In altre Città lontane dal mare lo sogliono tenere in bagnuoli di acqua salata, ovvero colla neve; ma siamo sempre nello stesso caso, cioè, che all'occhio alle garze, al colore delle squame, e della pelle, e finalmente alla sodezza della carne, e di tutto il Pesce prendendolo nelle mani; o essendo tagliato all'odore, e sodezza della carne, la quale non essendo il Pesce fresco si disfarà fra le dita, si distinguerà facilissimamente la sua freschezza.
tagliato all'odore, e sodezza della carne, la quale non essendo il Pesce fresco si disfarà fra le dita, si distinguerà facilissimamente la sua
in altre Città lontane dal mare lo sogliono tenere in bagnuoli di acqua salata, ovvero colla neve; ma siamo sempre nello stesso caso, cioè, che all'occhio, alle garze, al colore delle squame, e della pelle, e finalmente alla sodezza della carne, e di tutto il Pesce prendendolo nelle mani; o essendo tagliato all'odore, e sodezza della carne, la quale non essendo il Pesce fresco si disfarà fra le dita, si distinguerà facilissimamente la sua freschezza. La regola per altro, che un compratore deve tenere in sì fatta spesa è di scegliere un venditore di Pesce, o un pescatore il più onesto, che sia possibile, e servirsi sempre dal medesimo, pagandogli il Pesce a discreto prezzo.
tagliato all'odore, e sodezza della carne, la quale non essendo il Pesce fresco si disfarà fra le dita, si distinguerà facilissimamente la sua
Il tonno, il pesce spada, la palamida, questi grossi pesci che vengono generalmente pescati nell'Italia Meridionale, debbono essere di una freschezza addirittura esagerata, poiché passano facilissimamente, e possono arrecare allora i più gravi inconvenienti. Del resto questi pesci a carne rossa sono non facilmente digeribili e possono piuttosto rappresentare l'eccezione nell'alimentazione quotidiana che la regola. Anche le alici e le sarde, benchè molto appetitose non costituiscono certo un cibo raccomandabile a stomachi delicati o a convalescenti. Le sarde e le alici quando sono fresche debbono sembrare assolutamente vive, debbono essere lucentissime e sode e non debbono avere segni rossi intorno agli occhi o alle branchie.
addirittura esagerata, poiché passano facilissimamente, e possono arrecare allora i più gravi inconvenienti. Del resto questi pesci a carne rossa
La lingua allo scarlatto fatta in casa, riesce di sapore assai più delicato di quella che ordinariamente si vende dai pizzicagnoli e salsamentari, non solo, ma può costituire così un ottimo piatto caldo, come una eccellente riserva fredda. Il sistema di salatura è facilissimo e il risultato, anche economicamente, assai soddisfacente. Quindi, dopo averne fatto l'esperimento, prenderete l'abitudine di questa preparazione elegante e gustosa. Comperate una lingua di bue. I macellai vendono la lingua con tutta la parte posteriore attaccata. Voi tagliate col coltello questa parte in più, e servitevene pel bollito, coppiette, ecc. Tutto l'altro pezzo che costituisce la vera lingua la passerete un istante sulla fiamma per poterla spellare facilmente, e poi col pestello di legno incominciate a batterla, per slegarne le fibre. Questa battitura va fatta con garbo, in tutti i sensi, e non con troppa forza, altrimenti la lingua si spezzerebbe. Date dei piccoli colpi, fino a che constaterete che la lingua, prima dura e rigida, è ora pieghevole in tutti i sensi. Prendete un pugno di sale fino e fregando con la mano lo farete assorbire poco a poco alla lingua, girandola in tutti i sensi. Dopo che avrà assorbito il sale fate assorbire con lo stesso sistema una cucchiaiata di salnitro. Il salnitro facilita la conservazione della lingua e ne assicura il color rosso. È sostanza innocua e viene largamente usata nelle preparazioni delle carni conservate. Assorbito il salnitro, fate assorbire ancora un altro pochino di sale; poi prendete una terrinetta, mettete un po' di sale sul fondo e su questo disponete la lingua inciambellata. Sulla lingua mettete ancora del sale fino, copritela con una tavoletta e metteteci sopra un ferro da stiro o qualsiasi altro peso. Per evitare però che i ferri possano ossidarsi venendo a contatto con la salamoia, sarà meglio mettere sulla tavoletta, prima una scodella e dentro questa porre i ferri da stiro o un grosso sasso. Lasciate stare così la lingua per tre o quattro giorni in un luogo fresco. Poi levate i pesi e voltatela. Prima di ricoprirla con la tavoletta mettete sul fuoco in una casseruola mezzo bicchiere di vino rosso con due o tre chiodi di garofano, un paio di foglie d'alloro, un po' di pepe nero infranto e un pizzico di coriandoli. Appena il vino leverà il bollore, toglietelo dal fuoco e aspettate che si freddi. Allora rovesciatelo sulla lingua con tutte le droghe. Il sale della lingua, sciogliendosi, avrà fatto una salamoia liquida alla quale aggiungerete il vino aromatizzato. Rimettete la tavoletta e la scodella con i pesi e lasciate stare così per altri quattro o cinque giorni. Dopo i quali estraete la lingua dal suo bagno, risciacquatela in acqua fresca e mettetela a cuocere in acqua bollente, con i soliti legumi che si adoperano per il bollito. Procurate che la lingua bolla adagio e regolarmente per un paio d'ore e più, fino a che constaterete che è cotta senza però essere passata. Estraetela allora dal broro, e levatele la seconda pelle, che verrà via facilissimamente, come un guanto. Se questa lingua vorrete mangiarla calda affettatela e fatela portare in tavola con contorno di spinaci al burro o di patate mâchées, altrimenti tenetela in dispensa e servitevene come piatto freddo, contornandola di gelatina.
