In questi spaziosi ed ameni soggiorni, si alternava il passeggio al riposo, quando all'ombra e quando al sole, ed, aumentato il lusso e le comodità della vita, divennero parti essenziali delle cittadinesche abitazioni, a segno che, una casa, per quanto ornatissima, mancante di orticello, non casa «ma tenebroso ergastolo» si chiamava. I romani chiamavano ogni villa col nome di orto, onde Plinio, nel trattato delle 12 tavole delle leggi, sempre nomina la villa colla parola hortus. È da notarsi che con hortus, al singolare, i latini volevano indicare propriamente quella porzione di terra cintata, ove venivano coltivati gli ortaggi; mentre col plurale di horti si volevano chiamare quei luoghi di passeggioe di convegno, che erano rallegrati dall'ombra delle piante. Così gli orti Pompejani, Luculluiani, Sallustrii, dei Cesari, di Mecenate, ch'erano come i nostri giardini pubblici. ì piccoli orti del basso popolo chiamavansi macelli, perciò Varrone chiamava macellato gli orti degli Jonj a spregiarne la loropiccolezza — egualmente che il foro olitorio, perchè forniva di erbaggi la plebe, dicevasi pure macello. Col vocabolo foro olitorio (il nostro verzee) dalla voce generica olus, colla quale i romani comprendevano qualunque erba sativa che vi si vendesse — ed olitarii erano chiamati gl'istrumenti che servivano alla coltura degli orti, a sradicare le piante, come la marra, la pala, il bidente, ecc. Così d'altre distinzioni notissime, come gli horti herbarii medicinales, destinati alla coltura di varie piante che servivano alla cura di malattie — gli horti alvearii o mellarii, dedicati unicamente alla coltura delle api — gli horti sacri, con voce greca chiamati hierocipis, ove con molta cura si educavano le piante favorite dalle divinità, e di cui facevasi uso nelle sacre pompe, nelle libazioni, nei sacrifizi, nei trionfi, nei mortorii dei magnati e dei cittadini più distinti — cose tutte di cui in seguito se ne confuse la denominazione, e furono riassunte nella voce orto. Ond'è che Orto significa quel terreno, reso utile da una raffinata coltura delle erbe e delle piante, di cui si fa uso più comune — per cibo e condimento — mentre il Giardino, più che all'utilità, bada alla bellezza e rarità delle piante, alla vaghezza dei fiori, che ogni stagione produce.
nomina la villa colla parola hortus. È da notarsi che con hortus, al singolare, i latini volevano indicare propriamente quella porzione di terra cintata
Colla parola verdura, in generale, si designa tutto ciò che di verde dà l'orto e che serve a nutrimento. Propriamente però, la verdura è tutto ciò che è erbaceo, mentre col nome di legume designansi, dai botanici, quelle piante il cui seme è chiuso in gusci o baccelli. È verdura, dunque, il prezzemolo, la lattuga, la cicoria, l'asparago, i cardi, l'articiocco, il cavolo, ecc. È legume il fagiolo, la fava, il pisello, la lente, il cece, ecc.
Colla parola verdura, in generale, si designa tutto ciò che di verde dà l'orto e che serve a nutrimento. Propriamente però, la verdura è tutto ciò
Nel linguaggio dei fiori: Asinaggine è perenne e dura fino a 12 anni si semina da Marzo a tutto Settembre, preferisce terreno umido ed ombroso si moltiplica per mezzo di radici. Se ne contano molte specie, la più coltivata è la R. acetosa. Cresce nelle campagne, ma è da preferirsi quella coltivata nell'orto. Se ne mangiano le foglie verdi. I semi anno virtù produttiva per 4 anni. Preparasi in varie maniere come cibo: col burro e panna, colle uova, nelle frittate, nelle salse verdi, colla carne, nelle zuppe, negli intingoli; si mescola coll'insalata, massime alla lattuga serve a togliere il puzzore alle carni, principalmente di pecora e castrato. Varietà: la patientia, detta anche acetosa spinacio (nel linguaggio dei fiori Pazienza) è indigena, si semina in Marzo e Aprile, dà fiori verdicci. Le acetose servono ad uso medicinale, in decotto nelle febbri, sono antiscorbutiche e contengono molto acido ossalico, che fra tutti gli acidi vegetabili, è il più ricco di ossigeno convengono in tutte le malattie infiammatorie. Dall'acetosella si prepara il noto sale di tal nome. L'acetosa, a' tempi andati fu detta anche erba alleluja, perchè fiorisce verso le feste pasquali. Impastata coll'aceto e seccata serve all'occorrenza per cambiare in poco tempo il vino in aceto masticata scioglie i denti intorpiditi per aver mangiato frutte acerbe. La sua radice seccata e bollita dà una tinta rossa. Unita alla grassa di porco, presso i Romani, era adoperata come cauterio efficacissimo. Come mangereccia è menzionata da Plauto:
uova, nelle frittate, nelle salse verdi, colla carne, nelle zuppe, negli intingoli; si mescola coll'insalata, massime alla lattuga serve a togliere il
L'Anice stellato (lllicum anisatum). — Franc.: Badiane. — Ted.: Badian. — Ingl.: Aniseed-Tree, detto anche dal Redi Finocchio della China, è originario del Giappone ed à le stesse proprietà dell'altro. I semi mediante pressione danno un olio fitto, molto odoroso, e colla distillazione somministrano una preziosissima essenza, nota sotto il nome di essenza di Badiana, simile nei caratteri chimici e negli effetti terapeutici, alle essenze più attive delle ombrellifere nostrali. Infusi nell'acqua e fermentati, se ne ottiene un liquore spiritoso, usato dagli Olandesi nella confezione di vari liquori. Sotto il medesimo nome fu conosciuto dai Greci e dai Latini. Pittagora lo pone fra i migliori condimenti tanto crudo che cotto.
originario del Giappone ed à le stesse proprietà dell'altro. I semi mediante pressione danno un olio fitto, molto odoroso, e colla distillazione somministrano
Conservazione degli aranci. — Prendete sabbia finissima, asciutta, fredda, mettetene uno strato in un gran vaso di terra o di vetro — collocatevi gli aranci colla parte del gambo abbasso in modo che non si tocchino — versatevi altra sabbia.— coprite e ripetete gli strati di aranci e sabbia, poi chiudete ermeticamente e conservate in luogo fresco ed asciutto. Così gli aranci si conservano per parecchi mesi sani. Questo metodo vale anche pei limoni.
aranci colla parte del gambo abbasso in modo che non si tocchino — versatevi altra sabbia.— coprite e ripetete gli strati di aranci e sabbia, poi
L'Asparago, chiamato pure dagli Ateniesi Asparagus e dagli altri Greci Asparagon, trae il suo nome dalla parola greca sparasso (lacerare) stante che qualche specie è munita di spine laceranti. Il seme à virtù geminatrice per 5 anni. È pianta oleacera nota e gradita. Vuole esposizione di mezzodì. È spontanea nei terreni sabbiosi d'Europa. Tre le varietà principali: — il bianco, precoce e molto produttivo, verde all'estremità, che è quello d'Olanda e del Belgio — il violetto, più grosso di colore violetto o rossiccio all'estremità, che è quello di Ulma, Polonia-Darmstadt — e il verde, meno grosso del precedente, ma più saporito, verde e tenero in tutta la sua lunghezza, che è quello di Piemonte (celebri quelli di Cilavegna). L'asparago di Praga è il medesimo. Si moltiplica per mezzo delle radici, dette occhi, ma egualmente, e forse meglio, si ànno asparagiaie colla semina. Durano le radici dai 20 ai 30 anni e più. Se ne mangiano i talli in primavera. Gli asparagi, costituiscono una verdura saporitissima, di facile digestione, gradevole, ma poco nutritiva. Servono a moltissimi usi in cucina. Si fanno cocere senz'acqua in tegame di terra o fortiera, chiusi a foco lento, ove cocendo col proprio vapore, sono più saporiti, devono essere poco cotti altrimenti perdono del loro sapore, dieci o quindici minuti tutt' al più. Si condiscono con burro od olio. Si mangiano in insalata con olio, pepe e limone. Si friggono col pesce infarinati, s' accompagnano alle ova, al riso, agli stufati, nei ragouts e nei potaggi.
