In questi spaziosi ed ameni soggiorni, si alternava il passeggio al riposo, quando all'ombra e quando al sole, ed, aumentato il lusso e le comodità della vita, divennero parti essenziali delle cittadinesche abitazioni, a segno che, una casa, per quanto ornatissima, mancante di orticello, non casa «ma tenebroso ergastolo» si chiamava. I romani chiamavano ogni villa col nome di orto, onde Plinio, nel trattato delle 12 tavole delle leggi, sempre nomina la villa colla parola hortus. È da notarsi che con hortus, al singolare, i latini volevano indicare propriamente quella porzione di terra cintata, ove venivano coltivati gli ortaggi; mentre col plurale di horti si volevano chiamare quei luoghi di passeggioe di convegno, che erano rallegrati dall'ombra delle piante. Così gli orti Pompejani, Luculluiani, Sallustrii, dei Cesari, di Mecenate, ch'erano come i nostri giardini pubblici. ì piccoli orti del basso popolo chiamavansi macelli, perciò Varrone chiamava macellato gli orti degli Jonj a spregiarne la loropiccolezza — egualmente che il foro olitorio, perchè forniva di erbaggi la plebe, dicevasi pure macello. Col vocabolo foro olitorio (il nostro verzee) dalla voce generica olus, colla quale i romani comprendevano qualunque erba sativa che vi si vendesse — ed olitarii erano chiamati gl'istrumenti che servivano alla coltura degli orti, a sradicare le piante, come la marra, la pala, il bidente, ecc. Così d'altre distinzioni notissime, come gli horti herbarii medicinales, destinati alla coltura di varie piante che servivano alla cura di malattie — gli horti alvearii o mellarii, dedicati unicamente alla coltura delle api — gli horti sacri, con voce greca chiamati hierocipis, ove con molta cura si educavano le piante favorite dalle divinità, e di cui facevasi uso nelle sacre pompe, nelle libazioni, nei sacrifizi, nei trionfi, nei mortorii dei magnati e dei cittadini più distinti — cose tutte di cui in seguito se ne confuse la denominazione, e furono riassunte nella voce orto. Ond'è che Orto significa quel terreno, reso utile da una raffinata coltura delle erbe e delle piante, di cui si fa uso più comune — per cibo e condimento — mentre il Giardino, più che all'utilità, bada alla bellezza e rarità delle piante, alla vaghezza dei fiori, che ogni stagione produce.
, a sradicare le piante, come la marra, la pala, il bidente, ecc. Così d'altre distinzioni notissime, come gli horti herbarii medicinales, destinati
Colla parola verdura, in generale, si designa tutto ciò che di verde dà l'orto e che serve a nutrimento. Propriamente però, la verdura è tutto ciò che è erbaceo, mentre col nome di legume designansi, dai botanici, quelle piante il cui seme è chiuso in gusci o baccelli. È verdura, dunque, il prezzemolo, la lattuga, la cicoria, l'asparago, i cardi, l'articiocco, il cavolo, ecc. È legume il fagiolo, la fava, il pisello, la lente, il cece, ecc.
prezzemolo, la lattuga, la cicoria, l'asparago, i cardi, l'articiocco, il cavolo, ecc. È legume il fagiolo, la fava, il pisello, la lente, il cece, ecc.
In generale tutti gli erbaggi dell'orto che voglionsi conservare, devono essere raccolti di recente e ben maturi. Le piante e le radici succose si devono prima scottare, immergendole nell'acqua bollente per qualche minuto, poi conviene gettarle nell'acqua fresca, asciugarle e farle disseccare o al sole, o al forno; preferite il forno. Gli erbaggi si tagliano a pezzi, si mondano, e si dispongono su graticci, così preparati si mettono ad essiccare, e si conservano in luogo fresco e ventilato. I legumi che si essicano per l'inverno, spesso vengono avariati dagli insetti. A riparare tal malanno lavate i vostri legumi nell'acqua fredda appena colti, e fateli seccare perfettamente al sole. Tutti gli insetti già sviluppati nei legumi ne sfuggiranno e quelli che non lo sono ancora non si svilupperanno altrimenti. A cocere più presto le rape e le carote, devono essere tagliate per il lungo, e a far perdere l'odore troppo forte delle cipolle, pei delicati, sarà bene metterle per un momento nell'acqua calda salata, avanti cucinarle. Finisco con due parole sulla digeribilità. Quante calunnie si son dette, si dicono e si tramandano sul valore digestivo di questi eccellenti prodotti della vegetazione! Il tale, la tale non può digerire i fagioli, il citriolo, l'aglio, la cipolla, le castagne, ecc.; dunque sono indigesti, e si dà la colpa a questi poveri innocenti che nascono per la salute e conservazione nostra! Nè solo si accontentano, quel tale e quella tale di calunniarli, ma li proscrivono dalla loro casa e ne predicano l'ostracismo ai figli, ai parenti, agli amici e guardano biechi chi fa loro orecchie da mercanti. No, la colpa è dello stomaco di questi tali signori e di queste tali signore. Ma lasciateli, se vi fanno male, non diteli indigesti. Lo sono per voi, per altri sono invece tanta bona nutrizione e beata salute. Come abbiamo tutti una faccia nostra, così tutti abbiamo il nostro stomaco, che è un vero laboratorio chimico, una vera officina di acidi e di sughi chilifici. E chi ne à bisogno uno e chi un altro — a chi ne sopravanza di quantità, a chi ne manca di qualità; e l'istinto, il gusto, l'appetito, ci suggeriscono appunto ciò che ci è necessario ad equilibrare ed ordinare le funzioni del nostro individuo. Perchè voi siete brutto non vuol dire che tutti sieno brutti. Ah! quel benedetto io, che è padre dell'assoluto e dell'intolleranza!
vegetazione! Il tale, la tale non può digerire i fagioli, il citriolo, l'aglio, la cipolla, le castagne, ecc.; dunque sono indigesti, e si dà la colpa a
Ateneo scrive, che era proibito a chi mangiava aglio di entrare nel tempio di Venere. Era proverbio, che chi ama il quieto vivere, non mangi nè aglio nè fava, intendendo l'aglio per la guerra, la fava per i negozi pubblici. Nel 1368 Alfonso di Castiglia aveva istituito un Ordine cavalleresco, i cui membri si obbligavano a non mangiarne o a star lontani dalla Corte, per un mese, in caso di infrazione alla regola. Ora quell'Ordine non esiste più, ma è del bon ton il disprezzato, e a darsi poi per non intesi ogni volta che il cuoco lo appone mascherato, per regola d'etichetta. Checche però se ne dica dagli schifiltosi, un po' d'aglio è necessario e dà sapore a molte salse e conce, ai brodi, alle carni, al salame, ecc., ed è sano. Esso aumenta l'appetito e facilita la digestione. Forse per le sue proprietà toniche, ad alcuni serve come di febbrifugo. È anti-epidemico. Il suo sugo, o il latte bollito col bulbo è vermifugo. Raspail lo suggerisce contro il cholera. Entra nella composizione dell'aceto dei quattro ladri.
dica dagli schifiltosi, un po' d'aglio è necessario e dà sapore a molte salse e conce, ai brodi, alle carni, al salame, ecc., ed è sano. Esso aumenta
L'Ananasso, o anche Ananas coronato, è frutto della Bromelia, così detta dal botanico svedese Bromel, al quale fu dedicata. È frutto dei paesi caldi, e più propriamente dell'America tropicale, e lo si coltiva da noi nelle serre. Non fiorisce che il terzo anno dopo la piantagione e per maturare abbisogna da 4 a 6 mesi. Matura generalmente in agosto. Nel linguaggio delle piante Perfezione. Àvvene molte varietà, che vengono indicate dal colore del frutto, dalla sua forma, ecc. Dalle foglie degli ananassi si ottengono fibre delicatissime per tessuti, dei quali se ne fa uso della zona torrida.
frutto, dalla sua forma, ecc. Dalle foglie degli ananassi si ottengono fibre delicatissime per tessuti, dei quali se ne fa uso della zona torrida.
È pianta erbacea annuale, sta tra il popone e la zucca e si coltiva come questa. Teme l'asciutta, ma la troppa acqua la rende ancora più insipida. La maturanza incomincia in luglio e continua a tutto agosto. Si propaga per seme che à virtù fino a 6 anni. Dal seme fresco nascono piante più grandi, ma da quello di due o tre anni, si ànno piante più fruttifere. Nel linguaggio dei fiori: Sei insipido. À frutto e carne zuccherata ed alquanto acidula, rinfrescante, frigida, estingue la sete. Ve ne sono varie qualità: la nostrana a semi neri, la napolitana a semi bianchi, dà frutto più piccino della nostrana, è di buccia più sottile e trasparente, à sapore più squisito, quanto più rossa ne è la polpa. V' è pure la specie moscatella, l'ovale, la gialla, ecc. L'anguria, o più propriamente cocumero (da Cucumis derivante pure dal celtico cucce, vaso, desunto dalla sua forma) non confà a tutti gli stomachi, è indigesta e dicono che regali quei casi di colera, che viene denominato sporadico. Alcuni medici vogliono che sia lassativo, rinfrescante, ma è certo che è frutto insipido, che mangiandone bisogna unirvi del rhum o qualche liquore, e che bisogna mangiarne poco. Negli Stati Uniti l'anguria è coltivata su vasta scala. A conoscere l'anguria quando sia matura, c' è il proverbio:
gialla, ecc. L'anguria, o più propriamente cocumero (da Cucumis derivante pure dal celtico cucce, vaso, desunto dalla sua forma) non confà a tutti gli
Radice biennale indigena carnosa, tonda, zuccherina, originaria dalle coste eurepee dell'Atlantico e del Mediterraneo. Principali varietà: la campestre, rossa all'esterno, screziata di bianco e roseo all'interno, e la gialla oblunga e rotonda che servono specialmente per il bestiame. Le mangiereccie sono: la bianca di Slesia bianca all'interno ed all'esterno detta Beta Cycla (in francese Navet) che è quella che contiene maggior quantità di zuccaro, e la rossa preferita per gli usi domestici ed è la più nutritiva, ma è pur quella che ingrossa meno. La barbabietola contiene il 88 % di acqua. Si spargono i semi in febbraio e marzo, in terreno fresco, profondo, pingue. I semi ànno virtù geminatrice fino ai 6 anni. Si colgono i frutti in agosto. Si mangia cotta (meglio al forno) condita in insalata, col sedano, la patata, le cipolle, col crescione. Serve di horsd'oeuvre, colle olive, le sardine, ecc. La vogliono alquanto indigesta. Dalla barbabietola Cycla, quando è novellina, se ne levano le foglie dette da noi erbette che si mangiano bollite, e servono nella minestra e a marinare le zuppe. I suoi nervi, quando è invecchiata, diconsi da noi cost (in francese còtes de poirèesj, e si mangiano concie con burro, sale e cacio, richiedono molto condimento e le foglie (bied) vengono pure usate nelle zuppe e negli erbolati (scarpazza) e nelle medicazioni vescicatorie. La barbabietola attualmente è coltivata in grande, onde cavarne zuccaro. Troviamo nominata la barbabietola da antichissimi autori, ma con poca lode.
