Fra i lodatori dell'arancio è da ricordarsi il milanese Lodovico Settala, professore di medicina a Pavia, poi di filosofia morale a Milano, citato nei Promessi Sposi e del quale il Ripamonti, suo contemporaneo, dice che curava gratuitamente i poveri ed i letterati -pauperes et litteratos. Gli antichi scrittori confusero sempre l'arancio col limone e col cedro. In Roma, nel 1500, si chiamavano Melangoli. L'Ariosto nel Furioso, C. XVIII, p. 138, adopera la parola Narancio. Sulla prima vera provenienza dell'arancio ebbero molto seriamente a questionare i filosofi antichi. Alcuni, stando col re Giuba — che lasciò dei commentarii sulle cose di Libia — dicono che l'arancio, chiamato Pomo delle Esperidi, fosse portato in Grecia nientemeno che da Ercole. Difatti abbiamo statue di Ercole presso piante d'arancio e con aranci in mano. Ateneo col filosofo Teofrasto, lo fanno venire dalla Persia; il poeta Marrone, dalle Indie. Il fatto è che fu conosciuto in Europa prima del limone, e che la sua venuta rimonta a data antichissima. A coloro che dicono essere stato portato in Italia alla fine del secolo XIII da viaggiatori veneziani e genovesi, farò notare che Virgilio dice:
, adopera la parola Narancio. Sulla prima vera provenienza dell'arancio ebbero molto seriamente a questionare i filosofi antichi. Alcuni, stando col re
La vicia faba maxima era detta la fava dei morti, epiteto superstizioso in uso, prima che la medesima fosse introdotta in Roma. Al tempo di Asclebiade si credeva necessario, come prova di morte reale, di porre in bocca del morto tre fave ed ivi tenerle per 48 ore. Ingrassate, le ponevano in terra coltivandole con cura e devozione, perchè in quelle fave doveva germogliare la vita del defunto, nella cui bocca aveva incominciati il germoglio e ciò serviva a constatare pure il decesso. Dalla fava ebbe nome la onorata e guerriera famiglia dei Fabi romani, dei quali Plinio scrive, che in una rotta ch' ebbero i Romani coi Vajenti, furono trecento che lasciarono la vita solamente di questa famiglia. Onde quei versi:
ch' ebbero i Romani coi Vajenti, furono trecento che lasciarono la vita solamente di questa famiglia. Onde quei versi:
. Tutti gli scrittori greci ebbero pure lodi per il fico. Era tradizione che fosse la passione di Ercole. Platone era sopranominato l'amante delle uve e dei fichi. Galeno, che non mangiava frutto alcuno aveva delle tenerezze pel fico e per l'uva, che chiamava meno inutili, e ne proclama le virtù, tra le quali
. Tutti gli scrittori greci ebbero pure lodi per il fico. Era tradizione che fosse la passione di Ercole. Platone era sopranominato l'amante delle
. — Cap. 4, v.3, 13. I fiori del melagrano si veggono rappresentati su alcune medaglie fenicie e cartaginesi, e sulle monete tirrene. I frutti si rinvennero talvolta accanto alle mummie, nei sepolcri egizi. Il melagrano fu portato in Italia nel tempo delle guerre cartaginesi, e forse fu detto Punica perchè venne da Cartagine. Il vocabolo Punica è quanto cartaginese, e viene dalla corruzione di Phoenix, perchè i cartaginesi ebbero origine dai Tiri Fenicii che guidati da Elisa o Didone, vennero in Africa a fuggire la persecuzione di Pigmalione, ed a Cartagine i melagrani venivano numerosi e grossissimi. Il melagrano, à dato il nome a Granata in Spagna — dove era specialmente coltivato. Erano celebri nel 1600
Punica perchè venne da Cartagine. Il vocabolo Punica è quanto cartaginese, e viene dalla corruzione di Phoenix, perchè i cartaginesi ebbero origine dai
. I Greci poi raccontano del pomo cose orribili. Giove unì in nozze un bel giorno la dea dei mari, Teti, con Peleo, dal quale matrimonio nacque poi il bollente Achille. Quelle nozze furono celebrate con gran pompa e alla presenza di tutto l'olimpo au complet. Tutte le divinità infernali, aquatiche e terrestri ebbero, non solo il fairepart, ma ufficiale invito d'intervenire. Una dea sola fu esclusa: la dea Discordia. E questa, per vendicarsi, al momento dei brindisi, comparve nella sala del banchetto e buttò sulla tavola un bellissimo pomo, dicendo: «Alla più bella di voi,» e sparì. Giunone, Pallade e Venere, ch'erano difatti le più belle, si guardarono per traverso, e ognuna di loro pretendeva quel pomo. Giove, che in quel giorno non voleva seccature, mandò a chiamare Paride, un bel giovinotto, e lo fece arbitro della bellezza di quelle concorrenti. Tutte e tre fecero gli occhietti a quel giovinotto, ma egli consegnò il pomo a Venere, lasciando le altre due con tanto di naso. Venere ebbe il pomo, ma Giunone e Pallade lo conciarono poi per le feste, e tanto fecero che andò a finir male. Rubò Elena, fu assediato e vinto a Troja, e ferito da Pirro, andò a morire sul monte Ida. Tutto, per quel pomo che dappoi fu chiamato il pomo della Discordia. Nè qui finisce la storia di quel pomo. Venere, in quel giorno, almeno per galanteria, doveva cederlo a Teti, che sedeva in capo tavola, sposa festeggiata, ma fe' la sorda e se lo mise in saccoccia. Naturalmente Teti l'ebbe a male alla sua volta, e se la legò anche essa al dito. Avvenne che Venere discese un giorno sulle rive delle Gallie a raccogliere perle e un tritone le rubò