Praga è il medesimo. Si moltiplica per mezzo delle radici, dette occhi, ma egualmente, e forse meglio, si ànno asparagiaie colla semina. Durano le
Avvi un'altra castagna, detta acquatica, frutto d'una pianta annua, che cresce negli stagni e che richiede almeno 20 pollici d' acqua. Si avvicina alla castagna usuale, è però acre ed astringente. Gli abitanti della Carinzia e del Limosino (Francia) ne fanno anche pane. Dall'Asia, ci pervenne portata da Clusio, verso la metà del secolo XVI un'altra castagna detta d'India, o Ippocastano, cioè castagna cavallina. È la pianta dei pubblici passeggi, e dà frutti che somigliano le castagne, ma più grosse ed amarissime — vengono mangiate da alcuni animali: — nell'Annover si dà ai cavalli per cibo e nella Turchia a quelli affetti di bolsaggine e per rimedio. I chimici ne traggono un succedaneo della china. La sua corteccia gode virtù tonica febbrifuga. Se ne fa infuso vinoso, tintura ed amido. Raspate nell'acqua, servono assai bene ad imbiancare pannolini e nettare tessuti di lana. Se ne cava eccellente colla, che per la sua amarezza à la proprietà di allontanare gli insetti. Ridotte in farina se ne può far pasta cosmetica da toilette — rende la pelle netta e liscia. Il chimico Mousaint à trovato modo mercè una serie di bagni in acqua purissima, di spogliare questa castagna del suo principio amaro, e disseccata al forno, la sua farina è assai nutritiva e si presta a molti usi alimentari. L'Ippocastano fu portato a Vienna nel 1588 e a Parigi fu conosciuto solamente nel 1615.
eccellente colla, che per la sua amarezza à la proprietà di allontanare gli insetti. Ridotte in farina se ne può far pasta cosmetica da toilette
Da noi scarsamente si coltiva perchè cibo piuttosto grossolano. È comune invece nella Siria, nell'Egitto ed in altre regioni orientali. Nel linguaggio delle piante: Sei villano. — Ve ne sono due varietà: la bianca e la oscura, migliore quest'ultima. È coltivato pure in Spagna, dove entra come primario ingrediente nella loro olla potrida e lo chiamano garavança, e dove viene d' una grossezza e bellezza rimarchevole. Sono i ceci fra i legumi più difficili a cocersi, e però si devono mettere in bagno d'acqua la sera prima e farli cocere molto, con acqua piovana, e se con quella di pozzo, mettervi della cenere, saranno più teneri e coseranno più presto. Da noi si mangia tradizionalmente colla carne porcina il dì dei morti, costumanza che risale agli antichi Romani, in memoria del ratto delle Sabine. Nel genovesato, colla farina di cece mescolata ad olio, sale ed acqua, se ne fa tortellacci, ed un'altra pasta, detta panizze, che si frigge o si mette in stufato. Il cece è menzionato dalla Bibbia al libro dei Re — e racconta che quando Davide giunse agli accampamenti di Galaad, venne offerto a lui e al suo seguito, tra le altre cose, frixum cicer. — Galeno ne parla come di cibo rusticano. I Mauritani ne andavano ghiottissimi. Dioscoride assicura che il cece dà bel colore alla faccia. Gli antichi ponevano questo legume a segno d'incorruttibilità. I Persiani ne usano anche oggi come rinfrescativo. Vogliono che contenga molto acido ossalico e sia eccellente contro i calcoli, una volta almeno aveva tale virtù con quella di rafforzare la voce, fra i vari legumi che si usano per adulterare il caffè. Il cece è forse quello che meglio degli altri gli si avvicina, per cui in Francia lo chiamano cafè français, il quale caffè, invece da noi, si chiama semplicemente broeud de scisger.
, mettervi della cenere, saranno più teneri e coseranno più presto. Da noi si mangia tradizionalmente colla carne porcina il dì dei morti, costumanza che
si fa nascere su letto caldo e si trapianta in aprile in luna vecchia. Avvene molte varietà: Il bianco grosso, da insalata, il piccolo, per aceto, il giallo precoce, il tondo a pelle ruggine ricamata, che à carne fina bianchissima, il verde lungo inglese, quello d'Atene, ecc. Il citriolo à odore suo proprio, raccogliesi il frutto acerbo, o mal maturo, e ridotto in fette si mangia in insalata con olio, aceto, sale e pepe. I piccoli si mettono in conserva nell'aceto, per mangiarli colla carne a lesso. I citrioli, per molti sono indigesti, per molti altri, rinfrescanti. Se cotti amano il lardo. Si fanno farciti come le zucche e servono come guarnizione. Dei citrioli tutti ne dissero male. Fu sempre reputato un cibo difficile a digerirsi. Galeno voleva che si abolisse dai cibi dell'uomo, come la più iniqua delle vivande, e Plinio asseriva che gli restava sullo stomaco fino al giorno dopo. Nerone ne era ghiottissimo e Tiberio ne mangiava ogni giorno, ma cotti. I milanesi per dire che una cosa vai poco, ànno il proverbio: la var trii cocùmer e un peveron. E per dare dell'imbecille ad alcuno lo chiamano un cocùmer. I citrioli erano una delle dolci rimembranze egiziane degli Ebrei nel deserto. Una ricetta di Dumas:
conserva nell'aceto, per mangiarli colla carne a lesso. I citrioli, per molti sono indigesti, per molti altri, rinfrescanti. Se cotti amano il lardo
, però soggiunge che fa venire la pancia obesa e cita ad esempio i custodi delle vigne, gli ortolani, onde forse l'altro proverbio: salvare la pancia per i fichi. Gli Ateniesi ne tenevano sacra la pianta, che fu loro portata da Naxio Dionisio. Filippo, padre di Perseo, in Asia cibò il suo esercito coi fichi, e Plinio difatti racconta che in molti luoghi il fico teneva luogo di pane. In Sicilia fu portato da Titano Oxilon, figlio di Osio. Dai Greci si mangiavano pure in insalata e il volgo li faceva essicare salati al sole. I Persiani ed i Greci erano ghiottissimi del fico secco. Lo cocevano colla maggiorana, l'issopo ed il pepe, e lo davano anche ai malati. Gli atleti si rinvigorivano coi fichi a prepararsi alla lotta. Si vuole che Mitridate, a sicurezza del veleno che prendeva, mangiasse fichi secchi con ruta e sale, quale antidoto. Se ne faceva pure un liquore vinoso, che chiamavano Sycites o catorchites. Fu sotto il fico che furono trovati i due fondatori di Roma, mentre erano allattati dalla lupa, che dal nome del fico, Ruminal, presero il nome di Romolo e Remo. Svetonio ci riferisce, che ad Augusto piacevano sommamente i fichi freschi, e che li mangiava anche prima di cena:
colla maggiorana, l'issopo ed il pepe, e lo davano anche ai malati. Gli atleti si rinvigorivano coi fichi a prepararsi alla lotta. Si vuole che
Il finocchio è eccellente contro le flatulenze e nelle malattie di petto, è stimolante e tonico. Dioscoride ne parla a lungo. Anticamente si attribuiva al finocchio grande virtù sulla vista, e Plinio asserisce persino, che le serpi mangiandone lascino colla pelle la loro vecchiezza. I gladiatori mettevano il finocchio nelle vivande per rinforzarsi e di finocchio se ne incoronavano i vincitori. I vecchi napoletani lasciavano ogni cosa pel finocchio, onde quel verbo infinocchiare. I Latini cominciavano il pranzo coll'ovo (da ciò il proverbio ab ovo) e finivano colla mela, che poi venne surrogata dal finocchio per lasciare alito buono. Nel finocchio alligna un verme che riesce micidiale; abbiamo tuttora il proverbio a Roma: Guardati dal malocchio e dal verme del finocchio.
