Compiango i pochissimi che non possono digerire le uova e che non ne amano il sapore; ad essi manca l'ottimo degli alimenti, che si raccomanda dappertutto nell'alimentazione dei bambini deboli, dei convalescenti, di tutti quelli che hanno abusato della vita in un modo o nell'altro. Io ricorderò sempre di aver salvato un bambino indebolito da un eczema cronico e lungo col dargli per lungo tempo otto tuorli d'uovo ogni giorno.
dappertutto nell'alimentazione dei bambini deboli, dei convalescenti, di tutti quelli che hanno abusato della vita in un modo o nell'altro. Io ricorderò
Albicocca. — Frutto noto a tutti introdotto in Europa da 19 secoli e per essere nè troppo dolce, nè troppo acido può mettersi nel limbo delle cose, che poco piacciono e poco dispiacciono. Che cosa sarebbero i geni se non ci fosse il volgo e che cosa sarebbero le pesche e gli ananassi, se non vi fossero le albicocche ? L'albicocca è salubre e poco nutriente. Se ne fa un eccellente confettura a Clermont-Ferrand e se ne può preparare dappertutto un'ottima gelatina.
fossero le albicocche ? L'albicocca è salubre e poco nutriente. Se ne fa un eccellente confettura a Clermont-Ferrand e se ne può preparare dappertutto un
Prendete allora un'anima di casseruola d'argento, oppure un piatto di porcellana resistente al fuoco piuttosto fondo, ungetelo bene dappertutto di burro e versategli dentro un po' di salsa besciamella; su questa porrete uno strato di gnocchi, uno di formaggio grattato, e gli sgocciolerete su del burro liquefatto; e così di seguito alternando finche il piatto sia pieno, la di cui superficie ricoprirete con la besciamella, e poi del formaggio grattato, ed in ultimo spolverizzategli su del pane grattato ed un po' di burro.
Prendete allora un'anima di casseruola d'argento, oppure un piatto di porcellana resistente al fuoco piuttosto fondo, ungetelo bene dappertutto di
Pigliate due polli bene in carne e bene nettati, tagliateli a pezzi e poneteli a depurare alquanto nell'acqua fresca, ovvero meglio tiepida, indi vi porrete anche i fegati, così pure i ventricoli, dopo averne tolto l'amaro nonchè le zampe, dopo averle poste sulla bragia per levargli la pelle; rimastivi nell'acqua tiepida il tempo necessario per renderli depurati, li farete sgocciolare sopra un setaccio, poi li collocherete entro una casseruola con un pezzo di buon burro, un mazzolino di prezzemolo, cipolla, una foglia di lauro, un poco di timo e di basilico, due chiodi di garofano, funghi, una fetta di prosciutto se ne avete, ed ogni cosa passata sopra un buon fuoco, sinchè non rimanga quasi più umidità. Allora riporrete un pugno di farina mettendola con un poco di acqua calda e condite anche questo con pepe e sale, rimetterete al fuoco riducendo di nuovo a poca salsa. Quando poi sarete per recarla in tavola, ponetevi una lega di tre tuorli d'uova stemperati nella crema o nel latte, e fate condensare il tutto al fuoco senza che bollisca, poichè in tal caso la salsa si disfarebbe. Spruzzate con succo di cedro, oppure con un poco di aceto, ed aggiustate la fricassea nel piatto sul quale la servite in tavola, di modo che le frattaglie restino di sotto, le coscie e le ali di sopra e ricoperte dappertutto con la salsa ed i funghi.
quale la servite in tavola, di modo che le frattaglie restino di sotto, le coscie e le ali di sopra e ricoperte dappertutto con la salsa ed i funghi.
Prendete una coscia di castrato, di buona qualità, ciò che vi sarà facile di riconoscere dalla bianchezza del grasso, e che sia ben frolla disossatela interamente ad eccezione dello stinco, poscia vi farete dei buchi dappertutto al di dentro per porvi una gustosa imbottitura composta in questa guisa: tagliate a pezzetti del lardo, un poco di prosciutto, dei funghi e cetrioli, che condirete con sale, droghe, prezzemolo, cipolla tritata, timo, basilico, ed una foglia d'alloro. Mischiate bene queste cose, e riempitene la coscia, legandola quindi con spago, e collocata in una casseruola di forma ovale della grandezza del cosciotto, aggiungete un poco di brodo, un bicchier di vino bianco, una carota, e quindi ponete la coscia a cuocere a fuoco lento: dopo ciò sgrassate la bagna che rimarrà dopo tolto il cosciotto, e passata per setaccio la farete condensare al fuoco e se fosse troppo liquida, vi aggiungerete un poco di fecola diluita, e verserete poi questa salsa sulla coscia servendola subito in tavola.
disossatela interamente ad eccezione dello stinco, poscia vi farete dei buchi dappertutto al di dentro per porvi una gustosa imbottitura composta in questa
Quando tutti i marroni sono tagliati, si prende una padella bucata e si mette sopra un fuoco uniforme non troppo vivo e vi si aggiustano i marroni in modo che ognuno tocchi il fondo della padella, senza che gli uni siano sopra agli altri. Al principio uscirà dai marroni molto vapore che si attenuerà a poco a poco; quando questo vapore sarà sostituito da un principio di fumo secco (proveniente dalla pelle), i marroni saranno cotti, ma rimane l'ultima operazione, onde staccarne bene la pelle. Per questo bisogna ravvivare bene il fuoco in modo che la padella si riscaldi bene dappertutto, si lascia arrostire un momento i marroni, si rivoltano tutti sulla parte piatta si lasciano cuocere così quel tanto che basti perchè risultino un po' bruciati.
'ultima operazione, onde staccarne bene la pelle. Per questo bisogna ravvivare bene il fuoco in modo che la padella si riscaldi bene dappertutto, si
26. Timballa di volaglia o di piccione. — Fate una pasta come a N. 9 (V. composti), spianata spessa due scudi infoderatene uno stampo della grandezza che volete fare la timballa, badate che la pasta sia uguale di spessore dappertutto: avrete 2 ettogrammi di coscia di vitello fino netta dai nervi, 1 ettogramma di lardo, altrettanto di burro, un po' d'aglio, sale, pepe, spezie, prezzemolo; tritate il tutto ben fino e fatene uno strato al fondo ed all'intorno della pasta: nettate e tagliate in 8 parti un pollastro o due piccioni, unitevi un po' d'oliò, aceto e sale e poneteli nel mezzo della timballa con insieme qualche fettuccia di fungo o di tartufo bianco e nero, ponete sopra un po' del tritume fatto, coprite con un pezzo della medesima pasta attaccandolo con l'uovo all'altra pasta, indoratelo coll'uovo e ponete lo stampo al forno, oppure mettetegli della brace sotto, sopra e all'intorno, e fate cuocere adagio per circa un'ora, cotta di bel color dorato e che manda fumo di buon odore, levata dal fuoco, staccatela dallo stampo passando il coltello all'intorno, versate sul piatto e servitela.
che volete fare la timballa, badate che la pasta sia uguale di spessore dappertutto: avrete 2 ettogrammi di coscia di vitello fino netta dai nervi, 1
Le fritture sono per lo più la combinazione di diverse sostanze formanti un sol gusto; si mangiano quasi dappertutto al principio del pranzo e dopo la zuppa. Le fritture si possono bensì preparare con comodo, ma il punto essenziale è di cuocerle al momento più davvicino per recarle a tavola; si friggono o con burro, od olio, o strutto, o del buon grasso, e al loro giusto punto della cottura di bel color dorato si servono scottanti, non però troppo fritte: si fanno digrassare col porle avanti di servire su carta asciugante o su tovaglia. Le fritture in generale non convengono agli stomachi deboli, però quelle ben fatte si digeriscono facilmente; giova quindi far attenzione nella scelta dei componenti, di non usare cose guaste o rancide, e soprattutto che i grassi o olii, già avanzi d'altre fritture, non siano conservati in vasi di rame, perchè si forma con facilità il potente veleno del verderame; è necessario quindi di osservare grande nettezza e di pulire la padella.