sardine, ecc. La vogliono alquanto indigesta. Dalla barbabietola Cycla, quando è novellina, se ne levano le foglie dette da noi erbette che si mangiano
In Francia è usata nelle malattie flogistiche, nella nefrite, ecc. L'uso continuato diminuisce il latte. Se ne fa succo, decotto ed infuso. Quello dei fiori è alquanto aromatico. Colà pure, dalla fermentazione del sugo, se ne ottiene un liquido vinoso, di sapore gradevole, di colore bruno chiaro,
In Francia è usata nelle malattie flogistiche, nella nefrite, ecc. L'uso continuato diminuisce il latte. Se ne fa succo, decotto ed infuso. Quello
Pianta di circa quindici piedi d'altezza, sempre verde, dell'America tropicale, somiglia al limone. Dà fiori piccoli, giallognoli. Si coltiva come il caffè. Nel linguaggio delle piante: Salute. I frutti bislunghi di questa pianta, simili a piccoli citrioli, racchiudono in una poltiglia agro dolce molti semi bianchi (fino a 40), a foggia di mandorle. Questi semi o grani, divenuti di color bruno, grazie ad una specie di fermentazione, sono quelli che in commercio, vengono sotto il nome di grani, semi o fave di cacao, e che torrefatti od abbrustoliti convenientemente si mangiano e servono a preparare confetture, e misti collo zuccaro e droghe, massime vaniglia e canella, servono pure alla fabbricazione della Cioccolatta. I grani del cacao si raccolgono a perfetta maturanza in giugno e dicembre, e in tale stato la polpa che avviluppa i semi è morbida, addotta, piacevole, molto rinfrescante e salubre, che gli indigeni trasformano in liquore vinoso, bevanda graditissima. Anche nel nord della Francia, nel Belgio e in Olanda colle corteccie del cacao si prepara una bibita salubre e piacente. Gli involucri e i germi si utilizzano dagli indigeni per nutrizione dei montoni e come ingrasso. Inoltre dalle sementi si cava un olio che ha la consistenza del burro e si chiama burro di cacao, che è un eccellente cosmetico. Si amministra internamente negli organi della digestione, respirazione e dell'apparato orinario, esternamente nell'intestino retto, perstitichezza, emorroidi, screpolature delle labbra, mammelle, ecc., e viene spesso falsificato con sego, midollo e cera. Del Theobroma se ne conoscono da 15 a 18 specie, delle quali le principali sono: la Bicolor, la Guajanense, la Cacao e la Speciosum. Dalla Cacao e Guajanense se ne cava il cacao del commercio. Le regioni che danno il cacao migliore sono Soconusco nel Messico, i cui grani di scarto servono per moneta, ed Esmeralda nella Repubblica dell'Equatore, ma diffìcilmente quel cacao arriva fino a noi. Dopo viene il Caracca, delle Antille, S. Domingo, Giammaica. Nel 1518 all'epoca della conquista del Messico, il cacao era la principale alimentazione del popolo Messicano. Il suo nome di Theobroma, dal greco — da Theos, Dio, e da broo per brosco, mangiare — Cibo divino. Fu Linneo che lo chiamò cosi — alcuni dicono perla sua passione alla cioccolatta, altri per deferenza al suo confessore, altri ancora per galanteria, essendo stata una regina, Anna d'Austria, che per la prima la introdusse in Francia.
delle labbra, mammelle, ecc., e viene spesso falsificato con sego, midollo e cera. Del Theobroma se ne conoscono da 15 a 18 specie, delle quali le
La Canella appartiene alla famiglia dei Lauri, è un albero sempre verde, ramosissimo (s'alza fino a 10 metri) del Ceylan, Borneo, Malabar e Martinica. È detta canella, quasi canna, del suo accartocciamento. Vien però chiamata Cinnamomo e Chiamo, che vuol dire legno odoroso. Quella del Malabar chiamasi pure Laurus cassia. La sua scorza, o corteccia, privata di epidermide e di sottostante tessuto è la droga da noi conosciuta sotto il nome di canella, che, verde sopra l'albero, diventa bruno-rossa essicando. À un odore aromatico, grato, penetrante, sapore caldo, piccante, zuccherino. Dà fiori in gennaio piccoli, numerosi, profumati, biancastri in pannocchia terminale. Si moltiplica per margote e da noi è vegetazione di serra calda. Nel linguaggio dei fiori e delle piante, significa: Adorazione. I giardini o boschetti di canella somigliano i nostri boschi cedui. Nel Goylan la raccolta ascende a 140 chilogrammi ogni anno. La canella del Ceylan, i cui principi attivi sono solubili nell'acqua e nell'alcool, è giornalmente impiegata nella medicina, nella farmacia e nell'economia domestica. Nella medicina si associa utilmente alla china, all'assenzio, ecc., nella debolezza di stomaco, nelle diarree croniche, nell'ultimo periodo delle febbri atassiche o di tifo, nella salivazione spontanea, ecc. I farmacisti apprestano con essa gran numero di preparazioni, un decotto, uno sciroppo, una tintura, un'acqua distillata, ecc. di uso assai frequente, e bene spesso per coprire l'odore ed il sapore disaggradevole di altri farmachi. Tutti conoscono l'uso che ne fanno i profumieri, distillatori, caffettieri, e i cuochi nel loro laboratorio gastronomico. La canella è droga che si unisce a molti manicaretti, sì di carne che di verdura e frutta. È eccitante, tonica, cordiale. In commercio generalmente si trova quella della China, di Sumatra, di Cajenna e del Malabar, ma quella del Ceylan (di un colore cedrino-biondo, corteccia sottile, ravvolta in sè), detta anche della Regina, è la più apprezzata di tutte. Dopo quella del Ceylan viene in secondo rango, per bontà, quella di Cajenna: quella della China è l'infima. Si falsifica mescolandola con qualità inferiori, o con false canelle, o vendendola già spoglia del suo aroma. Frodi più gravi si fanno colla canella in polvere, con farine, polvere d' altri legni, mattoni pesti, ocre, sabbia, ecc. Dalla canella si ricava un olio volatile, aromatico, che serve per liquori e confetture. Dai fiori pure e dalle foglie si estrae un'acqua spiritosa. Col nome di Cinnamomum, fu conosciuta dagli antichi ed era, fra le altre droghe, articolo di commercio ricercato e prezioso. Tutti gli autori ne fanno menzione. Salomone parlando alla sposa, nei Sacri Cantici, le dice:
medicina, nella farmacia e nell'economia domestica. Nella medicina si associa utilmente alla china, all'assenzio, ecc., nella debolezza di stomaco
il suo nome, che viene dal greco, significa Forza. AlItri lo vogliono dal latino cicer, da ciendo urinam, onde fu cantato: Cit, cicer extergit, ecc. Pianticella annuale, indigena, della Spagna e dell'Italia. Si semina in aprile e maggio in buona esposizione, fiorisce dal giugno al luglio, si raccoglie alla line d'agosto. La virtù germinativa si conserva fino ai 6 anni. Plinio (libro 18, cap. 12), vuole che non si semini se prima non sia stato immerso per qualche tempo nell'acqua grassa del letame o fatta col metter del letame nell'acqua.
il suo nome, che viene dal greco, significa Forza. AlItri lo vogliono dal latino cicer, da ciendo urinam, onde fu cantato: Cit, cicer extergit, ecc
così nel suo rapporto. Per i bambini se ne prepara ancora uno sciroppo disostruente. Nell'Olanda, nella Fiandra e in alcuni dipartimenti francesi viene coltivata in grande, onde colle radici torrefatte, fabbricarne quella porcheria che si chiama caffè cicoria, che à invaso tutto il mondo. Chevallier dice che la sola Francia ne consuma annualmente sei milioni di chili. Le prime fabbriche di caffè di cicoria furono fondate in Olanda nel 1772. Anche questo viene falsificato con fondi di caffè, con terra, fave torrefatte, ecc. Dalla pianta della cicoria se ne cava una tintura gialla. Uno scrittore francese del 600 ci tramanda che le signore nobili ne bevevano il decotto onde diventar belle e di colore allegro. Due ricette di Dumas:
. Anche questo viene falsificato con fondi di caffè, con terra, fave torrefatte, ecc. Dalla pianta della cicoria se ne cava una tintura gialla. Uno
si fa nascere su letto caldo e si trapianta in aprile in luna vecchia. Avvene molte varietà: Il bianco grosso, da insalata, il piccolo, per aceto, il giallo precoce, il tondo a pelle ruggine ricamata, che à carne fina bianchissima, il verde lungo inglese, quello d'Atene, ecc. Il citriolo à odore suo proprio, raccogliesi il frutto acerbo, o mal maturo, e ridotto in fette si mangia in insalata con olio, aceto, sale e pepe. I piccoli si mettono in conserva nell'aceto, per mangiarli colla carne a lesso. I citrioli, per molti sono indigesti, per molti altri, rinfrescanti. Se cotti amano il lardo. Si fanno farciti come le zucche e servono come guarnizione. Dei citrioli tutti ne dissero male. Fu sempre reputato un cibo difficile a digerirsi. Galeno voleva che si abolisse dai cibi dell'uomo, come la più iniqua delle vivande, e Plinio asseriva che gli restava sullo stomaco fino al giorno dopo. Nerone ne era ghiottissimo e Tiberio ne mangiava ogni giorno, ma cotti. I milanesi per dire che una cosa vai poco, ànno il proverbio: la var trii cocùmer e un peveron. E per dare dell'imbecille ad alcuno lo chiamano un cocùmer. I citrioli erano una delle dolci rimembranze egiziane degli Ebrei nel deserto. Una ricetta di Dumas:
giallo precoce, il tondo a pelle ruggine ricamata, che à carne fina bianchissima, il verde lungo inglese, quello d'Atene, ecc. Il citriolo à odore
Il Crescione è erba indigena dell'Europa, che fiorisce da maggio a luglio (fiorellini bianchi) in luoghi per lo più umidi, lungo i ruscelli, i fiumi, le roccie. Ama l'esposizione del nord e si risemina da sè. Nel linguaggio dei fiori: Piangere. I semi durano fino a 5 anni. Fornisce una saporita e sana insalata; per alcuni è però indigesta; meglio mescolarla alla cicoria. La si coce anche per zuppa e minestra, ma cotta perde molto della sua virtù. I rami fioriti, principalmente le foglie ànno sapore acre amarognolo che rammenta il ramolaccio, e sfregate mandano un odore forte, penetrante. È eminentemente antiscorbutica, e giova nelle affezioni miasmatiche o catarrose, nel reumatismo cronicopratico. Contiene poca materia nutritiva, eccita l'appetito ed al dire del Comi, è un rimedio per l'emeralopia ossia lesione della vista, che consiste nel non poter distinguere gli oggetti che quando sono illuminati dal sole. Il succo serve pure a togliere la xerasia altro nome difficile, che significa secchezza dei capelli. I francesi ne fanno guarnizione all'arrosto, e conserve, elisiri, ecc. In Romagna si chiama canei. Scaligero, alla vista del crescione, pativa le convulsioni.
guarnizione all'arrosto, e conserve, elisiri, ecc. In Romagna si chiama canei. Scaligero, alla vista del crescione, pativa le convulsioni.