attribuiva al finocchio grande virtù sulla vista, e Plinio asserisce persino, che le serpi mangiandone lascino colla pelle la loro vecchiezza. I gladiatori
Il paese originario del frumento, non si conosce, perchè non si è mai trovato allo stato selvaggio. Vi sono molte specie e varietà di frumento a seconda dei paesi, del clima e delle annate. Il frumento è il cereale più nobile, prezioso ed utile. È il principale cibo dell'uomo e piace a tutti gli animali. La farina del grano del frumento serve a fare il pane, le paste da minestra e da credenza, si mescola a mille manicaretti. Se ne fa colla, amido, cipria. Dal grano del frumento se ne cava birra, aqluavita, spirito. La paglia serve per foraggio alle bestie e per mille ingegnose manifatture. Da Adamo in poi, fu conosciuto da tutto il genere umano. Era dagli antichi consacrato a Cerere, da qui la parola cereale. I più grandi mercati del frumento in Europa sono nella Crimea, nell'Ungheria, nell'Olanda e ad Amburgo, in Germania. Nel linguaggio dei fiori frumento dice: Opulenza. Proverbi sul pane:
animali. La farina del grano del frumento serve a fare il pane, le paste da minestra e da credenza, si mescola a mille manicaretti. Se ne fa colla
Tra gli eduli ricordo solo i più comuni ed i più sani: L'Agarico cesareo (fonsg coch) che era in gran pregio anche presso i Romani, e lo chiamavano il cibo degli Dei, e i poeti ne cantarono i pregi sotto il nome di boletus. — Il Boletus edulis (fonsg ferree) è il migliore fra tutti i boleti, e il più comune da noi, ed è forse il suillo essicato, che i Romani traevano dalla Bitinia.— Le clavarie (didella), ital.: ditola, sono per la più parte mangereccie, anno carne assai tenera, aromatica e di facile digestione. Si presentano d'ordinario colla ramificazione del corallo, o a forma di piccole clave, d'onde il nome. Variano di colore secondo la specie. — La morchella esculenta (spungignola), ital.: spugnola, nera, gialla e bionda, tutte mangereccie.
mangereccie, anno carne assai tenera, aromatica e di facile digestione. Si presentano d'ordinario colla ramificazione del corallo, o a forma di piccole
Plinio dice al libro XXV, cap. 2: Hyssopum in oleo contritum phthyriasi resistit et prurigini in capite. Non traduco la sentenza di Plinio per rispetto alle gentili lettrici. Anche oggi in Persia viene usato l'infuso come cosmetico. Ne parlò Salomone (Reg. IX). I Giudei ricinsero d'issopo la spugna colla quale abbeverarono d'aceto il Redentore. L'issopo è di rito nelle benedizioni di chiese e camposanti. Non è ben certo che il nostro issopo sia quello ricordato dal re Davide: Asperges me hyssopo et mundabor. Si vuole che quell'issopo sia una pianta affatto scomparsa e non dei nostri paesi. Un canonico di Como stampò un volume per simile vertenza. Ma se il nostro non è il medesimo, è per lo meno un suo prossimo parente, perchè ne à le stesse proprietà. La massaia lo taglia in autunno, lo fa seccare all'ombra in piccoli fascetti e lo conserva per gli usi culinari dell'inverno. Il suo aroma, giusta il detto della Salernitana, colorisce graziosamente la faccia e dà buon umore.
colla quale abbeverarono d'aceto il Redentore. L'issopo è di rito nelle benedizioni di chiese e camposanti. Non è ben certo che il nostro issopo sia
La Lattuga prende il nome dal succo lattiginoso che contiene. È pianta erbacea annuale, di patria ignota. Vuolsi sia originaria dall'India e dall'Asia centrale. Ve ne sono 3 varietà. Da noi se ne coltivano due, la comune e la romana. Vuol terra leggera ben lavorata e grassa e frequenti irrigazioni. Si semina da Marzo a Settembre, e la si preserva dai freddi coprendola; i semi ànno virtù fino ai 5 anni. S'imbianca come l'endivia. Il suo seme migliore è quello di due anni. Nel linguaggio dei fiori: sonno. Fu sempre conosciuta la sua azione soporifera, la quale risiede principalmente nei nervi della foglia. Galeno ne mangiava tutte le sere per procurarsi il sonno. Dioscoride e Celso l'avevano come succedaneo dell'oppio, ed è forse per questa sua proprietà d'addormentare che venne chiamata Erba dei Filosofi. Era opinione che la lattuga accrescesse il latte alle nutrici, e ciò si crede anche oggi. Pitagora la chiamò Eunachion. La lattuga fu dai romani consacrata a Venere e pochi di loro per rispetto alla Dea ne mangiavano. Era tradizione che Venere dormisse al fresco nella lattuga. Adone ucciso da un cinghiale venne seppellito sotto la lattuga. Marziale scrive che la si mangiava dopo cena, per dissipare i vapori del vino. Svetonio ci tramanda che Augusto decretò una statua al suo medico Antonio Musa perchè costui colla lattuga lo guarì dalla ipocondriasi. In ogni tempo fu creduta verdura refrigerante e debilitante. La lattuga a poco a poco era caduta in dimenticanza tale che non era neppure più coltivata verso la fine del 1600. Alcuni medici vollero emulare il Musa di Augusto. E Lanzoni la vantò contro l'ipocondria. Breteuil nelle convulsioni, Gouan nella nefrite e nell'itterizia, Schelinger nell'angina di petto, Brassavola nell'idropisia, Hudellet nelle febbri intermittenti, terzane, quartane, ecc.; insomma una specie di manna. Oggi si mangia in insalata e si mette nelle zuppe e negli intingoli diversi. Si crede che non lavata, la lattuga sia più saporita. Non va tagliata col coltello, a meno che la lama sia d'argento, ma si deve lacerarla colle dita. Colla lattuga si accompagnano assai bene le ova sode. Il proverbio dice:
cena, per dissipare i vapori del vino. Svetonio ci tramanda che Augusto decretò una statua al suo medico Antonio Musa perchè costui colla lattuga lo
Il lazzeruolo o azzerolo è una pianticella a foglia caduca, originaria dei paesi caldi. Viene in piena terra, ama terreno sciolto, luoghi ombrosi. Si propaga per innesto sul bianco spino o sul nespolo. Molte varietà, fra le quali quelle a frutto giallastro, rosso e bianco. Nel linguaggio dei fiori e delle piante significa: Bacio. I suoi frutti acidoli e poco succosi si raccolgono d'ordinario in settembre. Sono l'amore dei bambini e delle ragazze — riescono più belli alla vista, che opportuni allo stomaco — diventano migliori alcuni giorni dopo il raccolto. Il suo legno si adopera a far strumenti musicali. Una delle 49 varietà è la Oxyacantha, dal greco oxyus acuto, e da acantha spina, che è il bianco spino delle nostre siepi, o Lazzeruolo selvatico. (Mil.: Scarrion, lazzarin selvadeg. — Fr.: Aubepine. — Ted.: Mehldorn. — Ingl.: Eglantine). — È uno dei più cari arbusti che colla candidezza e fragranza de' suoi fiori, ci annuncia il prossimo arrivo della primavera. Si trova copioso nelle siepi che difende, col viluppo de' suoi rami intricati e coll'arma delle pungenti sue spine. Dà fiori bianchi, numerosi, odorosi disposti in mazzetti in aprile, e coccole ranciate in luglio. Le sue spine nel linguaggio delle piante significano: Proibizione, ed i fiorellini: Dolci speranze. Il legno del lazzeruolo, è forte, tenacissimo — viene usato nei lavori di tornio ed anche di scoltura, giacchè si leviga benissimo e tiene con costanza le tinte.
selvatico. (Mil.: Scarrion, lazzarin selvadeg. — Fr.: Aubepine. — Ted.: Mehldorn. — Ingl.: Eglantine). — È uno dei più cari arbusti che colla
Gelatina di limone. — Mettete a gonfiare nell'acqua 20 grammi di colla di pesce per qualche ora, cambiando l'acqua in questo tempo per due volte. Gonfiata mettetela al foco con un bicchiere d'acqua pura e quando è sciolta colatela con pannolino bagnato. Stemperate a parte 350 grammi di zuccaro bianco in un bicchiere d'acqua, mettetelo a foco perchè si fonda in sciroppo e passatelo attraverso un pannolino bagnato. Unite ora la colla allo sciroppo di zuccaro, e messo in uno stampo, aromatizzate il liquido col sugo di un limone e un bicchierino di alkermes, maraschino, kirs o rhum, oppure con sugo di lamponi, fragole o pomi granati passati allo staccio. Lasciate raffreddare la gelatina se d'inverno, o mettetela a gelare se d' estate. Perchè si stacchi con facilità dalle pareti dello stampo, immergete questo nell'acqua calda per un istante. Aggiungendovi un po' d'amaranto liquido, quale si trova dai confetturieri, gli darete color gradevole. Se poi intanto che la gelatina è sul ghiaccio a gelare, la si diguazza con frullino, la si renderà soffice e spumosa come un soufflè.