Le fritture sono per lo più la combinazione di diverse sostanze formanti un sol gusto; si mangiano quasi dappertutto al principio del pranzo e dopo
18. Del merluzzo o baccalà o stockfish, loro qualità e modo di dissalarli. - Il merluzzo o baccalà, sorta di pesce che si pesca nel mare del Nord, e viene a noi secco e salato, ha la carne bianca sfogliata, di buon gusto, nutriente, ma un po' pesante allo stomaco; si dissala lasciandolo per 20 ore circa nell'acqua più o meno secondo il grado di temperatura; il merluzzo migliore è quello polposo con carne bianca e pelle nera; dopo averlo dissalato si raschia e si netta dalle ali e dalle spine e fatto a pezzi si pone in tegame sul fuoco con acqua; al punto di bollire si leva dall'acqua bollente e si rimette nella fredda ed ivi nettato dalle parti inservibili si avranno così i pezzi netti da cucinare. Lo stockfish è un merluzzo secco senza sale, epperciò bisosogna batterlo bene e lasciarlo 3 o 4 giorni nell'acqua cambiandola sovente e si cucina in tutti i modi come il merluzzo, aggiungendo dappertutto del sale.
24. Pasticcio all'auna con gelatina (paté à l'aune) - Preparate una pasta come al n. 9 (Vedi composti), spianatela spessa 5 millimetri, infoderatene una navicella o stampo unto di burro, a bordo basso lungo e largo come volete il pasticcio; badate di porre la pasta uguale dappertutto, indoratela coll'uovo sbattuto, avrete un preparato come sopra n. 23, e della carne tagliata a filetti, fate uno strato di farcìa al fondo sopra la pasta spesso un dito, stendete sopra dei filetti come s'è detto a n. 5 (V. freddi) e qualche fetta sottile di lardo, posto il tutto garbatamente e non troppo pieno, indorate, coprite con un pezzo della medesima pasta e spesso lo stesso; fatelo attaccare all'altra pasta ripiegandolo al di dentro tutto all'intorno colle dita o pinzette, formando un bordo, indoratelo, fate una bella decorazione sopra, col buco nel mezzo a forma di camminetto (Vedi disegno, tav. 6, fig. 11), indorate, posto al forno non troppo caldo e divenuto di color dorato, copritelo con carta bianca unta ed umidita, fatelo cuocere adagio per due o tre ore secondo la qualità della carne, quando mandi un soave odore e molto fumo dal camminetto è segno che è presto cotto, levatelo dal forno, un po' raffreddato versategli entro una gelatina piuttosto acida e forte di colla (Vedi n. 3 freddi) finchè ben pieno, raffreddato sul ghiaccio, tagliatene una parte a fette spesse il dito e servitelo tutto su piatto con tovaglia ponendo le fette all'intorno con della gelatina tra mezzo qualche foglia di prezzemolo e qualche fiorellino fresco.
una navicella o stampo unto di burro, a bordo basso lungo e largo come volete il pasticcio; badate di porre la pasta uguale dappertutto, indoratela
3. Pasta sfogliata per vol-au-vents e pasticcetti fini. - Ponete 4 ettogrammi di farina bianca fina di semola sopra il tavolo ben netto, fate un buco nel mezzo allargando la farina, mettetevi 10 grammi di sale, il sugo d'un mezzo limone, un rosso d'uovo, 30 grammi di burro ed un bicchiere d'acqua più o meno; riunite il tutto adagio, impastate e formate una pasta molletta; ben impastata liscia, lasciatela riposare un po'. Impastate quindi 4 ettogrammi di burro fresco sul tavolo o nell'acqua con ghiaccio se d'estate e fate modo di renderlo impastato ben liscio; se resta granuloso, passatelo al setaccio, rimpastatelo di nuovo e asciugatelo bene con tovaglia. Quindi allargate collo spianatoio un poco la pasta, ponete nel mezzo il burro e schiacciato un poco, ripiegate sopra i quattro lati della pasta, fate che il burro resti chiuso, spianatela lunga e larga uguale dappertutto e spessa 6 millimetri e ripiegata in tre, spolverizzatela di farina, spianata, ripiegatela di nuovo in tre, e si fa il più presto possibile, lasciatela così per 10 minuti, se d'estate ponetela su carta fra due tortiere con ghiaccio sotto e sopra e lasciatela raffreddare, spianata, ripiegatela in tre per due volte come s'è fatto sopra, riposta nuovamente fra il ghiaccio per 10 minuti, spianatela e ripiegatela per 6 volte come sopra e lasciatela riposare un momento servitevene per vol-au-vents, torta, pasticetti, focaccie ed altro; per essere buona debb'essere mangiata calda. In mancanza di burro puossi adoperare della grassa fresca di rognone di vitello o bue, pestata e passata allo staccio, ma non riesce tanto buona.
schiacciato un poco, ripiegate sopra i quattro lati della pasta, fate che il burro resti chiuso, spianatela lunga e larga uguale dappertutto e spessa 6
Cominciate a lavorare i rossi con un mestolino o con la piccola frusta, senza però spandere dappertutto l'uovo, anzi cercando sempre di mantenerlo circoscritto nel fondo del recipiente; a tal punto e sempre mescolando, fate cadere l'olio quasi goccia a goccia sui rossi, tenendolo nella mano sinistra e mescolando con la destra.
Cominciate a lavorare i rossi con un mestolino o con la piccola frusta, senza però spandere dappertutto l'uovo, anzi cercando sempre di mantenerlo
Per ghiacciare è necessario un secchio di legno, che abbia inferiormente un buco per dove si possa far escire l'acqua proveniente dal ghiaccio che man mano si scioglie; una sorbettiera di stagno, ed un mestolo o spatola di legno a lungo manico. Il secchio dovrà essere sempre più profondo che la sorbettiera, ed avere un diametro quasi doppio di questa. Ecco ora il modo di procedere: Mettete sul fondo del vostro secchio uno strato di ghiaccio per l'altezza di circa dieci centimetri; spargetevi del sale grosso, e posatevi sopra la sorbettiera chiusa col suo coperchio, nella quale avrete già versato il composto allestito, avvertendo che questo non la riempia totalmente, ma arrivi soltanto a 6 o 7 centimetri al di sotto del bordo: poscia, nello spazio anulare che rimane fra le pareti laterali della sorbettiera e quelle del secchio, mettete tanto ghiaccio quanto ve ne può stare, pigiandocelo bene, in pezzi non troppo grossi, onde meglio insinuarlo dappertutto, e strato per strato alternate questo ghiaccio con sale, adoprandone circa un chilogrammo per 6 chilogr. di ghiaccio. Quando avrete così riempito tutto lo spazio sino all'altezza della sorbettiera, impugnate il manico di cui è munita al coperchio la sorbettiera medesima, e fate girar questa prestamente a destra ed a sinistra per 8 o 10 minuti: indi apritela; distaccate col mestolo ciò che avrà cominciato a gelarsi sulle pareti laterali e sul fondo, sbattete collo stesso mestolo tutto il composto, mentre colla mano sinistra prendendo la sorbettiera all'orlo la farete girare sul ghiaccio; poi richiudetela col coperchio, continuate a farla girare, e ripetete la medesima operazione più volte, finchè tutto il composto siasi gelato: allora sbattete più che mai e con forza il vostro sorbetto, strisciando sempre col mestolo sulle pareti della sorbettiera e facendo tuttavia girar questa, e non cessate che allor quando il sorbetto medesimo abbia preso l'aspetto d'una manteca compatta ed uniforme.