Il Dattero, o Dattilo, è il frutto della palma oriente, albero sempre verde della Barberia, Egitto, Giudea, Siria, America meridionale e di molte parti dell'Africa. È diritto, arriva fino ai 40 metri d'altezza, e talvolta all'età di 200 anni e può portare più di 100 chilogrammi di frutto. Il suo legno è amaro e il frutto dolce. Da noi è pianta da serra calda. Si propaga per semi, che con molto calore nascono dopo 6 settimane. Non dà frutti che dopo moltissimi anni. Il suo nome dal greco Dactulos, dito, perchè questo frutto rassomiglia l'ultima falange delle dita. Nel linguaggio delle piante significa: Riconciliazione. Le sue bacche, i frutti nocciolosi oblunghi, che danno le sue sommità, sono quelli che noi chiamiamo datteri. Si mangiano freschi e secchi — i freschi sono meno sani. A noi pervengono essicati e a bon mercato. È frutto saporito e di facile digestione, da dessert quaresimale. I migliori sono quelli d'Alessandria d'Egitto. Si condisce dai confetturieri — serve a fare uno sciroppo zuccherino e a prepararne, colla fermentazione, un liquore inebbriante, una specie di nettare o vino che una volta in Oriente era riservato ai soli sovrani. In Oriente il dattero è condimento di pane, e cibo ai quadrupedi. Coi semi torrefatti del dattero, si prepara un caffè in Francia, che per la sua innocenza può collocarsi al limbo. In medicina è adoperato come pettorale, raddolcente. Bonastre ottenne dai datteri, succilaggine, gomma, zuccaro e albumina. Il midollo della palma si mangia come un ghiotto boccone. Il calice dei fiori è adoperato come vaso da bere. I rami della palma, lavorati, si distribuiscono coll'ulivo, nella domenica chiamata delle Palme, in ricordanza dell'entrata trionfale del Salvatore in Gerusalemme. Le sue foglie servono a fabbricare corde, gomene, stuoje, cesti, ecc. In Spagna e Sicilia avvi la palma, ma in proporzioni molto modeste e i suoi frutti non riescono mai o quasi mai a maturanza. È questa la Palma che si dava ai vincitori delle battaglie — è di questa che ancor oggi corre il detto: Avere la palma, conquistare la palma. Del dattero ne parla Paolo Egineta e Senofonte nel 2.° libro della Spedizione di Ciro, che li cita come un cibo divino, riservato ai soli ricchi. Molti soldati di Alessandro il Grande ci avevano lasciata la pelle per averne fatto delle pelli. Fino d' allora si candivano perchè i freschi eran fin d' allora ritenuti indigesti e nocevoli ai denti — tanto che appena mangiato, si sciaquava la bocca. Dei datteri si dice:
, cesti, ecc. In Spagna e Sicilia avvi la palma, ma in proporzioni molto modeste e i suoi frutti non riescono mai o quasi mai a maturanza. È questa la
L'Endivia è sorella germana della cicoria; con lei divide la patria e la maniera di essere coltivata. È caratterizzata dalle foglie più o meno frastagliate e ricciute e dalla loro radice grossa e breve in confronto della cicoria. Nel linguaggio dei fiori: Non sono sola. S'imbianca, quando è giunta ad una certa altezza, legando le foglie intorno al gambo. Si conserva anche d'inverno ricoprendola con stuoje, ecc. Si mangia cruda in insalata ed anche cotta a modo degli spinacci, ecc. (Vedi ricetta in Cicoria).
ad una certa altezza, legando le foglie intorno al gambo. Si conserva anche d'inverno ricoprendola con stuoje, ecc. Si mangia cruda in insalata ed
), olezzare, d'onda la parola fragrantia e la nostra fragrante. Nel linguaggio dei fiori: Bontà perfetta, Delizia. Tutti conoscono la bellezza graziosa, la bontà salubre, il delicato profumo di questo primo bacio del sole alla terra. È uno dei frutti più preziosi, che abbondanti e spontanei somministrano i nostri monti. L'artificiale coltura ben riuscì a produrne di più appariscenti e grossi e ad acclimatarne di esotici, come la Grandiflora del Surinam e la Chiloensis od Ananas (introdotta in Italia nel 1774 dal maresciallo conte Della Torre, di Rezzonico castellano di Parma, ecc.) dell'America — ma non ad eguagliare le modeste, non meno che soavissime fragole che apporta alla città la graziosa montanina. Si mangiano sole, con zuccaro, rhum, vino e latte, il quale è da sconsigliare perchè gli acidi del frutto facilmente lo coagolano, al dire dei medici. È molto digeribile ma poco nutriente. Con opportuni processi se ne fabbricano conserve, sciroppi per gelati, ecc., un liquore vinoso ed un'acqua distillata, usata come cosmetico e come aromatizzante. La radice, i gambi e le foglie ànno virtù astringente e può usarsene il decotto nelle diarree e nell'ematuria. Il dottor Klekzinsky di Vienna insegna che colle foglie della Fragaria sylvestris raccolte tosto dopo la maturanza del frutto, ed essicate al sole, o leggermente torrefatte, se ne ottiene un infuso verdastro di odore gradevole, di sapore astringente, che ricorda il tè e che fornisce una piacevole bevanda dietetica (W. Med. Wochenscrift, 1885). È da fuggirsi la fragola dai paralitici e da quelli che soffrono disturbi cardiaci, erutazioni, pirosi. L'uso smodato provocato provoca eruzioni diverse alla pelle. Lobb osservò che diminuisce i calcoli, e Linneo che scioglie il tartaro dei denti, che egli stesso guarì dalla gotta col suo uso e ne scrisse una dissertazione De fragaria vesca. Ma lo svedese Cullen non gliela mena buona nel suo trattato di Materia medica. Geoffroy compendia in queste parole le virtù della fragola:
Surinam e la Chiloensis od Ananas (introdotta in Italia nel 1774 dal maresciallo conte Della Torre, di Rezzonico castellano di Parma, ecc.) dell
s. E l'altro contro chi promette molto e mantiene nulla: Verba pro farina. E i nostri: La farina del diavol la và in crusca. — L'è tutta farina de fa gnocc, per dire che è tutta la medesima cosa — L'è minga farina del so sacch, ecc.
gnocc, per dire che è tutta la medesima cosa — L'è minga farina del so sacch, ecc.
Il nome Fungo — dal greco Sphongos, spugna, a cagione della loro sostanza spugnosa, d'onde il Fongus dei latini — è dato a certe vegetazioni che si allontanano dalla comune, per natura, sostanza, forma, mancanza di foglie, di fiori. Clemente Rossi ne dà questa definizione (ve la do per debito di coscienza): II fungo è una pianta crittogama parassita, priva di consistenza erbacea. Nel linguaggio delle piante: Tradimento. Ve ne sono d'ogni grandezza, d' ogni forma: filamentosi, membranosi, schiumosi, tuberosi, a carne consistente, spugnosa, coriacea, sugherosa, compatta. Alcuni danno seme, altri no. Infinito il numero delle specie: se ne conoscono più di 3000 varietà, ve ne sono in famiglia, a gruppi, solitari. Aderiscono al suolo o sul corpo sul quale vengono, per mezzo di fibrille, che non sono radici. Esalano un odore particolare ed umido, che è comune a tutti, con alcune gradazioni fra le diverse specie. Il sapore non è meno variabile, ordinariamente è sapido, acre, bruciante, stittico, acido, nauseante, aromatico, a seconda del sugo del quale sono imbevuti. Amano luoghi boschivi umidi e grassi, vengono sulle sostanze vegetali ed animali in decomposizione. L'umidità calda ne genera lo sviluppo e la moltiplicazione, principalmente in autunno e primavera. Vogliono i climi delle zone temperate. Le stesse specie di funghi non compariscono indifferentemente in tutte le stagioni. L'Asia boreale, la Cina, l'America settentrionale abbondano di funghi. Ànno sviluppo rapido, istantaneo, compariscono da prima come piccoli filamenti o fibre, che poi si tumefanno e s'ingrossano e crescono tosto a vista d'occhio a formare il fungo perfetto. Questo primo stato si chiama carette o bianco di fungo. Una sola notte vede apparire migliaia di funghi, alcune ore, alcuni minuti bastano a diverse specie per pervenire al loro ultimo sviluppo. L'assenza della luce e un'atmosfera tranquilla accelerano singolarmente la loro moltiplicazione. Pervenuti alla maturità, emettono de' piccoli corpuscoli tondi, chiamati seminoli, è l'ultimo loro prodotto, come i semi nei vegetali. Sono finissimi, quasi polvere e situati sia nell'intera superficie, sia nella superficie superiore, sia internamente e vengono alle luce per laceramento o morte del fungo. La pioggia li fa deperire facilmente. Sono preda degli insetti e di alcuni animali erbivori, e i più avanzati in età, sono preferiti dagli insetti. È ammesso dai chimici che sono potentissimi agenti di ossidazione e d'azotazione. I commestibili contengono, secondo la varietà, da 84 a 94 parti d' acqua, il resto è un composto di sali e sostanze organiche, vale a dire olii essenziali, materie resinose, grasse, coloranti, zuccherine, acidi organici diversi, materie gelatinose, gommose, raramente fecula-cellulosa, di composti azotati, albumine, ecc.
organici diversi, materie gelatinose, gommose, raramente fecula-cellulosa, di composti azotati, albumine, ecc.
