Queste Terme non hanno bisogno di essere raccomandate al colto pubblico e all'inclita guarnigione, perchè antiche come la tradizione storica e perchè la loro fama ha sopravissuto a tanto tramontare di teorie mediche e di fanatismi di scuole.
la loro fama ha sopravissuto a tanto tramontare di teorie mediche e di fanatismi di scuole.
Il vino catramato o nebit della salute fino ad ora non era usato che sulle Coste dell'Asia Minore, dove gode fama di grande salubrità e si adopera nelle malattie lente di petto, nei catarri della vescica, nelle dispepsie, nelle inappetenze ecc. Il sapore del nebit non è molto gradito, essendo resinoso, ma lo crediamo utilissimo nei catarri bronchiali e della vescica ed è destinato ad un grande avvenire anche fra noi. È molto digestivo, profuma le orine ed è sudorifico. (Costa L. 2,50 la bottiglia).
Il vino catramato o nebit della salute fino ad ora non era usato che sulle Coste dell'Asia Minore, dove gode fama di grande salubrità e si adopera
Da Capo dunque in cerca di un più facile intraprenditore, e conoscendo per fama un'altra importante casa editrice di Milano, mi rivolsi ad essa, perchè pubblicando d'omnia generis musicorum, pensavo che in quella farragine potesse trovare un posticino il mio modesto lavoro. Fu per me molto umiliante questa risposta asciutta asciutta: — Di libri di cucina non ci occupiamo. —
Da Capo dunque in cerca di un più facile intraprenditore, e conoscendo per fama un'altra importante casa editrice di Milano, mi rivolsi ad essa
Un signore, che non ho il bene di conoscere, ebbe la gentilezza di mandarmi da Roma questa ricetta, della quale gli sono grato sì perchè trattasi di un dolce di aspetto e di gusto signorile e sì perchè era descritto in maniera da farmi poco impazzire alla prova. C'era però una lacuna da riempire, e cioè di dargli un nome, chè non ne aveva; ed io, vista la nobile sua provenienza, ho creduto mio dovere metterlo in compagnia del Dolce Torino e del Dolce Firenze, dandogli il nome della città che un giorno riempirà di fama il mondo come in antico.
Dolce Firenze, dandogli il nome della città che un giorno riempirà di fama il mondo come in antico.
La cacciagione e la selvaggina in genere, se mai non lo sapeste, è un alimento aromatico, nutritivo e leggermente eccitante; so di un medico di bella fama il cui cuoco ha ordine di preferirla a qualunque altra carne, quando la può trovare; e in quanto ai cefali vi dirò che quando io ero nella bella età in cui si digeriscono anche i chiodi, la serva ci portava questo pesce in tavola con un contorno di cipolle bianche tagliate in due, arrostite in gratella ed anch'esse condite con olio, sale, pepe e succo di melagrana. La mangia, ossia la stagione dei muggini delle Valli di Comacchio, è dall'ottobre a tutto febbraio. A proposito di questo luogo di pesca qui viene in acconcio di aggiungere (come cosa meravigliosa e degna a sapersi) che la pesca nelle valli comacchiesi, a tutto il 1° novembre 1905, diede quell'anno i seguenti risultati:
fama il cui cuoco ha ordine di preferirla a qualunque altra carne, quando la può trovare; e in quanto ai cefali vi dirò che quando io ero nella bella
Per quante ricerche io abbia fatto onde appurare tali notizie, non mi è riuscito di venirne a capo. Ciò che vi è di positivo su tale argomento è questo, e cioè: che l'uso delle bibite ghiacciate, con l'aiuto della neve e del ghiaccio in conserva, è di origine orientale e rimonta alla più remota antichità e che la moda dei gelati fu introdotta in Francia verso il 1660 da un tal Procopio Coltelli palermitano, il quale aprì sotto il suo nome Café Procope una bottega a Parigi di faccia al teatro della Comédie française ed era quello il luogo di ritrovo di tutti i begli ingegni parigini. La rapida fortuna di questo caffè, ove ai gelati si cominciò a dar la forma di un uovo e di un ovaiuolo al bicchiere che li conteneva, spinse i venditori di limonate e bibite diverse a imitare il suo esempio, e fra essi va ricordato il Tortoni che colla voga dei suoi deliziosi gelati riuscì ad avviare un caffè di fama europea e ad arricchire.
L'anitra domestica occupa un posto importante nell'economia domestica. Oltre la saporita sua carne col fegato si fanno eccellenti e saporiti pasticci; come quelli di Nerac, Amiens e Tolosa i quali sono di fama mondiale. Alla carne di tutte le varietà di anitre non è confacente quel certo grado di frollitura adatto al fagiano od altra simile cacciagione.
; come quelli di Nerac, Amiens e Tolosa i quali sono di fama mondiale. Alla carne di tutte le varietà di anitre non è confacente quel certo grado di
Oggi giorno non gode più di quella fama che la rese celebre presso gli antichi romani, forse perchè non possiamo più nutrirla con la carne degli schiavi.
