Abbiamo già accennato ai frutti di mare. Essi debbono essere consumati vivi e possibilmente appena pescati, specie se si desidera mangiarli crudi con un po' di limone e pepe. Aperte col coltello, queste conchiglie debbono lasciar cadere acqua di mare in abbondanza e se messe sul fuoco debbono aprirsi di scatto perdendo anche in questo caso copiosa acqua. Del resto anche senza ricorrere a questi, che potremmo definire i grandi mezzi, i frutti di mare si conoscono anche all'esame visivo. Infatti se lasciate in disparte per un po' di tempo un cesto di frutti di mare, essi, se saranno vivi, si apriranno leggermente. Toccandoli appena o provocando un rumore insolito, i frutti di mare si ritireranno repentinamente nella loro casetta, chiudendo ermeticamente le due conchiglie che rappresentano la loro unica difesa.
Abbiamo già accennato ai frutti di mare. Essi debbono essere consumati vivi e possibilmente appena pescati, specie se si desidera mangiarli crudi con
Avendo una carcassa di pollo, o dei colli, o delle ali, si spezzeranno col coltello e si aggiungeranno alla carne di manzo. Anche dei residui di pollo arrostito sono eccellenti per aromatizzare il «consommé». La carne che rimane potrà essere utilizzata per polpette, o per riempire, con opportuni condimenti, zucchine, cavoli, ecc. Se il «consommé» serve per ammalati, si diminuiscono o si eliminano del tutto i legumi. Volendo preparare del «consommé» di pollo, si fa prima un brodo, servendosi di una gallina, si chiarifica e si rinforza come abbiamo detto più sopra, avvertendo di unire alla carne magra di manzo qualche pezzo di pollo, per accentuare il gusto del «consommé». Abbiamo detto che il «consommé» deve avere una bella tinta color d'oro. Questa colorazione si ottiene generalmente con qualche goccia di caramello liquido, che preparerete facilmente nel modo che esponiamo qui appresso.
«consommé» di pollo, si fa prima un brodo, servendosi di una gallina, si chiarifica e si rinforza come abbiamo detto più sopra, avvertendo di unire alla
Abbiamo accennato più sopra alla mollica di pane grattata, che è la impanatura finissima per eccellenza. A questo scopo si usa della mollica di pane fresca, che si gratta alla grattugia, procedendo poi in tutto come nelle usuali impanature. La impanatura così ottenuta è assai delicata ed è specialmente adatta per le fritture al burro.
Abbiamo accennato più sopra alla mollica di pane grattata, che è la impanatura finissima per eccellenza. A questo scopo si usa della mollica di pane
Resta brevemente da esaminare quali sono i principii fondamentali degli arrosti sulla gratella, — che i francesi chiamano «grillades». Per gli arrosti sulla gratella il combustibile più appropriato è il carbone di legna completamente acceso e ridotto a brace incandescente. Le gratelle da applicare su fornelli a gas o qualunque altro sistema non daranno mai un risultato apprezzabile. Anche qui è necessario che la quantità di brace sia proporzionata alla quantità di carne da arrostire. Se il fornello fosse troppo piccolo e la gratella grande, converrà distendere uno strato di cenere sul camino e su questo mettere la brace incandescente. Diversi sono i modi di procedere nella cottura, secondo che si tratti di carni rosse o di carni bianche. Qualunque carne rossa, dopo essere stata unta, va messa in gratella a fuoco forte affinchè possa subito formarsi una corteccia leggermente abbrustolita, che conserverà alla carne tutto il succo e quindi tutto il suo sapore. Appena questa corteccia si sarà fatta da una parte, voltate subito la carne dall'altra affinchè anche qui la carne possa subire l'azione immediata del fuoco. Si riconosce il punto esatto di cottura quando, appoggiando un dito nel mezzo della bistecca, si sente una pressione come se la carnfosse di gomma elastica. Se il dito affonda troppo facilmente significa che la carne non è ancora cotta a punto. Guardatevi bene dal punzecchiare le bistecche o le costolette colle punte della forchetta quando dovrete voltarle. I buchi che fareste sulla carne darebbero facile uscita ai succhi che bisogna invece gelosamente conservare nell'interno, e voi ottereste un arrosto secco e senza gusto. Per voltare la carne usate una palettina o in mancanza di questa una larga lama di coltello. Ricordate anche che le carni arrostite sulla gratella vanno salate alla fine della cottura. E questo perchè il sale, liquefacendosi, forma uno strato umido sulla carne e impedisce la rapida formazione di quelo strato abbrustolito che, come abbiamo visto, è indispensabile per ottenere una buona bistecca arrosto. Le carni bianche, contenendo meno succhi, debbono invece essere arrostite a fuoco più dolce ed essere frequentemente unte di burro durante la loro cottura. In quanto ai pesci cotti alla gratella bisognerà osservare di tenere un calore moderato e di ungerli spesso di olio.
formazione di quelo strato abbrustolito che, come abbiamo visto, è indispensabile per ottenere una buona bistecca arrosto. Le carni bianche, contenendo meno
Ogni lingua è un organismo vivo e in continua evoluzione ed è semplicemente ridicolo fermarsi pensosi a ogni pie sospinto per indagare se il Rigutini direbbe o non direbbe così o se la Crusca consentirebbe l'impiego di una data parola. Abbiamo visto in questi ultimi anni che parole esotiche riguardante gli sports, i giuochi, le arti, i mestieri e recentemente la radiofonia hanno acquistato diritto di cittadinanza italiana anche perchè nella nostra lingua non c'era l'equivalente. E così sia pure per l'arte della cucina. Per conto nostro, che pure abbiamo uno stato di servizio letterario non assolutamente indegno, e professiamo il più geloso amore per la nostra Patria e per quanto ad essa possa riferirsi, abbiamo accolto senz'altro «menu», italianizzandolo con un accento, «purè», e tanti altri vocaboli, piuttosto che ricorrere alle ridicole volgarizzazioni di «lista», «passato», ecc. per non parlare di quel tale «sgonfiotto» col quale l'Artusi pretendeva di tradurre il soufflé francese. Così per le chenelle. La parola francese è «quenelles», e ricordiamo che parecchi anni addietro alcuni cuochi morsi dalla tarantola letteraria si accanirono in una rivista su queste povere chenelle per trovar loro un nome italiano fino a che, incredibile ma vero, le battezzarono per «morbidelle». Ombra di Pellegrino Artusi sei vendicata! Dinanzi a tanto inutile scempio accontentiamoci di quel che c'è senza farci ridere appresso per la smania di italianizzare a qualunque costo, e diciamo pure chenelle, scrivendo la parola come si pronunzia. Chiediamo venia a chi soffre il solletico del purismo, e passiamo senz'altro alla ricetta fondamentale della farcia di pollo, da cui derivano tutte o quasi tutte le altre.
direbbe o non direbbe così o se la Crusca consentirebbe l'impiego di una data parola. Abbiamo visto in questi ultimi anni che parole esotiche
Data l'indole essenzialmente pratica della nostra opera, stimiamo inutile descrivervi i procedimenti particolareggiati per ottenere queste salse, che abbiamo voluto nondimeno ricordare, data la loro lunga e gloriosa esistenza.
abbiamo voluto nondimeno ricordare, data la loro lunga e gloriosa esistenza.
Comprenderete benissimo che vi sarà facile preparare sollecitamente una «vellutata» con burro e farina operando come per una besciamella, e sostituendo al latte un po' di brodo; e che aggiungendo a questa salsa uno o due rossi d'uovo e una cucchiaiata di crema avrete ottenuto in pochi minuti la alemanna. Ci si potrà obiettare che la estrema finezza delle salse classiche non sarà raggiunta; e su questo possiamo anche essere d'accordo; ma il risultato che si otterrà senza eccessiva perdita di tempo sarà ugualmente buono, in ispecie ove si tenga presente che la preparazione classica di queste salse deve essere fatta molto in grande, ciò che esorbita dai bisogni limitatissimi di una piccola cucina. Dunque delle quattro grandi salse fondamentali, la sola che dal nostro punto di vista ha una reale importante è la salsa besciamella, che troverete più appresso. Le stesse ragioni, di praticità ci hanno consigliato a non includere nel presente capitolo un elenco interminabile di salse, le quali differiscono per particolari insignificanti. Abbiamo solamente notato le più utili, e ne abbiamo inserite altre man mano che una data ricetta richiedeva una speciale salsa.
. Abbiamo solamente notato le più utili, e ne abbiamo inserite altre man mano che una data ricetta richiedeva una speciale salsa.
PER LEGARE LE SALSE. — Abbiamo visto che le salse veramente utili in una cucina casalinga sono le piccole salse da prepararsi al momento. Anche in questo campo ciò che si richiede è un po' di genialità; e voi vedrete che man mano riuscirete con un lavoro minimo a completare le vostre pietanzine con le più appetitose salsette. In altra parte del volume vi abbiamo raccomandato di non mandar sprecato «quel che si trova in fondo alla padella». Vi abbiamo anche detto che dopo aver scolato il grasso basterà bagnare il fondo della cottura con un ramaiolo di brodo o d'acqua, e mescolare, staccando i residui con un cucchiaio di legno, per avere la base di una eccellente salsa. Ma, come sapete, le salse debbono essere un po' dense, o come si dice con parola tecnica «legate». Per legare sollecitamente una salsa ci sono due mezzi: la fecola di patate o il burro maneggiato. Mettete nel primo caso un cucchiaino di fecola di patate in una tazza e scioglietela con un dito d'acqua fredda. Quando la salsa bollirà versateci con la mano sinistra un pochino della fecola disciolta, mentre con un cucchiaio di legno, tenuto nella mano destra mescolerete la salsa. Vedrete che ben presto la salsa si addenserà. Fate dare ancora un bollo e poi toglietela dal fuoco, per finirla, secondo le occorrenze, con del burro, o del Marsala, ecc. Bisogna fare attenzione di mettere poca fecola alla volta, perchè mettendone in eccesso si correrebbe il rischio di avere una salsa troppo densa e di doverla poi risciogliere con altro brodo o acqua. Se volete esperimentare anche il sistema del burro maneggiato procederete così: prendete, a seconda dalla quantità della salsa, un pezzo di burro più o meno grande; ad esempio la quarta parte di un panino da un ettogrammo. Mettete questo burro sulla tavola di cucina o in un piatto e versateci sopra una cucchiaiata di farina comune. Con le mani o con la lama di coltello impastate burro e farina in modo da unirli perfettamente. Mettete questo burro preparato nella salsa, mescolate, lasciate bollire pochi minuti ed avrete ottenuto il vostro scopo. Anche qui è bene non eccedere in burro maneggiato, ma di metterne un po' alla volta fino a che la salsa abbia raggiunto la densità necessaria.