bene, in pezzi non troppo grossi, onde meglio insinuarlo dappertutto, e strato per strato alternate questo ghiaccio con sale, adoprandone circa un
19. Timballa di volaglia o di piccione. — Fate una pasta come a N. 8 (V. composti); spianata spessa due scudi infoderatene uno stampo della grandezza che volete dare alla timballa; badate che la pasta sia uguale di spessore dappertutto. Avrete 2 ettogrammi di coscia di vitello fino netta dai nervi, un ettogramma di lardo, altrettanto di burro, un po' d'aglio, sale, pepe, spezie, prezzemolo; tritate il tutto ben fino e fatene uno strato al fondo ed all'intorno della pasta. Nettate e tagliate in 8 parti un pollastro o due piccioni; unitevi un po' d'olio, aceto e sale e poneteli nel mezzo della timballa con insieme qualche fettuccia di fungo o di tartufo bianco e nero. Ponete sopra un po' del tritume fatto; coprite con un pezzo della medesima pasta attaccandolo con l'uovo all'altra pasta, spalmatelo coll'uovo e ponete lo stampo al forno, oppure mettetegli della brace sotto, sopra e all'intorno, e fate cuocere adagio per circa un'ora. Cotta di bel color dorato e quando mandi fumo di buon odore, levata dal fuoco, staccatela dallo stampo passando il coltello all'intorno, versate sul piatto e servitela.
che volete dare alla timballa; badate che la pasta sia uguale di spessore dappertutto. Avrete 2 ettogrammi di coscia di vitello fino netta dai nervi
Le fritture sono per lo più la combinazione di diverse sostanze formanti un sol gusto; si mangiano quasi dappertutto al principio del pranzo e dopo la zuppa. Le fritture si possono bensì preparare con comodo, ma il punto essenziale è di cuocerle al momento più davvicino per recarle a tavola. Si friggono con burro, od olio, o strutto, o del buon grasso, e, al loro giusto punto della cottura, di bel color dorato, si servono scottanti, non però troppo fritte: si fanno digrassare col porle, avanti di servirle, su carta asciugante o su tovaglia. Le fritture in generale non convengono agli stomachi deboli, però quelle ben fatte si digeriscono facilmente; giova quindi far attenzione, nella scelta dei componenti, di non usare cose guaste o rancide, e sopratutto che i grassi o olii, già avanzi d'altre fritture, non sieno conservati in vasi di rame, perchè si forma con facilità la nociva sostanza detta verderame; è necessario quindi di osservare grande nettezza e di pulire la padella.
Le fritture sono per lo più la combinazione di diverse sostanze formanti un sol gusto; si mangiano quasi dappertutto al principio del pranzo e dopo
16. Del merluzzo o baccalà o stockfish, loro qualità e modo di dissalarli. — Il merluzzo o baccalà, sorta di pesce che si pesca nel mare del Nord, e viene a noi secco e salato, ha la carne bianca sfogliata, di buon gusto, nutriente, ma un po' pesante allo stomaco. Si dissala lasciandolo per 20 ore circa nell'acqua, più o meno secondo il grado di temperatura. Il merluzzo migliore è quello polposo con carne bianca e pelle nera. Dopo averlo dissalato si raschia e si netta dalle pinne e dalle spine e, fatto a pezzi, si pone in tegame sul fuoco con acqua; al punto di bollire si leva dall'acqua bollente e si rimette nella fredda; nettato poscia dalle parti inservibili si avranno così i pezzi buoni da cucinare. — Lo stockfish è un merluzzo secco senza sale, epperciò bisogna batterlo bene e lasciarlo 3 o 4 giorni nell'acqua cambiandola sovente; si cucina in tutti i modi come il merluzzo, aggiungendo dappertutto del sale.
166. Pasta sfogliata per vol-au-vents e pa sticcetti fini. — Ponete 4 ettogrammi di farina bianca fina di semola sopra il tavolo ben netto; fate un buco nel mezzo allargando la farina; mettetevi 10 grammi di sale, il sugo di un mezzo limone, un rosso d'uovo, 30 grammi di burro ed un bicchiere d'acqua più o meno; riunite il tutto adagio, impastate e formate una pasta molletta; ben impastata liscia, lasciatela riposare un po' . Impastate quindi 4 ettogrammi di burro fresco sul tavolo o nell'acqua con ghiaccio se d'estate e fate modo di renderlo impastato ben liscio; se resta granuloso, passatelo al setaccio, rimpastatelo di nuovo e asciugatelo bene con tovaglia. Quindi allargate collo spianatoio un poco la pasta; ponete nel mezzo il burro e schiacciato un poco, ripiegate piegate sopra i quattro lati della pasta, fate che il burro resti chiuso, spianatela lunga e larga uguale dappertutto e spessa 6 millimetri e ripiegata in tre; spolverizzatela di farina, spianata; ripiegatela di nuovo in tre (il più presto possibile); lasciatela così per 10 minuti; (se d'estate, ponetela su carta fra due tortiere con ghiaccio sotto e sopra e lasciatela raffreddare), spianata, ripiegatela in tre per due volte come s'è fatto sopra, riposta nuovamente fra il ghiaccio per 10 minuti; spianatela e ripiegatela per 6 volte come sopra e lasciatela riposare un momento. — Servitevene per vol-au-vents, torta, pasticcetti, focacce ed altro. Per essere buona debb'essere mangiata calda. In mancanza di burro puossi adoperare del grasso fresco di rognone di vitello o bue, pestata e passata allo staccio ma non riesce tanto buona.
schiacciato un poco, ripiegate piegate sopra i quattro lati della pasta, fate che il burro resti chiuso, spianatela lunga e larga uguale dappertutto e
rossa di patate. Un pasticcio, frittura, fritelline, gateau, formaggio di patate, confetti, biscottini, una crostata, una schiacciata, poi caffè di patate. Gordon, in China, à vissuto molto tempo a sole patate. Dalla sua fermentazione se ne cava un'acquavite nociva, che ubbriaca ed abbrutisce i poveri Irlandesi e gli schiavi dell'America. Colla patata si fa birra. Ridotta a fecola, assurge poi alle maggiori dignità chimiche ed industriali. Diventa siroppo zuccherino, saldo per appretto ai tessuti ed alle lingerie, dà consistenza alla carta di lusso; entra dappertutto, infine, ed ogni giorno che passa segna una nuova applicazione scientifica ed industriale del prezioso tubero.