levatele la seconda pelle, che verrà via facilissimamente, come un guanto. Se questa lingua vorrete mangiarla calda affettatela e fatela portare in tavola
Circa le barbabietole noi consiglieremmo di non servirsene, o di servirsene solamente per la decorazione, poichè comunicano un color rosso a tutta la maionese, ciò che la rende poco gradevole alla vista. Ad ogni modo se si vogliono adoperare delle barbabietole — lessate o cotte al forno — converrà prima tagliarle in fette e tenerle quattro o cinque ore in un bagno d'aceto, che ne fìssa sufficientemente il colore. Raccogliete tutti i legumi lessati e tagliati in piccoli pezzi in un'insalatiera e conditeli con sale, pepe, olio, aceto, e, se credete, un cucchiaino di mostarda sciolta in un dito d'acqua. Circa la quantità regolatevi. Per sei persone, ad esempio, potrete adoperare cinque o sei patate di mezzana grandezza, un paio di carote gialle grandette, una piccola cima di cavolfiore o di broccolo, oppure un paio di zucchine, un paio di carciofi, un pugno di fagiolini, ecc. Nell'insalata unirete anche una cucchiaiata di capperi, qualche cetriolino in fettine e due o tre alici lavate, spinate e tagliate in filettimi, e, se ne avete, una o due cucchiaiate di aceto al dragoncello. Se dovete servire la sola insalata russa, mischiate in essa qualche cucchiaiata di salsa maionese, accomodatela a cupola in un piatto, ricopritela di salsa maionese e decoratela con cetriolini, capperi, uova sode, acciughe ecc. Se invece dovrete fare una maionese, dopo aver preparato l'insalata russa, preparate anche il pesce. Il pesce per la maionese può essere delle più svariate qualità: cefalo, spigola, palombo, aragosta, ecc. Si preferiscano i pesci che possono spinarsi completamente. Certo di questi tempi in cui gli alimenti in genere, e specie i pesci, sono carissimi, troveremmo inopportuno sacrificare un dentice o una spigola per una maionese. Queste qualità fini possono adoperarsi soltanto in via eccezionale, o quando, ad esempio, da un pranzo siano rimasti un bel pezzo di pesce lesso o arrosto. E allora l'utilizzazione è convenientissima. Altrimenti si adopererà del cefalo o, di preferenza, del palombo, che ha una sola spina e si prepara facilissimamente. Quando il pesce non sia avanzato, e si debba preparare espressamente per la maionese, invece di lessarlo, è meglio spinarlo, tagliarlo in fette, e poi cuocerlo in una teglia con un po' di burro o olio, sale e pepe. Appena cotto, ciò che accade in pochissimi minuti, si leva dal fuoco, vi si spreme su un po' di sugo di limone e si lascia raffreddare.