PER LEGARE LE SALSE. — Abbiamo visto che le salse veramente utili in una cucina casalinga sono le piccole salse da prepararsi al momento. Anche in
Le tartelette e le barchette sono piccoli involucri di pasta cotta al forno in stampine speciali e poi riempite con preparazioni varie, come filettini di alici, uova sode tritate, dadini di tonno, insalata russa minutissima, ecc. Si chiamano tartelette o barchette a seconda della loro forma: tartelette se hanno forma rotonda, barchette se ovale, dipendono la forma dal genere di stampina che si adopera. Si prepara una pasta con un ettogrammo di farina, 65 grammi di burro, un pizzico di sale e tre cucchiaiate d'acqua. Si riuniscono i vari ingredienti senza troppo lavorare, si arrotola la pasta in una palla e si lascia riposare un quarto d'ora. Poi si stende piuttosto sottile e con questa pasta si foderano una dozzina di stampine da tartelette o da barchette, previamente imburrate. Si riempiono le stampine foderate con dei fagiuoli secchi allo scopo di impedire che la pasta cuocendo abbia a distaccarsi dalle pareti della stampina. S'infornano, e dopo pochi minuti, quando la pasta sarà rassodata, si estraggono dal forno, si lasciano raffreddare un poco, delicatamente si tolgono via i fagiuoli e si fa uscire l'involucro di pasta dalla stampina. Come abbiamo fatto osservare per i «canapés», anche i modi di guarnire questi involucri di pasta sono numerosissimi e preferiamo lasciare al vostro buon gusto il modo di trarvi facilmente d'imbarazzo. Invece che della pasta descritta più sopra, potrete servirvi per foderare le stampine di ritagli di pasta sfogliata.
raffreddare un poco, delicatamente si tolgono via i fagiuoli e si fa uscire l'involucro di pasta dalla stampina. Come abbiamo fatto osservare per i
In Russia l'antipasto freddo «Sakuska» è l'indispensabile prologo d'ogni mensa ed assume spesso un'eccezionale importanza. Viene generalmente servito in una sala separata, e con lusso grande; ed innaffiato da liquori, come Assenzio, Wodka, Allash, Kummel, ecc. La «Sakuska» russa comprende pesci di mare e d'acqua dolce, affumicati e salati, uova di pesce, insalate, creme agre, formaggi, pasticcini, ecc. Da noi una tale abbondanza di vivande piccanti e di liquori forti non sarebbe possibile: e ci accontentiamo di far passare un grande vassoio nel quale siano artisticamente disposte le più svariate ghiottonerie entro altrettanti piccoli piatti di argento, di cristallo, o di porcellana. L'antipasto può variare all'infinito, a seconda dell'importanza che gli si vuol dare, e anche della spesa. Si potranno presentare per esempio: Un'insalata di legumi tagliati in piccolissimi pezzi e legata con una buona salsa maionese — Alici piccanti — Alici all'olio, guarnite di prezzemolo — Filetti di aringhe guarniti con fettine di limone — Salmone affumicato — Sardine di Nantes — Prosciutto crudo — Prosciutto cotto, con gelatina — Mortadella di Bologna — Salamino di Milano — Burro in piccoli pani — Cetriolini sotto aceto — Pomodori crudi ben ghiacciati, spellati, tagliati in fettine e spruzzati d'olio e di sale — Carciofini — Funghi sott'olio — Caviale, ecc. ecc. L'importante è che ogni cosa sia disposta con esattezza e gusto, norma, codesta, che come abbiamo detto più innanzi, presiede al montaggio di tutti gli antipasti freddi in genere. Fate servire contemporaneamente un vino bianco secco, molto freddo.
— Caviale, ecc. ecc. L'importante è che ogni cosa sia disposta con esattezza e gusto, norma, codesta, che come abbiamo detto più innanzi, presiede al
Procedete come vi abbiamo spiegato più sopra: fate rosolare la cipolla con lo strutto e il «battuto», aggiungete un cucchiaino di salsa di pomodoro, l'acqua, e lasciate bollire qualche minuto; aggiungete poi dei piselli sgranati di fresco, condite con sale e pepe, e quando i piselli saranno quasi cotti mettete nel tegame dei quadrettini di pasta all'uovo. Regolatevi che la minestra non riesca troppo brodosa. Formaggio a parte.
Procedete come vi abbiamo spiegato più sopra: fate rosolare la cipolla con lo strutto e il «battuto», aggiungete un cucchiaino di salsa di pomodoro
La base della minestra è costituita dall'orzo detto di Germania o orzo perlato, che si trova in commercio, sia sciolto, sia in pacchetti. È preferibile servirsi di quello in pacchetti perchè più scelto. In questo caso dovrete richiedere la qualità piccola, poichè i pacchetti sono generalmente confezionati con orzo grande, mezzano e piccolo. Come dicevamo, la qualità piccola è da preferirsi perchè cuoce più presto, cioè in circa un'ora, mentre per le qualità grandi si richiedono circa tre ore. Per quattro persone, mettete in una pentola un litro d'acqua e 80 grammi di orzo perlato, pari a circa quattro cucchiaiate. Salate moderatamente e aggiungete due o tre piante d'indivia ben mondate, risciacquate e tagliate grossolanamente. Lasciate cuocere, sull'angolo del fornello, mantenendo una ebollizione lenta e regolare, la quale dovrà protrarsi, come abbiamo detto, per un'ora e più. Prima di scodellare, e fuori del fuoco, versate nella pentola un uovo sbattuto e diluito con mezzo bicchiere di latte e completate la minestra con mezzo ettogrammo di burro e, se credete, un nonnulla di noce moscata grattata.
cuocere, sull'angolo del fornello, mantenendo una ebollizione lenta e regolare, la quale dovrà protrarsi, come abbiamo detto, per un'ora e più. Prima di
Per quattro persone, preparate una pasta all'uovo con 400 grammi di farina, quattro uova intiere e un pizzico di sale. Tenete la pasta ben soda e lavoratela energicamente, stendendola poi in una sfoglia, che, come abbiamo già detto, dovrà essere un tantino spessa. Quando la sfoglia sarà asciugata ritagliatene delle fettuccine di un centimetro scarso di larghezza. Cuocete le fettuccine in abbondante acqua, tenendole piuttosto al dente, scolatele e conditele con un ettogrammo di burro che avrete fatto liquefare vicino al fuoco e nel quale, forzando con un cucchiaio di legno, avrete sciolto cinque acciughe lavate e spinate. Avrete anche grattugiato mezzo ettogrammo di parmigiano e mezzo ettogrammo di formaggio gruyère vecchio, e con una metà di questi due formaggi riuniti finite di condire le vostre fettuccine. Prendete adesso una piccola teglia, leggermente imburrata, e sulla teglia accomodate una metà abbondante delle fettuccine condite. Su questa metà disponete un ettogrammo di formaggio fresco (provatura, mozzarella, o in mancanza di questi fontina piemontese) tre o quattro acciughe, lavate, spinate e tagliate in filettini, un pizzico di pepe bianco e ricoprite con le altre fettuccine rimaste, procurando di dare al pasticcio la forma di cupola. Su questa cupola odorosa seminate il gruyère e il parmigiano tenuti in disparte, mettete ancora qua e là qualche pezzettino di burro, e passate il pasticcio in forno caldo per una diecina di minuti, affinchè possa gratinarsi. Servitelo caldissimo. Non consigliamo di mettere sale nell'acqua in cui debbono cuocere le fettuccine, perchè la salsa di alici è già abbastanza sapida. Ad ogni modo gustate il condimento e se del caso aggiungete un pizzico di sale.
lavoratela energicamente, stendendola poi in una sfoglia, che, come abbiamo già detto, dovrà essere un tantino spessa. Quando la sfoglia sarà asciugata
Si cuociono in acqua e sale delle tagliatelle all'uovo — su per giù se ne calcolano un centinaio di grammi a persona — si scolano e si versano in un piatto. Per seicento grammi di tagliatelle si fa fondere in un tegamino un ettogrammo di burro, e appena il burro è liquefatto vi si aggiunge un ettogrammo di prosciutto tagliato in pezzettini. Il burro non deve friggere e il prosciutto deve semplicemente scaldarsi nel burro. Con questa semplicissima salsa condite le tagliatelle, aggiungendo mezzo ettogrammo di parmigiano grattato. Su queste tagliatelle sarebbe adattissima qualche fettina di tartufo bianco. Non abbiamo la pretesa di sostenere che queste tagliatelle siano molto economiche. Certo è che sono buonissime e molto adatte anche agli stomachi delicati.
tartufo bianco. Non abbiamo la pretesa di sostenere che queste tagliatelle siano molto economiche. Certo è che sono buonissime e molto adatte anche agli
Per sei persone, calcolate 500 grammi di riso. Mettete sul fuoco una casseruola con un ettogrammo di burro e un po' meno di mezza cipolla tagliata sottilmente, aggiungete un ettogrammo abbondante di fegatini di pollo, mezzo ettogrammo di prosciutto in listerelle, due ettogrammi di animelle di abbacchio ritagliate in due, un pugno di funghi secchi già fatti rinvenire in acqua fresca, e fate cuocere su fuoco moderato affinchè il tutto possa rosolare dolcemente ma senza prendere un eccessivo colore. Bagnate allora con mezzo bicchiere di vino bianco e mezzo bicchiere di marsala, aggiungete il riso, e, insieme al riso un ettogrammo abbondante di piselli sgranati, teneri e di buona qualità, e mezzo ettogrammo di tartufi neri tagliati in dadini. Mescolate fino a che l'umidità dei vini non sia evaporata. Bagnate allora il riso con del brodo e con un ramaiolo di sugo di carne senza pomodoro o, in mancanza di questo, con un buon cucchiaino di estratto di carne in vasetti. Condite con sale, un pizzico di pepe bianco e lasciate che il riso cuocia pian piano per il tempo necessario alla sua completa cottura. A questo punto ultimatelo con un altro mezzo ettogrammo abbondante di burro e un ettogrammo e mezzo di parmigiano grattato. Date un'ultima mescolata, versate il riso sul piatto e fatelo portare immediatamente in tavola. Nella ricetta originale figurano anche delle creste di pollo. Ma siccome queste sono generalmente un po' dure, sarà bene prelessarle e metterle poi giù insieme ai fegatini durante la prima fase dell'operazione. Nelle stagioni in cui non ci sono piselli freschi, ci si può servire efficacemente di piselli conservati in scatola, purchè si abbia l'avvertenza di scegliere una buona marca. Abbiamo pubblicato la ricetta nella sua tipica integrità. Noi non consigliamo modificazioni od economie. Questo risotto è squisito a patto che sia eseguito così. Certo non è piatto molto economico da eseguirsi tutti i giorni, ma in occasione di qualche solennità, o avendo degli ospiti, avrete la certezza di farvi onore e di portare sulla mensa una preparazione veramente gustosa, che predisporrà lietamente i commensali al resto del pranzo
in scatola, purchè si abbia l'avvertenza di scegliere una buona marca. Abbiamo pubblicato la ricetta nella sua tipica integrità. Noi non consigliamo
Ci vorranno, per ottenere la lievitura completa, da due ore a due ore e mezzo. Quando la pasta sarà ben rigonfia, rovesciatela sulla tavola spolverizzata di farina, impastatela un altro pochino, spianatela con le mani in un disco circolare, e poi, se avete il forno da pane stendetela sulla pala del forno, altrimenti in una teglia, o meglio, in una lastra da pasticceria leggermente unta di strutto. Spianate ancora la pasta con le dita e picchiateci su con tutte e due le mani aperte. Dovrà riuscirvi un disco dello spessore di un mezzo ettogrammo abbondante e del diametro di circa 35 centimetri. Sgocciolate sulla pizza un filo d' olio e poi spalmateci con le dita un pezzo di strutto come una grossa noce in modo che tutta la pasta ne sia unta. Avrete intanto preparato mezzo ettogrammo di alici, lavate, spinate e fatte in pezzi, un mezzo ettogrammo abbondante di mozzarella napolitana, o, in mancanza di questa, di qualunque altro formaggio fresco, e trecento grammi di pomodori spellati e fatti in pezzi. Disponete sulla pizza le alici, i dadini di mozzarella e i pomodori ai quali non dovrete però spremere tutta l'acqua. Seminate su tutto abbondante sale e pepe, e finite con una forte pizzicata di origano e un altro pochino d'olio. Se la pizza va cotta nel forno del pane, fatela scivolare dalla pala sul suolo del forno accendendo intorno una bella fiamma di legna secca, altrimenti mettetela con tutta la teglia nel forno domestico, procurando che il forno sia roventissimo. Nel primo caso saranno sufficienti una diecina di minuti di cottura; nel secondo caso ce ne vorranno almeno venti. Come abbiamo detto, difficoltà non ce ne sono. Provate e vi convincerete.