. Diventa siroppo zuccherino, saldo per appretto ai tessuti ed alle lingerie, dà consistenza alla carta di lusso; entra dappertutto, infine, ed ogni giorno
Pianticella annuale gramignacea, aquatica, originaria della China e delle Indie Orientali, che dà il grano da tutti conosciuto. Il suo nome, riso, dal greco Oryza, derivato anch'esso dall'arabo Eruz. Dopo il frumento è l'alimento più sano e nutritivo. Il riso nasce, vegeta e matura nell'acqua, ed ama tutta la pompa del sole: non può vivere senz'acqua e senza sole. Nel linguaggio dei fiori: Ricchezza. Si coltiva dappertutto. Il riso per essere bono, dev'essere novo, ben mondato, ben netto, grosso, bianco, che non sappia di polvere nè d' altri odori. Il riso di più difficile cottura è il più saporito. Col riso si fa pane, il quale è assai bianco e di bon gusto, ma non s'inzuppa bagnandolo. Ma l'uso principale del riso è nella cucina. Nazioni intere se ne fanno il loro nutrimento quotidiano. Il Pilao dei Cinesi non è che il riso. Si coce da noi ogni giorno in minestra, al grasso, al magro, col burro, col latte, coll'olio. Si mescola con ogni sorta di legumi, erbaggi e carnami, se ne fanno torte, pasticci, frittelli, tortelli. Universalmente lo si fa cocere sino all'intero disfacimento, solo da noi si mangia, come si dice, al dente. Sarà forse per effetto di assuefazione, ma da noi lo si trova più saporito così. La cucina milanese, à dato al mondo col riso quel capolavoro che si chiama Risotto, il vero monopolio del quale, per quanto si sia fatto, non si è ancor tolto dalle mani dei veri Milanesi. Alcuni asseriscono che da noi il riso venne introdotto nel secolo XVI, ma è certo che in Italia invece era anticamente conosciuto. Plinio scrive che in Italia
ama tutta la pompa del sole: non può vivere senz'acqua e senza sole. Nel linguaggio dei fiori: Ricchezza. Si coltiva dappertutto. Il riso per essere
Si possono usare tutte le qualità di uccelli, da quelli detti di becco sottile fino ai tordi e ai beccaccini. Agli uccelli si spuntano le zampine e si tolgono gli occhi. I veri buongustai non li sventrano, che questa operazione suonerebbe come una vera e propria profanazione. È una questione tutta personale nella quale ognuno si regolerà come meglio crede. Nel bresciano e nel bergamasco si preparano anche tante fettine sottilissime di lombo di maiale per quanti sono gli uccelli, si arrotolano queste fettine racchiudendovi dentro una foglia di salvia, e si alternano allo spiede con gli uccelli. In altre regioni invece dei pezzi di maiale si mettono delle fettine di prosciutto, piuttosto abbondanti, alternandole con gli uccelli e con delle foglioline di salvia. Guarniti lo spiede o gli spiedi si fa un buon fuoco mettendo sotto gli uccelli la leccarda nella quale si sarà messo qualche fetta di lardo ritagliata in dadini, un pezzo di burro proporzionato al numero degli uccelli da arrostire e qualche foglia di salvia. Per quattro o cinque minuti si fa girare il girarrosto senza mettere alcun condimento sugli uccelli. Trascorsi questi 4 o 5 minuti, con un pennello o con un cucchiaio si incomincia a far cadere sugli uccelli il grasso della leccarda, che intanto si sarà sciolto, e si continua così ad ungere di quando in quando. Il tempo preciso di cottura dipende dalla vivacità del fuoco e anche dalla qualità degli uccelli, i quali dovranno risultare nè troppo cotti, nè troppo crudi e di un bel color d'oro all'esterno. A questo punto salate gli uccelli facendo piovere il sale dappertutto mentre lo spiede gira. Dopo la salatura lasciateli ancora pochi altri minuti, ma senza più ungerli, e avendo l'avvertenza di diminuire il fuoco. Intanto avrete preparato la polenta, in quantità proporzionata al numero delle persone e... dell'appetito. Anche la polenta necessita cure speciali dovendo risultare nè troppo dura, nè troppo molle. Riguardo alla polenta si usano diversi procedimenti riguardanti il modo di servirla. C'è infatti chi la riversa sull'asse di cucina spianandola all'altezza di un dito, la ricopre con un panno bagnato e dopo un po' la ritaglia in fette che vengono distribuite nei piatti. Su ogni fetta si fa un piccolo incavo col cucchiaio, ci si versa un poco di sugo della leccarda per terminare con gli uccellini, le cui zampette vengono infisse nella polenta. Altri invece — e questo ci sembra il sistema migliore anche perchè più sbrigativo e più elegante — nei riguardi della presentazione in tavola, usano il seguente sistema. Quando la polenta sarà arrivata a perfetta cottura, si prende una stampa da bordura ampia e non troppo frastagliata, si imburra abbondantemente e vi si versa dentro la polenta. Si batte la stampa affinchè non restino vuoti e poi si tiene la stampa a bagno maria, in caldo, fino al momento di andare in tavola. Giunta loia di servire si sforma la bordura nel mezzo del piatto, si contorna con gli uccellini e sulla polenta e nel vuoto della bordura si versa il sugo della leccarda. Questo è il procedimento esatto e caratteristico dello «spiede». Ed infatti in Alta Italia dalle cucine più povere a quelle più ricche è lo spiede che trionfa per questa preparazione. Da alcuni si usa talvolta cuocere gli uccellini anche in padella accompagnandoli ugualmente con la polenta e relativo sugo di cottura, ma il procedimento tradizionale è quello da noi ampiamente descritto.
e di un bel color d'oro all'esterno. A questo punto salate gli uccelli facendo piovere il sale dappertutto mentre lo spiede gira. Dopo la salatura
Questa pietanza elegante è conosciuta nella cucina napolitana col nome di «sartù» e costituisce un magnifico inizio di colazione. Qualcuna fra le nostre lettrici potrà obiettare che qualche cosa di simile si fa anche in altre cucine, ed è anche vero. Ma sia la sua origine napolitana o no, poco importa. Quel che conta è che questo timballo è squisito. Avendo qualcuno a colazione, invece degli eterni maccheroni o risotto, provate ad eseguire il «sartù» e ne rimarrete veramente soddisfatte, come soddisfatti resteranno anche gli ospiti. Prima di preparare il riso, che dovrà in un certo modo formare l'ossatura del timballo, è bene preparare il ripieno, il quale potrà essere più ricco o meno ricco, a seconda dei casi e della spesa che si vuol fare. Noi fissiamo le dosi per quattro persone. Il ripieno si comporrà essenzialmente di polpettine di carne, salsiccie, mozzarella, regagli, funghi. Per quattro persone prendete una fetta magra di manzo, del peso di un ettogrammo, pestatela e impastatela con un pezzettino di burro e un pezzo di mollica di pane che avrete tenuta in bagno nell'acqua e poi spremuta. Questa mollica dovrà avere la grandezza di una grossa noce. Condite l'impasto con sale e pepe e foggiatene delle polpettine piccolissime, non più grandi di una nocciola, che passerete nella farina, e friggerete nell'olio o nello strutto, badando di non farle inseccolire. In quanto ai funghi secchi ne basteranno un buon pizzico. Li terrete prima una mezz'ora in acqua fresca per farli rinvenire, poi, dopo averli nettati, li cuocerete con un pochino di burro e qualche cucchiaiata di brodo o d'acqua, sale e pepe. E così farete anche per le regaglie di pollo che dividerete in pezzi non tanto piccoli. A Napoli si adoperano per questo ripieno, salsiccie speciali, dette cervellatine. Potranno usarsi, invece di queste, comuni salsiccie di carne, cotte in una padellina e poi tagliate in fettine. In primavera sarà ottima cosa preparare anche tre o quattro cucchiaiate di pisellini al prosciutto, i quali figurano assai bene nel ripieno. Tagliate inoltre in dadini un ettogrammo, di mozzarella o un paio delle nostre provature romane. E finalmente, dato che disponeste di un pezzo di tartufo non dimenticate di tenerne pronta qualche fettina. L'aggiunta del tartufo non è di rigore, ma il «diamante della cucina» ha libero accesso da per tutto. Quando avrete preparato tutti i vari ingredienti per il ripieno, pensate al sugo per condire il timballo. Questo sugo potrà essere o un sugo d'umido col pomodoro o più semplicemente un buon sugo finto, fatto in una casseruola con un po' di cipolla, burro, grasso di prosciutto tritato e un chilogrammo scarso