convenientissima. Altrimenti si adopererà del cefalo o, di preferenza, del palombo, che ha una sola spina e si prepara facilissimamente. Quando il pesce non sia
Per sei persone scegliete una dozzina di carciofi grossissimi, che abbiano il fondo molto sviluppato. Privateli di tutte le foglie, e con un coltellino tornite accuratamente il fondo che dovrà rimanere bene netto, e come una scodellina. Man mano che preparate i fondi li stropiccerete con del limone per impedire che anneriscano, e poi li getterete in acqua fresca. Quando avrete torniti tutti e dodici i fondi, gettateli in un tegame con acqua bollente leggermente salata e lasciateli cuocere per circa cinque minuti in modo che risultino quasi cotti. Estraeteli allora dall'acqua e metteteli ad asciugare su uno strofinaccio. Preparate intanto una purè di cipolle nel modo seguente. Mondate quattro o cinque cipolle di media grandezza, tagliatele sottilmente e gettatele in una casseruola o in un tegame con acqua in ebollizione. Lasciatele bollire un paio di minuti, poi scolatele e passatele in una casseruolina con un pezzo di burro come una noce. Fate stufare per due o tre minuti, poi coprite le cipolle con brodo o acqua, conditele con sale, pepe e un nonnulla di noce moscata e lasciatelo cuocere, coperto, e su fuoco moderato fino a completa cottura delle cipolle. A questo punto passatele dal setaccio, raccogliendo la purè in una scodella. È un'operazione che si fa facilissimamente, senza nessuna fatica. Mentre la purè è ancora calda uniteci un rosso d'uovo. Con questa purè riempite per mezzo di un cucchiaio, i dodici fondi di carciofi, lisciando il ripieno con una lama di coltello. Spolverate su tutto del pane pesto finissimo, e su ogni carciofo mettete un pezzettino di burro. Imburrate abbondantemente una teglia, accomodate in un solo strato i carciofi, e passate la teglia in forno per circa un quarto d'ora, affinchè i carciofi abbiano il tempo di gratinarsi. Invece di far gratinare i carciofi in forno, potrete ottenere lo stesso risultato mediante fuoco sotto e sopra.
dal setaccio, raccogliendo la purè in una scodella. È un'operazione che si fa facilissimamente, senza nessuna fatica. Mentre la purè è ancora calda
Come il precedente, anche questo dolce appartiene a quella categoria di preparazioni le quali servono a mettere in valore delle chiare d'uovo che non saprebbero essere utilizzate altrimenti. Prendete 170 gr. di mandorle dolci, mettetele in una casseruolina, ricopritele d'acqua e riscaldate l'acqua pian piano fin quasi all'ebollizione. Levate la casseruola dal fuoco e togliete la pelle alle mandorle, operazione che vi riuscirà adesso facilissimamente. Man mano che le mandorle saranno sbucciate passatele in una terrinetta con acqua fredda. Quando le mandorle saranno tutte pronte estraetele dall'acqua, asciugatele in un panno e poi disponetele bene allargate su una teglia per farle asciugare in forno leggerissimo, dopo di che le triterete accuratamente con la lunetta o con un grande coltello. Prendete adesso un peso di zucchero uguale a quello delle mandorle, e cioè 170 grammi. Mettete questo zucchero in un polsonetto di rame non stagnato o in mancanza di questo in una casseruola, purchè ben netta e che non conservi tracce di sughi o di grassi, e fate liquefare lo zucchero su fuoco moderato. A questo punto mettete giù le mandorle tritate, e mescolando continuamente con un cucchiaio di legno lasciate che il composto prenda pian piano un bel colore d'oro molto scuro. Versate questo croccante sul marmo di cucina, spianatelo con una larga lama di coltello e quando sarà ben freddo pestatelo poco alla volta nel mortaio per averlo molto fino. Preparate così le mandorle, montate in neve ben ferma sei chiare d'uovo, alle quali, da ultimo unirete con molta attenzione il croccante pestato. Ungete di burro una stampa liscia da budino, versateci il composto e cuocete a bagno-maria fino a che sarà ben rassodato. Sformatelo su un piatto e mangiatelo freddo.
facilissimamente. Man mano che le mandorle saranno sbucciate passatele in una terrinetta con acqua fredda. Quando le mandorle saranno tutte pronte estraetele dall
Mettete il miele in una casseruola, piuttosto grande, perchè in essa dovremo poi fare tutta la manipolazione, e poi mettete questa casseruola in un'altra ancor più grande posta sul fornello e contenente acqua bollente. Bisogna cuocere il miele di preferenza a bagno-maria, perchè se cotto a fuoco diretto si attacca e si colorisce, mentre, per il torrone, deve rimanere ben limpido e senza grumi. Provvedetevi di un cucchiaio di legno nettissimo, che non abbia odori di grassi e di sughi e incominciate a mescolare il miele, senza mai più lasciare di mescolarlo. È questa l'operazione più noiosa, poichè la cottura a bagno-maria è lenta e necessita quella pazienza alla quale abbiamo fatto appello. Del resto, non ci sono altre complicazioni e, se volete, potrete affidare questa parte di lavoro manuale alla vostra domestica, mentre voi sorveglierete la cottura, che durerà circa un'ora e mezzo, e accudirete intanto alle altre preparazioni. Mentre il