caso saranno sufficienti una diecina di minuti di cottura; nel secondo caso ce ne vorranno almeno venti. Come abbiamo detto, difficoltà non ce ne sono
Gli antipasti caldi sono piccole preparazioni, le quali, in un pranzo, seguono immediatamente le minestre e servono di transizione tra queste e i grossi pezzi. La caratteristica assoluta di queste preparazioni deve essere la leggerezza. Come ebbe a dire il Maestro Escoffier, gli antipasti caldi, dal punto di vista della logica gastronomica, sono un pleonasmo e nulla, se non l'abitudine, ne ha giustificato l'uso. Non debbono quindi essere considerati che come una specie di piacevole intermezzo. Bisogna dunque studiarsi di fare delle preparazioni minuscole e graziose, qualche cosa come uno speciale petit-four, che, in un certo modo, possa solleticare gradevolmente l'appetito del convitato senza aggravarne lo stomaco. Infinite le preparazioni che possono figurare negli antipasti caldi, purchè si tenga presente quanto abbiamo già esposto nei riguardi della leggerezza, della grazia e della esattezza. La cucina moderna accoglie di preferenza tra gli antipasti caldi le barchette, riservate generalmente a guarniture di pesci, molluschi e crostacei, le tartelette, impiegate di preferenza per preparazioni a base di pollame, di caccia, ecc., le bouchées, più conosciute da noi col nome di petitspatés — ricordando che quando debbono servire per antipasti queste bouchées si faranno di misura assai più piccola dei soliti petits-patés — e i cannelloni, specie di cannoncini di pasta sfogliata, di cui le lettrici, come per le bouchées, troveranno il modo di esecuzione nel capitolo dei dolci.
che possono figurare negli antipasti caldi, purchè si tenga presente quanto abbiamo già esposto nei riguardi della leggerezza, della grazia e della
Per questi fagottini occorre anzitutto preparare una pasta lievitata. Nei luoghi dove non c'è lievito di birra ci si può servire senz'altro della pasta di pane. Ma avendo a propria disposizione del lievito di birra, è buona pratica preparare la pasta da sè. Mettete sulla tavola mezzo chilogrammo di farina, disponetela a fontana e nel vuoto mettete venti grammi di lievito di birra, un pizzico di sale, un pizzico di pepe. Avrete messo a scaldare dell'acqua, e appena questa sarà tiepida — diciamo tiepida e non calda! — servitevene prima per sciogliere il lievito e poi per impastare questo con la farina. In tutto occorrerà circa un bicchiere e mezzo d'acqua. Regolatevi che la pasta deve risultare piuttosto morbida. Lavoratela energicamente come si trattasse di fare il pane; poi quando sarà bene elastica fatene una palla, mettetela in una terrinetta spolverizzata di farina, copritela, portatela in un luogo tiepido e lasciate che lieviti per un paio d'ore. Quando la pasta sarà ben rigonfia, rovesciatela sulla tavola infarinata, prendetene, uno alla volta, dei pezzetti grossi come un uovo, allargateli tirandoli con le mani, e foggiatene delle pizzette sottili che disporrete allineate sulla tavola. Avrete intanto preparato in un piatto un ettogrammo di formaggio fresco tagliato in dadini (provatura, mozzarella, marzolina, ecc.), quattro o cinque alici, lavate spinate e fatte a pezzettini, una cucchiaiata di prezzemolo trito, sale e abbondante pepe. Mescolate ogni cosa e distribuite questo ripieno su ogni pizzetta. Fatto questo, ripiegate in due su sè stessa la pizzetta, chiudendo il ripieno nell'interno e spingendo con le dita sugli orli perchè la pasta possa attaccarsi perfettamente. Fate attenzione che questi fagottini non si buchino, altrimenti in padella accadrebbero dei guai, e friggeteli, pochi alla volta, nell'olio o nello strutto bollenti. Con la dose di pasta da noi data verranno circa venticinque fagottini sufficienti a sei ed anche a otto persone. I fagottini devono stare in padella soltanto pochi secondi: il tempo di colorirsi. Una lunga permanenza nella padella ed una frittura non sufficientemente calda, li farebbe diventare pesanti. È inutile dire che debbono essere mangiati caldissimi. Questi fagottini sono eccellenti così come ve li abbiamo descritti; ma possono raggiungere una maggiore raffinatezza accompagnandoli con una salsiera di salsa di pomodoro densa, fatta con olio e aglio, e ultimata con qualche fogliolina di basilico trito.
sono eccellenti così come ve li abbiamo descritti; ma possono raggiungere una maggiore raffinatezza accompagnandoli con una salsiera di salsa di
Nel fritto scelto si fa invece un'accurata selezione dei vari elementi, limitandosi generalmente ad animelle, cervelli, schienali e carciofi, il tutto infarinato e poi passato nell'uovo sbattuto. Il fritto alla romana dovrebbe friggersi, per tradizione, nello strutto, ma, come abbiamo detto nel capitolo delle nozioni fondamentali, è assai preferibile friggere nell'olio, che permette di ottenere una frittura più croccante e meno grassa.
tutto infarinato e poi passato nell'uovo sbattuto. Il fritto alla romana dovrebbe friggersi, per tradizione, nello strutto, ma, come abbiamo detto nel
ha bisogno, per riuscire a dovere, di molte cure e di molta attenzione. Si prendono, a seconda delle persone, un certo numero di provature — in genere se ne calcolano due a persona — si dividono in fette piuttosto spesse e si condiscono con sale e pepe. Da un pane a forma di filoncino si tagliano tante fette quante sono le fette di provatura, più due cantucci che serviranno a reggere alle due estremità, la fila dei crostini. Si prende uno spiede, e s'incomincia coll'infilzare uno dei cantucci, alternando poi una fetta di provatura e una di pane per terminare con l'altro cantuccio. Fate accendere una fornellata di carbone e disponetelo con la paletta su un lungo letto di cenere in fondo al camino. Alle due estremità di questa striscia di brace accesa, mettete due ferri da stiro diritti o due mattoni appoggiati sulla costa e su questi appoggiate la punta e il manico dello spiede che girerete continuamente, avvertendo di ungere di quando in quando i crostini con un po' di burro liquefatto. E quando vedrete che la provatura sarà ben liquefatta e il pane abbrustolito e croccante, sfilate i crostini dallo spiede, accomodateli in un piatto lungo antecedentemente riscaldato, e versate sui crostini del burro liquefatto nel quale avrete stemperato con un cucchiaio di legno, qualche alice lavata e spinata. Per cinquanta grammi di burro bastano due o tre alici. I crostini vengono bene anche nel forno, ma certo il miglior modo resta sempre l'antico, quello che vi abbiamo descritto nella sua primordiale semplicità. S'intende che se avete il girarosto, tanto meglio.
bastano due o tre alici. I crostini vengono bene anche nel forno, ma certo il miglior modo resta sempre l'antico, quello che vi abbiamo descritto nella
Per una dozzina di pizzette, sufficienti a quattro persone, mettete in un'insalatiera 250 grammi di farina stacciata, sgretolateci in mezzo una quindicina di grammi di lievito di birra, aggiungete un pizzico di sale e poi sciogliete il tutto con dell'acqua tiepida. Mettete l'acqua poca alla volta sciogliendo il lievito tra le dita ed impastando la farina. La pasta dovrà essere molto morbida, sul tipo di quella per il babà. Perciò aggiungete piano piano dell'acqua fino alla consistenza necessaria. Sbattete energicamente la pasta con la mano e non vi stancate poichè dovendo essere, come vi abbiamo detto, questa pasta assai morbida è necessaria lavorarla molto per farle acquistare dell'elasticità e quindi della consistenza. Dopo una diecina di minuti la pasta dovrà essere elastica e vellutata e dovrà staccarsi in un sol pezzo dalle pareti della terrinetta. Fino a che non avrete ottenuto questo risultato non dovrete cessare di sbattere. Quando la pasta sarà al suo giusto punto di lavorazione, copritela e lasciatela lievitare in luogo tiepido per un'ora abbondante. Vedrete che aumenterà di molto il suo volume. Mentre la pasta lievita preparate il condimento. Prendete mezzo chilogrammo di bei pomodori, tuffateli un momento in acqua bollente, spellateli, privateli dei semi, tagliateli in filetti e cuoceteli in una padellina con dell'olio. Portate la cottura a fuoco vivace affinchè i filetti restino interi. Conditeli con sale e pepe, e metteteli da parte. Tagliate in dadini un ettogrammo di mozzarella napolitana o di provatura romana. Lavate, spinate e fate in pezzetti tre o quattro alici salate e raccogliete alici, mozzarella e pomodoro in una scodella, ultimando il composto con una forte pizzicata di origano.