di pomodori. Badate che il sugo risulti molto denso. Quando' anche il sugo sarà fatto mettetene qualche cucchiaiata da parte e poi versate nella casseruola trecento grammi di riso, ben mondato, che cuocerete nel sugo, come un risotto, aggiungendo man mano dell'acqua o del brodo. Tenetelo molto scarso di cottura — quasi a tre quarti — poi conditelo con tre o quattro cucchiaiate di parmigiano e un uovo intero, verificando nello stesso tempo se sta bene di sale. Versate questo risotto in un piatto e aspettate che si freddi. Radunate in un'altra casseruolina tutti gli ingredienti preparati per il ripieno, cioè: polpettine, funghi, salsicce, regaglie, ecc., eccezione fatta per la mozzarella o provatura, conditeli col sugo che avrete tenuto in serbo e fate dare un bollo affinchè il ripieno possa insaporirsi perfettamente. Mettete intanto in una casseruolina un pezzo di burro grosso come una noce, e appena sarà liquefatto, aggiungetegli un cucchiaio scarso di farina, fate cuocere un paio di minuti, mescolando, e poi diluite l'impasto con mezzo bicchiere di latte. Quando la salsa si sarà addensata, levatela dal fuoco, conditela con sale, un nonnulla di noce moscata e un rosso d'ovo. Un'ora prima del pranzo cominciate la costruzione del timballo. Prendete una stampa liscia da budino, ma senza buco in mezzo, o in mancanza di questa, una casseruola. Così la stampa come la casseruola dovranno avere la capacità di un litro e mezzo. Imburrate abbondantemente l'interno della stampa e spolverizzatela di pane pesto finissimo; girate la stampa in tutti i sensi affinchè il pane aderisca dappertutto e poi capovolgetela per far cadere l'eccesso del pane. Per mezzo di un cucchiaio disponete sul fondo e intomo alle pareti della stampa il ri otto, avvertendo di lasciarne quattro o cinque cucchiaiate da parte. Pigiando col cucchiaio fate che il riso aderisca bene alle pareti e sul fondo formando in mezzo un vuoto come una scatola. In questo vuoto mettete il ripieno preparato, intramezzandolo con le fettine di mozzarella e con la salsa di latte e uovo preparata. Aggiungete anche una cucchiaiata di parmigiano, qualche pezzetto di burro, come nocciole; poi col riso lasciato da parte, fate il coperchio alla scatola. Pareggiate il riso del coperchio con una larga lama di coltello, spolverizzatelo di pane pesto e disponeteci sopra qualche altro pezzettino di burro. Mettete il timballo in forno di moderato calore e lasciatecelo per una mezz'ora abbondante, affinchè il pane dell'involucro abbia il tempo di fare una bella crosta color d'oro. Estraete allora il timballo dal forno, ma non lo sformate subito: aspettate una diecina di minuti affinchè il timballo possa consolidarsi, e non giocarvi un brutto tiro al momento del suo capovolgimento. Per eccesso di precauzione, passate con delicatezza una lama di coltello tra la stampa e il timballo in modo da staccarlo e poi capovolgetelo su un piatto rotondo, preferibilmente di metallo argentato. Mandatelo in tavola affinchè venga mangiato caldo e filante. Nella cucina napolitana si abbonda in strutto anzichè in burro. Abbiamo creduto di sostituire allo strutto il burro, che ha un uso più universale.
finissimo; girate la stampa in tutti i sensi affinchè il pane aderisca dappertutto e poi capovolgetela per far cadere l'eccesso del pane. Per mezzo di un
Queste frittatine si possono fare in due modi: o calcolando un uovo a persona e facendo le frittate di sole uova, o eseguendole più economicamente nel modo seguente. Mettete in una terrinetta due cucchiaiate di farina, scioglietele con un pochino d'acqua o di latte in modo da avere una pastella piuttosto liquida, aggiungete quattro uova, condite con sale e sbattete tutto insieme. Mettete sul fuoco una padellina di una quindicina di centimetri di diametro, metteteci una nocciola di strutto o poche goccie di olio e quando la padella sarà ben calda versateci una cucchiaiata delle uova preparate. Muovete la padella affinchè il liquido si spanda dappertutto, e appena la frittatina sarà rassodata metteteci in mezzo una cucchiaiata del composto di ricotta che vi descriveremo più sotto, e arrotolatela rinchiudendovi dentro la ricotta.
. Muovete la padella affinchè il liquido si spanda dappertutto, e appena la frittatina sarà rassodata metteteci in mezzo una cucchiaiata del composto
Fra le molte ricette di peperoni ripieni questa è senza dubbio una delle più gustose e ricche. Necessita forse un pochino di lavoro; ma questo viene largamente ricompensato dal risultato, che come abbiamo detto è veramente ottimo. Per sei persone prendete otto peperoni gialli napolitani. Di questi otto peperoni due serviranno per il ripieno e i sei rimanenti serviranno per la pietanza, calcolandosene uno a persona. Procurate di scegliere dei peperoni di forma regolare, piuttosto grandi e, condizione essenziale, freschissimi. Con un coltellino fate un'incisione circolare intorno intorno al torsolo in modo da asportarlo completamente. Passate allora i peperoni su fuoco vivacissimo per carbonizzare subito la pellicola esterna senza che il peperone riceva troppo calore ed abbia ad afflosciarsi troppo. Potrete anche passarli un istante in una frittura bollente; ma il primo sistema è il più semplice. Appena abbrustoliti togliete via la pellicola carbonizzata e tutti i semi dall'interno. Preparati così i peperoni metteteli da parte. Occorre ora pensare al ripieno. Prendete due dei peperoni, tagliateli in listelline e fateli insaporire in una padellina con un pochino di olio e sale. Appena pronti metteteli da parte. Togliete la buccia a una melanzana grossa o a due piccole, ritagliate la melanzana in dadini di circa un centimetro di lato, risciacquateli, infarinateli e friggeteli nell'olio. Quando questi dadini avranno preso un bel color d'oro toglieteli dalla padella e serbateli in disparte. Mettete in una padellina un paio di cucchiaiate d'olio (potrete servirvi di quello adoperato per friggere le melanzane) fateci soffriggere uno spicchio d'aglio che toglierete appena imbiondito, e versate nell'olio sei cucchiaiate di pane grattato. Mescolate con un cucchiaio di legno, fino a che il pane sia bene imbevuto di olio e leggermente abbrustolito. Mettete in disparte anche questo pane fritto. Prendete ora sei pomodori, tuffateli in un momento in acqua bollente per poterli spellare facilmente, tagliateli in spicchi privandoli accuratamente dei semi, mettete questi spicchi in una padellina con olio bollente conditeli con un pizzico di sale e fateli cuocere a fuoco fortissimo per pochi minuti in modo che non abbiano a disfarsi. Avrete comperato anche un paio di polipi piccoli o di calamaretti. Divideteli in piccoli pezzi, infarinateli e friggeteli. Da ultimo preparate una salsa di pomodoro con un po' d'olio aglio e sale. Questa salsa dovrà essere sufficientemente densa, e come quantità circa due ramaioli. Preparati tutti gli ingredienti prendete una terrinetta, metteteci i filetti di peperoni, i filetti di pomodori, le melanzane, il pane fritto e i polipi o calamaretti. Aggiungete una cucchiaiata di capperi e un pugno di olive nere di Gaeta alle quali avrete tolto il nocciolo e avrete divise a metà. Aggiungete anche un ramaiolo di salsa di pomodoro e un bel ciuffo di prezzemolo trito. Mescolate tutti questi ingredienti e poi con un cucchiaio riempite di questo composto i sei peperoni. Prendete adesso una casseruola versateci un paio di cucchiaiate di olio, metà della rimanente salsa di pomodoro che diluirete con qualche cucchiaiata di acqua e nella casseruola disponete i peperoni ritti uno accanto all'altro. Converrà dunque scegliere una casseruola di proporzioni adattate affinchè i peperoni possano starci nè troppo larghi nè troppo pigiati. Innaffiate abbondantemente ogni peperone con dell'olio e finalmente versateci sopra la rimanente salsa di pomodoro, spalmandola un po' dappertutto. Mettete la casseruola in forno di moderatissimo calore dove la lascerete circa un'ora. I peperoni devono cuocere molto adagio. Invece di mettere la casseruola in forno si potrà fare la cottura con della brace sotto e sopra. L'importante è che questa cottura avvenga con molta lentezza.