Oggi giorno non gode più di quella fama che la rese celebre presso gli antichi romani, forse perchè non possiamo più nutrirla con la carne degli
677. Fonduta alla piemontese. — I buoni piemontesi si adonterebbero, se dicendo dei tartufi, si dimenticasse la loro fonduta, che gode una fama pari, benchè diversa da quella che Farinata degli Uberti, di buona memoria, attribuiva a Firenze.
677. Fonduta alla piemontese. — I buoni piemontesi si adonterebbero, se dicendo dei tartufi, si dimenticasse la loro fonduta, che gode una fama pari
Qualità nutritive del brodo. — Diciamo il vero; come liquido nutriente il brodo ha posseduto sempre una fama usurpata. L'albumina, alimento essenziale pel nostro organismo, è contenuta nel brodo in quantità trascurabile o quasi, perchè la carne, cuocendo non cede al liquido che quella parte di albumina, che ci si trova allo stato di soluzione. Nel brodo, invece, abbondano le sostanze aromatiche, i sali e i grassi in sospensione.
Qualità nutritive del brodo. — Diciamo il vero; come liquido nutriente il brodo ha posseduto sempre una fama usurpata. L'albumina, alimento
La carne del capretto di tre mesi è eccellente, benchè goda fama di essere difficile alla digestione. Si conserva fresca poco più di ventiquattr'ore. Ha le stesse proprietà, o quasi, dell'agnello, e come la carne di questo vuol essere trattata quella del capretto.
La carne del capretto di tre mesi è eccellente, benchè goda fama di essere difficile alla digestione. Si conserva fresca poco più di ventiquattr'ore
Il Màndorlo è pianta indigena a foglia caduca, originaria dall'Asia e precisamente dalla Siria e Barberia. Climatologicamente occupa il posto tra la vite e l'ulivo. Ama il caldo, terre leggere e calcaree — languisce e more nelle forti. — Si propaga per seme, ed innesto su sè stesso. Nasce spontaneamente nella Sicilia, Spagna, Provenza, a Tripoli e Marocco, vegeta con prosperità sulle riviere di Genova. Fiorisce in Marzo ed Aprile, teme le brine ed il freddo. Se ne contano 9 varietà. La migliore è il màndorlo fino o princesse, il cui guscio si rompe colle dita. Alcune di queste varietà ànno frutto dolce, altre amaro, ma dall'albero mal si distingue il sapore del frutto. La maturanza si riconosce dall'aprirsi del pericarpo carnoso, il quale serve pel bestiame. Il suo nome dall'ebraico suo appellativo che significa vigilante, perchè è il primo albero che si risveglia, e perciò in linguaggio delle piante significa: storditaggine. L'uso della màndorla a tavola è assai svariato. Sì verde che secca, si mangia come frutta da dessert al cui scopo la più ricercata è la qualità detta saccarelle. Si confettano, se ne fanno varie paste dolci, fra cui l'orzata, o semata di màndorle dolci che serve alla preparazione di una notissima bevanda. In Provenza si fanno essicare al forno e sono di un sapore gustoso. Entrano nel torrone, nei biscotti, marzapani, crocanti, ecc., dove si mischiano pure le amare. La màndorla si pela sempre, e se secca, lo si fà facilmente immergendola nell'aqua bollente. Anche delle dolci l'epidermide che riveste i semi, giallognola se verdi, imbrunita se essicati, à qualche cosa d'indigesto e di acre. Conservata a lungo la màndorla irrancidisce e per conservarla nella state vuol essere di quando in quando esposta all'aria. Colle màndorle amare si fà una pasta che tiene morbida la pelle delle mani e del viso delle donnine, cosmetici e saponi. Le amare schiacciate o pestate, uccidono il pollame ed i volatili, una volta si credeva fossero antidoto all'ubbriachezza. Plutarco riferisce che il medico di Druso, fratello di Tiberio, tremendo bevitore, gli faceva inghiottire ad ogni bicchiere di vino, cinque màndorle amare, onde mitigarne gli effetti, ma pare che quel furbo di Druso, le mangiasse per eccitare la sete, dicendo Eupoli, che fanno venir voglia di bere: Da quas manducem Naxias amygdalas, da vinum, quod bibam e vilœ Naxia. Le màndorle migliori sono quelle di Spagna. Le dolci contengono molto olio fisso, 54 %, ed un principio di emulsina molto carico di azoto. La medicina ne prepara un'emulsione, bevanda gradevole sedativa nelle malattie flogistiche. Anche dalle amare si estrae un olio medicinale, che gela difficilmente, ma facilmente irrancidisce, lassativo, temperante nelle tossi, flogosi intestinali, stitichezza, nefrite, renella, serve pure alla confezione di diversi looch kermatizzati, balsamici, anodini. Esternamente l'olio di màndorle giova