abbiamo detto, questa pasta assai morbida è necessaria lavorarla molto per farle acquistare dell'elasticità e quindi della consistenza. Dopo una diecina
Prendete un piatto piuttosto profondo e versateci della gelatina di carne liquefatta, che farete scorrere sul fondo in modo da avere uno strato regolare. Fate rapprendere la gelatina. Intanto preparate il numero occorrente di uova affogate che terrete però un pochino più cotte delle consuete uova. Lasciate freddare queste uova, e con la punta di un coltellino o con un tagliapasta togliete via quelle sbavature che eventualmente si fossero formate. Ponete ogni uovo sopra una fetta di prosciutto cotto tagliata in forma circolare, ma un po' più grande dell'uovo e, procedendo con garbo, allineate le varie uova sul piatto, disponendole sullo strato di gelatina rappresa. Su ogni uovo mettete una fettina di tartufo nero, e poi, sempre procedendo con attenzione, versate nel piatto altra gelatina fusa, tanta da ricoprire le uova. Mettete il piatto sul ghiaccio o in luogo freddo e lasciate rapprendere. Specialmente opportuno è in questo caso, servirsi di un piatto d'argento, che comunica una maggiore distinzione alla preparazione. Abbiamo detto di guarnire ogni uovo con una fettina di tartufo. È una aggiunta che sta molto bene, ma di cui, volendo, si può fare anche a meno. Il merito di questa pietanzina consiste sopratutto nella sua eleganza. Quindi è bene servirsi di due tagliapaste rotondi: uno di cinque centimetri per pareggiare le uova e uno di sette per ritagliare i dischi di prosciutto cotto.
rapprendere. Specialmente opportuno è in questo caso, servirsi di un piatto d'argento, che comunica una maggiore distinzione alla preparazione. Abbiamo detto
Questa pietanza, di una semplicità e di una esecuzione assolutamente primordiali, non solamente riabilita il polipo, che — sia detto fra parentesi — nelle famiglie dei pesci gode di una fama volgaruccia anzichenò, ma immediatamente solleva lo spregiato mollusco ad altezze che non esiteremmo a chiamare epiche. C'è forse qualcosa di più squisito, di più appetitoso, di più delizioso di un polipo alla luciana? Quale pesce può compiere il prodigio di riempirvi la cucina di un profumo più intenso ? Uno di quei profumi che scendono allo stomaco «per vie non conosciute», come avrebbe detto il buon Stecchetti e che vi fanno venire l'acquolina in bocca. Di più il materiale di cucina occorrente non contribuirà certo a mandarvi in rovina: una pentola di coccio, un pezzo di carta paglia e un po' di spago. L'abbiamo già detto: si tratta di una preparazione primordiale. Il polipo che occorre deve essere di scoglio: quei polipi cioè che hanno una doppia fila di ventose sui tentacoli, e che sono detti a Napoli «veraci». Contrariamente poi a quanto si usa per le altre preparazioni sarà da preferirsi un polipo piuttosto grosso. E non abbiate timore che riesca duro: quando avrete seguito con diligenza i nostri consigli scambierete il vostro polipo per un pezzo di vitellino da latte, tanto sarà tenero. Comperato dunque il polipo, nettatelo bene, togliendo via la vescichetta della tinta, gli occhi e tutta la pelle. Quest'ultima operazione, che a prima vista può sembrare difficile, non lo è in realtà, se vi aiuterete con un piccolo coltello a punta. Fatta dunque un po' di toletta al polipo procedete ad un'altra operazione, che se non è molto gentile è però necessaria: quella della bastonatura; poichè il polipo «ama» di essere bastonato, come si legge in quei libri di cucina a base di strafalcioni. Naturalmente est modus... con quel che segue; e voi badate affinchè nella furia del combattimento il polipo non debba restare massacrato e coi tentacoli in pezzi. Dopo la bastonatura esso avrà perduto la rigidità delle fibre e sarà pronto per la cottura. La quale, come già abbiamo accennato, dovrà farsi in una pentola di terraglia, di capacità tale che il polipo possa occuparne i due terzi dell'altezza. Lavate adesso il polipo e, senza asciugarlo, deponetelo nella pentola. Conditelo con sale e pepe — è molto indicato, se piace, del peperoncino — qualche ciuffo di prezzemolo e abbondante olio (mezzo bicchiere un po' scarso per un polipo di mezzo chilogrammo). Chiudete ora la pentola con un paio di fogli di carta paglia — quella carta gialla usata dai rivenditori di generi alimentari — assicurate la carta con qualche giro di spago che fisserete sotto i manici e in ultimo coprite con un coperchio. Mettete la pentola su poca brace accesa, quasi delle ceneri calde, e lasciate che il polipo cuocia lentamente, insensibilmene, per un paio d'ore, per abbandonarlo poi sul camino fino al momento di mangiare, che esso guadagna ad essere gustato tiepido o freddo affatto. Vi ripetiamo la raccomandazione che il fuoco sia quasi niente, poichè in caso contrario rovinereste tutto. Pian piano, durante la cottura, un profumo allettatore si sprigionerà dalla pentola. Ma voi non vi lasciate vincere dalla tentazione di scoprirla fino a che non sia trascorso il tempo stabilito e sarà giunta l'ora del desinare. Togliete allora la carta, e avrete la sorpresa di vedere che il polipo è diventato come una specie di grosso crisantemo rossastro, tenerissimo, galleggiante in un brodo squisito, che la munifica bestia ha generosamente elargito. Non gli fate l'ingiuria di travasarlo. Adagiate la pentola in un piatto con salvietta, e fatelo portare in tavola così come si trova. È un piatto marinaresco, e va servito senza troppe cerimonie. In tavola dividetelo in pezzi, e fate che ogni commensale condisca il polipo con qualche cucchiaiata del suo brodo, un pochino d'olio e, se piace, qualche goccia di sugo di limone.
di coccio, un pezzo di carta paglia e un po' di spago. L'abbiamo già detto: si tratta di una preparazione primordiale. Il polipo che occorre deve
Si chiama «Chateaubriand» una bistecca di filetto di bue molto spessa. Si batte leggermente, si bagna con burro fuso e si fa cuocere ai ferri. Come abbiamo già spiegato, la cottura va portata da prima a fuoco vivace, affinchè tutto intorno alla carne si faccia subito una crosticina, che impedirà ai succhi interni di uscire, e poi ultimata a fuoco meno brillante. Uno «chateaubriand» ben fatto deve rimanere leggermente rosa nell'interno. Si conosce il punto esatto di cottura quando, toccando la bistecca col dito, si sente che è piuttosto elastica. Lo «chateaubriand» va, durante la cottura, unto spesso di burro; in caso contrario [immagine] il fuoco tenderebbe a carbonizzare l'esterno, ciò che è assolutamente da evitarsi. Si sala quando la carne è cotta. In genere si serve con sopra un pezzo di burro alla maȋtre d'hôtel, che si fa impastando in un piatto con la lama di un coltello del burro, del prezzemolo trito e un po' di sugo di limone. Il calore della carne arrostita basta per fondere il burro, il quale viene a formare una gustosa salsetta.
abbiamo già spiegato, la cottura va portata da prima a fuoco vivace, affinchè tutto intorno alla carne si faccia subito una crosticina, che impedirà ai
E torniamo in argomento. Molti, per indolenza o per un senso di malintesa economia di tempo, hanno l'abitudine di acquistare i piedi di porco già cotti, dai pizzicagnoli o dai così delti «norcini». Ciò che è da condannarsi, senz'altro, sia nei riguardi culinari come in quelli igienici. Il piede di porco è squisito, a patto di essere mangiato caldo e cotto in un «fondo» piuttosto aromatizzato. Tra parentesi notiamo qui che in termine di cucina si chiama «fondo» quel liquido — per lo più brodo — con una aggiunta maggiore o minore di condimenti che serve per cuocere una data vivanda. Ma più grave ancora è l'inconveniente igienico che offrono i piedi di porco venduti già cotti. Essi rimangono infatti in una vassoia, che non è sempre un modello di pulizia, esposti all'aria, alla polvere, e specialmente ai maneggiamenti del cliente e del negoziante. Il cliente, infatti, prima di decidersi per l'acquisto, incomincia un accurato esame palpabile dei vari pezzi che sono sul banco di vendita. A un certo punto il negoziante crede opportuno di far pesare la sua autorevole parola sulla decisione del cliente, ed anch'egli prende in mano il malcapitato piede e lo palpa, lo palleggia, vantandone il peso e l'abbondanza della parte carnosa. E intanto nel calore della discussione — ci perdonino le nostre lettrici — qualche atomo di qualcosa che non è lecito definire, pioviggina in non desiderata nebbiolina sulla vassoia... Il quadro non è purtroppo carico di tinte. È fedele come una fotografia, e noi più e più volte abbiamo assistito alla inverosimile compra-vendita. Ora, pensate voi, signore gentili, che razza di acquisto farà il cliente che comprerà qualcuno degli ultimi piedi in vendita, che possono essere lì da un giorno e più. Non certo potrebbe ripetersi il detto evangelico: Beati gli ultimi; e la polizia scientifica si troverebbe assai imbarazzata nel rilevare le molteplici impronte digitali accumulatesi intorno al piede, condito gratuitamente di tutti i più inopportuni condimenti. Comperate dunque i piedi di porco crudi, raschiateli, fiammeggiateli, lavateli in acqua bollente e poi metteteli a lessare in acqua aromatizzata di sedano.
, e noi più e più volte abbiamo assistito alla inverosimile compra-vendita. Ora, pensate voi, signore gentili, che razza di acquisto farà il cliente
Queste dosi sono, come abbiamo detto, per un tacchino di grandi proporzioni. Per un cappone o per un fagiano bisognerà diminuirle. Nella stagione fredda è buona regola riempire l'animale e lasciarlo in luogo fresco per due o tre giorni affinchè le carni possano ben profumarsi dell'odore dei tartufi. L'antica cucina consigliava, specie per i fagiani, di racchiuderli dopo riempiti di tartufi, in scatole di carta pesante ad esempio carta da disegno e di lasciarli in riposo al fresco per un paio di giorni per poi cuocerli al forno nello stesso involucro di carta che veniva unta al momento della cottura, e che si toglieva quasi a cottura ultimata per dar modo all'animale di colorirsi all'esterno. È un sistema non certo disprezzabile e che contribuisce a facilitare la penetrazione nelle carni dell'animale dell'aroma dei tartufi.