finalmente versateci sopra la rimanente salsa di pomodoro, spalmandola un po' dappertutto. Mettete la casseruola in forno di moderatissimo calore dove la
Le dosi sono: Farina di prima qualità gr. 180; burro gr. 125; lievito di birra gr. 25; uvetta secca gr. 60; uova intere n. 3; un pizzico di sale; una cucchiaiata di zucchero in polvere. Stacciate la farina, e prendetene la quarta parte che scioglierete in una tazza con il lievito e circa due dita d'acqua appena tiepida, in modo da avere una pasta piuttosto liquida, coprite la tazza e mettetela in luogo tiepido, ma non troppo vicino al fuoco. Questa precauzione è indispensabile, perchè se il lievito sente troppo calore si brucia e perde tutta la sua efficacia. Dopo circa un quarto d'ora il lievito avrà raddoppiato il suo volume. Versatelo allora in una terrinetta dove avrete messo il resto della farina, un pizzico di sale, le tre uova e il burro, di cui conserverete un pezzetto che vi servirà per imburrare la stampa. Impastate tutto con la mano, e poi lavorate con forza la pasta, sollevandola con le dita e sbattendola energicamente contro le pareti della terrina. Dopo cinque o sei minuti la pasta dovrà essere liscia, vellutata ed elastica, e dovrà staccarsi tutta intera. Aggiungete allora lo zucchero, lavorate un altro poco, e mettete in ultimo l'uvetta, che avrete accuratamente mondata e tenuta in bagno in un pochino d'acqua tiepida. Imburrate una stampa della capacità di un litro e mezzo circa. Preferite una stampa piuttosto alta, a disegno ampio, e vuota nel mezzo. Prendete la pasta a piccoli pezzi e fateli cadere nella stampa. La pasta dovrà occupare poco più di un terzo di essa. Mettete la stampa in luogo tiepido e lasciate lievitare. Guardate bene che non vi siano correnti d'aria, nè un eccessivo calore. Dopo un'ora e un quarto, o un'ora e mezzo, la pasta sarà salita fino all'orlo della stampa. Infornate allora il babà, tenendolo per una mezz'ora in forno moderato, così da averlo di un bel colore d'oro. Per assicurarvi della cottura potrete anche immergere nel dolce un lungo ago e vedere se vi rimane attaccata della pasta ancora cruda. Sformate il babà e versateci sopra a cucchiaiate uno sciroppo bollente al rhum, che avrete preparato così. Mettete al fuoco una casseruolina con mezzo bicchiere d'acqua e tre cucchiaiate di zucchero. Fate bollire, ritirate lo sciroppo dal fuoco e mescolatevi un bicchierino di rhum. Per rifinire il babà a perfetta regola d'arte conviene ora fare un piccolo lavoro accessorio, ultimando il dolce con una leggerissima copertura di zucchero detta «ghiaccia piangente». Quest'ultima parte dell'operazione non è, a rigor di termini, necessarissima; ma quando vi sarete abituate ad ultimare il babà in questo modo, continuerete a farlo così, poichè troverete che il lievissimo e semplice lavoro supplementare comunica al babà una finezza di gran lunga superiore. Mettete in una tazza da caffè e latte tre o quattro cucchiaiate di zucchero al velo. In mancanza di questo supplirete con dello zucchero pestato finissimo e poi passato per un setaccino di velato. Inumidite lo zucchero con poca acqua e mescolate con un cucchiaino aggiungendo man mano altra acqua, fino ad avere la densità di una crema piuttosto colante. Regolatevi quindi nell'aggiungere acqua e non mettetene che la quantità strettamente necessaria per non essere costrette ad aggiungere altro zucchero. Preparato questo composto di zucchero spalmate di marmellata d'albicocca il babà già inzuppato, mettendone poca e dappertutto, e poi con un cucchiaio fate cadere dalla cupola in giù lo zucchero colante. Questa operazione è bene farla dopo aver messo il babà in una teglia. Se lo zucchero si spargesse sul fondo di essa Io riporterete sul dolce servendovi di una lama di coltello. Seminate sulla sommità del babà delle pizzicate di
d'albicocca il babà già inzuppato, mettendone poca e dappertutto, e poi con un cucchiaio fate cadere dalla cupola in giù lo zucchero colante. Questa
Si può fare con la marmellata di frutta o con la crema. Per sei persone fate una pasta sfogliata con 250 grammi di burro e 250 grammi di farina, una forte pizzicata di sale, e circa mezzo bicchiere d'acqua (dalle sette alle otto cucchiaiate). Quando avrete ultimato il sesto giro stendete la pasta in ampio rettangolo dello spessore di mezzo centimetro scarso, avente una ventina di centimetri nel lato più corto e circa 80 nel lato più lungo. Prendete un coperchio, o un piatto da dessert che abbiano un diametro di una ventina di centimetri, appoggiate il piatto o il coperchio che sia — se sceglierete il piatto dovrete usarlo capovolto — sulla pasta e servendovi di esso come modello incidete intorno intorno la pasta con la punta di un coltellino, tagliando, uno dopo l'altro, quattro dischi di pasta, uno accanto all'altro. Liberate i dischi incisi dai ritagli, sovrapponete tutti i ritagli ottenuti, e invece d'impastarli con le mani, batteteli, a piccoli colpi, col rullo di legno affinchè possano rimpastarsi, ripiegateli in due e batteteli ancora. Con questa operazione tutti i ritagli formeranno un pezzo di pasta unico. Stendete questo pezzo di pasta in rettangolo e ripiegatelo in tre, nè più nè meno doveste dare un giro alla pasta sfoglia. Fatto questo, spianate la pasta in rotondo, fino a che potrete tagliarne un quinto ed ultimo disco. Vi consigliamo di fare questo quinto disco con i ritagli per non farvi fare una dose eccessiva di pasta, tanto più che il risultato non subirà nessuna variazione. Se aveste ancora qualche po' di ritagli non li gettate via, ma riuniteli battendoli col rullo come vi è stato detto più sopra e teneteli da parte per farne qualche nastrino da friggere, qualche fagottino, ecc. Ottenuti i cinque dischi, bisogna cuocerli in forno molto caldo, anzi rovente. Se il forno è grande potrete cuocere tutti e cinque i dischi insieme, altrimenti un po' alla volta. Prendete una teglia o una lastra da forno leggerissimamente imburrati. Con garbo, senza farli deformare, deponeteci uno o più dischi, e prima di infornarli, con le punte di una forchetta, pungete dappertutto la pasta. Pungete forte fino a sentire con la forchetta la teglia o la placca. Il disco dovrà assumere l'aspetto di una galletta. Si fa questa operazione per impedire che la pasta cresca troppo e irregolarmente. Punzecchiata la pasta infornate i dischi. Vi abbiamo già detto che il forno deve essere rovente. I dischi devono stare in forno una diecina di minuti e debbono risultare asciutti, leggeri, e appena appena biondi. Se operate in un piccolo forno domestico, dove bisogna supplire con espedienti alla irregolarità del calore, potrete dopo sei o sette minuti, voltare con attenzione il disco se la parte di sotto del forno cuoce più di quella di sopra come generalmente accade. Man mano che i dischi saranno cotti, levateli dal forno e appoggiateli sulla tavola o sul marmo. Se la cottura sarà stata portata a fuoco vivo i dischi avranno conservato la loro perfetta forma rotonda, cosa che non accadrebbe se il forno fosse imperfettamente riscaldato, perchè allora la pasta tenderebbe a liquefarsi e ad allargarsi. Mentre i dischi si freddano preparate una crema pasticcera con tre torli d'uovo, tre cucchiaiate colme di zucchero in polvere, tre cucchiaiate non troppo abbondanti di farina e mezzo litro di latte.