Altri sono eduli, altri velenosi. Teoricamente è impossibile dare una ragione, un indizio che distingue sicuramente gli eduli, dai velenosi. Bisogna affidarsi, più che al medico, alla conoscenza pratica locale delle specie, della forma, taglio, colore, aspetto, odore e sapore. I mangiabili, in una regione, sono talvolta velenosi in un'altra e viceversa. Alcune specie che si mangiano in Italia, sono dannose in Francia, d'onde i frequenti dispareri dei micologi. A migliaia sono gli scienziati che ne parlarono, e tra questi il milanese Vittadini (1)., ma finora la scienza non à detto l'ultima sua parola. S'è bensì trovata la maniera di coltivarli, ma su tanta specie di funghi saporiti, appena s'è riescito di coltivarne le meno pregiate e anche queste con un premio abbastanza insipido. Il progresso verrà, non dubitiamone. Ma frattanto, occhio alla padella! In gerale, rifiutare tutti i funghi non sani, o che cominciano a decomporsi, quelli che rotti tramandano un'umore lattiginoso, che crudi sono acri, che tingono in rosso la carta azzurra, che presentano una superficie viscosa, od umida, o macchiata, o brinata, che cambiano di colore rompendosi. In generale, i mangerecci non ànno odore, o l'ànno grato, non tutti cangiano colore quando sono spezzati. Non vi affidate mai ai volgari esperimenti che i funghi velenosi anneriscono il geniale d'argento, la cipolla, il prezzemolo, ecc. — Pregiudizio credere che siano venefici quelli che nel cocere anneriscono l'argenteria, giacchè tale annerimento è prodotto dall'acido ossalico, comune a tutte le sostanze albuminose, per conseguenza anche ai funghi mangerecci.
geniale d'argento, la cipolla, il prezzemolo, ecc. — Pregiudizio credere che siano venefici quelli che nel cocere anneriscono l'argenteria, giacchè tale
Il Ginepro è un arboscello che diventa anche albero dell'altezza di cinque, sei metri, sempre verde, indigeno, ama esposizione poco soleggiata, terreno leggero, esiste a qualunque freddo. Non vegeta bene in luogo umido, anzi vi perisce, vuol vivere e crescere nelle più aride ed alte montagne, fra ciottoli e pietre. Dà fiori giallicci in maggio cui seguono, sugli arboscelli femmine, frutti sferici piccoli di un azzurro nericcio, che maturano l'anno susseguente. Si propaga per seme ed innesto. I botanici ne contano 85 varietà, fra le quali il comunis che è quella dei nostri monti. Il suo nome dalla radicale celtica nup, che significa aspro, ruvido. Nel linguaggio delle piante: Asilo, soccorso. Le sue bacche o frutti ànno un gusto aromatico, dolce-amaretto e contengono della vera tiberintina. Si usano in cucina per aromatizzare le carni, principalmente quelle che si vogliono conservare, come lingue, coppe, ecc. Si mettono nella salamoja, in salse e conce, e servono a dar gusto ai selvatici, e a far diventare tordi i merli. I tordi e le grive ne sono ghiottissimi e la loro carne à sapore di ginepro. Il liquorista ne usa per aromatizzare liquori, vini, birra. Se ne fa un estratto, un'acquavita di ginepro detta gin, molto in uso in Inghilterra; da noi se ne fa della buona sul bergamasco. Il ginepro dà un olio essenziale, di cui è ricchissimo, adoperato in distilleria e farmacia. Dai vecchi tronchi del ginepro geme una resina secca e trasparente, di odor soave che si brucia, nota sotto il nome di sandracca, la quale viene adoperata anche per fare una vernice liquida. Il legno, tenace assai e durevole, quasi incorruttibile, serve per molti lavori da falegname e intarsiatore. La medicina assegna alle sue bacche virtù toniche, stimolanti, diuretiche, diaforetiche, antierpetiche. Ne fa una infusione col vino e coll'acqua e le distilla, ne compone un rob attivissimo nelle inappetenze e flatulenze. Fanno parte di molti composti e segreti polifarmaci e costituiscono la base principale del vino diuretico Trousseau. Si usano le frizioni coll'olio contro i dolori reumatici e le contusioni. Bruciato il suo legno insieme alle foglie ed alle bacche dà una fiamma viva allegrissima, sparge una grata fragranza, serve a disinfettare camere e locali, ad allontanare le zanzare, e il cotone e le lane ben imbevute del suo fumo si applicano con frutto a doglie reumatiche e gottose. I montanari bruciano il ginepro alla vigilia di Natale per allegria. Le ceneri ànno pure virtù diuretica, dovuta ai sali che contengono. Giobbe, ridotto all'ultima miseria si lamenta che vien deriso anche da quelli che, miserabili alla lor volta, si cibavano perfino delle radici di ginepro. (Cap. 30, 4).
, come lingue, coppe, ecc. Si mettono nella salamoja, in salse e conce, e servono a dar gusto ai selvatici, e a far diventare tordi i merli. I tordi e le
Il suo nome dall'ebraico Ezop. È una pianticella perenne, erbacea, semi-legnosa, originaria dalla Siria, che somiglia il timo, dal quale divide le proprietà e le virtù. Si conoscono 4 varietà. Ama terreno sostanzioso, ma leggiero — si moltiplica per semi, divisioni di radici e per getti. Bisogna rinnovarla e dividerla ogni due o tre anni, perchè invecchia — à fiori tutta la state, ordinariamente bleu, qualche volta rossi e bianchi. Nel linguaggio dei fiori: Purezza. Le sue foglie e le estremità fiorite anno sapore amarognolo, caldo, aromatico, odore fragrante gradevole. Serve in cucina a dar gratissimo sapore alle carni cotte in stufato, a quelle crude che si essiccano, come lingue, coppe, ecc.; aromatizza l'aceto, lo si adopera per profumeria, per medicina. À virtù tonica, stomatica, espettorante, risolutiva, vermifuga.
gratissimo sapore alle carni cotte in stufato, a quelle crude che si essiccano, come lingue, coppe, ecc.; aromatizza l'aceto, lo si adopera per
Piccolo arbusto perenne a foglia caduca, che cresce spontaneo in molti paesi d'Europa, e singolarmente nei climi temperati e freddi. Viene in piena terra, vuol terreno fresco, sabbioso, sostanzioso, esposizione di tramontana, ombreggiata alquanto. Dopo 8-10 anni comincia a deperire. Da Maggio a Giugno à fiori rossi o bianchi, pelosi, in piccoli corimbi, ai quali succedono frutti rossi, vellosi. Si moltiplica dividendo le radici in autunno. È detto Rubus idoeus dal monte Ida dove i Greci, teste Dioscoride, asseriscono d'averlo scoperto i primi. Nel linguaggio dei fiori: Dolcezza di linguaggio. Deve essere colto appena sia maturo, perchè facilmente si guasta e cade. Il lampone è uno dei frutti più salubri e profumati; è succoso, rinfrescante, di sapore gratissimo. È suscettibile di fermentazione vinosa, acida alcoolica. Contiene un olio essenziale solubile nell'alcool e nel vino, ma non nell'acqua. Se ne fa sciroppo col succo solo; unendovi l'aceto se ne à l'acetosa che è gradevole e rinfrescante. Le foglie sono astringenti, i fiori diaforetici. I frutti si mangiano crudi col vino e la panna, collo zuccaro se ne compongono conserve, sorbetti, gelatine, ecc. Si candiscono, danno profumo ad acquavite e liquori — se ne fa aceto e si adoperano per aggiunger forza e fragranza a quello di vino. Il nome di Fambros viene da Ambrosia per il grato sapore che lascia in bocca. Dai Romani era chiamata Mora Vaticana e la mangiavano condita di molto zuccaro.
diaforetici. I frutti si mangiano crudi col vino e la panna, collo zuccaro se ne compongono conserve, sorbetti, gelatine, ecc. Si candiscono, danno
La Môra (Rubus fructicosus vulgaris). Mil.: Mòra. — Fr.: Mure de ronce. — Ted.: Brombeere. — Ingl.: Blackberry. — Spagn.: Mora. Prugnola del rovo il cui arbusto, ovunque diffuso, dà fiori bianchi o rossicci da maggio in avanti, e frutti neri. Nel linguaggio dei fiori: Gelosia, Rimorsi, Invidia. La môra à sapore dolce quando è matura. Una volta serviva a comporre elettuario per le tossi e male di gola, detto sciroppo diamorum. È suscettibile di fermentazione vinosa ed alcoolica e più che ad uso medico servono a colorare vini e paste zuccherine. I giovani germogli e le foglie sono leggermente stittiche e se ne può usare per gargarismo. Varietà a fiori doppi, frutto bianco, senza spine, foglie screziate, frastagliate, ecc. È della môra che si occupavano gli antichi mentre chiamavano sylvestris il lampone. È tradizione greca che prima questo frutto era bianco, ma che divenne nero del sangue di Priamo e di Tisbe, due amanti della Siria, che non potendo sposarsi si uccisero l'un dopo l'altro sulle môre. Galeno raccomanda di mangiare la môra ai viaggiatori assetati e affaticati dal caldo e dalla strada. Plinio dice che sono rinfrescanti. I Romani la mangiavano dopo il pranzo.
stittiche e se ne può usare per gargarismo. Varietà a fiori doppi, frutto bianco, senza spine, foglie screziate, frastagliate, ecc. È della môra che si
La Lattuga prende il nome dal succo lattiginoso che contiene. È pianta erbacea annuale, di patria ignota. Vuolsi sia originaria dall'India e dall'Asia centrale. Ve ne sono 3 varietà. Da noi se ne coltivano due, la comune e la romana. Vuol terra leggera ben lavorata e grassa e frequenti irrigazioni. Si semina da Marzo a Settembre, e la si preserva dai freddi coprendola; i semi ànno virtù fino ai 5 anni. S'imbianca come l'endivia. Il suo seme migliore è quello di due anni. Nel linguaggio dei fiori: sonno. Fu sempre conosciuta la sua azione soporifera, la quale risiede principalmente nei nervi della foglia. Galeno ne mangiava tutte le sere per procurarsi il sonno. Dioscoride e Celso l'avevano come succedaneo dell'oppio, ed è forse per questa sua proprietà d'addormentare che venne chiamata Erba dei Filosofi. Era opinione che la lattuga accrescesse il latte alle nutrici, e ciò si crede anche oggi. Pitagora la chiamò Eunachion. La lattuga fu dai romani consacrata a Venere e pochi di loro per rispetto alla Dea ne mangiavano. Era tradizione che Venere dormisse al fresco nella lattuga. Adone ucciso da un cinghiale venne seppellito sotto la lattuga. Marziale scrive che la si mangiava dopo cena, per dissipare i vapori del vino. Svetonio ci tramanda che Augusto decretò una statua al suo medico Antonio Musa perchè costui colla lattuga lo guarì dalla ipocondriasi. In ogni tempo fu creduta verdura refrigerante e debilitante. La lattuga a poco a poco era caduta in dimenticanza tale che non era neppure più coltivata verso la fine del 1600. Alcuni medici vollero emulare il Musa di Augusto. E Lanzoni la vantò contro l'ipocondria. Breteuil nelle convulsioni, Gouan nella nefrite e nell'itterizia, Schelinger nell'angina di petto, Brassavola nell'idropisia, Hudellet nelle febbri intermittenti, terzane, quartane, ecc.; insomma una specie di manna. Oggi si mangia in insalata e si mette nelle zuppe e negli intingoli diversi. Si crede che non lavata, la lattuga sia più saporita. Non va tagliata col coltello, a meno che la lama sia d'argento, ma si deve lacerarla colle dita. Colla lattuga si accompagnano assai bene le ova sode. Il proverbio dice:
intermittenti, terzane, quartane, ecc.; insomma una specie di manna. Oggi si mangia in insalata e si mette nelle zuppe e negli intingoli diversi. Si crede che non
. Il che vuol dire: il limone tiene lontano il medico e le malattie. Esternamente, il limone si adopera come astringente, rubefaciente, antigangrenoso, nella cefalgia. Poche goccie nell'acqua costituiscono un collirio semplice ed utilissimo nelle oftalmie. Coi semi fanno emulsioni per affezioni isteriche e nervose. Ammaccati e bolliti nell'acqua e nel brodo costituiscono un apiretico infallibile e sicuro nelle febbri intermittenti. Dal limone si cava l'acido citrico scoperto da Scheele nel 1784, che riscaldato coli' alcool ed acido solforico dà l'etere citrico. L'acido citrico si prepara in grande specialmente in Inghilterra per le arti tintorie. Serve agli stessi usi del succo, in modo da fare una limonata estemporanea alla dose di 1 grammo o 2 con 30 di zuccaro in 500 litri d'acqua, aggiungendo qualche goccia di essenza di cedro o d'arancio. L'acido citrico serve pure alla fabbricazione delle polveri di Seltz, ecc. L'acido del sugo di limone rode la carie dei denti. Ricchissima di aroma è la sua pellicola gialla, detta Zeft, che pure si adopera in cucina raschiandola e levandola leggermente, perchè la parte bianca, oltre non avere aroma, à sapore molto amaro. I Milanesi danno del limon a chi è furbo senza darsene per inteso, e del limon senza sug ad uno sciocco.