Gelatina di limone. — Mettete a gonfiare nell'acqua 20 grammi di colla di pesce per qualche ora, cambiando l'acqua in questo tempo per due volte
Pianta annua dell'Asia, Africa ed America, il cui frutto è bislungo, cilindrico, color pavonazzo, giallo o bruno, a norma delle varietà. È detto anche ovo vegetale. Il seme germoglia fino agli 8 anni. Si semina in aprile e maggio, si coglie in agosto e settembre. L'Ovigerum, varietà a frutto bianco, à la forma dell'uovo, e dai Milanesi è detto Œuf de pola. Vuole buon terreno, molto sole e frequenti irrigazioni. Gli ovali sono i più delicati. La polpa della melanzana è bianca e succosa. Levata la sua innata amarezza mediante infusione nell'acqua, costituisce un cibo abbastanza grato, nutritivo e di facile digestione. Conviene spogliarla dalla buccia. Concilia il sonno, nel linguaggio delle piante significa appunto: mi fai venir sonno. Si taglia a fette per le zuppe e minestre. Nei paesi caldi, immatura, si mangia in insalata e cruda coll'olio e pepe, e cotte si mettono in aceto. In Egitto si coce sotto cenere. Nel genovesato si riempie come le zucchette. Altrove, pelata, si taglia a fette, si triffola, si imborag[gia] coll'ovo e farina e si frigge. Pelata e bollita in acqua per due minuti, si secca al forno e si conserva per l'inverno. Colle foglie si fanno decotti, cataplasmi, e questi anche colla polpa del frutto. Il suo nome Melanzana, dal latino Mela insana, perchè la dicevano di diffìcile cottura e digestione. I Greci, al dire di Galeno, la usavano pochissimo. Dioscoride ne predica il gusto innocente. Teofrasto lo accusa di essere di nessun nutrimento. Il Durante le dedica un verso calunnioso e bugiardo:
questi anche colla polpa del frutto. Il suo nome Melanzana, dal latino Mela insana, perchè la dicevano di diffìcile cottura e digestione. I Greci, al
Gli antichi la mettevano nel latte, a impedirne la coagulazione, giova nel vomito e nel singhiozzo, è contro l'itterizia. Si mescolano le foglie colla lattuga e le altre insalate. Ne fanno: l'acqua di menta peperita, l'alcoolato di menta, l'olio essenziale di menta, le pastiglie, i diavolotti, dei quali i più pregiati ed energici, sono gli inglesi. A conservarne le foglie, si colgono prima della fioritura. Ecco l'origine della menta. Proserpina aveva una damigella d'onore che si chiamava Menta ed era figlia di Cocito. Un dopo pranzo, la colse a fare gli occhietti a Plutone, suo legittimo consorte, e presa da giusto risentimento, la tramutò in questa pianticella che à conservato il suo nome. Da allora in poi s'ebbe la menta.
colla lattuga e le altre insalate. Ne fanno: l'acqua di menta peperita, l'alcoolato di menta, l'olio essenziale di menta, le pastiglie, i diavolotti, dei
. Appare, da qui, che ai tempi di Plinio si coltivava la varietà bianca, e che fino d' allora il miglio serviva per chicche da offelleria. In Asia se ne fa una certa polenta che si mangia con olio e grasso di porco. Del resto, era usato come farina da pane nell'Etiopia, nell'Egitto, Persia, Siria e nell'Arabia. I semi del miglio si possono cocere in minestra col brodo e massime col latte, se ne fa torte. Ridotto in farina è bono a far polenta e pane, che appena uscito dal forno è saporitissimo e non isdegnato dai gusti più delicati. Il Tanara insegna a fare colla farina di miglio molte cose e, tra le altre, gli Strozzapreti, che sono certi gnocchetti, cotti nel latte, involti in cacio parmigiano grattato, con assai burro. Raccomanda di conservarne una parte per la cena, perchè, sono così ghiotti, che non si possono assaggiare, senza lasciare il piatto vuoto e perchè riscaldati acquistano saporitissima e migliore bontà. La farina serve pure in pasticceria. Col miglio si alimentano i pulcini, le galline, il pollame e molti uccelli. I selvaggi lo arrostiscono. In Tartaria se ne compone una specie di birra e una certa acquavite che chiamano Bysa. Il miglio dev'essere conservato in luogo assai asciutto e dura così più d' ogni altro grano. Nel miglio si conservano benissimo nell'estate le ova ed il salame crudo.
pane, che appena uscito dal forno è saporitissimo e non isdegnato dai gusti più delicati. Il Tanara insegna a fare colla farina di miglio molte cose e
Il Nasturzio, o Lepidio, è pianticella annuale indigena, conosciuta e coltivata nei giardini e negli orti pei suoi fiori giallo-scuri e rossi. Nel linguaggio dei fiori: Mi importuni. Si moltiplica seminando i suoi frutti a primavera, fiorisce fino all'Ottobre, ama terreno grasso e inaffiamenti. I semi germogliano fino ai 5 anni. Avvi una varietà a larghe foglie (lepidium latifolium) che si coltiva come la precedente. Il nome di lepidio, da lepis squama, perchè si usava a rimedio delle impettigini squamose. Anche presso di noi il volgo lo usò molto tempo per distruggere i vermi ai ragazzi. La pianta è diuretica, i fiori si mangiano colla insalata, che rendono più allegra e saporita per un certo acre tra il rafano e la senape che le comunica. I semi possono supplire ai capperi, conservansi verdi nell'aceto e se ne fa salse. I Greci lo chiamavano Hardamon e lo mangiavano principalmente colla lattuga. Egineta e Zenofonte asseriscono che serviva di companatico ai Persiani. I Latini lo chiamarono Nasturtium, a nasi tormento, oppure da nasus tortus, dice Plinio, perchè fa arricciare il naso od eccita le papille nasali come la senape. Ne dissero mirabilia Dioscoride, Galeno, Avicenna. Gli antichi gli assegnarono la virtù di infondere coraggio, e di chiarificare le idee, onde il precetto:
pianta è diuretica, i fiori si mangiano colla insalata, che rendono più allegra e saporita per un certo acre tra il rafano e la senape che le comunica
grigio ferro, non profumato. Non matura mai sui rami. Raccolto e posto sulla paglia matura lentamente, divien morbido ed acquista un sapore sgradevole. La nespola è fornita internamente di cinque noccioli, o semi, durissimi a forma di mezza palla, onde il suo nome dal greco. Diverse varietà, fra le quali la hortensis, a frutto voluminoso, e l'abortiva, a frutto senza noccioli — quella coltivata comunemente è la varietà japónica. «Col tempo e colla paglia maturano le nespole, dice il proverbio,» e però pare che quello che la nespola acquista sulla paglia, non sia la vera maturanza, ma piuttosto un principio di fermentazione zuccherina che la rende molle, succosa, dolce, da dura ed agra e non affatto mangiabile qual era appena colta. Coi semi della japónica uniti ad alcool e zuccaro si fabbrica un liquore spiritoso da tavola. La nespola non costituisce mai un boccone molto ricercato, e non gli si tributa la deferenza che si à per le altre frutta. Il legno del nespolo è durissimo, serve a diversi usi, ed è prezioso se in pezzi grossi. Questo frutto à virtù astringente ed è a consigliarsi nelle diarree semplici. In Francia se ne fa una speciale confettura della quale il Mantegazza ci dà la seguente ricetta: «Ripulite le nespole e gettatele in burro fresco e, reso rossiccio dalla cottura, lasciatele bollire. Quando saranno cotte, versatevi un quarto di vino rosso e fate consumare il tutto fino a una consistenza sciropposa. Ritirate le nespole e spolverate di zucchero.» Ricetta, che d'altronde trovo scritta ed usata fino dal 1560 e raccolta dal Campegio. Pare che il nespolo sia stato portato in Italia dai Galli, e vuolsi, al tempo di Catone non fosse conosciuto. Gli antichi gli assegnavano virtù d'arrestare il vomito, di preservare dall'ubbriachezza, e fu sempre tenuta come medicina, piuttosto che frutta alimentare. I Romani ne facevano del vino, ce ne informa Virgilio:
colla paglia maturano le nespole, dice il proverbio,» e però pare che quello che la nespola acquista sulla paglia, non sia la vera maturanza, ma