miele cuoce, preparate gli altri ingredienti necessari al torrone. E prima di tutto le mandorle e le nocciole. Acquistando le mandorle rivolgetevi ad un negoziante onesto, che vi garentisca mandorle dolci e non vi dia un misto di mandorle dolci e amare che darebbero un cattivo sapore al torrone. Le mandorle — naturalmente senza guscio — vanno messe in una casseruolina con acqua fredda che poi si porta pian piano fin quasi all'ebollizione. Si ritirano allora dal fuoco e si sbucciano facilissimamente. Prima di mettere le mandorle nella casseruolina, sarà bene di dar loro una guardata, per toglier via qualche pezzo di guscio che potesse esservi mischiato. Le nocciole si schiacciano, si pesano e si allargano insieme con le mandorle in una teglia ben netta, e si mettono ad asciugare su un po' di brace, o meglio in forno leggerissimo, mescolandole di quando in quando con le mani. Fatto questo, montate in neve due chiare d'uovo. Dopo qualche tempo, incominciate a provare la cottura del miele che dovrà essere portata esattamente al grado della «caramella». Quando constaterete che la cottura del miele è al grado voluto incominciate a metterci le chiare montate, un po' alla volta, e sempre mescolando. Vedrete che la massa si gonfierà e diventerà bianca e spumosa. Tenete pronto intanto lo zucchero, che cuocendosi a fuoco diretto e non a bagno-maria come il miele, arriva assai più presto di cottura. Mettete i duecento grammi di zucchero in un polsonetto
si porta pian piano fin quasi all'ebollizione. Si ritirano allora dal fuoco e si sbucciano facilissimamente. Prima di mettere le mandorle nella
(Procedimento semplificato). Il procedimento esposto più sopra è quello che potrebbe dirsi classico. Ma per chi desiderasse di semplificare le cose, ecco un piccolo segreto per ottenere rapidamente e facilissimamente le scorzette d'arancio candite. Tagliate la corteccia degli aranci in spicchi, mettete questi spicchi in un recipiente piuttosto capace e teneteli per almeno due giorni in acqua corrente, oppure rinnovate l'acqua il più spesso che vi sarà possibile. Questo bagno serve per far perdere alle cortecce il loro gusto amarognolo. Compiuta questa prima operazione, gettate le cortecce in una pentola o in una casseruola con abbondante acqua in ebollizione, e lasciate cuocere per un quarto d'ora abbondante, fino a quando, cioè, le cortecce potranno essere facilmente trapassate da uno stecchino. Estraetele allora dall'acqua, lasciatele freddare, e poi con un coltellino tagliente dividete ogni spicchio in tante listelline di circa mezzo centimetro. Pesate queste listelline a prendete un eguale peso di zucchero. Mettete lo zucchero in un polsonetto, bagnatelo con un dito d'acqua — tanto da inumidirlo e renderlo una pasta appena colante — aggiungete le scorzette ritagliate e mettete sul fuoco. Lasciate cuocere mescolando piuttosto spesso e quando lo zucchero sarà quasi tutto assorbito e ridotto a poco sciroppo molto denso rovesciate le scorzette sul marmo, staccatele delicatamente l'una dall'altra e lasciatele freddare. Queste scorzette candite sono una cosa veramente buona, e non solo potranno venire usate per tutti gli usi di pasticceria, ma potranno anche essere servite come petits-fours, completando assai simpaticamente un vassoio di pasticceria leggera da tè. È bene non spingere la cottura fino a completo assorbimento dello zucchero, che in questo caso le scorzette raffreddandosi diventano piuttosto dure. Tenete conto di questa raccomandazione specialmente se dovrete servirvi delle scorzette candite per usi di pasticceria. In questo caso le scorzette subiscono una seconda cottura nel forno e, se già cotte troppo, perderebbero necessariamente quella morbidezza che è caratteristica delle frutta candite.
, ecco un piccolo segreto per ottenere rapidamente e facilissimamente le scorzette d'arancio candite. Tagliate la corteccia degli aranci in spicchi
Ognuno può farsi in casa, assai economicamente, una piccola provvista di filetti di aringhe. Togliete la testa alle aringhe e poi con le dita spellatele. La pelle vien via facilissimamente senza ricorrere al fuoco che rende le aringhe diabolicamente salate. Spellate che siano, fate loro con un coltellino un'incisione lungo il dorso, e procedendo con garbo, e aiutandovi con la mano e col coltellino dividetele in due. Mettete da parte le uova o il cosidetto «latte», togliete la spina dell'aringa, le pinne dorsali e col coltello levate via la parte inferiore del ventre, formata solamente di pelle e spine e quindi immangiabile. Avrete così ottenuto due grossi filetti spinati, che ritaglierete in due per lungo, e poi trasversalmente a metà, in modo da avere da ogni aringa otto pezzi. Se l'aringa fosse piccola accontentatevi di quattro filetti solamente. Mettete questi filetti in una terrinetta, aggiungete le uova o il «latte» messi da parte, e condite con abbondante olio. I filetti preparati così si mantengono per moltissimo tempo.
spellatele. La pelle vien via facilissimamente senza ricorrere al fuoco che rende le aringhe diabolicamente salate. Spellate che siano, fate loro con un