Queste dosi sono, come abbiamo detto, per un tacchino di grandi proporzioni. Per un cappone o per un fagiano bisognerà diminuirle. Nella stagione
Per quattro persone occorre mezzo chilogrammo di polmone, che va tagliato in pezzi come piccole noci, lavato e asciugato in uno strofinaccio. Mettete in una casseruola una cucchiaiata scarsa di strutto o di burro — un po' meno di mezzo ettogrammo — e qualche dadino di prosciutto grasso e magro, e appena lo strutto o il burro saranno liquefatti, aggiungete il polmone in pezzetti e una cipollina finemente tagliata, sale e pepe. Conducete la cottura a fuoco vivace, mescolando il polmone con un cucchiaio di legno, fino a che avrà preso una bella colorazione scura. A questo punto aggiungete una forte pizzicata di farina, mescolate ancora, e dopo un minuto o due versate nella casseruola mezzo bicchiere di vino asciutto; bianco o rosso, fa lo stesso. Appena il vino si sarà alquanto consumato, bagnate il polmone con brodo o con acqua in modo da ricoprirlo, coprite la casseruola, diminuite il fuoco e lasciate che la cottura si compia dolcemente. Per il che occorreranno circa tre quarti d'ora. Se avete dei funghi secchi li potrete aggiungere, dopo averli naturalmente tenuti in bagno nell'acqua fresca per farli rinvenire. I funghi vanno messi giù quando si bagna il polmone con brodo o con acqua, cioè nella seconda parte della cottura; essi danno all'intingolo un più gustoso sapore. Regolatevi che a cottura completa l'intingolo non risulti nè troppo diluito, nè troppo denso; deve rimanere una salsa non eccessivamente abbondante, ma saporita e legata. Ritagliate da due o tre fette di pane dei dadini di mollica, e friggeteli di color d'oro nell'olio o nello strutto. Rovesciate il polmone in un piatto, seminateci su i dadini di pane fritti e mandate subito in tavola. Oltre che con questo procedimento in bianco, il polmone si può cucinare con un po' di pomodoro. L'operazione è la stessa. Dopo aver messo il vino si aggiunge un cucchiaio di salsa di pomodoro. In questo caso si può diminuire la quantità di farina o farne addirittura a meno, e condire il polmone con una pizzicatola di foglie di maggiorana. Però la ricetta più fine e che potrà essere sempre servita con successo, è la prima, che vi abbiamo minuziosamente insegnata.
1. Ali 2. e 6. Dorso diviso in due parti. 3. Filetti 4. Parte centrale del petto. 5. Cosce 7. Zampe. – ] Trattandosi di polli grandi la parte centrale del petto e le cosce si suddividono in due parti bagno in acqua fresca, affinchè possa bene ammollarsi. Poi si estrae dall'acqua, si mette in un tegamino e si fa sciogliere su fuoco debole. Si aggiunge poi alla gelatina e si procede alla chiarificazione come si è detto più innanzi. Abbiamo accennato a questa colla desiderando non tralasciare nulla affinchè la nostra ricetta potesse dirsi veramente completa. Però crediamo che facendo ben restringere il brodo e facendo cuocere moltissimo i piedi di vitello, l'aggiunta della «gelatina marca oro» non sia necessaria, tanto più che una buona gelatina di carne non deve essere dura ed elastica come un pezzo di caucciù, ma essere rappresa quel tanto che basta, e fondere facilmente in bocca. Solo a queste condizioni si può gustarne tutta la finezza e tutto il profumo.
tegamino e si fa sciogliere su fuoco debole. Si aggiunge poi alla gelatina e si procede alla chiarificazione come si è detto più innanzi. Abbiamo
Vi abbiamo detto che la stampa da pâté non ha fondo. Occorre dunque appoggiarla su una piccola teglia che formerà lei il fondo del pâté. Così la teglia come la stampa vanno imburrati. Stendete la pasta all'altezza di mezzo centimetro e con essa foderate il fondo e le pareti della stampa. Con una pallina della stessa pasta leggermente infarinata o con le dita pigiate nell'interno affinchè la pasta possa aderire perfettamente alla stampa, e tagliate la pasta che sopravanza lasciando che sporga un dito dalla stampa. La pasta avanzata arrotolatela di nuovo e mettetela da parte, che servirà per il coperchio. Mettete sul fondo del pâté una o due fettine di lardo e sul lardo stendete qualche cucchiaiata di farcia. Mettete ora sulla farcia qualche fegatino, ricoprite con altra farcia, mettete ancora fegatini e tartufi, se li avete adoperati, e così di seguito, terminando con uno strato di farcia. Poi ricoprite con qualche altra fettina di lardo. Stendete adesso la pasta avanzata, ritagliandone un pezzo della forma della stampa, ma un dito più largo. Appoggiate questo pezzo di pasta sul pâté in modo che vada a combaciare con l'altra pasta che come abbiamo detto deve sporgere un dito dalla stampa, pigiate le due paste per riunirle e arrotolatele in cordoncino che verrà a chiudere in alto il vostro pâté. Se avete una pinzetta da pâté o anche più semplicemente una molla da zucchero prendetela, passatela di quando in quando nella farina e con essa pizzicate intorno intorno il cordoncino di pasta. Avrete così una decorazione e una maggiore sicurezza per la chiusura del pâté. Con un po' d'uovo sbattuto o anche con la chiara avanzata, dorate la parte superiore del pâté, e poi con un coltellino a punta fate nel mezzo del coperchio un foro circolare della grandezza di un soldo. Questo foro sarà il camino di dove durante la cottura usciranno i vapori del pâté. Fatto tutto ciò infornate il pasticcio e cuocetelo a forno di moderato calore per circa un'ora, lasciatelo raffreddare e poi se avrete usato la stampa a cerniera non vi resterà che sollevare il perno e aprire la cerniera per liberare il pâté dalla stampa; se avrete adoperato una casseruola vi converrà invece sformare il pâté rovesciandolo, per poi riaccomodarlo sul piatto di servizio. Avendo della gelatina prendetene una piccola quantità, fatela fondere in un tegamino vicino al fuoco e dal forellino del pâté versatene nell'interno qualche cucchiaiata: ciò che servirà a cementare meglio il pasticcio.
Vi abbiamo detto che la stampa da pâté non ha fondo. Occorre dunque appoggiarla su una piccola teglia che formerà lei il fondo del pâté. Così la
Il cappon magro è uno dei piatti tradizionali della cucina genovese; e bisogna dire che la sua non è una di quelle fame così spesso scroccate nel mondo. Si tratta di una specie di maionese, ma con una salsa speciale, e accomodata sopra uno strato di gallette, o come si dice, in genovese, di «bescheutti de pan». Il cappon di galera si può fare ricco quanto si vuole, e quando è eseguito con diligenza, e sopratutto montato con gusto, alternando bene i colori, è piatto che produce sempre un grande effetto. Ci si provvede di una certa quantità di gallette, secondo il numero delle persone, si spezzano e si bagnano in acqua e aceto per farle rinvenire. Si lessano poi tutti i legumi di cui si può disporre, come patate, carote gialle e rosse, cavolfiori, fagiolini, ecc., si fanno in dadi, si condiscono con sale, pepe, olio e aceto, e a questi legumi si uniscono funghi sott'olio, cetriolini, acciughe, capperi, olive verdi, uova sode e gamberi (che si saranno fatti bollire o friggere). Per ultimo si lessa un bel pesce cappone, si lascia freddare, si spina accuratamente, dividendo la carne in pezzi non tanto piccoli, e si condisce con sale, pepe, olio e limone. Volendo, si potrà aggiungere al pesce cappone anche la carne di un'aragosta bollita, aperta e fatta in dadi grossi. Preparata ogni cosa si fa la salsa, la quale si ottiene pestando in un mortaio di legno una buona quantità di prezzemolo, uno spicchio d'aglio, due acciughe, qualche pinolo, capperi, cetriolini, la polpa di qualche oliva in salamoia, un po' di midolla di pane inzuppata nell'aceto e spremuta e due torli di uova. Quando i vari ingredienti sono ben pestati, si passa la salsa e si diluisce con olio e aceto in modo da averla piuttosto colante. Si procede allora al montaggio del piatto, per il quale, come abbiamo detto, occorre diligenza e un po' di gusto. Si fa prima uno strato di base con le gallette ben spremute e poi s'incominciano a disporre i vari legumi a gruppi, avendo cura di alternare i colori. Dopo un primo strato di legumi si mette un po' di pesce, un po' di salsa, e si passa a fare un secondo strato e via di seguito, dando man mano alla pietanza la forma di una cupola. Ultimato il piatto si versa su tutto la salsa rimasta e si guarnisce il cappon di galera con spicchi di uova sode, alici, olive, gamberi, ecc.
la salsa e si diluisce con olio e aceto in modo da averla piuttosto colante. Si procede allora al montaggio del piatto, per il quale, come abbiamo
Si possono preparare così per un buffet, come per una elegante merenda in campagna. In sostanza i panini alla parigina sono delle piccole maionesi contenute in un panino. Se ne calcolano generalmente un paio a persona. Comperate una dozzina di panini di Vienna, procurando che siano ben freschi. Con un coltello tagliatene una calotta circolare nella parte superiore. Vuotateli poi della mollica interna e allineateli man mano sul tavolino di cucina. Avrete così tante scatole col loro coperchio: anzi farete attenzione che questi coperchi non si confondano tra loro e ad ogni panino resti il suo, che gli metterete vicino. Lessate una patata piuttosto grande, una zucchina, una carota gialla e un pugno di fagiolini, e quando questi legumi saranno cotti tagliateli in dadini della grandezza di un pisello, conditeli con sale, pepe, una punta di cucchiaino di senape inglese sciolta in un po' d'acqua, olio ed aceto. Se avete dell'aceto al dragoncello mettetene una cucchiaiata. Aggiungete anche un pizzico di capperi e uno o due cetriolini sotto aceto, ritagliati in fettine. Tagliate in piccole fette un ettogrammo di tonno sott'olio, e mettetele da parte, e finalmente fate una salsa maionese di un uovo. Un paio di cucchiaini di questa salsa li mescolerete nella insalata di legumi, e il resto la terrete da parte. Preparata questa roba — si fa più presto a farlo, che a descriverlo — procedete alla confezione dei panini. Servendovi di un cucchiaino da caffè, mettete un po' d'insalata di legumi nell'interno di ogni panino, pigiando con garbo affinchè non rimangano vuoti; poi, sui legumi, appoggiate una o due fettine di tonno; finite di riempire il panino con un altro po' d'insalata e finalmente terminate con un cucchiaino di salsa maionese, la quale scenderà pian piano tra gl'interstizi. Ultimati tutti i panini, mettete ad ognuno il suo coperchio procurando che il taglio ricombini esattamente e il panino riprenda la sua primitiva forma. Vi abbiamo consigliato il tonno perchè più semplice e più economico. Potrete, invece, se più vi piace, servirvi come ripieno di aragosta lessata, palombo o spigola o altro pesce lessato o arrostito. E finalmente volendo adoperare un ripieno di carne, potrete usare del petto di pollo o di tacchino, scottati con un po' di burro.
forma. Vi abbiamo consigliato il tonno perchè più semplice e più economico. Potrete, invece, se più vi piace, servirvi come ripieno di aragosta lessata
Dopo averli mondati e generosamente risciacquati cuoceteli in una pentola come vi abbiamo più volte insegnato, cioè con pochissima acqua e fuoco piuttosto vivace. Quando saranno cotti passateli in acqua fredda, ciò che conserverà loro il color verde. Poscia strizzateli e metteteli da parte. Pochi momenti prima di mangiare mettete un bel pezzo di burro in una padella e fatelo soffriggere fino a che sarà diventato biondo. Aggiungete allora gli spinaci, conditeli con sale e pepe e qualche acciuga che avrete lavato, spinato e tritato col coltello insieme ad un piccolissimo pezzo d'aglio. Lasciate insaporire un pochino e accomodate gli spinaci nel piatto contornandoli con crostini di pane fritti. Nei giorni di magro stretto si può usare invece del burro un po' d'olio. In un modo o nell'altro questi spinaci riescono appetitosi.