à frutto più grosso e tondeggiante, di sapore meno marcato e meno ricca d'olio. Nel linguaggio delle piante: Pace, riconciliazione. La maturanza della nocciola è riconoscibile quando l'involucro di essa prende un color giallo. Per conservarla sana per molto tempo, si mette nella crusca o segatura di legno. Per estrarne l'olio non si deve aspettar molto tempo, perchè si guasta presto. Se ne mangia il frutto fresco e secco, che è gustoso, ma indigesto, disturba la digestione, e in quantità ingombra i visceri. È ghiottoneria dei ragazzi, bisogna masticarla bene, e secca è meno digeribile. Dice un proverbio: Chi mangia nocciole, il capo gli duole. I confetturieri la coprono di zuccaro, l'abbrustoliscono. L'olio che se ne estrae è dei migliori ed è utile per tossi, linimenti, reumi, purghe, ecc., ed il tortello residuo serve a fare una pasta preferibile a quella delle màndorle comuni. Il legno pieghevole del nocciolo somministra ai bottai ottimi cerchi per tinozze e barili, ai canestrai verghette flessibili per mille industriosi ripieghi, abbruciato, dà un foco dolce, carbone per disegno ed eccellente per fabbricare polvere pirica. In S. Pietro di Roma, i penitenzieri, nelle grandi circostanze di feste, giubilei, indulgenze, ecc., danno l'assoluzione ai penitenti inginocchiati davanti al confessionale, toccando loro le spalle con bacchette di nocciolo. La bacchetta di nocciolo era indispensabile nelle arti divinatorie, era la bacchetta dei maghi, come dopo, fu quella dei maestri della dottrina cristiana nelle chiese, degli elementari nelle scuole e dei professori di Seminario, tanto che la niscioeula è pei milanesi sinonimo di bacchetta. Nè voglio dimenticare i caporali austriaci, che prima del 1848, la portavano al fianco colla sciabola, e l'adoperavano per il bankheraus, onde: mollaj gió secch come i niscioeur. E che
bacchetta. Nè voglio dimenticare i caporali austriaci, che prima del 1848, la portavano al fianco colla sciabola, e l'adoperavano per il bankheraus
Anche Cassiodoro, di poco posteriore, fa menzione dell'olivo del lago di Como. I Greci tennero quest'albero in molta onoranza, principalmente gli Ateniesi che lo avevano consacrato a Minerva. Correva presso loro questa storiella: Allorchè venne fondata Atene, Nettuno e Minerva si disputarono il privilegio di assegnarle il nome. E fu stabilito da tutti gli Dei, riuniti in Parlamento, che quello dei due che creasse li per lì la cosa più bella, dovesse avere quest'onore. Nettuno battè col suo tridente e fece saltar fuori dal bussolotto un bel cavallo, che fu poi il famoso Pegaso. Minerva colla sua lancia fe sortire dalla terra una pianta d'olivo fiorita, e tutti gli Dei, decisero in favore di Minerva. E Minerva chiamò la loro città Atene. Proverbi sull'oliva:
, dovesse avere quest'onore. Nettuno battè col suo tridente e fece saltar fuori dal bussolotto un bel cavallo, che fu poi il famoso Pegaso. Minerva colla
per uso di zuppa, che proviene dalla Francia. Colla pastinacca se ne fa in Francia una marmellata che, inzuccherata, eccita l'appetito ed è assai propria per i convalescenti. L'imperatore Tiberio amava la pastinacca ed ogni anno ne faceva venire dalla Germania, precisamente da Gelder, località renana, ove era prelibata, e dove la si pagava come tributo ed imposta. Dioscoride la dichiarò delicata, ori gratam, ed eccitante l'appetito. Così Plinio ed altri eruditi, la dichiararono utile ai convalescenti e agli ubbriachi: ad vinum transeuntibus. È buon foraggio per le mucche ed il bestiame, ma indebolisce i cavalli e gli asini e fa perdere la vista ai muli.
per uso di zuppa, che proviene dalla Francia. Colla pastinacca se ne fa in Francia una marmellata che, inzuccherata, eccita l'appetito ed è assai
rossa di patate. Un pasticcio, frittura, fritelline, gateau, formaggio di patate, confetti, biscottini, una crostata, una schiacciata, poi caffè di patate. Gordon, in China, à vissuto molto tempo a sole patate. Dalla sua fermentazione se ne cava un'acquavite nociva, che ubbriaca ed abbrutisce i poveri Irlandesi e gli schiavi dell'America. Colla patata si fa birra. Ridotta a fecola, assurge poi alle maggiori dignità chimiche ed industriali. Diventa siroppo zuccherino, saldo per appretto ai tessuti ed alle lingerie, dà consistenza alla carta di lusso; entra dappertutto, infine, ed ogni giorno che passa segna una nuova applicazione scientifica ed industriale del prezioso tubero.
poveri Irlandesi e gli schiavi dell'America. Colla patata si fa birra. Ridotta a fecola, assurge poi alle maggiori dignità chimiche ed industriali
Il pepe serve a calmare i dolori di un dente cariato, purchè tocchi il nervo dentale. Una volta il popolo chiamava il pepe: grani di paradiso. In un manoscritto del secolo V, tradotto da Sim, si trova che il pepe in quel tempo si credeva rimedio sicuro per l'idrofobia, distinta col vero suo nome di lissa. Il pepe fu, per molto tempo, il principale oggetto del commercio dell'Europa coll'India. Fino dalla più remota antichità era droga molto in uso e tenuta in conto di cosa preziosa. Al tempo di Plinio si vendeva a peso d' oro e d' argento — abbiamo ancora il proverbio: caro come il pepe, il che allude al valore che una volta aveva. Il pepe serviva di imposta ai vinti, come oggi i miliardi. Ebbe l'onore di servire di riscatto a Roma e nel medio evo ancora, col pepe si pagavano molti tributi e molte imposte. Il pepe anticamente veniva adoperato nelle febbri intermittenti, è stato abbandonato da che fu scoperta la china. Ma è pure un rimedio efficace e pronto, che offre il vantaggio d'una spesa insignificante. Vuol essere amministrato in grani interi. Se ne prendono dapprima sei grani due volte al giorno, indi si va ascendendo fino a nove grani per volta. Al secondo o terzo accesso la febbre è troncata. Rare volte nella terzana si arriva ai cento grani: nella quartana, fa duopo salire fino ai tre e quattrocento, ma si conosce la difficoltà di curare queste febbri, anche colla china. Proverbi sul pepe:
difficoltà di curare queste febbri, anche colla china. Proverbi sul pepe:
Modo di conservare le pera. — Scegliete sull'albero le più belle e tagliate loro il gambo colla forbice più alto che potete. Indi fate cadere sul taglio del gambo una goccia di ceralacca e annodate intorno ad esso gambo uno spago a cappio, per appendere poi le pere. Pigliate tanti fogli di carta bianca consistente quante sono le pera che volete conservare. Ravvolgete e chiudete con gomma ciascun foglio, in guisa da farne tanti cartocci, a cui lascerete un piccolo buco sulla punta. Introducete lo spago d'ogni pera nel buco di un cartoccio, in modo che esse rimangano entro i detti cartocci. E finalmente chiudete così la punta come la bocca di ciascun cartoccio incerando, in modo che non possa penetrarvi l'aria. Così preparate, appendete la pera, per il loro spago, a tanti chiodi e le conserverete per molto tempo, se le terrete in luogo asciutto e temperato.
Modo di conservare le pera. — Scegliete sull'albero le più belle e tagliate loro il gambo colla forbice più alto che potete. Indi fate cadere sul
Il pesco è pianta a foglia caduca, indigena, originaria dall'Asia e, più propriamente, come lo indica il suo nome, della Persia. Cresce in terreni buoni, caldi, ad esposizioni meridionali, difese dai venti. Vive anche nei climi freddi, ma non dà frutti. Si moltiplica per seme ed innesto sul màndorlo, sul pruno e sul cotogno. Vuolsi che dia frutti migliori e più belli piantando la pesca intera colla sua polpa. Cresce rapidamente dopo due o tre anni dà frutto, ma presto invecchia deperisce; pochi peschi passano i 20 anni. Si allunga la loro vita innestandoli sul màndorlo. À fiori rosei prima delle foglie, che sono distrutti facilmente dalle brine e dalle forti pioggie primaverili. Dà frutti maturi da luglio ad ottobre, a seconda della varietà, che sono assai numerose. I botanici dividono il pesco in due famiglie, quello a frutto coperto di pelurie, a quello a frutto liscio; ambedue suddividonsi, alla lor volta, in frutto a polpa e carne succosa, spiccaciola, che facilmente abbandona il nocciolo, e in frutto a polpa consistente, duracina (franc, pavies), che non si stacca dal nocciolo.
màndorlo, sul pruno e sul cotogno. Vuolsi che dia frutti migliori e più belli piantando la pesca intera colla sua polpa. Cresce rapidamente dopo due o tre
Preparazione dei veggitt. — Prendete pesche immature, tagliatele in quattro, toglietene il nocciolo e mettetele al sole finchè siano essiccate, colla loro pelle; è il metodo più semplice ed economico. Anche i così detti persegh salvadegh, sono bonissimi.