fabbricazione delle polveri di Seltz, ecc. L'acido del sugo di limone rode la carie dei denti. Ricchissima di aroma è la sua pellicola gialla, detta Zeft, che
11 lino è una pianticella annua indigena venuta a noi dall'Egitto. Ve ne sono 19 varietà. Un etimologo tedesco (oh, gli etimologi!), vuole che il suo nome venga dal celtico lein, un uccello che si pasce dei semi del lino, che dev'essere il passero. Col quale sistema di etimologia, si può spiegare benissimo anche che la parola osso viene da cane, essendo i cani che mangiano le ossa. Pare invece che venga da lis linon e linteum, dall'uso più comune che si fa della pianta, o dal latino Unire, ungere, fregare, il che indurrebbe a credere l'uso antichissimo dell'olio di lino. Il tessere il lino è antichissimo. Omero riferisce che nella guerra trojana molti avevano corazze di lino. Lo filavano perfino le regine, esempio Berta. II seme di lino, riposato fino a 7 ed 8 anni, acquista in qualità arrivando a dare un prodotto comparabile a quello di Riga. I Russi ànno un processo per essiccare nel forno il grano destinato alla semente. Plinio parla di un lino incombustibile, ma evidentemente intende d'un tessuto d'amianto conosciuto già dagli Indi e dagli Egizi. Il lino si coltiva in grande nel Belgio, nell'Olanda, nella Germania, in Irlanda sulle rive del Baltico e nei dipartimenti francesi del Nord. Celebre quello di Riga in Russia, pregiato quello dell'Egitto e del Canada. Da noi si coltiva nelle provincie di Pavia, Lodi, Crema, Piacenza e nella Lomellina. Il lino ci accarezza il corpo di giorno e di notte, ci serve democraticamente in cucina e fa brillare nella sua candidezza i calici aristocratici dello Champagne e del Johannisberg. Ma qui ne parlo solo per riguardo al suo olio. Il seme del lino dà un olio, da noi chiamato di linosa, che non piace a tutti, che non à i pregi di quello di oliva (che à dato il nome all'olio, perchè olio viene da oliva, olea, ma che però, quando è fresco, e molto fresco, e fatto a freddo, è saporito e assai gustoso nella maggior parte delle insalate. Specialmente nell'alta Lombardia è molto usato ed è assai sano. Dal seme del lino se ne cava farina, ma per quanto si sia tentato anche dagli antichi di farne pane o di servirsene per nutrimento, fu sempre rifiutata, ingenerandone l'uso malattie ed anche la morte. Di essa se ne serve felicemente la medicina per cataplasmi, emollienti, ecc.
nutrimento, fu sempre rifiutata, ingenerandone l'uso malattie ed anche la morte. Di essa se ne serve felicemente la medicina per cataplasmi, emollienti, ecc.
Il luppolo è una pianticella indigena arrampicante, le cui radici sono perenni, ma gli steli annuali. Nel linguaggio dei fiori: Ingiustizia. Fiorisce in giugno e luglio, trovasi nei luoghi umidi e boschivi. I semi ànno virtù, germinanti per 2 anni. Il suo nome dal latino humus, terra umidiccia. Coltivata, dura dai 20 ai 40 anni e più. I giovani getti si mangiano precisamente come gli asparagi, tanto conditi che in minestra, sono tenerissimi e di gradevole gusto. È verdura che si trova in maggio presso le ortolane e che in Lombardia si chiamano Lovertìs. Questa pianta è molto coltivata in Germania, il cui fiore, o cono, serve quale principale ingrediente della birra, uso conosciuto fino dagli antichi Egizi. Il luppolo è anche pianta eminentemente medicinale, se ne fanno decotti, infusi, ecc. Il luppolo è utile per chi soffre d'inappetenza, e condito con salsa è cibo gradito dai convalescenti. Si volle dare al luppolo virtù soporifera, analoga a quella dell'oppio, ma pare una delle tante cantonate degli scienziati. Da esso abbiamo il lupolino. Nella Svezia si usano i suoi rami lunghi e flessibili quale materia tessile per grossi cordami.
eminentemente medicinale, se ne fanno decotti, infusi, ecc. Il luppolo è utile per chi soffre d'inappetenza, e condito con salsa è cibo gradito dai
Il Màndorlo è pianta indigena a foglia caduca, originaria dell'Asia e precisamente della Siria e Barberia. Climatologicamente, occupa il posto tra la vite e l'ulivo. Ama il caldo, terre leggere e calcaree — languisce e muore nelle forti. — Si propaga per seme ed innesto su sè stesso. Nasce spontaneamente nella Sicilia, Spagna, Provenza, a Tripoli e Marocco, vegeta con prosperità sulle riviere di Genova. Fiorisce in Marzo ed Aprile, teme le brine ed il freddo. Se ne contano 9 varietà. La migliore è il màndorlo fino o princesse, il cui guscio si rompe colle dita. Alcune di queste varietà ànno frutto dolce, altre amaro, ma dall'albero mal si distingue il sapore del frutto. La maturanza si riconosce dall'aprirsi del pericarpo carnoso, il quale serve pel bestiame. Il suo nome dall'ebraico suo appellativo che significa vigilante, perchè è il primo albero che si risveglia, e perciò in linguaggio delle piante significa: storditaggine. L'uso della màndorla a tavola è assai svariato. Sì verde che secca, si mangia come frutta da dessert al cui scopo la più ricercata è la qualità detta saccarelle. Si confettano, se ne fanno varie paste dolci, fra cui l'orzata o semata di mandorle dolci che serve alla preparazione di una notissima bevanda. In Provenza si fanno essiccare al forno e sono di un sapore gustoso. Entrano nel torrone, nei biscotti, marzapani, crocanti, ecc., dove si mischiano pure le amare. La màndorla si pela sempre e, se secca, lo si fa facilmente immergendola nell'acqua bollente. Anche delle dolci l'epidermide che riveste i semi, giallognola se verdi, imbrunita se essiccati, à qualche cosa d'indigesto e di acre. Conservata a lungo la màndorla irrancidisce e per conservarla nella state, vuol essere di quando in quando esposta all'aria. Colle màndorle amare si fa una pasta che tiene morbida la pelle delle mani e del viso delle donnine, cosmetici e saponi. Le amare schiacciate o pestate, uccidono il pollame ed i volatili. Una volta si credeva fossero antidoto all'ubbriachezza. Plutarco riferisce che il medico Druso, fratello di Tiberio, tremendo bevitore, gli faceva inghiottire ad ogni bicchiere di vino, cinque màndorle amare, onde mitigarne gli effetti, ma pare che quel furbo di Druso le mangiasse per eccitare la sete, dicendo Eupoli che fanno venir voglia di bere:
, marzapani, crocanti, ecc., dove si mischiano pure le amare. La màndorla si pela sempre e, se secca, lo si fa facilmente immergendola nell'acqua
. Le màndorle migliori sono quelle di Spagna. Le dolci contengono molto olio fisso, 55 0[0, ed un principio di emulsina molto carico di azoto. La medicina ne prepara un'emulsione, bevanda gradevole sedativa nelle malattie flogistiche. Anche dalle amare si estrae un olio medicinale, che gela diffìcilmente, ma facilmente irrancidisce, lassativo, temperante nelle tossi, flogosi intestinali, stitichezza, nefrite, renella; serve pure alla confezione di diversi looch kermatizzati, balsamici, anodini. Esternamente l'olio di màndorle giova nelle dermatosi pruriginose, rigidità muscolari e tumori glandulosi. La sede principale del sapore amaro delle màndorle amare, è nella loro pellicola gialla, che è micidiale alle bestie e possiede anche qualità deleterie per l'uomo, indigesta in dosi maggiori, perchè contiene acido idrocianico, che distrugge rapidamente l'irritabilità e la facoltà sensitiva. Nondimeno, pochissime màndorle amare, corroborano lo stomaco, provocano l'appetito e sono credute vermifughe e febbrifughe. Antidoto contro il loro avvelenamento è l'ammoniaca e l'alcool — gli stimoli interni ed esterni. La polpa o pasta e la farina delle amare ridotta a cataplasma giova esternamente nelle nevralgie, coliche, nefrite, ecc. Con tale pasta si toglie pure qualunque ribelle ed inveterato odore ai vasi, sfregandoli internamente. Col guscio secco e sminuzzato delle dolci si confeziona un'emulsione teiforme che oltre al grato sapore, à una fragranza balsamica di violette e di vaniglia. Sull'origine del mandorlo, la tradizione greca racconta che Fillide, figlia di Licurgo, re di Tracia, era promessa a Demofoonte, figlio di Teseo. Ma essendo già state fatte le pubblicazioni e vedendo, come il suo promesso sposo non compariva, si impiccò e fu da quei bonissimi dèi cambiata in màndorlo. Demofonte, che aveva perduta la corsa, venne e versò amare lacrime su quell'albero, e fu sotto la pioggia di quel pianto che il màndorlo cominciò a mettere foglie e frutti — amari prima, dolci poi, essendosi Demofoonte finalmente consolato. La màndorla da Plinio venne chiamata noce greca. Ma in Italia, prima di Catone, nessuno ne à parlato, ed ancora lo confusero colle noci. Fu dopo le crociate che la màndorla cominciò ad avere fama e che si trovò di comporne ghiottonerie culinarie. Palladio ci tramanda che i Greci, divinando le macchine a vapore del Sonzogno, si servivano della mandorla come mezzo di pubblicazione. Ecco cosa dice:
esternamente nelle nevralgie, coliche, nefrite, ecc. Con tale pasta si toglie pure qualunque ribelle ed inveterato odore ai vasi, sfregandoli internamente. Col
