire ottimo - altri da panis gaudium, per il gratissimo sapore che dona al pane. I fiori cedono il posto ai frutti a forma di bache verdi in principio, nere quando sono mature, grosse quanto i frutti del ginepro ed in gran numero. I suoi fiori servono al cuoco che li frigge, al fornajo che li mescola col pane, al pasticciere che ne aromatizza le leccornie, al cantiniere che con quelli dà un sapore di moscatello al vino, principalmente il bianco, e all'aceto. Con essi si aromatizzano altresì le acque. I frutti quando sono maturi e neri servono a tingere le acque e vini senza pericolo alcuno. La polvere stessa di essi frutti disseccati, comunica ai liquidi grato sapore. Le bacche nere si mangiano talora preparate con zuccaro e droghe. Il sambuco è adoperato in medicina in molti modi. Se ne prepara un roob diaforetico, un infuso teiforme. L'odore aromatico dei fiori finisce col diventare nauseoso e nocevole aspirandolo lungamente. Plinio dice: E Sambuco vertigines sonnusque profundus. - Dal Sambuco vertigini e sonno profondo. Colle bache nere fino da' suoi tempi, le donne usavano tingersi i capelli, forse con minore risultato, ma certo con minori pericoli che oggi. In Norvegia si mangiano infuse su aceto come i citrioli. In Inghilterra se ne fa una specie di vino. I frutti sono alquanto purgativi e gradito pascolo dei merli. I rami del sambuco, scrive il cardinal Simonetta, sono preziosissimi, per fare orinare i cavalli battendo loro coi rami sotto la pancia. L'odore graveolente del sambuco, scaccia le mosche, le farfalle e gli scarafaggi. Il sugo delle cime del sambuco unito a grasso di maiale, ungendone i cavalli e gli asini allontana da loro le zanzare. Mettendone dei rami fra i cavoli si liberano dalle gatte, al qual uso servirebbe meglio l'altra specie puzzolente detta sambucus ebulus o sambuco nano, da noi conosciuto sotto il nome di ughetta, la quale scaccia pure i topi.
panigada. La parola panigada alcuni vogliono venga dal greco pana gatos che vuol dire ottimo - altri da panis gaudium, per il gratissimo sapore che dona al