il pomo che aveva deposto su di un sasso, e lo portò a Teti. Questa lo prese, lo mangiò e buttò i semi in quella campagna a perpetuare il ricordo della sua vendetta e del suo trionfo. Ecco perchè, dicono i Galli-celti, sono tante mele nel nostro paese, e perchè le nostre fanciulle sono così belle! Questa seconda parte l'aggiunge Bernardin de S. Pierre, magnificando le bellissime mele della Normandia. Al pomo i nostri fratelli svizzeri attaccano la storiella di Guglielmo Tell, e al pomo che cadde sul naso a Newton, mentre riposava in giardino, dobbiamo la scoperta dell'attrazione. La quale attrazione, del pomo, era già scoperta migliaia d'anni fa da Eva. Ed è per questa attrazione che il re Wadislao di Polonia fuggiva e cadeva in deliquio alla vista di un pomo. Il nostro popolo, prende il pomo come il tipo della rotondità (rotond come un pomm) della somiglianza (vess un pomm tajaa in duu), del vino fatto colle mani (vin de pomm), della paura (pomm-pomm), degli avvenimenti necessari (el pomm quand l'è madur, bisogna ch' el croda); infine dell'arma più pacifica per sbarazzarsi da un seccatore (fa córr a pomm). Proverbi sul pomo:
e terrestri ebbero, non solo il fairepart, ma ufficiale invito d'intervenire. Una dea sola fu esclusa: la dea Discordia. E questa, per vendicarsi, al
A comodo dei non enologi voglio delineare i suoi frutti in uve bianche e nere, a sapore semplice e a sapore profumato, infine in uve da tavola e uve da vino. La vite dopo quarant' anni comincia a deperire. Fiorisce in maggio e matura, a seconda della qualità e particolari condizioni, da agosto ad ottobre. Si coglie a maturanza perfetta e perfettamente asciutta tanto per mangiarla allo stato fresco, come per conservarla o farne vino. La Mitologia dice che i primi propagatori della vite furono Osiride e Bacco e le prime vigne furono piantate nelle isole dell'Arcipelago greco, dedicandole agli Dei. È evidente che nè Greci, nè Romani ebbero notizie di Noè. I più antichi botanici pretendevano che la vite fosse originaria dall'Asia, che i Fenici l'avessero importata nelle isole dell'Arcipelago,
Dei. È evidente che nè Greci, nè Romani ebbero notizie di Noè. I più antichi botanici pretendevano che la vite fosse originaria dall'Asia, che i Fenici
Nè lo zuccaro si estrae solo dall'arundo saccarifera. Abbiamo lo zuccaro di barbabietola, di castagne, d'uva, di latte, e trovasi pure nei succhi di molte piante, nelle radici, nei frutti e persino nelle carni di animali. Il diverso sapore o colore dipende dalla sua purezza, dal grado più o meno intenso di dolcezza, perchè da qualunque origine pervenga, quando è puro, è sempre la stessa cosa e non avvi differenza tra zuccaro e zuccaro. La scoperta dello zuccaro di barbabietola è dovuta al tedesco Margraff; il primo ad estrarlo in grande fu Achard di Berlino. Il metodo per ricavarlo, dopo ripetute esperienze, è stato perfezionato in Francia. Non si riduce che con estrema difficoltà alla bianchezza, asciuttezza e cristallizzazione di quello di canna. Anche da noi abbiamo tali fabbriche. Quello di castagne è di una cristallizzazione assai minuta, è molle, biondo, dolcissimo con legger sapore di castagna: si può ridurlo in pani. Lo zuccaro di latte si fabbrica in grande nella Svizzera, è bianchissimo, cristallizzato in piccoli cubi, poco solubile nell'aqua fredda, solubilissimo nella calda, di sapore dolciastro, senza odore quando è ben puro. Si adopera come alimento e come medicamento. Lo zuccaro di uva non à forma regolare, è in piccoli tubercoletti, in bocca produce prima una sensazione di fresco, indi un sapor zuccherino debole, così che ne abbisogna doppia quantità. Lo spirito di vino e l'aqua lo sciolgono più a caldo che a freddo. Questi zuccari ebbero interessante commercio in Europa al tempo del famoso blocco di Napoleone. Oggi quello solo di barbabietola à larga parte in commercio. Lo zuccaro si adultera con spato pesante, gesso, creta, farina, destrina, ma queste frodi sono possibili solo collo zuccaro in polvere od in pezzi (pile) e si devono in generale attribuire ai negozianti rivenditori. Del resto, tali materie si tradiscono facilmente, perchè sono insolubili. Acquistate il vostro zuccaro in pani, o madri di famiglia, perchè in pani, la frode è quasi incompatibile colle singole e molteplici operazioni di quest'industria. Lo zuccaro si sofistica pure col glucosio. Il glucosio è altra delle varietà di zuccaro e si prepara generalmente trattando l'amido, o fecola di patate con acido solforico o cloridrico. Quando è chimicamente puro, cioè affatto esente da sostanze eterogenee, non presenta altra differenza dello zuccaro di canna se non che nella sua virtù dolcificante, la quale sarebbe un terzo appena. Ma raramente il glucosio è purissimo, e spesso lo si trova nello zuccaro grasso, a cui si ricorre per economia. Oltre alla mancanza di sapore, c'è a temere sia nocevole; attenetevi dunque allo zuccaro in pani. L'adulterazione dello zuccaro col glucosio è fatta su una scala enorme in America.
, così che ne abbisogna doppia quantità. Lo spirito di vino e l'aqua lo sciolgono più a caldo che a freddo. Questi zuccari ebbero interessante