, pungete dappertutto la pasta. Pungete forte fino a sentire con la forchetta la teglia o la placca. Il disco dovrà assumere l'aspetto di una galletta. Si
Quando la crema sarà pronta mescolateci fuori del fuoco un bicchierino di cognac o un paio di cucchiaiate di marsala. Travasate la crema in una terrinetta e lasciatela freddare. Fatti i dischi e fatta la crema non rimane che montare il millefoglie. Prendete un disco, versateci una cucchiaiata o due di crema fredda, spalmatela dappertutto lasciando lo strato di crema piuttosto alto e appoggiate su questo primo disco un secondo. Spalmate di crema anche questo secondo disco e continuate così fino alla fine, regolandovi di distribuire la crema in quattro parti uguali perchè sull'ultimo disco non va messo niente. Terrete anzi per ultimo disco, quello che va sopra il millefoglie, il migliore e il meglio cotto. Se qualche disco sporgesse un po' lo pareggerete pian piano con la punta di un coltellino. Mettete il millefoglie su un piatto con salviettina e spolverizzatelo abbondantemente di zucchero in polvere. Se volete completare il dolce con una decorazione sobria e facilissima, potrete tracciare sullo strato di zucchero spolverizzato sul dolce una serie di linee fatte con la punta di un coltellino, formanti una specie di reticolato.
di crema fredda, spalmatela dappertutto lasciando lo strato di crema piuttosto alto e appoggiate su questo primo disco un secondo. Spalmate di crema
Bisogna tener presente che le fragole, a contatto dello stagno o della latta, perdono il loro bel colore rosso per assumere una colorazione violacea sporca, di pessimo effetto. Occorrerà dunque, confezionando questa bavarese, adoperare solamente: un setaccino di crine rosso (che è generalmente il più adatto per pasticceria) un recipiente di maiolica o di terraglia per raccogliere il passato di fragole e, finalmente, una stampa di ferro smaltato o di rame non stagnato per condensare la bavarese. Premessi questi piccoli avvertimenti, procediamo nel nostro lavoro. Prendete mezzo chilogrammo di fragole piccole e passatele dal setaccio di crine rosso, raccogliendo la purè in una terrinetta di porcellana. Su questa purè grattate, con un pezzo di vetro o con una piccola grattugia, la scorza di un limone, avvertendo di grattare soltanto la parte gialla e non la bianca che comunicherebbe un sapore amarognolo al composto. Spremete sulle fragole il sugo della metà del limone, e aggiungete nella terrinetta 200 grammi di zucchero al velo. Avrete intanto messo in acqua fresca 25 grammi di gelatina marca oro — circa 12 fogli — e dopo una diecina di minuti, quando la gelatina sarà ben rammollita, prendetela su con le mani, strizzatela e e mettetela in una casseruolina con tre o quattro cucchiaiate d'acqua. Tenete la casseruolina sull'angolo del fornello e fate liquefare la gelatina a calore dolce. Quando la gelatina sarà ben liquefatta passatela dal setaccino raccogliendola nello stesso recipiente dove è già la purè di fragole. Mescolate bene ogni cosa, e mettete la terrinetta su un po' di ghiaccio per raffreddare il composto. Quando vedrete che incomincia a divenire spesso, mischiatevi adagio adagio un quarto di litro di panna di latte montata (chantilly). Prendete una stampa da budino — che, come vi abbiamo già detto, dovrà essere di ferro smaltato o di rame non stagnato — e ungetela leggermente di olio d'olivo o meglio di olio di mandorle dolci. L'oleatura della stampa dovrà essere fatta con parsimonia e dopo che si sarà passato un velo d'olio dappertutto si capovolgerà la stampa tenendola così per qualche minuto allo scopo di far cadere tutto l'olio superfluo. In questa stampa oleata mettete il composto a cucchiaiate. Battete leggermente la stampa su uno strofinaccio affinchè non restino vuoti e finalmente mettete a congelare la bavarese sul ghiaccio lasciandovela per circa un'ora, fino a che si sarà ben rappresa.
di mandorle dolci. L'oleatura della stampa dovrà essere fatta con parsimonia e dopo che si sarà passato un velo d'olio dappertutto si capovolgerà la
Pagliette al formaggio. — Prendete un po' di pasta sfogliata, o dei ritagli già rimpastati, mettete sul tavolo uno strato di formaggio grattato, al quale avrete aggiunto una puntina di coltello di pepe rosso (Pepe di Caienna). Appoggiate la pasta su questo strato di formaggio e stendetela col rullo di legno all'altezza di mezzo centimetro. Sulla pasta stessa cospargete dell'altro formaggio aromatizzato con pepe rosso, e, stropicciando leggermente con le dita, cercate di spargerlo dappertutto. Ripiegate in tre la pasta come se doveste darle un nuovo giro e poi stendetela nuovamente all'altezza di una moneta da due soldi, ricavandone tante striscie della larghezza di un dito e della lunghezza di dieci centimetri. Si passano queste striscie su una teglia leggermente imburrata, si dorano superiormente con uovo sbattuto e si infornano.
leggermente con le dita, cercate di spargerlo dappertutto. Ripiegate in tre la pasta come se doveste darle un nuovo giro e poi stendetela nuovamente all'altezza
Non si adopererà che legna ben secca, che produca una fiamma limpida senza mandar fumo, o ne mandi ben poco; e le fascine sì faranno ardere successivamente ad una per volta su varii punti del forno, perchè questo si scaldi egualmente dappertutto. A misura poi che una fascina avrà bruciato, se ne ritirerà coll'attizzatojo la brace ardente verso la bocca del forno, disponendola ammucchiata a due lati. Basta far l'esperienza una o due volte per sapere la qualità di legna che occorre per scaldare convenientemente il forno.
