Non acquistate mai funghi secchi sulla piazza, nè dal droghiere. Non mangiate funghi alle osterie, alberghi, principalmente di campagna. Se la vostra golaccia vi à pigliato nel trabocchetto e avete mangiato funghi velenosi, eccovi la ricetta del Mantegazza. Prima di tutto, sappiate che il più delle volte i sintomi dell'avvelenamento compaiono molto tardi, magari sette od otto ore dopo il delitto. Appena v'accorgete, vomitate, cercate liberarvi subito delle materie velenose col vomito e col secesso. Cacciatevi due dita in bocca, la barba di una penna, acqua tepida molta, e se non vi riesce, solfato di rame o di zinco: mezzo grammo in 100 grammi di acqua comune, a cucchiai ogni cinque minuti, purganti forti. Calmate i dolori con cataplasmi sul ventre, e se vi coglie stupefazione, cognac, rhum e frizioni secche ed aromatiche. Non prendete mai latte, compireste l'opera del veleno.
subito delle materie velenose col vomito e col secesso. Cacciatevi due dita in bocca, la barba di una penna, acqua tepida molta, e se non vi riesce
Per analogia di nome ne viene alla penna il Lupino, il quale è uno dei più scadenti legumi che si abbiano. (Lupinus albus, Lupinus vulgaris . Franc.: Lupin. Ted.: Wolsbohe. — Ingl.: Lupine. — Spagn.: Altramuz. Se ne contano 63 varietà. Serve meglio a concimare il terreno e ciò si usava fino ai tempi di Catone. I semi sono amari, ma lungamente macerati lasciano l'amarezza, sono farinosi ed insipidi. Nella Roma antica si vendeva sulle piazze come da noi i fagioli, e serviva di cibo agli schiavi ed ai poveri. Il Sangiorgio attesta che fino alla metà del secolo scorso si vendeva anche in Milano. Il lupino come sostanza alimentare è oramai quasi dimenticato. Le pie cronache narrano che il lupino era l'esclusivo cibo penitenziale di quaresima di S. Carlo Borromeo. Interrogato Zeno Ciprio, uno dei commensali quotidiani di Areneo, del perchè era più affabile e di facile conversazione dopo che aveva bevuto vino, rispose: «Perchè sono della natura dei lupini, quanto più stanno a molle, vengono più dolci.» La sua acqua amarissima combatte molte dermatosi erpetiche usata per lavanda. Era molto in credito per la pogoniasi, ossia per impedire lo sviluppo della barba nelle donne. Dà farina per toilette, che rende la pelle bianca e morbida. Presso gli Assiri il suo decotto si adoperava per curare la rogna.
dermatosi erpetiche usata per lavanda. Era molto in credito per la pogoniasi, ossia per impedire lo sviluppo della barba nelle donne. Dà farina per
perde di bontà. Gli uccelli sono assai ghiotti del suo seme. La specie humilis dà fiori dei quali si cava una tintura color nero. Alla prima specie (tropogon) appartiene quella così detta barba di becco barba di prete (tropogon pratense) in milanese barbabicch o erbabicch od anche bassabìcch. Alcuni la vogliono originaria dalla Siberia, ma pare invece che sia della Spagna, come lo indica anche il suo cognome hispanica, la quale si ritiene pure la sola vera scorzonera. Il suo nome viene dal colore della sua scorza. Il medico portoghese Nicolò Monardes, scrive che la scorzonera fu scoperta solo verso la metà del secolo XVI ad Urgel in Catalogna, in una località detta il Monte Bianco. E racconta che quel paese era molestato ed invaso da serpi velenose, dette scorzoni, e che un moro d'Africa curava i morsicati colla sua radice. Da qui il medico portoghese inferisce che venne il suo nome di scorzonera, cioè erba atta a guarire dagli scorzoni che, a sua detta, muoiono subito se si riesce a metterla loro in bocca. Ve la do come l'ò trovata su un libro stampato a Venezia appresso Francesco Zilletti nell'anno 1582.
(tropogon) appartiene quella così detta barba di becco barba di prete (tropogon pratense) in milanese barbabicch o erbabicch od anche bassabìcch
A' tempi di Svetonio, il bulbo dello zafferano durava 8 anni. Nell'Avignonese, oggi limitasi a due soli, nella Sicilia a tre, ad Aquila a quattro. Il bulbo è amato dai topi, gli steli dalle lepri. Quantunque originario dei paesi del mezzodì, è coltivato oramai in quasi tutta Europa, perfino in Inghilterra. In Italia tale coltura è antica, specialmente in Sicilia e nel Napoletano, e propriamente nella provincia di Aquila, che per aroma e qualità tintoria, dà lo zafferano migliore del mondo. Il suo prezzo medio è di L. 150 al kgr. Lo zafferano si usa dai tintori, dai caffettieri, dai pasticcieri, dai profumieri, dai pittori, pizzicagnoli, maniscalchi, farmacisti e cuochi. Per la cucina si dovrebbe provvederlo in fili e non in polvere, onde evitare la falsificazione. La frode più innocente è quella di esporlo per qualche tempo in luogo umido, affinchè cresca di peso. Lo si falsifica benissimo coi fiori dello Zaffranone o falso zafferano (carthamus tintorius), che dà un colore scarlatto, con l'Oricella (rocella tinctoria), che dà pure un color porpora, col Sommaco (rhus coriara), ecc. I vapori che sparge lo zafferano nei luoghi chiusi ove non si possano con facilità dissipare, sono all'uomo malsani e talvolta micidiali, perchè à virtù eminentemente narcotica, ed in medicina passa come rimedio stimolante, analogo all'oppio. La scoperta dello zafferano si perde nella nebbia dei tempi. La mitologia vuole che abbia avuto origine da un giovinetto chiamato Croco, che, innamoratosi perdutamente di una ninfa, chiamata Smilace, nè piacendo a Barba Giove tale matrimonio, fu da lui cambiato nella pianta dello zafferano; da qui il suo nome di Crocus. Et in parvos versum cum Smilace flores, et Crocon (Ovidio, 4.a Metam.). Dioscoride lo raccomanda come eccellente condimento e ne suggeriva un unguento, tanto che Properzio lodecanta:
perdutamente di una ninfa, chiamata Smilace, nè piacendo a Barba Giove tale matrimonio, fu da lui cambiato nella pianta dello zafferano; da qui il suo