Dopo averli mondati e generosamente risciacquati cuoceteli in una pentola come vi abbiamo più volte insegnato, cioè con pochissima acqua e fuoco
Ci sono, negli uomini, come nelle cose, dei privilegiati che ispirano a tutti simpatia. Tale è lo sparagio, figlio diletto della primavera, il quale è accolto festosamente su tutte le mense. Ci sono sparagi verdi e sottili e sparagi bianchi grossi dalla punta leggermente violacea: i primi sono i più adatti ad essere gustati freddi con la salsa più semplice: olio e limone; agli altri, da servirsi di preferenza caldi, convengono le salse grasse e il burro. Gli sparagi vanno scelti accuratamente, legati insieme in mazzi, tagliati tutti della stessa misura e poi lessati in acqua e sale. Non occupiamoci dei piccoli sparagi verdi: l'abbiamo detto: un po' d'olio e un po' di sugo di limone e non c'è da fare altro. Potrete mettere l'olio in un piatto, spremerci su il limone e amalgamare il tutto con una forchetta prima di versare sugli sparagi. Gli sparagi grossi, di giardino, necessitano cure maggiori: vanno raschiati e risciacquati prima di essere lessati, e conviene fare attenzione di non farli passare di cottura, la quale, in ogni caso, dovrà avvenire all'ultimo momento. Qual'è il condimento che meglio conviene a questa varietà di sparagi?
occupiamoci dei piccoli sparagi verdi: l'abbiamo detto: un po' d'olio e un po' di sugo di limone e non c'è da fare altro. Potrete mettere l'olio in un
Sbucciate una quarantina di castagne, e mettetele qualche minuto in forno leggero o nella caldarrostiera per poter togliere più facilmente la seconda pellicola. In un modo o nell'altro, procurate che le castagne non prendano colore. Quando le avrete tutte nettate, ponetele in una teglia, in un solo strato, copritele di acqua fredda e conditele con un pizzico di zucchero, sale e una costola di sedano. Al primo bollore aggiungete nella teglia un pezzo di burro come una noce e un cucchiaino da caffè di estratto di carne. Coprite la teglia e lasciate cuocere dolcemente le castagne che dovranno riuscire lucide e saporite. Le castagne così preparate costituiscono un contorno ricco e assai gustoso. Abbiamo detto di servirvi dell'estratto di carne, per semplificare la cosa. Ma se avete del buon sugo di vitello, o di carne, senza pomodoro, servitevene invece dell'acqua, e sarà tanto meglio.
riuscire lucide e saporite. Le castagne così preparate costituiscono un contorno ricco e assai gustoso. Abbiamo detto di servirvi dell'estratto di carne
Se la cucina intesa nei suoi molteplici aspetti può simpaticamente interessare una signora, questo interesse è tanto maggiore nella pasticceria, la quale è un'arte così piacevole, delicata e fine che sembra ideata per gentili mani di donna. È qui che la genialità e il buon gusto di una signora possono trovare la loro migliore espressione, specie per quel che riguarda la sobria decorazione di dolci o di gelati, l'artistica maniera di accomodare per un buffet torte, paste dolci o pastine, e via dicendo. Conoscendo, per la lunga esperienza fattane, l'importanza che può avere in famiglia la confezione di una buona pasticceria, abbiamo accordato a questo capitolo un più ampio svolgimento, così da mettere in grado le nostre lettrici di eseguire agevolmente qualunque preparazione, anche la più difficile.
confezione di una buona pasticceria, abbiamo accordato a questo capitolo un più ampio svolgimento, così da mettere in grado le nostre lettrici di eseguire
[immagine e didascalia: Fig.3] al fresco per dieci minuti e poi date altri due giri. Altri dieci minuti di riposo — come al circo equestre — e poi date i due ultimi e definitivi giri. E la pasta sfogliata è pronta. Questa operazione metodica dei giri ha per scopo di distribuire il burro uniformemente nella pasta, ed è appunto questo che durante la cottura solleva la pasta in quei foglietti che costituiscono poi la sfogliata. Il riposo ogni due giri è necessario per far perdere alla pasta l'elasticità che acquista lavorandola col rullo di legno. Se si facesse la lavorazione senza riposo la pasta risulterebbe elastica e durante la cottura tenderebbe a ritirarsi. Durante l'operazione dei giri spolverizzate sempre leggermente la pasta e la tavola di un velo di farina. Procurate inoltre di stendere e piegare la pasta il più geometricamente possibile affinchè il burro possa ripartirsi uniformemente e assicurare uguale sviluppo in tutti i punti della sfogliata durante la cottura. Tenete l'impasto al fresco, ma mai direttamente sul ghiaccio perchè il burro s'indurirebbe troppo e non si legherebbe che difficilmente alla pasta, mentre abbiamo già detto che burro e pasta debbono avere la stessa consistenza. Dopo i sei giri di prescrizione la pasta sfogliata è pronta e potrete stenderla come più vi piace per confezionarne pasticcini, dolci, vol-au-vents, ecc. tutte cose che troverete qui appresso.
perchè il burro s'indurirebbe troppo e non si legherebbe che difficilmente alla pasta, mentre abbiamo già detto che burro e pasta debbono avere la
Abbiamo parlato più sopra della gelatina di albicocca per preparare i dolci da rivestirsi di ghiaccia all'acqua. Questa gelatina che serve anche per decorare le usuali torte con guarnizioni di frutta candite, si ottiene facilmente prendendo un po' della solita marmellata e aggiungendoci due o tre cucchiaiate di zucchero, mettendo sul fuoco e facendo cuocere un pochino, al «filo forte». Questa marmellata, contenendo un eccesso di zucchero resta più compatta e lucida e comunica al dolce un aspetto più elegante.
Abbiamo parlato più sopra della gelatina di albicocca per preparare i dolci da rivestirsi di ghiaccia all'acqua. Questa gelatina che serve anche per
È tradizione che nel giorno di Pasqua ci sia in casa, indipendentemente dagli altri dolciumi, la caratteristica torta pasquale. E questa tradizione è così diffusa che si può dire che non ci sia regione che non abbia la sua torta o, come si dice anche comunemente nell'Italia centrale e meridionale «pizza». Tra queste pizze rinomate è la «pizza di Civitavecchia». A dire il vero queste torte pasquali non differiscono sensibilmente una dall'altra. Si tratta in generale di torte eseguite con lievito di pane e aromatizzate con arancio, o limone, o cannella, e perfino con formaggio. Trattandosi di preparazioni da farsi in casa dove non c'è il forno a mattoni, abbiamo sostituito il lievito di pane, il quale non può spiegare la sua azione che nel forno da fornaio, con lievito di birra, il quale, molto più cortese, si presta amabilmente a spiegare la sua azione fermentatrice anche nei fornetti casalinghi di lamiera. Le proporzioni sono: farina grammi 350, tre uova intiere, quattro cucchiai di zucchero in polvere, un pezzo di burro come una grossa noce, un pizzico di sale, un buon pizzico di cannella, la corteccia raschiata di un arancio e di un limone e 50 grammi di lievito di birra. Si scioglie in una tazza il lievito di birra con due dita di acqua appena tiepida — raccomandiamo che l'acqua non sia calda, perchè brucerebbe il lievito — e per mezzo di un cucchiaino s'impasta questo lievito sciolto con due cucchiaiate della farina già pesata. Si copre la tazza e si mette in luogo tiepido per una ventina di minuti, fino a che, cioè, il lievito avrà raddoppiato il suo volume. Si dispone sulla tavola di cucina la farina con lo zucchero, le uova e tutti gli altri ingredienti descritti più sopra, si unisce il lievito pronto e si batte energicamente la pasta fino a che sarà diventata elastica e vellutata. A questo punto si unge una teglia con burro o con strutto, vi si mette dentro la pasta e si pone a lievitare la torta in un luogo tiepido per tre o quattro ore. Quando la torta sarà ben lievitata si cuoce in forno di moderato calore per un tempo che varierà da mezz'ora a tre quarti. Volendo si potrà arricchire la torta con una cucchiaiata di scorzetta d'arancio candita e ritagliata in filettini. La dimensione della teglia, adatta per queste dosi, è di venti centimetri.
preparazioni da farsi in casa dove non c'è il forno a mattoni, abbiamo sostituito il lievito di pane, il quale non può spiegare la sua azione che nel
Vi abbiamo insegnato il modo semplice e alla buona per ottenere, a mezzo della cucchiaia da frittura, i vermicelli di castagne. Se però avrete un setaccio di fil di ferro a maglie larghe o la siringa da pasticceria, tanto meglio. In questo caso regolatevi come è detto più innanzi pei «Piccoli monte-bianchi».