Preparazione dei veggitt. — Prendete pesche immature, tagliatele in quattro, toglietene il nocciolo e mettetele al sole finchè siano essiccate, colla
Pesche ripiene. — Aperte in due le pesche, levatene la ghianda e mettetele a cocere fino a metà cottura in pentola di terra, con vino bianco, canella e scorza gialla di limone. Levate dal vino, deponetele in una tegghia unta di burro. Il sugo vinoso che resta, unitelo a dello zuccaro e condensatelo a foco inspessandolo con qualche biscottino e colla polpa di qualche frutto o di una delle medesime pesche. Di questo denso giulebbe riempite le cavità delle pesche, mettendovi anche in mezzo la sua mandorla spogliata dalla pellicola, e mettete al forno, o al testo. Di tal maniera si ammaniscono poma, pera ed altre frutta.
a foco inspessandolo con qualche biscottino e colla polpa di qualche frutto o di una delle medesime pesche. Di questo denso giulebbe riempite le
Il pignòlo, o pinocchio, è il frutto del pinus pinea, detto volgarmente pino domestico, pino d'Italia. Albero dell'Europa meridionale, che erge la sua cima fino a 30 metri, a forma di ombrello. Porta foglie numerose lunghe da 10 a 15 centimetri, di un bel verde. Fiorisce in maggio e produce coni grossi, durissimi, contenenti màndorle triangolari lunghe due centimetri. Nel linguaggio delle piante: Tenacità. Quei coni si rompono, o si mettono al fuoco e allora s'aprono e lasciano la màndorla, aromatica e di grato sapore. Tale màndorla è molto in uso fra noi, serve ai cuochi per salse, ripieni, condimento a certe vivande e verdure, ai pasticcieri per torte, paste, ecc. In Italia l'abbiamo dalla pineta di Ravenna. Il pino era consacrato a Cibele, la quale cangiò Atys in pino. Dai Greci i pinocchi erano chiamati Pityides. Se ne facevano un unguento per togliere le rughe della faccia a quelle signore che se le lasciavano venire. Sono nutrienti, stimolanti, indigesti. È pasto graditissimo dei canarini, che li fa cantare. Molti devono ricordarsi dei maestri che facevano fare i pignoeu, cioè unire insieme la punta delle cinque dita per batterle colla bacchetta; e pensare che si stava là mogi ad aspettare quel regalo!
ricordarsi dei maestri che facevano fare i pignoeu, cioè unire insieme la punta delle cinque dita per batterle colla bacchetta; e pensare che si stava là
Charlotte di poma. — Pelate le poma, levatene il torso (caruspi) e lasciatele cocere con vino bianco, un pezzo di burro, zuccaro (sulla dose di un terzo del peso dei frutti) e pezzi di cedrato candito. Quando le poma cominciano ad asciugare, toglietele dal foco. Ungete intanto uno stampo, spolverizzandolo di zuccaro, tappezzatene il fondo e le pareti, con pezzi di mollica di pane francese, della grossezza di uno scudo, che avrete bagnato nel burro fuso, versatevi in mezzo le poma, copritele con altre simili fette di pane e fate cocere al forno o col testo. Se le poma fossero troppo cotte e tendessero a squagliarsi, prima di asciugare levatele dal loro giulebbe e collocatele nello stampo già disposto, poi concentrato, a foco vivo, il giulebbe da solo, versatelo sui frutti. Così ridotti a giulebbe, potrete servirli anche colla crostata. Sbattete a quest'uopo tre chiara d'ova in fiocca densa con tre cucchiai di zuccaro bianchissimo in polvere, stendete questa fiocca sulle poma in giulebbe e fatele prendere un color nocciola, coprendola per qualche istante con testo caldo.
giulebbe da solo, versatelo sui frutti. Così ridotti a giulebbe, potrete servirli anche colla crostata. Sbattete a quest'uopo tre chiara d'ova in fiocca
Il cotogno è pianta indigena, a foglia caduca, originaria dalla Grecia. Vuol terreno sciolto, fresco, clima caldo, teme il vento. Si propaga per barbatelle, semi, tallee. Conta poche varietà: il comune, o cotogno di China (Cydonia Sinensis)a frutto piriforme ed oblungo molto grosso ed il cotogno di Portogallo (C. lusitania), che è il migliore. In aprile e maggio dà grandi fiori bianchi o di un rosso pallido. Frutti gialli in ottobre. Nel linguaggio delle piante: Fastidioso. Il suo nome Cydonia, da Cydon, città dell'isola di Creta, fondata da Cidone, figlio di Apollione, da dove venne in Italia. I Greci lo chiamavano: Crysomela, Catone:cortonea, Virgilio: mela aurea, perchè maturando acquista color giallo dorato (Buc, Egl. III, n. 73): aurea mala decem misi, cras altera mittam. Evvi chi vuole che il suo nome venga da coctognus, il che si potrebbe spiegare da ciò, che si mangia coctus, perchè crudo è insipido. La cotogna è frutto grosso come una mela ordinaria, carnoso, giallo anche nella polpa, di odore penetrante, che facilmente comunica agli oggetti vicini e si forte che non si può, senza incomodo, tenerlo nelle camere d' abitazione. À sapore sì astringente ed agro, che è impossibile mangiarlo crudo, lo perde però colla stagionatura, coll'essiccazione, colla cottura, ed
impossibile mangiarlo crudo, lo perde però colla stagionatura, coll'essiccazione, colla cottura, ed
Il ramolaccio, o armoracio, è radice annuale, indigena, originaria della China o dell'Asia Minore. Vuole terreno sciolto, pingue e buona esposizione, abborre il massimo caldo. Il seme à virtù per 5 anni. Avvene molte varietà, sì per grandezza che per forma e colore. I bianchi grossi e i ruggini dolci, d'estate si seminano da marzo a giugno, per averne in estate ed autunno. I rotondi, o lunghi, sia bianchi che neri forti, dal giugno a settembre, per averli dall'autunno a primavera. Il ravanello è bianco o rosso, rotondo o lungo, o rosa lunghissimo di Firenze. Si può seminarlo tutto l'anno ed averne tutti i mesi. Meglio seminarlo appena terminati i geli. La miglior semente è quella dell'anno antecedente. Avvi pure il ravanello serpente (raphanus caudatus) di Oiava, ancora poco conosciuto, che à lunghissimi baccelli terminali che possono prolungarsi lino a un metro, di gusto piccante, e che, verde, si pone in aceto. Il ramolaccio e il ravanello addivengono stopposi, bucherati o tarlati, e ciò dipende dalla qualità della terra (che amano terreni forti, tenaci ed asciutti), o al lasciarli troppo nella terra dopo sviluppati, o al conservarli qualche giorno dopo colti. Nel linguaggio delle piante: Dispetto. Il ramolaccio à gusto acre, piccante, si mangia crudo con sale, olio, pepe colla carne. È considerato un condimento pesante allo stomaco e diffìcile a digerirsi. Fu detto che il ramolaccio fa digerire tutto, ma egli non è digeribile:
delle piante: Dispetto. Il ramolaccio à gusto acre, piccante, si mangia crudo con sale, olio, pepe colla carne. È considerato un condimento pesante allo
. Marco Catone, della famiglia Porcia, detto Censorio, tribuno, console, senatore, ricchissimo, si preparava da sè il piatto di rape e di quella viveva saluberrime. Marco Curio Dentato stava cocendo le rape sotto la cenere, quando rispose ai Sanniti che gli offrivano dei tesori a lasciarli in pace: Non vincerete coll'oro colui, che non avete potuto vincere colle armi. La rapa vuolsi rinfreschi. Con essa si fanno decotti anti-flogistici e diuretici, e colla sua polpa cataplasmi mollitivi usati in campagna contro i geloni, la si dà ai maiali, ai quali ingrossa e dilata l'epigastrio. La sapienza popolare dei Milanesi ad indicare un sempliciotto, dice:
diuretici, e colla sua polpa cataplasmi mollitivi usati in campagna contro i geloni, la si dà ai maiali, ai quali ingrossa e dilata l'epigastrio. La sapienza
I medici francesi la battezzarono teriaca naturale. La salvia veniva creduta donare l'immortalità e serviva per imbalsamare i corpi e si portava addosso e si mangiava nelle battaglie. Servio ci tramanda che il cuoco di Mecenate faceva arrostire gli uccelletti colla salvia. La salvia è un cibo graditissimo alle api, dai suoi fiori cavano un miele saporito. Le sue foglie servono a pulire i denti. Frate Anselmo da Busto suggeriva ai predicatori e agli avvocati di tenere una foglia verde di salvia sotto la lingua, che la rende più agile e sciolta. Guardatevi dal suggerire tale segreto alla vostra domestica. Coi fiori della salvia si prepara una conserva deliziosa. Le foglie secche si fumano come tabacco, quale rimedio antispasmodico contro la cefalalgia nervosa e l'asma. I Chinesi ne sono ghiottissimi e si stupiscono come gli Europei vadino a cercare il the nei loro paesi, mentre possedono una pianta.