à frutto più grosso e tondeggiante, di sapore meno marcato e meno ricca d'olio. Nel linguaggio delle piante: Pace, riconciliazione. La maturanza della nocciola è riconoscibile quando l'involucro di essa prende un color giallo. Per conservarla sana per molto tempo, si mette nella crusca o segatura di legno. Per estrarne l'olio non si deve aspettar molto tempo, perchè si guasta presto. Se ne mangia il frutto fresco e secco, che è gustoso, ma indigesto, disturba la digestione, e in quantità ingombra i visceri. È ghiottoneria dei ragazzi, bisogna masticarla bene, e secca è meno digeribile. Dice un proverbio: Chi mangia nocciole, il capo gli duole. I confetturieri la coprono di zuccaro, l'abbrustoliscono. L'olio che se ne estrae è dei migliori ed è utile per tossi, linimenti, reumi, purghe, ecc., ed il tortello residuo serve a fare una pasta preferibile a quella delle màndorle comuni. Il legno pieghevole del nocciolo somministra ai bottai ottimi cerchi per tinozze e barili, ai canestrai verghette flessibili per mille industriosi ripieghi, abbruciato, dà un foco dolce, carbone per disegno ed eccellente per fabbricare polvere pirica. In S. Pietro di Roma, i penitenzieri, nelle grandi circostanze di feste, giubilei, indulgenze, ecc., danno l'assoluzione ai penitenti inginocchiati davanti al confessionale, toccando loro le spalle con bacchette di nocciolo. La bacchetta di nocciolo era indispensabile nelle arti divinatorie, era la bacchetta dei maghi, come dopo, fu quella dei maestri della dottrina cristiana nelle chiese, degli elementari nelle scuole e dei professori di Seminario, tanto che la niscioeula è pei milanesi sinonimo di bacchetta. Nè voglio dimenticare i caporali austriaci, che prima del 1848, la portavano al fianco colla sciabola, e l'adoperavano per il bankheraus, onde: mollaj gió secch come i niscioeur. E che
ed è utile per tossi, linimenti, reumi, purghe, ecc., ed il tortello residuo serve a fare una pasta preferibile a quella delle màndorle comuni. Il
Se ne fa farina e pane misto a frumento. La si mangia sola, lessata, o cotta sotto la cenere. La patata si coce in mezz'ora. Non lasciarla, lavandola, molto nell'acqua, altrimenti diviene molle e pesante, e perde la farinosità. Meglio cocerla a vapore in 35 o 40 minuti, pelarla subito e servirla in piatto scoperto. Si deve sempre farla cocere nella sua pelle onde conservi il suo sale di potassa e tutto il suo sapore, nè dovrebbesi tagliarla con lama di ferro. In cucina serve in mille modi, a tavola fa capolino in tutte le vivande, in tutti i piatti; caccia il naso persino nella pasticceria. La patata è il pane degli Inglesi. Non si può immaginare Svizzera senza kartoffeln. La cucina tedesca è basata sulla patata. Non c'è brodo, minestra, intingolo o vivanda ove la patata non ne sia il principale costituente. Ogni città, ogni borgata le dà nomignoli particolari di tenerezza: Tüfken, Töffelken, Toffein, Tartuffein, Erdtuffeln, Erdäppel, Erdbirnen, Grundbirnen, Erdboknen, Batalen, Patatos, Potatos, Kartoffeln, Oebiswarzel, ecc. Se non ci fosse la patata bisognerebbe inventarla per loro.
, Töffelken, Toffein, Tartuffein, Erdtuffeln, Erdäppel, Erdbirnen, Grundbirnen, Erdboknen, Batalen, Patatos, Potatos, Kartoffeln, Oebiswarzel, ecc. Se non
Il pepe lungo (piper lungum, macro piper), nasce nel Bengala e nelle isole Molucche, à gettini lunghi un pollice circa, grossi come una piccola penna da scrivere, di color cenere. Il loro sapore è più acre e meno grato del pepe nero e di un odore perfettamente, simile. Entra nella composizione di alcuni elettuari, ma il consumo maggiore si fa dagli acetai, i quali lo infondono nell'aceto debole per renderlo acre. Gli Indiani poveri lo macerano nell'acqua, e così reputano renderla stomatica. Ne mettono pure in conserva i racemi immaturi nella salamoia, e serve loro a tavola e nelle insalate. Venne pure chiamato pepe lungo il nostro peperone. Il pepe della Giammaica, o pimento degli Inglesi, o pepe garofanato, è della grossezza di un pisello, di color grigio-rossastro, rugoso. À odore aromatico analogo a quello della canella e del garofano, sapore piccante quanto il pepe. Questa droga è di gran uso nei paesi caldi, in Germania ed in Inghilterra per condire le vivande, ed è uno dei principali ingredienti per la composizione delle spezie. Quello che si usa sotto il nome di pepe di Cajenna (Vedi Peperone), non è altro che il seme e la capsula seminale di una pianta selvaggia del Sud dell'America, che è coltivata nelle Indie e che si chiama Capsicum baccatum, annuum et fructescens. Poche sostanze, fino dai tempi remotissimi, furono oggetto di tante falsificazioni quanto il pepe. Una buona regola, è quella di comperar sempre pepe in grana e di polverizzarvelo da voi a norma del bisogno, valendosi di quei piccoli macinatoi di pepe, oggi molto diffusi. Per falsificare il pepe nero servono farine d'ogni genere, segatura di legno, panelli oleosi, terre, gesso, ecc. Il pepe bianco si usa renderlo più pesante stacciandolo insieme a gomma, amido, calce, gesso, biacca, ecc. Nè solo si falsifica in polvere, ma pure in grani, e ciò abilmente con semi, argilla, gesso e polvere di pimento, in Inghilterra, in Germania e in Francia. A Parigi, lo afferma Chevallier, v'è una fabbrica che produce annualmente 1500 chilogrammi di una miscela che si vende unicamente per adulterare il pepe. Riesce facile riconoscere il falso pepe in grana, mettendolo nell'acqua, che allora i falsi grani vanno prontamente al fondo e si sciolgono in poltiglia. Il pepe è un aroma potente e popolare che condisce la minestra del povero e rende pizzicanti gli intingoli del ricco. Eccita la salivazione, favorisce la digestione, ma irrita, preso smodatamente, gli intestini delicati.
, panelli oleosi, terre, gesso, ecc. Il pepe bianco si usa renderlo più pesante stacciandolo insieme a gomma, amido, calce, gesso, biacca, ecc. Nè solo
I Greci, fatta astrazione di Dioscoride, che la chiama frutto salubre, la tenevano come nociva, quasi velenosa. Plinio la dichiarò salubre ed innocua e ne insegnò a spremerne il succo nel vino. Si disse che la pesca fosse venefica in Persia, e che dal re Ciro trasportata in Egitto, poi passata in Europa, abbia qui perduto il suo veleno. Plinio (lib. XV, sez. 13) lo nega. Falsum est, ecc. Plutarco asserisce che la pesca in Egitto era dedicata ad Iside, per essere il frutto somigliante al cuore umano e le sue foglie simili alla lingua. Alcuni vecchi scrittori medici ordinarono di mangiare i persici prima d'ogni altro cibo e dicono:
Europa, abbia qui perduto il suo veleno. Plinio (lib. XV, sez. 13) lo nega. Falsum est, ecc. Plutarco asserisce che la pesca in Egitto era dedicata ad
Il pignòlo, o pinocchio, è il frutto del pinus pinea, detto volgarmente pino domestico, pino d'Italia. Albero dell'Europa meridionale, che erge la sua cima fino a 30 metri, a forma di ombrello. Porta foglie numerose lunghe da 10 a 15 centimetri, di un bel verde. Fiorisce in maggio e produce coni grossi, durissimi, contenenti màndorle triangolari lunghe due centimetri. Nel linguaggio delle piante: Tenacità. Quei coni si rompono, o si mettono al fuoco e allora s'aprono e lasciano la màndorla, aromatica e di grato sapore. Tale màndorla è molto in uso fra noi, serve ai cuochi per salse, ripieni, condimento a certe vivande e verdure, ai pasticcieri per torte, paste, ecc. In Italia l'abbiamo dalla pineta di Ravenna. Il pino era consacrato a Cibele, la quale cangiò Atys in pino. Dai Greci i pinocchi erano chiamati Pityides. Se ne facevano un unguento per togliere le rughe della faccia a quelle signore che se le lasciavano venire. Sono nutrienti, stimolanti, indigesti. È pasto graditissimo dei canarini, che li fa cantare. Molti devono ricordarsi dei maestri che facevano fare i pignoeu, cioè unire insieme la punta delle cinque dita per batterle colla bacchetta; e pensare che si stava là mogi ad aspettare quel regalo!
, condimento a certe vivande e verdure, ai pasticcieri per torte, paste, ecc. In Italia l'abbiamo dalla pineta di Ravenna. Il pino era consacrato a
Conserva di grattaculi. — Prendete grattaculi maturi, metteteli al sole un paio di giorni ad appassire. Indi poneteli in fusione per un paio di giorni nel vino. Fateli bollire in caldaia nel medesino vino a che siano disfatti. Se abbisogna aggiungetevi vino. Ridotti in poltiglia passateli allo staccio doppio, intanto che sono caldi. Mettete altrettanto peso di zuccaro in un padelotto con un bicchier d' aqua per chilo di zuccaro, e fate bollire. Purgate lo zuccaro con un chiaro d'ova e e schiumate, e quando lo zuccaro è limpido e fila, unite la salsa, rimenate con spatula di legno, incorporate il tutto a foco — fatene evaporare bene l'umido della pasta e versatela in un vaso di terra conservandola chiusa in luogo asciutto. Se ammuffisce è segno che non è cotta abbastanza, rimettetela ancora nella pentola. Si allunga, per gli usi, con vino, aceto, limone, tanto a freddo, come a caldo. È squisitissima col lesso, coll'arrosto e colle ova, principalmente quelle in camicia. Nè voglio terminare senza suggerire alle signorine, che anche colle altre rose, in ispecie quella comune (Rosa gallica, rosa fragrans), la rosa d'orto, la rosa rossa, quella di maggio insomma, della quale gli speziali fanno un'infusione per uso esterno, nelle oftalmie principalmente, si fanno conserve e sciroppi. Ecco la ricetta. Prenda dunque la signorina, dei bottoncini di detta rosa, li separi dal gambo, li ammacchi con pestello di legno in mortaio di marmo, finchè li riduca in massa molle e allora vi aggiunga due volte il loro peso, di zuccaro fino, polverizzato, agitando e rimestando la massa onde formi un tutto omogeneo. Questa conserva à sapore dolce ed odore di rose, è rinfrescante ed è leggermente astringente. Se invece dei bottoni di rosa si volessero adoperare per comporta le foglie fresche o secche, in allora invece di impastarla con lo zuccaro, quale ò detto sopra, si userà lo zuccaro stesso cotto a manuscristi, evaporando poscia la massa a lento calore fino a consistenza di conserva. Avvertite che le rose allora vanno colte prima che si aprano del tutto. Nel medesimo modo si prepara la conserva d'assenzio, ecc.