Vi abbiamo insegnato il modo semplice e alla buona per ottenere, a mezzo della cucchiaia da frittura, i vermicelli di castagne. Se però avrete un
Bisogna tener presente che le fragole, a contatto dello stagno o della latta, perdono il loro bel colore rosso per assumere una colorazione violacea sporca, di pessimo effetto. Occorrerà dunque, confezionando questa bavarese, adoperare solamente: un setaccino di crine rosso (che è generalmente il più adatto per pasticceria) un recipiente di maiolica o di terraglia per raccogliere il passato di fragole e, finalmente, una stampa di ferro smaltato o di rame non stagnato per condensare la bavarese. Premessi questi piccoli avvertimenti, procediamo nel nostro lavoro. Prendete mezzo chilogrammo di fragole piccole e passatele dal setaccio di crine rosso, raccogliendo la purè in una terrinetta di porcellana. Su questa purè grattate, con un pezzo di vetro o con una piccola grattugia, la scorza di un limone, avvertendo di grattare soltanto la parte gialla e non la bianca che comunicherebbe un sapore amarognolo al composto. Spremete sulle fragole il sugo della metà del limone, e aggiungete nella terrinetta 200 grammi di zucchero al velo. Avrete intanto messo in acqua fresca 25 grammi di gelatina marca oro — circa 12 fogli — e dopo una diecina di minuti, quando la gelatina sarà ben rammollita, prendetela su con le mani, strizzatela e e mettetela in una casseruolina con tre o quattro cucchiaiate d'acqua. Tenete la casseruolina sull'angolo del fornello e fate liquefare la gelatina a calore dolce. Quando la gelatina sarà ben liquefatta passatela dal setaccino raccogliendola nello stesso recipiente dove è già la purè di fragole. Mescolate bene ogni cosa, e mettete la terrinetta su un po' di ghiaccio per raffreddare il composto. Quando vedrete che incomincia a divenire spesso, mischiatevi adagio adagio un quarto di litro di panna di latte montata (chantilly). Prendete una stampa da budino — che, come vi abbiamo già detto, dovrà essere di ferro smaltato o di rame non stagnato — e ungetela leggermente di olio d'olivo o meglio di olio di mandorle dolci. L'oleatura della stampa dovrà essere fatta con parsimonia e dopo che si sarà passato un velo d'olio dappertutto si capovolgerà la stampa tenendola così per qualche minuto allo scopo di far cadere tutto l'olio superfluo. In questa stampa oleata mettete il composto a cucchiaiate. Battete leggermente la stampa su uno strofinaccio affinchè non restino vuoti e finalmente mettete a congelare la bavarese sul ghiaccio lasciandovela per circa un'ora, fino a che si sarà ben rappresa.
budino — che, come vi abbiamo già detto, dovrà essere di ferro smaltato o di rame non stagnato — e ungetela leggermente di olio d'olivo o meglio di olio
Mettete il miele in una casseruola, piuttosto grande, perchè in essa dovremo poi fare tutta la manipolazione, e poi mettete questa casseruola in un'altra ancor più grande posta sul fornello e contenente acqua bollente. Bisogna cuocere il miele di preferenza a bagno-maria, perchè se cotto a fuoco diretto si attacca e si colorisce, mentre, per il torrone, deve rimanere ben limpido e senza grumi. Provvedetevi di un cucchiaio di legno nettissimo, che non abbia odori di grassi e di sughi e incominciate a mescolare il miele, senza mai più lasciare di mescolarlo. È questa l'operazione più noiosa, poichè la cottura a bagno-maria è lenta e necessita quella pazienza alla quale abbiamo fatto appello. Del resto, non ci sono altre complicazioni e, se volete, potrete affidare questa parte di lavoro manuale alla vostra domestica, mentre voi sorveglierete la cottura, che durerà circa un'ora e mezzo, e accudirete intanto alle altre preparazioni. Mentre il miele cuoce, preparate gli altri ingredienti necessari al torrone. E prima di tutto le mandorle e le nocciole. Acquistando le mandorle rivolgetevi ad un negoziante onesto, che vi garentisca mandorle dolci e non vi dia un misto di mandorle dolci e amare che darebbero un cattivo sapore al torrone. Le mandorle — naturalmente senza guscio — vanno messe in una casseruolina con acqua fredda che poi si porta pian piano fin quasi all'ebollizione. Si ritirano allora dal fuoco e si sbucciano facilissimamente. Prima di mettere le mandorle nella casseruolina, sarà bene di dar loro una guardata, per toglier via qualche pezzo di guscio che potesse esservi mischiato. Le nocciole si schiacciano, si pesano e si allargano insieme con le mandorle in una teglia ben netta, e si mettono ad asciugare su un po' di brace, o meglio in forno leggerissimo, mescolandole di quando in quando con le mani. Fatto questo, montate in neve due chiare d'uovo. Dopo qualche tempo, incominciate a provare la cottura del miele che dovrà essere portata esattamente al grado della «caramella». Quando constaterete che la cottura del miele è al grado voluto incominciate a metterci le chiare montate, un po' alla volta, e sempre mescolando. Vedrete che la massa si gonfierà e diventerà bianca e spumosa. Tenete pronto intanto lo zucchero, che cuocendosi a fuoco diretto e non a bagno-maria come il miele, arriva assai più presto di cottura. Mettete i duecento grammi di zucchero in un polsonetto
, poichè la cottura a bagno-maria è lenta e necessita quella pazienza alla quale abbiamo fatto appello. Del resto, non ci sono altre complicazioni e, se
— (Dio, che preoccupazione, e che tentazione anche! Ma, e se scottasse? Provo o non provo? Prendo lo stecchino!) — o dopo il breve monologo che abbiamo sommariamente riassunto, con lo stecchino; e quando anche lo zucchero sarà alla caramella, versatelo pian piano e sempre mescolando, nella grande casseruola a bagno-maria, dove già sono il miele e le chiare. Fate attenzione che il grado di cottura dello zucchero non passi, e lo zucchero non debba colorirsi, altrimenti avreste dello zucchero bruciato. Sarà opportuno che, quando la cottura del miele è bene avanzata, cominciate a prepararvi lo zucchero, in modo da poterlo aggiungere nella casseruola grande, poco dopo messe le chiare. Fedeli alla consegna, non vi stancate mai di mescolare. Le chiare messe nel composto diluiscono necessariamente miele e zucchero. È dunque necessario, dopo fatto il miscuglio, di continuare un altro po' la cottura. Vedrete intanto che la massa bianca si va restringendo e indurendo. Provatene qualche po' nell'acqua, e quando constaterete che il composto è ben duro, senza tuttavia essere arrivato proprio alla caramella, mescolateci dentro le mandorle e le nocciole, calde, il candito in pezzetti — il quale ultimo non è necessario — e la raschiatura di un limone, che profumerà il torrone deliziosamente. Mescolate in fretta, perchè la massa tende a indurirsi, e procurate che le mandorle e le nocciole si amalgamino bene col composto di miele e zucchero. Ed ora il torrone è cotto; e ve ne accorgerete dal profumo che sale dalla vostra casseruola. Occorrerebbe adesso avere una specie di riquadratura di latta per colare il torrone. Ma trattandosi di piccole quantità, senza troppe complicazioni mettete delle ostie sul marmo di cucina, e su queste versate il torrone, cercando di dargli forma rettangolare, e aiutandovi in ciò con le mani o con una larga lama di coltello. Dovrete ottenere un rettangolo di una ventina di centimetri per quindici, e alto un paio di dita. Applicate anche sopra delle ostie, e pressate il torrone con un leggero peso. Lasciate così per un quarto d'ora e poi tagliate il torrone in pezzi lunghi. Ne otterrete da quattro a sei, secondo quanto vorrete farli grossi. Incartate i pezzi in carta paraffinata, per conservarli meglio.
abbiamo sommariamente riassunto, con lo stecchino; e quando anche lo zucchero sarà alla caramella, versatelo pian piano e sempre mescolando, nella grande
Prendete una dozzina di aranci, preferendo quelli a buccia sottile che sono i più sugosi, tagliateli in due e spremetene il sugo in una terrinetta. Per ogni bicchiere di sugo calcolerete sei cucchiaiate di zucchero. Passate il sugo da un colabrodo o a traverso un velo, e raccoglietelo in una casseruola, o, meglio, in un polsonetto. Badate che il colabrodo e la casseruola non abbiano la più piccola traccia di grasso che comunicherebbe alla preparazione un detestabile sapore. Aggiungete nel sugo lo zucchero preparato e mettete il recipiente sul fuoco mescolando con un cucchiaio di legno per facilitare la fusione dello zucchero. È buona norma tenere un cucchiaio di legno esclusivamente per i composti dolci, per evitare l'inconveniente al quale abbiamo accennato più sopra: che cioè le creme o le marmellate acquistino sapore di grasso. Togliete accuratamente la schiuma giallastra che si formerà non appena la gelatina avrà raggiunto l'ebollizione: schiuma che nuocerebbe alla limpidità della gelatina stessa. Fate cuocere a fuoco brillante. Il sugo d'arancio contiene una buona parte acquosa che deve evaporare per giungere alla necessaria condensazione. Vi raccomandiamo di sorvegliare la casseruola e di tenervi pronte ad alzarla od a toglierla momentaneamente dal fuoco perchè il sugo d'arancio, bollendo, tenta spesso di traboccare dal recipiente e andare a passeggio per il camino. Pian piano l'ebollizione si farà più calma e la cottura si avvicinerà al punto preciso. Questo punto si riconosce facilmente quando la gelatina non scorrerà più come se fosse acqua, ma avrà acquistato un po' di consistenza e lascerà sul cucchiaio un leggero velo. Potrete anche lasciarne cadere qualche goccia su un piatto e osservare se queste goccie freddandosi si rapprendono. Cotta a punto, togliete la casseruola dal fuoco e versate con attenzione la gelatina nei vasetti di vetro. Lasciatela freddare così, e il giorno dopo mettete sulla bocca di ogni vasetto un disco di carta bagnata d'alcool e poi chiudete i vasetti col loro coperchio o con carta pergamenata e spago.
quale abbiamo accennato più sopra: che cioè le creme o le marmellate acquistino sapore di grasso. Togliete accuratamente la schiuma giallastra che si
Lo sciroppo di orzata è squisito, ma ad una sola condizione: quella di prepararselo da sè. Alterandosi facilmente, quello del commercio viene accomodato o sostituito addirittura con altre sostanze che, se ne assicurano la conservazione, ne mutano anche il genuino sapore. Mettete in una casseruola 250 grammi di mandorle dolci secche, aggiungendone anche sei o sette amare. Ricoprite le mandorle d'acqua bollente, coprite la casseruola e lasciate così per qualche minuto. Poi quando la buccia delle mandorle si sarà ammorbidita, sbucciatele e mettetele in acqua fresca dove le lascerete per una mezz'ora. Mettetene poi poche alla volta in un mortaio, e pestatele il più finemente possibile, avvertendo di bagnarle di quando in quando con un po' d'acqua — un mezzo cucchiaino alla volta — per impedire che facciano olio. Man mano che saranno pestate, mettetele in una piccola insalatiera e allorchè saranno tutte pronte versate nella insalatiera un bicchiere scarso di acqua, sciogliendo le mandorle con le mani. Mettete questa specie di pasta di mandorle grossolana in una forte salvietta o in uno strofinaccio ben pulito, posto sopra un'altra insalatiera o una terrina; e, facendovi aiutare da un'altra persona, torcete fortemente la salvietta o lo strofinaccio. Vedrete che ben presto il latte di mandorle colerà abbondantemente. Strizzate forte e quando non uscirà più latte rimettete le mandorle nella prima insalatiera, riscioglietele con un altro mezzo bicchiere di acqua e tornate a strizzarle nella salvietta. Sarete così sicure di avere esaurite completamente le mandorle. Mettete adesso sul fuoco, in una casseruola ben pulita, mezzo chilogrammo di zucchero e un bicchiere di acqua e fate bollire. Prendete uno stecchino e una scodella e portate ogni cosa vicino alla casseruola. Dopo qualche minuto di ebollizione provate la cottura dello zucchero immergendo lo stecchino nello sciroppo e poi subito nell'acqua della scodella e quando vedrete che lo zucchero si rapprenderà sullo stecchino in modo che rotolandolo fra le dita possa farsene una specie di pallina non troppo dura, nè troppo molle, levate la casseruola dal fuoco e versateci dentro il latte di mandorle. Mescolate bene, travasate in un recipiente di terraglia e lasciate freddare. Quando lo sciroppo sarà freddo, versateci mezzo cucchiaino di acqua di fiori d'arancio e poi imbottigliatelo. Come abbiamo detto, questo sciroppo non si conserva a lungo ed è bene adoperarlo subito. Però se vorrete conservarlo per qualche giorno aggiungeteci cinque grammi di gomma arabica sciolta in un dito di acqua, ciò che ne previene la dissoluzione, principale inconveniente di questa bevanda igienica e dissetante.