addosso e si mangiava nelle battaglie. Servio ci tramanda che il cuoco di Mecenate faceva arrostire gli uccelletti colla salvia. La salvia è un cibo
Satureja, santoreggia, savoreggia, coniella, peverella, erba acciuga è la medesima pianticella annuale, originaria della Spagna, vaga per la sua fioritura bianco-porporina. Si risemina da sè abbondantemente, e nasce facilmente dovunque, il suo seme germina fino a' tre anni. Nel linguaggio dei fiori: Ingenuità. Ve ne sono 8 varietà, tutta la pianta è aromatica. I cuochi la ricercano per rendere più grato il sapore delle fave, delle lenti, dei piselli secchi e degli altri legumi, ai quali si unisce assai bene come in tutte le salse. I Tedeschi la mettono nel loro Sauer-Kraut. Fu chiamata la salsa dei poveri. È utile in medicina, come stomatica, la sua decozione è buona per gargarismi e spruzzata nelle orecchie per le otiti, da qui forse il suo nome popolare di santoreggia, giova nelle affezioni vaporose. Colla satureja se ne profumano le abitazioni in tempo di epidemia e le stalle quando regnano le epizoozie. Il suo nome satureja, dall'antico satyreja, perchè di questa erba se ne cibavano volentieri i satiri, certi uomini che c' erano una volta e che avevano le corna e i piedi di capra. Era detta dai Romani cunila e coniza (da qui l'altro nome popolare di coniella), che il volgo chiamava anche pulicaria, perchè serviva a scacciare le pulci, virtù che conserva anche oggidì, emula della maggiorana. Sulle infinite virtù di questa erba, Strabone ebbe a dire:
suo nome popolare di santoreggia, giova nelle affezioni vaporose. Colla satureja se ne profumano le abitazioni in tempo di epidemia e le stalle quando
Opera sul cervello e modifica la pazzia. Galeno, nativo di Bergamo, venuto in Roma per ordine dell'imperatore Aurelio, fece brillanti cure colla satureja, in ispecie sui letterati. I suoi fiori sono ghiotto cibo delle api.
Opera sul cervello e modifica la pazzia. Galeno, nativo di Bergamo, venuto in Roma per ordine dell'imperatore Aurelio, fece brillanti cure colla
perde di bontà. Gli uccelli sono assai ghiotti del suo seme. La specie humilis dà fiori dei quali si cava una tintura color nero. Alla prima specie (tropogon) appartiene quella così detta barba di becco barba di prete (tropogon pratense) in milanese barbabicch o erbabicch od anche bassabìcch. Alcuni la vogliono originaria dalla Siberia, ma pare invece che sia della Spagna, come lo indica anche il suo cognome hispanica, la quale si ritiene pure la sola vera scorzonera. Il suo nome viene dal colore della sua scorza. Il medico portoghese Nicolò Monardes, scrive che la scorzonera fu scoperta solo verso la metà del secolo XVI ad Urgel in Catalogna, in una località detta il Monte Bianco. E racconta che quel paese era molestato ed invaso da serpi velenose, dette scorzoni, e che un moro d'Africa curava i morsicati colla sua radice. Da qui il medico portoghese inferisce che venne il suo nome di scorzonera, cioè erba atta a guarire dagli scorzoni che, a sua detta, muoiono subito se si riesce a metterla loro in bocca. Ve la do come l'ò trovata su un libro stampato a Venezia appresso Francesco Zilletti nell'anno 1582.
velenose, dette scorzoni, e che un moro d'Africa curava i morsicati colla sua radice. Da qui il medico portoghese inferisce che venne il suo nome di
Il sesamo, detto anche giuggiolena, è pianticella annuale. Si propaga per semi, vuol terra sciolta e pingue e viene sotto l'azione del gran caldo e dell'umido. Nel linguaggio dei fiori significa: Indifferenza. Ve ne sono 5 varietà. L'orientale, cresce spontaneamente nei terreni secchi ed aridi dell'India, del Ceylan, del Malabar, e s'accomoda facilmente nei suoli fertili. Fornisce un fusto alto un metro, diritto, erbaceo, quasi cilindrico, assai ramoso, foglie verdi, fiori bianchi o color rosa in giugno. I semi di esso col calore e colla pressione forniscono il 48 per cento di olio che è cosi limpido e gustoso da rivaleggiare colle migliori qualità dell'olivo, per le quali viene sovente venduto, essendo l'olio di sesamo riconoscibile solo per contenere meno sostanza. Inoltre l'olio di sesamo à il merito di non mai irrancidire. Il vantaggio dell'olivo su questa pianta, è quello di poter allignare anche in luoghi erti
ramoso, foglie verdi, fiori bianchi o color rosa in giugno. I semi di esso col calore e colla pressione forniscono il 48 per cento di olio che è cosi
Spinacci alla panna. — Cocete una libbra di spinacci, spremeteli fortemente, triturateli colla mezzaluna e passateli allo staccio. Mettete in una casserola un pezzo di burro, un pizzico di farina, e lasciate friggere un istante, poi gettatevi gli spinacci e conditeli con sale e pepe. Rimestateli bene per cinque minuti e bagnateli quindi con due bicchieri di panna. Consumata la panna, incorporatevi dentro in fretta tanto quanto una noce di burro, e servite questa purèe sulle fette di pane fritto con burro. In tal modo si può preparare la purèe di piselli, di taccole (gaglioli) e di cornetti (fagioletti in erba).
Spinacci alla panna. — Cocete una libbra di spinacci, spremeteli fortemente, triturateli colla mezzaluna e passateli allo staccio. Mettete in una
Il Susino di macchia o Pruno selvatico (Prunus selvatica, spinosa, Druparia spinosa) comune nelle selve, macchie e siepi, dà fiori odorosi in marzo ed aprile, frutto nero violaceo in maturanza verso il settembre, di sapore acido aspro. La scorza del suo tronco e della radice contiene tannino e viene usata nelle arti alla concia delle pelli e a farne inchiostro, è astringente, febbrifuga. Le foglie pure sono astringenti. La sua aqua distillata à virtù deprimente quasi come il Lauro cereso, i bottoni e i fiori sono lassativi. Le drupe essendo aspre, danno bon aceto. Mature servono a colorire il sidro ed il vino, anzi a fabbricarne una specie che chiamasi piquette in Francia, Scheleckenwein in Germania; seccate al sole ed infuse in vero vino gli danno sapore austero. Colla distillazione somministrano un'aquavite abbastanza spiritosa, ed acconciandole con alcool, zuccaro e aromi se ne ottiene un grato rosolio.
gli danno sapore austero. Colla distillazione somministrano un'aquavite abbastanza spiritosa, ed acconciandole con alcool, zuccaro e aromi se ne
sostanzioso ed aromatico del secondo, il quale è pure molto astringente. La proporzione è di 20 grammi di tè ih un litro d'aqua bollente. Migliore l'aqua delle sorgenti e la piovana. L'aggiunta di alcune goccie di sugo di limone od altro acido vegetale, rende il tè più pie. cante e profumato. Nella Tartaria chinese e nel Cachemire e in altri paesi dell'Asia si mangiano le foglie del tè cotte in diverso modo, con burro, farina, ecc., e la loro ricchezza in albumina ne spiega il valore nutritivo. Il tè, come il caffè, è soggetto ad alterarsi sia per cattiva preparazione, che per cattiva conservazione. Il profumo del tè è volatile, non deve essere quindi esposto nè all'aria, nè alla luce: conservatelo in vasi chiusi ed opachi. Il tè s'impregna assai facilmente degli odori anche i più deboli: non mettetelo a contatto con sostanze odorose, anche quando l'odore di queste è gradevole. Troppo vecchio perde, è passato; troppo fresco è acre ed amaro. I Chinesi non se ne servono che stagionato di un anno. Aquista ad essere trasportato per mare, come il vino. La falsificazione del tè, è antichissima ed incomincia in China e nel Giappone per essere perfezionata in Europa dagli Inglesi. Si falsifica, coll'addizione di materie minerali, per aumentarne peso e volume, colla colorazione artificiale, colla rivivificazione dei tè esauriti, cioè già spogliati dei loro principi solubili: è industria tutta inglese. A Londra lo si raccoglie già usato nei caffè, negli alberghi, nei mucchi di lordure dei più sporchi quartieri di Shang-Hai. Nel 1843 a Londra vi erano otto fabbriche che lo falsificavano con sostituzione di foglie straniere, frassino, pioppo nero, platano, quercia, faggio, olmo, spinobianco, alloro, sambuco, ecc. Del resto molte piante danno foglie che possono surrogare benissimo il tè. A Sumatra si servono delle foglie del caffè. Nell'America del Sud e nel Paraguay sostituiscono al tè il mute, che chiamano tè mate (Ilex Paraguayensis). Nel bacino delle Amazzoni col guaranà (Paullinia sorbillis), nella Bolivia colla coca (Erytroxylon coca), che venne messa in musica su tutti i toni dal maestro Mantegazza. Volgarmente il tè viene denominato, dalla sua immediata provenienza, tè d'Olanda, di Russia, ecc. La storia del tè non è antica. Fu introdotto dagli Olandesi verso il 1610 che lo ricevevano dai Ghinesi in cambio della salvia. (Vedi in Salvia). Il tè nei Paesi Bassi serviva a designare i fautori del principe d'Orange e degli Inglesi, che lo preferivano al caffè. Un medico asserisce che l'uso del tè impedisce la formazione della pietra nella vescica (1).