successivamente ad una per volta su varii punti del forno, perchè questo si scaldi egualmente dappertutto. A misura poi che una fascina avrà bruciato, se ne
Pianticella annuale gramignacea, acquatica, originaria della China e delle Indie Orientali, che dà il grano da tutti conosciuto. Il suo nome, riso dal greco Oryza, derivato anch'esso dall'arabo Eruz. Dopo il frumento è l'alimento più sano e nutritivo. Il riso nasce, vegeta e matura nell'acqua, ed ama tutta la pompa del sole: non può vivere senz'acqua e senza sole. Nel linguaggio dei fiori: Ricchezza. Si coltiva dappertutto. Il riso per esser buono, dev' essere novo, ben mondato, ben netto, grosso, bianco, che non sappia di polvere nè d'altri odori. Il riso di più difficile cottura è il più saporito. Col riso si fà pane, il quale è assai bianco e di bon gusto, ma non s'inzuppa bagnandolo. Ma l'uso principale del riso è nella cucina. Nazioni intere se ne fanno il loro pascolo quotidiano. Il Pilao dei Cinesi non è che il riso. Si cuoce da noi ogni giorno in minestra, al grasso, al magro, col burro, col latte, coll'olio. Si mescola con ogni sorta di legumi, erbaggi e carnami se ne fanno torte, pasticci, frittelli, tortelli. Universalmente lo si fà cuocere sino all'intero disfacimento, solo dai noi si mangia, come si dice al dente. Sarà forse per effetto di assuefazione, ma da noi lo si trova più saporito così. La cucina Milanese à dato al mondo col riso quel capolavoro, che si chiama Risotto, il vero monopolio del quale, per quanto si sia fatto, non si è ancor tolto dalle mani dei veri Milanesi. Alcuni asseriscono che da noi il riso venne introdotto nel secolo XVI, ma è certo che in Italia, invece era anticamente conosciuto. Plinio scrive che in Italia, «maxima est copia, (oryza) ubi ex ea phtisana fiebat,quam reliqui mortales ex hordeo conficiebant». Teofrasto, che lo chiama pure oryzon, attesta che ai suoi tempi era seme peregrino. Il Bolognese Crescenzio nel 1301 parlando del riso lo chiama tesoro delle paludi. Nel IX secolo era già coltivato in Sicilia. Nel 1481 il riso è annoverato fra i prodotti del Mantovano. Nel 1521 fra quelli di Novara e Vercelli. Da noi il migliore è il Milanese, il Novarese e quello delle Puglie. I medici gli danno virtù calmanti, astringenti, anti etiche. Gli Indiani ne cavano un liquore spiritoso che chiamano Arak, liquore che si fa anche in America sotto il medesimo nome. La paglia del riso serve a molte ingegnose manifatture. Se ne fa carta leggerissima e finissima anche per sigarette. L'acqua di riso fa diventar bianca e morbida la pelle. I Milanesi dicono che il riso nasce nell'acqua e deve morire nel vino. Il riso è la ricchezza dei nostri fittajoli: Fittavol de ris, fittavol de paradis, dice un proverbio.
ama tutta la pompa del sole: non può vivere senz'acqua e senza sole. Nel linguaggio dei fiori: Ricchezza. Si coltiva dappertutto. Il riso per esser
Mettete sul fondo del secchio uno strato di ghiaccio per l'altezza di circa 10 centimetri; spargetevi del sale grosso, e posatevi sopra la sorbettiera chiusa col suo coperchio, nella quale avrete già versato il composto allestito, avvertendo che questo non la riempia totalmente, ma arrivi soltanto a 6 o 7 centimetri al disotto del bordo; poscia, nello spazio anulare che rimane fra le pareti laterali della sorbettiera e quelle del secchio, metterete tanto ghiaccio quanto può stare, pigiandovelo bene, in pezzi non troppo grossi, onde meglio insinuarlo dappertutto, e, strato per strato, alternate questo ghiaccio con sale, adoprandone circa un chilogrammo per 6 chilogrammi di ghiaccio.
, metterete tanto ghiaccio quanto può stare, pigiandovelo bene, in pezzi non troppo grossi, onde meglio insinuarlo dappertutto, e, strato per strato
Fra le piante aromatiche, come il timo, il basilico, la mazzorana, la timbra, e le foglie di lauro sono di un uso assai frequente nella cucina; ma non conviene porne dappertutto e in ogni occasione. Lo ripetiamo, col solo adoperare i condimenti con discernimento e in piccola dose si può da essi cavarne un vantaggioso partito, tanto pel sapore, quanto per la varietà dei condimenti.
non conviene porne dappertutto e in ogni occasione. Lo ripetiamo, col solo adoperare i condimenti con discernimento e in piccola dose si può da essi
Al pollame domestico o selvatico si levano le ossa (pag. 17), si restringe la pelle delle ali e dei piedi, disponendo la carne dappertutto egualmente fitta, ponendole sulle parti scarsamente provvedute la carne tagliata giù d'altri punti. Nel confezionare questa si osservi tutto quello che fu detto per la galantina calda (pag. 260). La galantina fredda, preparata 2 giorni prima d'imbandirla, ha da lasciarsi raffreddare nel brodo, acciò si possa trinciare sottilmente. Si pongono le fette sopra dell'aspic, guarnendole con questo di vario colore. Messa in serbo in un recipiente di maiolica entro una gelatina fatta di piedi di vitello, poi coperta d'uno strato di grasso di bue fuso, questa galantina può conservarsi più settimane durante l'inverno.
Al pollame domestico o selvatico si levano le ossa (pag. 17), si restringe la pelle delle ali e dei piedi, disponendo la carne dappertutto egualmente
Per presso a poco 30 susine si fa di 25 deca di farina, 1 uovo, un pezzettino di burro, sale e latte freddo una pasta molle. Spianata la si taglia a pezzetti quadrati, in ciascun dei quali s'avvolge una prugna, ripiegando su sè stessa, premendo ed eguagliando la pasta, acciò non si spezzi e sia dappertutto egualmente densa. Queste pallottole si fanno bollire nell'acqua salata in una casseruola, rimestandole da principio per impedire che si attacchino al fondo. Cotte che siano, si ritirano una per una con una mestola bucata, e si mettono nel burro bollente, ove già prima si è fatto rinvenire delle briciole od ingiallire dello zucchero in polvere. Dopo averle agitate e tolta loro l'umidità s'imbandiscono cosparse di zucchero e cannella.
dappertutto egualmente densa. Queste pallottole si fanno bollire nell'acqua salata in una casseruola, rimestandole da principio per impedire che si
La zuppa si serve nelle apposite tazze da zuppa, e più d' ogni altra vivanda si compiace della più grande semplicità. Nell'Austria si ha per costume di spargervi dei porri tagliuzzati, o foglie di prezzemolo, ma non dappertutto e quest'uso ben ricevuto, e non ad ogni palato riesce gradito. In alcune cucine sogliono darsi alla zuppa varj colori col mezzo di droghe confacenti; in tal caso il pane abbrustolito e tagliato a fette o a dadi, deve porsi nel brodo innanzi di infondervi le droghe., onde imbevuto ne rimanga e asciutto non salga alla superficie. Il zenzero in piccola dose, sembra che migliori il brodo di vitello.
di spargervi dei porri tagliuzzati, o foglie di prezzemolo, ma non dappertutto e quest'uso ben ricevuto, e non ad ogni palato riesce gradito. In