freddare. Quando lo sciroppo sarà freddo, versateci mezzo cucchiaino di acqua di fiori d'arancio e poi imbottigliatelo. Come abbiamo detto, questo
Questo eccellente liquore è del tipo di quello che è in commercio e che va sotto il nome di Vov. È buonissimo, nutriente e formerà la delizia vostra e delle vostre amiche. Come avviene anche per quello del commercio, questo liquore ha bisogno di essere agitato prima di essere servito, avendo i vari elementi tendenza a dissociarsi. Sarà quindi opportuno tenerlo in anforette di terraglia di quelle generalmente usate per il curacao, e di servirlo anche in bicchierini di porcellana colorata, proprio come fa la casa produttrice del Vov. Un'altra raccomandazione. Il liquore si conserva bene; però se volete gustarlo in tutto il suo profumo non prolungate enormemente la conservazione. Preparate magari una minore quantità per volta, ma usate la preparazione fresca. Ed ora veniamo alla ricetta facilissima con la quale otterrete un litro di liquore. Rompete quattro tuorli d'uovo in una terrinetta e sbatteteli con due ettogrammi di zucchero in polvere. Fate intanto bollire due bicchieri di latte con due ettogrammi di zucchero. Appena il latte bollirà versatelo pian piano, così bollente, sulle uova sbattute, mescolando energicamente con un cucchiaio o meglio con una piccola frusta di ferro. Sciolta bene tutta la massa, lasciatela raffreddare. Aggiungete allora mezzo bicchiere di marsala (100 gr.) di prima qualità e un bicchiere scarso di alcool puro (100 gr.) nel quale avrete sciolto mezzo grammo di vainiglina. Il liquore è ultimato, e non resta che metterlo in una bottiglia ben tappata. Come abbiamo detto, è necessario prima di servirlo di agitare un po' la bottiglia.
. Come abbiamo detto, è necessario prima di servirlo di agitare un po' la bottiglia.
Il liquore «Crema di cacao alla vainiglia» si fabbrica in una diecina di minuti e senza bisogno di complicazioni, nè di speciali utensili. Generalmente la crema di cacao, del commercio è un liquore sul tipo degli altri, cioè limpido, sciropposo, al quale l'aroma vien dato da speciali essenze. Il nostro liquore è affatto diverso e ricorda invece un'antica specialità di una grande Casa francese, che crediamo abbia da qualche anno cessato il suo commercio. Per questa preparazione abbiamo ottenuto sempre i migliori risultati servendoci del cacao in pasta. In mancanza di cacao in pasta si potrà adoperare del buon cioccolato comune. Per circa un litro di liquore raschiate col coltello un ettogrammo di cacao in pasta e mettetelo a rammollire vicino al fuoco in un polsonetto di rame con pochissima acqua (circa mezzo bicchiere). Con un frullino di legno o con un cucchiaio, anche di legno, lavorate il cacao che dovrà pian piano liquefarsi ed assumere l'aspetto di una crema densa, liscia e vellutata, senza più traccia di granosità. A questo punto aggiungete un po' alla volta, e sempre mescolando, 400 grammi di zucchero in polvere. Mescolate bene sempre su fuoco debolissimo, e quando anche lo zucchero sarà ben liquefatto in modo che sotto il cucchiaio non si senta più nessun granellino, sciogliete il tutto con due bicchieri d'acqua. Mescolate sempre e scaldate, ma senza far bollire, mantenendo il polsonetto sull'angolo del fornello. Quando il liquido sarà bene amalgamato travasatelo in una terrinetta e lasciatelo freddare. Unite allora un bicchiere di alcool di buona qualità, nel quale avrete sciolto mezzo grammo di vainiglina. Mescolate e travasate il liquore in anfore di terraglia scura del tipo di quelle usate per il Curacao d'Olanda. Un cucchiaio o due di questa crema al cioccolato sciolta in una tazza di latte caldo, offre un nutrimento igienico e corroborante, rimpiazzando efficacemente l'abituale cacao al latte. È bene, prima di servire il liquore, di agitare un poco la bottiglia.
commercio. Per questa preparazione abbiamo ottenuto sempre i migliori risultati servendoci del cacao in pasta. In mancanza di cacao in pasta si potrà
Pestate grossolanamente in un mortaio tutte queste droghe e poi mettetele in un boccioncino della capacità di oltre tre litri, versandoci sopra alcool fino a 90° grammi 2500. Lasciate macerare per dieci giorni agitando almeno due volte al giorno il boccioncino, che avrete ermeticamente chiuso, con un tappo nuovo di sughero. Dopo dieci giorni preparate uno sciroppo, con zucchero grammi 1300 e acqua distillata grammi 1500. Ottenuto lo sciroppo, mischiate in esso l'infusione alcoolica, travasate in un recipiente più grande e lasciate in riposo un paio di giorni. Dopo di che filtrate il liquore servendovi del solito imbuto di vetro e di una buona carta da filtro e imbottigliate. I liquori, come sapete, più invecchiano e più diventano buoni. Motivo per cui se eseguirete la ricetta così come è non avrete certo a pentirvene, poichè avrete arricchito la vostra dispensa di un prodotto finissimo, che col tempo non potrà che diventare sempre migliore. Ed ora alcune piccole spiegazioni che forse potranno tornare utili. Crediamo inutile parlarvi dei coriandoli, dei chiodi di garofani, dei semi d'anaci, della cannella, dello zafferano e dei semi di finocchio, che voi tutti conoscete perchè di uso quotidiano. L'issopo è una pianta aromatica di cui si adoperano le sommità fiorite. La radice di angelica è una radice aromatica, come aromatici sono la melissa ed il serpillo che è una varietà del timo. Tutte queste erbe e droghe potrete facilmente procurarvele da un erborista, o, come si dice in Roma, semplicista, cioè da quei negozianti specializzati che vendono appunto droghe ed erbe aromatiche per usi di liquoreria o di farmacia. Le bacche di abete sono delle pallottoline grosse come nocciuole che germogliano sugli abeti. Hanno odore aromatico resinoso, e anche esse vanno frantumate nel mortaio. Potrete ottenerle facilmente da qualche giardiniere. Di queste pallottoline, come abbiamo detto, se ne impiegano due o tre. Invece dell'acqua distillata, potrete usare dell'acqua comune. Ma la prima è preferibile.
nel mortaio. Potrete ottenerle facilmente da qualche giardiniere. Di queste pallottoline, come abbiamo detto, se ne impiegano due o tre. Invece dell
Dove si cucina molto con lo strutto — ad esempio nel Lazio e nel Napoletano — questa provvista casalinga è quasi un dovere. La chimica applicata alle sostanze alimentari ha fatto enormi progressi, e se sapeste che razza di pasticci si manipolano in alcune fabbriche al di là... e al di qua dei mari, non vi lascereste vincere dall'indolenza, la quale, specie nei riguardi dell'alimentazione, è quanto mai biasimevole. Conviene acquistare della sugna di prima qualità, tagliarla in piccoli pezzi e metterla a struggere a fuoco moderato in un caldaio di rame stagnato, o, trattandosi di piccole quantità in una grande padella. Alcuni aggiungono alla sugna una piccola quantità d'acqua che avrebbe per effetto di rendere lo strutto più bianco, ma è cosa controversa, e di cui noi abbiamo sempre fatto a meno. Preparate dei vasi cilindrici di terraglia che immergerete in una catinella piena d'acqua fresca. Quando vedrete che i siccioli hanno preso un bel color biondo, toglieteli, con una cucchiaia bucata, aspettate che lo strutto perda un po' del suo calore, e poi, con un ramaiuolo, versatelo adagio adagio nei vasi preparati. Si mette l'acqua nella catinella per sottrarre un po' di calore ai vasi, e per poter ricuperare il grasso se per un disgraziato accidente il vaso si rompesse. Lasciate che lo strutto si solidifichi tenendolo per una notte all'aria fredda, poi chiudete i vasi con della carta pergamena e riponeteli in dispensa. Dei siccioli avanzati potrete servirvi per fare delle pizze rustiche, adoperandoli come elemento ausiliario nel condimento di minestroni, zuppe d'erbe, ecc.
cosa controversa, e di cui noi abbiamo sempre fatto a meno. Preparate dei vasi cilindrici di terraglia che immergerete in una catinella piena d'acqua
Naturalmente si tratta qui del «menu» classico, che abbiamo voluto ricordare, sia perchè potrà giovarvi in qualche circostanza, sia perchè segna le basi da cui derivano tutti gli altri «menus» più semplici. In genere un buon «menu» comprende: Antipasto — Brodo ristretto o Minestra leggera — Pesce — Piatto forte di carne — Piatto di mezzo — Legume — Arrosto con insalata — Dolce
Naturalmente si tratta qui del «menu» classico, che abbiamo voluto ricordare, sia perchè potrà giovarvi in qualche circostanza, sia perchè segna le
Si mette un solo piatto, a sinistra del quale si disporranno la forchetta, e la forchetta speciale per il pesce; e a destra il coltello, il coltello del pesce e il cucchiaio. Col procedere del servizio le posate che non servono più vengono tolte, e le altre cambiate a ogni vivanda. C'è chi usa mettere in tavola fin dal principio il coltello e la forchettina per il «dessert», disponendoli orrizzantalmente tra il piatto e i bicchieri. Ma è un ingombro inutile, ed è molto meglio portarli solo al momento opportuno. Per i bicchieri seguite la disposizione della nostra figura, nella quale abbiamo tracciato anche delle linee di guida. Sul bicchiere da acqua si posa il segnaposto col nome del convitato. Il bicchiere per il vino del Reno o per il vino bianco secco, che si servirà col pesce, è generalmente colorato in verde o in rosa (n. 11) e mette una nota simpatica nella uniforme limpidità dell'altra cristalleria. Il bicchierino del liquore si porta in tavola in ultimo, quando si serve il caffè. Alla destra di ciascun convitato si può mettere il «menu».
ingombro inutile, ed è molto meglio portarli solo al momento opportuno. Per i bicchieri seguite la disposizione della nostra figura, nella quale abbiamo