falsifica, coll'addizione di materie minerali, per aumentarne peso e volume, colla colorazione artificiale, colla rivivificazione dei tè esauriti, cioè
La vaniglia o vainiglia, è il frutto di parecchie specie del genere vanilla; piante erbacee ed arrampicanti, originarie delle regioni calde dell'America e segnatamente del Messico e dell'Asia. La sua fecondazione vuolsi la si deva a degli insetti. À fiori bianchi screziati di rosso-giallo. Se ne conoscono quattro varietà: la planifolia, di cui la migliore cresce nelle regioni calde ed umide del Messico, della Colombia e della Guajana, coltivasi nelle Antille. La gujanensis di Surinam. La palmarum di Bahia fornisce qualità inferiori. La pompona, il vaniglione di odor forte, ma non balsamico, che ricorda quello dei fiori della vaniglia dei giardini (Heliotropium peruvianum), viene dalle Antille, à siliqua grossa e corta, è la più scadente. Queste piante, grosse come un dito, s'avvolgono al tronco degli alberi come la vitalba, il convolvolo e l'edera, e s'innalzano a grandi altezze. Il frutto della vaniglia, chiamato guscio, è una capsula carnosa, lunga 14-15 centimetri in forma di siliqua. La sua superficie dapprima verde poi colorata in bruno-rossastro molto intenso, è dotata di una lucentezza grassa. Contiene una quantità di semi estremamente piccoli, globulari, lisci, duri, neri e contenenti un succo denso e bruniccio, che, maturi, danno una fragranza squisitissima. La miglior vaniglia è quella del Messico, le cui capsule anno qualche volta la lunghezza di 22 centimetri . Epidendrum, dal greco Epi, sopra, e dondron, albero, cioè che corre sopra l'albero. Il nome di vaniglia dallo spagnolo vajnilla, piccola guaina. Nel linguaggio delle piante: Soavità. La vaniglia è uno degli aromi meno irritanti e dei più delicati ed importanti della cucina ghiotta — dà sapore alle carni, a tutti gli intingoli nei quali è introdotta — e serve principalmente per le cose di latte col quale si marita benissimo, per dare aroma al cacao e farne cioccolatta — per sorbetti, liquori, paste. Dà profumo pure ai saponi, entra in molte aque odorifere, per es. l'aqua di Cipro. In Europa si coltiva, da tempo, la varietà planifolia, nelle serre di Liegi, nel Giardino delle Piante a Parigi, e di Hillfield, House-rigate, dopo che Morren, nel 1857, à mostrato che si poteva fecondare artificialmente. Da quest'epoca la fecondazione e la produzione delle capsule si ottengono in tutti i paesi tropicali, e i frutti della vaniglia europea non la cedono nel profumo a quelli del Messico. La vaniglia fu introdotta in Europa dagli Spagnuoli dopo la scoperta dell'America. Gli Indiani chiamano arris arack, il liquore d'anice aromatizzato colla vaniglia. Per conservare la vaniglia la si chiude in una bottiglia di vetro o in un cannoncino di latta, cosparsa di zuccaro. In tal modo si ottiene lo zuccaro vanigliato che serve comunemente in cucina ed in pasticceria. Si falsifica la vaniglia con le vaniglie alterate, o raccolte troppo tardi, o esaurite coli' alcool e restaurate col balsamo peruviano o del Tolù — colla mescolanza di qualità inferiori, quali il vaniglione. Un guscio sano e bono di vaniglia, deve offrire intatta l'estremità ad uncino. La vaniglia in polvere è più soggetta ancora a falsificazione.
vaniglia fu introdotta in Europa dagli Spagnuoli dopo la scoperta dell'America. Gli Indiani chiamano arris arack, il liquore d'anice aromatizzato colla
Capisco la satira. Trattandosi di zucche, ti sei rivolto ad un professore. Ebbene, non ti sei male apposto. Sappi che le zucche più vuote di questo mondo possono elevarsi alla più alta aristocrazia non solo di censo e di gradi sociali, ma altresì alla più alta aristocrazia culinaria. Tu potresti apprestare a' tuoi amici un abbondante, gustoso e variato pranzo quasi colla sola zucca, vale a dire che essa formi d'ogni piatto, se non l'unico, almeno il principale coefficiente. Sono note le minestre di zucca d'ogni specie e fresche secche. La si fa cocere nel brodo, nell'aqua e burro, ovvero nel latte. Se ne rileva il sapore con erbuccie, ova, spezie e collo zuccaro. La polpa delle zucche ed anche i fiori si mangiano fritte, ripiene, accomodate, triffolate, in fracassèe, in stufato ed in polpette. Se ne fanno torte, pasticci e perfino salami. Colle, piccole zucchette lessate o cotte alla brage, o colle tenere ci-, me delle piante bollite nell'aqua, si fa dell'insalata che si condisce coll'olio degli stessi semi della zucca. Il sugo di essa, fermentato, può fornire l'aceto. Colla zucca confettata con miele ed aromi, si provvede al dessert di saporite mostarde e confetture, che si rende ancor più vago abbellendole con piccole zucchettine imitanti le pera, le poma, gli aranci. Il pane si forma colla zucca ben cotta, impastata con la terza parte di farina. Finalmente coi semi di zucca puoi comporre orzate e simili gustose bevande. Che se questo simposio, vuoi prepararlo a' tuoi amici all'aria aperta, lo potrai gentilmente offrire sotto un pergolato coperto colle foglie di una pianta di zucca. Che ne dirò poi delle zucche vuote ? Colla scorza di esse puoi farne bottiglie, bicchieri, piatti, cucchiai, forcine, coltelli, mestole, saliere, lucerne ove arda l'olio del seme suo, recipienti d'aqua, di vino, di liquori, tabacchiere, pipe e quello che vuoi. Le zucche vuote poi servono mirabilmente a sorreggere i mal pratici o novizi nuotatori. A questo proposito, vo' narrarti un aneddoto di Bellavitis e faccio punto. Bellavitis, mio illustre e celebre collega dell'Università di Padova, ora defunto, veniva un giorno supplicato da uno studente perchè gli fosse propizio nell'esame: Veda, professore, insisteva lo studente, se io non passo questo benedetto esame, ò l'inferno in casa mia! Sarei costretto a buttarmi in Brenta. Al che Bellavitis: Oh no xe pericolo per lu, perchè el sa che le zucche ì galleggia! Insomma, io non mi perito a chiamare la zucca la più utile delle verdure ed è ingiusto adoperare il suo nome per insultare alle teste umane. Rispetta dunque le zucche e cava loro tanto di cappello. Lo cavi a tante nullità coperte coi galloni di prefetto, di senatore, di generale ! Un bacio e vale.
apprestare a' tuoi amici un abbondante, gustoso e variato pranzo quasi colla sola zucca, vale a dire che essa formi d'ogni piatto, se non l'unico
a Alla grosse piume, si fa bollire alquanto di più della seconda, ed immergendo lo schiumatoio ed alzando due o tre vplte sopra la massa, si soffia attraverso i fori dello schiumatoio e si vedono alzarsi in aria piccoli palloncini o bolle, che formano una specie di piumazzo. Questa cottura è quella colla quale si fa l'orzata.