Il sedano o selino è pianticella erbacea, biennale, indigena, à radice tuberosa, di sapor forte, piccante, odore aromatico, nasce naturalmente nelle paludi torbose del Po, si semina in primavera, si trapianta. Il seme dura per 8 anni. Ama bona esposizione, terra grassa, copiosi inaffiamenti. Si imbianchisce rivestendolo e rincalzandolo di terra, si difende dal freddo coprendolo collo strame. Nel linguaggio delle piante: Spiritosità. Diverse varietà, le migliori il bianco e violetto a costa ripiena, il sedano rapa (apium radice rapacea) à la radice che si gonfia e raggiunge ragguardevoli proporzioni. Il sedano è della famiglia del prezzemolo e serve tanto la foglia che la radice, a condire com'esso e a dar sapore a legumi, verdure, carni, ecc.; entra in molte salse. Lo si mangia crudo con pepe, sale ed olio ed in insalata. Lo si frigge, massime il sedano rapa (del quale si mangia solo la radice), lo si cuoce in stufato, se ne fa un delicatissimo purè. A Napoli lo si chiama accio (da Appio). Il sedano e massime il seme è eccitante e per alcuni indigesto. In Oriente è usato il seme contro il mal di mare. Fino dal tempo di Ippocrate, veniva usato per soffumigi contro l'emicrania:
, ecc.; entra in molte salse. Lo si mangia crudo con pepe, sale ed olio ed in insalata. Lo si frigge, massime il sedano rapa (del quale si mangia solo la
La segale è pianticella germinacea, annua, indigena. È il cereale dei paesi freddi, montuosi. Si semina in autunno e raccogliesi nell'estate vegnente. Nel linguaggio dei fiori: Bisogno. Matura più presto del frumento. La segale è meno nutritiva del frumento e meno atta a far del pane che riesce umidiccio e di diffìcile digestione. Viene nullameno usata a far pane nel Belgio, nell'Olanda, nella Germania settentrionale e specialmente in Russia dai poveri contadini. Mista però alla farina di frumento rende il pane più bianco e saporito e lo conserva fresco più a lungo. Viene pure mescolata col melgone. Messa nell'aqua, la farina di segale serve per bevanda rinfrescante e nutriente per il bestiame. La farina di segale è pure adoperata in medicina per uso esterno come mollificante e risolutivo. In Russia se ne fabbrica una specie di birra nazionale, chiamata Quass. In Groenlandia questa birra la chiamano Tollwasser (aqua che fa impazzire). La paglia lunga e forte, per la molta silice che contiene, è utilissima a coprire capanne campestri, tettoie, grondaie, ecc. Una specie di malattia che sopravviene al grano della segale, dà una grande importanza a questa, nella medicina, sia come generatrice di morbi, sia come potentissimo sussidio terapeutico ed ostetrico, ed è quella conosciuta sotto il nome di segale cornuta o chiodo segalino, in francese ergot. Il suo nome dal celtico segàl che significa falce, d'onde in latino il nome generico segestes alle biade, che si falciano, mentre i legumi e le frutta si colgono. La segale non pare fosse conosciuta dai Greci, nessuno dei loro scrittori ne parla. Dei Latini il solo Plinio ne fa menzione, ma come di grano infimo e di nessun conto.
, tettoie, grondaie, ecc. Una specie di malattia che sopravviene al grano della segale, dà una grande importanza a questa, nella medicina, sia come
, ecc. I nostri medici del medio evo ordinavano il decotto di spinaccio a quelli che tossivano la mattina. Onde i milanesi ànno conservato il proverbio: vess battezzaa con l'aqua de spinazz. Lo spinaccio è acre nella state. È contrario a quelli che sono afflitti da calcoli artritici. La lattuga mescolata agli spinacci li rende più dolci.
, ecc. I nostri medici del medio evo ordinavano il decotto di spinaccio a quelli che tossivano la mattina. Onde i milanesi ànno conservato il
Il susino o prunoè una pianta indigena a foglie caduche, originaria dell'Asia. Le qualità migliori seguono il clima della vite. Da noi resiste ovunque all'aperto e sui monti fino a 400 m. Fiorisce a metà aprile e matura, a seconda delle varietà e posizioni, dal luglio a tutto ottobre. Soffre l'ombra, ama terreno fresco, non umido. Si propaga per polloni, ma meglio per nocciolo e per innesto. Infinite le sue varietà, alcune delle quali si consumano verdi ed altre meglio si prestano ad essere essiccate. Noto la Mirabella (brugna gialda) che matura alla fine di luglio. La Damascena, originaria di Damasco portata dal duca d'Anjou al tempo delle Crociate, nome che si corruppe poi in d'amoscina, moscina e volgarmente massina, e da noi per eccellenza la nera (Prunus domestica ungarica). — La Regina Claudia (brugna Sancló) grossa e piccola, che matura in agosto, e la Settembrina, ecc. Nel linguaggio delle piante significa: Promessa. Il raccolto delle susine da conservarsi deve farsi delicatamente, a mano, quando sono asciutte dalla rugiada e dalla pioggia. La susina è nutriente quanto il fico, è di facile digestione e costituisce un cibo grato, sì fresca la state, che essiccata nel verno. Sotto questa forma ne fanno attivo e proficuo commercio diversi paesi meridionali d'Italia e di Francia. Quelle di Palermo e di Provenza sono le più stimate. Si conciano al giulebbe, servono nei ragouts e nei ripieni delle pollerie,, massime del pollo d'India, al quale levano quella certa ruvidezza e selvatichezza di sapore che possiede la sua carne. Si conservano nello spirito, aromatizzate e confettate. In Germania, nella Lorena e nella Svizzera se ne fabbrica alcool, i tedeschi lo chiamano Zwetschker-wasser. Gli Ungheresi Sligowitz e in Transilvania Raki. In farmacia, massime della qualità damascena, se ne fa conserva e polpa, che viene spesso a surrogare, con innocente falsificazione, quella dei tamarindi e cassia e che non è meno rinfrescante e lassativa. Serve pure a preparare, come ingrediente principale, l'elettuario lenitivo, giova agli stitici, onde quel proverbio: mangiando di molte susine, saran di quaresima molt' erba. Ario morì d'una scorpacciata di susine. Il legno è durissimo e serve egli intarsiatori. La Scuola Salernitana, dice:
eccellenza la nera (Prunus domestica ungarica). — La Regina Claudia (brugna Sancló) grossa e piccola, che matura in agosto, e la Settembrina, ecc. Nel
sostanzioso ed aromatico del secondo, il quale è pure molto astringente. La proporzione è di 20 grammi di tè ih un litro d'aqua bollente. Migliore l'aqua delle sorgenti e la piovana. L'aggiunta di alcune goccie di sugo di limone od altro acido vegetale, rende il tè più pie. cante e profumato. Nella Tartaria chinese e nel Cachemire e in altri paesi dell'Asia si mangiano le foglie del tè cotte in diverso modo, con burro, farina, ecc., e la loro ricchezza in albumina ne spiega il valore nutritivo. Il tè, come il caffè, è soggetto ad alterarsi sia per cattiva preparazione, che per cattiva conservazione. Il profumo del tè è volatile, non deve essere quindi esposto nè all'aria, nè alla luce: conservatelo in vasi chiusi ed opachi. Il tè s'impregna assai facilmente degli odori anche i più deboli: non mettetelo a contatto con sostanze odorose, anche quando l'odore di queste è gradevole. Troppo vecchio perde, è passato; troppo fresco è acre ed amaro. I Chinesi non se ne servono che stagionato di un anno. Aquista ad essere trasportato per mare, come il vino. La falsificazione del tè, è antichissima ed incomincia in China e nel Giappone per essere perfezionata in Europa dagli Inglesi. Si falsifica, coll'addizione di materie minerali, per aumentarne peso e volume, colla colorazione artificiale, colla rivivificazione dei tè esauriti, cioè già spogliati dei loro principi solubili: è industria tutta inglese. A Londra lo si raccoglie già usato nei caffè, negli alberghi, nei mucchi di lordure dei più sporchi quartieri di Shang-Hai. Nel 1843 a Londra vi erano otto fabbriche che lo falsificavano con sostituzione di foglie straniere, frassino, pioppo nero, platano, quercia, faggio, olmo, spinobianco, alloro, sambuco, ecc. Del resto molte piante danno foglie che possono surrogare benissimo il tè. A Sumatra si servono delle foglie del caffè. Nell'America del Sud e nel Paraguay sostituiscono al tè il mute, che chiamano tè mate (Ilex Paraguayensis). Nel bacino delle Amazzoni col guaranà (Paullinia sorbillis), nella Bolivia colla coca (Erytroxylon coca), che venne messa in musica su tutti i toni dal maestro Mantegazza. Volgarmente il tè viene denominato, dalla sua immediata provenienza, tè d'Olanda, di Russia, ecc. La storia del tè non è antica. Fu introdotto dagli Olandesi verso il 1610 che lo ricevevano dai Ghinesi in cambio della salvia. (Vedi in Salvia). Il tè nei Paesi Bassi serviva a designare i fautori del principe d'Orange e degli Inglesi, che lo preferivano al caffè. Un medico asserisce che l'uso del tè impedisce la formazione della pietra nella vescica (1).
Tartaria chinese e nel Cachemire e in altri paesi dell'Asia si mangiano le foglie del tè cotte in diverso modo, con burro, farina, ecc., e la loro
I Greci in Italia, i Francesi nelle Gallie, ecc. Ma il trovarla anche fra noi spontanea ed incolta nei boschi, fa perdere la fede a quel blasone di esotica nobiltà. Il nome vite, vuolsi da parola celtica che significa albero, ma meglio lo si deriva dal latino vis, forza. Nel linguaggio delle piante significa: Ubbriachezza. Uva viene da uvidus, pieno, pingue. L'uva, dice il Mantegazza, è frutto allegro, dolce, bello, galantuomo, rinfresca e nutrisce; l'uva è il più utile e proficuo dei frutti. «Più della poma delicata è l'uva», cantò Fracastoro. Oltre il principale uso che si fa dell'uva — il vino — essa si mangia allo stato fresco, allegra la tavola, serve al cuoco nella cucina, al pasticciere per la credenza e la dispensa. I fiori ànno una fragranza gratissima, che ricorda quella dell'amorino, servono ad aromatizzare vini e liquori. Prima delle sua maturità si chiama agresto e giova nelle idropisie adipose. II succo dell'uva acerba, detto dai latini omphacium, e da noi agresto, esprime già col nome il suo sapore stittico. In sostituzione di agrumi e di aceto, lo si adopera a far salse, bevande rinfrescanti e sciroppi in farmacia. Dai semi se ne cava un olio grasso di colore giallo-verdognolo, di sapore spiacevole, che arde con fiamma brillante, senza molto fumo. Un ettolitro di semi può dare in media 8 chilogrammi di olio. Si fa pure un rob o sciroppo d'uva, che i Romani chiamavano sapa, che si ottiene riducendo il mosto a due terzi, od a metà, mediante lenta ebollizione ed evaporazione. Distillando il vino e le vinaccie si ottiene, prima impuro, poi con altre ripetute distillazioni, rettificato e purissimo, l'alcool. Il primo risultato dà l'aquavite, il secondo lo spirito di vino. L'uva matura è il più salubre dei frutti e se ne può mangiare e rimangiare senza pericolo, producendo tutt' al più un po' di mossa di corpo. I medici consigliano la cura dell'uva, e questa cura la chiamano ampeloterapia (dal greco ampelos, vite, e therapeyo, servire), che consiste nell'uso dietetico, sistematico dell'uva come alimento principale (
I Greci in Italia, i Francesi nelle Gallie, ecc. Ma il trovarla anche fra noi spontanea ed incolta nei boschi, fa perdere la fede a quel blasone di
) per un tempo prolungato, onde possa produrre salutari modificazioni nell'organismo. Essa ingrassa, è sostanza nutriente, riconfortante nell'atonia-languore del ventricolo, nella gastrorrea, conviene nella pletorrea addominale, calma l'irritazione degli organi respiratori, mitiga la tosse, facilita l'espettorazione ed è indicata nella tubercolosi. La cura dell'uva si schiera più simpatica, e fors'anche più sicura a fianco di quelle delle tante aque minerali, del siero e dell'olio di fegato di merluzzo. Questa cura è in favore più all'estero che da noi. Si fa sistematicamente ed in grande in Germania, a Durkheim, Glesweiter nel Palatinato, Bingen, Creuznach, Rudesheim ed in generale sulle sponde del Reno da Mainz a Coblenz — in Slesia a Grümberg — in Tirolo a Merano — in Svizzera a Vevey, Montreux, Aigle, ecc. Al tempo della vendemmia i bagni, o a meglio dire le fangature di vinaccie, sono di uso molto popolare nelle nevralgie, paralisi, reumatiche, affezioni nevralgiche, ecc. Dall'uva e dal vino, mercè una fermentazione acida, se ne cava pure aceto, il più galantuomo degli aceti. Più sotto ne do qualche ricetta.
Grümberg — in Tirolo a Merano — in Svizzera a Vevey, Montreux, Aigle, ecc. Al tempo della vendemmia i bagni, o a meglio dire le fangature di vinaccie
Estratto di vaniglia. — Mettete in un litro d'alcool finissimo 30 grammi di capsule di vaniglia fatte a piccoli pezzetti e lasciateveli a macerare. Dopo 24 ore l'infusione è servibile. Serve per gelati, gelatine, liquori, ecc.
. Dopo 24 ore l'infusione è servibile. Serve per gelati, gelatine, liquori, ecc.
A' tempi di Svetonio, il bulbo dello zafferano durava 8 anni. Nell'Avignonese, oggi limitasi a due soli, nella Sicilia a tre, ad Aquila a quattro. Il bulbo è amato dai topi, gli steli dalle lepri. Quantunque originario dei paesi del mezzodì, è coltivato oramai in quasi tutta Europa, perfino in Inghilterra. In Italia tale coltura è antica, specialmente in Sicilia e nel Napoletano, e propriamente nella provincia di Aquila, che per aroma e qualità tintoria, dà lo zafferano migliore del mondo. Il suo prezzo medio è di L. 150 al kgr. Lo zafferano si usa dai tintori, dai caffettieri, dai pasticcieri, dai profumieri, dai pittori, pizzicagnoli, maniscalchi, farmacisti e cuochi. Per la cucina si dovrebbe provvederlo in fili e non in polvere, onde evitare la falsificazione. La frode più innocente è quella di esporlo per qualche tempo in luogo umido, affinchè cresca di peso. Lo si falsifica benissimo coi fiori dello Zaffranone o falso zafferano (carthamus tintorius), che dà un colore scarlatto, con l'Oricella (rocella tinctoria), che dà pure un color porpora, col Sommaco (rhus coriara), ecc. I vapori che sparge lo zafferano nei luoghi chiusi ove non si possano con facilità dissipare, sono all'uomo malsani e talvolta micidiali, perchè à virtù eminentemente narcotica, ed in medicina passa come rimedio stimolante, analogo all'oppio. La scoperta dello zafferano si perde nella nebbia dei tempi. La mitologia vuole che abbia avuto origine da un giovinetto chiamato Croco, che, innamoratosi perdutamente di una ninfa, chiamata Smilace, nè piacendo a Barba Giove tale matrimonio, fu da lui cambiato nella pianta dello zafferano; da qui il suo nome di Crocus. Et in parvos versum cum Smilace flores, et Crocon (Ovidio, 4.a Metam.). Dioscoride lo raccomanda come eccellente condimento e ne suggeriva un unguento, tanto che Properzio lodecanta:
color porpora, col Sommaco (rhus coriara), ecc. I vapori che sparge lo zafferano nei luoghi chiusi ove non si possano con facilità dissipare, sono
La virtù germinativa dei semi è di 6 anni. Nel linguaggio dei fiori: Ampolloso. La zucca è eminentemente prolifica. Nell'America settentrionale una sola pianta della zucca somministra alle volte tanti frutti di un peso tale, che uniti insieme passano i 20 quintali. Le varietà più coltivate sono: la verde lunga, internamente bianca. La bianca tonda, internamente gialla — quella a turbante, a corteccia strisciata di giallo, bianco e rossa — quella a trombetta, verde all'esterno, ambedue gialle all'interno — finalmente la verde quarantina, bianca internamente. Àvvene una specie anche perenne (cucumis perennis), che si coltiva in vaso, ma resiste anche in terra, quando venga difesa dal freddo e non ama come le altre il sole. Proviene dal Texas e dalla California. La zucca ama il caldo e l'aqua, della quale ne contiene l'80 per cento. Dalla zucca se ne può cavar zuccaro. Nel 1837, in Ungheria, se ne stabilì una fabbrica, non di zucche, ma di zuccaro. Le sue foglie verdi strofinate sugli animali ne fugano le mosche ed i tavani, come pure, bruciate secche, allontanano le mosche. Dai semi se ne ricava un olio verdastro combustibile e commestibile. Le zucche sono alcun poco medicinali. L'aqua espulsa dalla sua polpa è rinfrescativa al pari del siero del latte. Della polpa se ne fa un unguento che dicesi superare il malvino, il che è tutto dire ! I semi freschi vengono pure adoperati per scacciare la tenia (vermen solitari), forse l'unica cosa bona che possono fare le zucche, perchè riguardo al sapore è sempre... sapore di zucca. I Greci ed i Latini parlano tutti della zucca, ma tutti convengono in questo solo, che per mangiarla bisogna condirla, perchè da sola... è sempra zucca. Aulo Gellio ci racconta che perfino il filosofo Tauro la maritava a cena colle lenti, ed era un filosofo! La zucca non ricerca molta scienza nell'agronomo. Il botanico Scopoli à scritto l'istoria della zucca e degli usi suoi economici. La zucca cresce senza pretese, non ambisce onori, offresi generosa e spontanea alla mano dell'uomo, che in contraccambio la deride in un coll'asino. Mi sono rivolto ad un mio tenerissimo amico, professore in una delle nostre Università, chiedendogli il suo parere sul gusto, sulla maniera di servirsi delle zucche, sugli usi culinari e domestici, ecc. Vi do la sua risposta tale e quale:
, sugli usi culinari e domestici, ecc. Vi do la sua risposta tale e quale:
Ma pare servisse solò in medicina (Galeno, De Simpl. Med. Fac., cap. 120). L'epoca vera della prima introduzione dello zuccaro in Europa è oscura. Era ramo di commercio fra l'Indostan, la Persia e l'Arabia. Dalla Mecca per Bassora e Magdad discese al basso Egitto, poi in Grecia e nell'Asia Minore, di là in Europa. Vogliono alcuni che gli Spagnoli e i Portoghesi lo scoprissero per la prima volta nelle Isole Canarie ed a Madera. Ma la cosa pare invece all'incontrario. L'arundo saccarifera nel 996 fu portata la prima volta; dall'Oriente a Venezia, e prosperava dopo il 1000 in Sicilia, tanto che nel 1419 l'Università di Palermo assegnava aque per la sua coltivazione. Secondo Merini prima ancora del 1319 se ne spedì da Venezia in Inghilterra per 100.000 libbre e 10.000 di candito. I Portoghesi, prendendo possesso di Madera, vi piantarono la canna dello zuccaro, facendola venire dalla Sicilia, da dove penetrò pure in Spagna. Nel 1440, Pietro Speciale lo piantò nelle campagne di Ficaruzzi su quel di Palermo. Nel 1550, un viaggiatore descrive i trappeti (aje) dello zuccaro a Carini, Trabia, Casalbianco, Modica, ecc. Ciò riferisce Albert Aqueus, lib. V, 37. Dopo
descrive i trappeti (aje) dello zuccaro a Carini, Trabia, Casalbianco, Modica, ecc. Ciò riferisce Albert Aqueus, lib. V, 37. Dopo
Chiarificazione dello zuccaro e maniera di farne sciroppo vergine. — Lo sciroppo vergine serve a preparare qualunque altro sciroppo e a conservare ogni genere di frutta. Lo zuccaro più economico e conveniente è l'avana bruno, gli altri zuccari non danno quasi mai uno sciroppo di gusto schietto o se lo danno, viene a costare di più e vogliono maggior lavoro. Lo sciroppo, perchè si conservi lungamente, bisogna segni all'areometro dello sciroppo gradi 28 quando è caldo e 32 freddo. L'areometro è uno strumento, che fa conoscere la gravità specifica dei vari fluidi nei quali si immerge, e chiamasi pure pesa sciroppo, pesa liquori, vino, acidi, pesa latte, ecc.
pure pesa sciroppo, pesa liquori, vino, acidi, pesa latte, ecc.