nelle dermatosi pruriginose, rigidità muscolari e tumori glandulosi. La sede principale del sapore amaro nelle màndorle amare, è nella loro pellicola gialla, che è micidiale alle bestie e possiede anche qualità deleterie per l'uomo, ingesta in dosi maggiori, perchè contiene acido idrocianico, che distrugge rapidamente l'irritabilità e la facoltà sensitiva. Nondimeno, pochissime màndorle amare, corroborano lo stomaco, provocano l'appetito e sono credute vermifughe e febbrifughe. Antidoto contro il loro avvelenamento è l'amoniaca e l'alcool — gli stimoli interni ed esterni. La polpa o pasta e la farina delle amare ridotta a cataplasma giova esternamente nelle nevralgie, coliche, nefrite, ecc. Con tale pasta si toglie pure qualunque ribelle ed inveterato odore ai vasi, sfregandoli internamente. Col guscio secco e sminuzzato delle dolci si confeziona un'emulsione teiforme che oltre al grato sapore, à una fragranza balsamica di violette e di vaniglia. Sull'origine del màndorlo, la tradizione greca racconta che Fillide, figlia di Licurgo, re di Tracia, era promessa a Demofoonte figlio di Teseo. Ma essendo già state fatte le pubblicazioni e vedendo come il suo promesso sposo non compariva, s'impiccò e fu da quei bonissimi Dei cambiata in màndorlo. Demofoonte, che aveva perduta la corsa, venne e versò amare lagrime su quell'albero, e fu sotto la pioggia di quel pianto che il màndorlo cominciò a mettere foglie e frutti — amari dapprima, dolci poi essendosi Demofoonte finalmente consolato. La màndorla da Plinio venne chiamata noce greca. Ma in Italia prima di Catone nessuno ne à parlato, ed ancora lo confusero colle noci. Fu dopo le crociate che la màndorla incominciò ad avere fama e che si trovò di comporne ghiottonerie culinarie. Palladio ci tramanda che i Greci divinando le macchine a vapore del Sonzogno, si servivano della màndorla come mezzo di pubblicazione. Ecco cosa dice: Greci asserunt nasci amygdala scripta, si, aperta testa, nucleum sanum tollas ed in eo quodlibet scribas et iterum luto et porcino stercore involutum reponas. Il che vuol dire, che essi aperta una màndorla vi scrivevano alcun che, e rinchiusala di novo così la seminavano, e le màndorle che faceva quell'albero erano altrettante edizioni di quella scritta. Se non ci credete pigliatevela con Palladio.
ne à parlato, ed ancora lo confusero colle noci. Fu dopo le crociate che la màndorla incominciò ad avere fama e che si trovò di comporne ghiottonerie
Il Melagrano è un alberetto originario dall'Africa, a foglia caduca, indigeno in Italia. Viene in piena terra, ma meglio adossato ai muri, ama esposizione soleggiata, calda, difesa dai venti. Teme l'umidità ed il gelo. Si propaga per seme, margotte, talloni. Se ne annoverano dal sapore dei frutti tre varietà, dolce, acido, ed agro dolce. Si coltiva molto in Spagna dove i frutti vengono grossissimi ed aromatici. Fiorisce in Giugno e Luglio, si raccolgono i frutti immaturi alla fine di Settembre, perchè aspettando più tardi la corteccia si apre per eccessiva umidità. Il vocabolo punica è da punicus, rosso scarlatto, il colore de' suoi fiori — e granatum dalla quantità dei grani. Onde da noi è detto melagranata e à dato pure il nome al rosso-violetto che si chiama pure granato. Nel linguaggio delle piante significa: Fatuità. Il pomo granato si conserva fresco e sano sino a metà inverno, cogliendolo in giornata serena, ed esponendolo al sole per due giorni. Poi si colloca, involto con carta, in qualche recipiente i cui vani si riempiono con sabbia ben asciutta e se ne tura l'orifizio con bon coperchio. Così conservato aquista anche maggior grado di maturanza. Questo frutto sferoideo, bellicato, è rivestito di scorza coriacea prima verde, poi rosso scuro che raccoglie in segmenti divisionali semi numerosi, involti in una polpa rosea, pelucida, succosa, gradevole, pochissimo nutriente, ma rinfrescante e salubre. Punica sub lento cortice grana rubent, dice Ovidio (Egl. 15). È frutto cercato ghiottamente, dalle signorine e dei ragazzi. Serve al dessert. I grani somigliante ai rubini, nettano i denti e movono l'appetito. Dal succo, espresso e fermentato, se ne fà una specie di vino che una volta si chiamava: vino del Palladio. Se ne compongono più comunemente sciroppi e conserve deliziose, confetture delicatissime, ghiotti giulebbi e gelati. I fiori del melagrano si usavano come astringenti in polvere e decotto — oggi macerati con allume nell'aqua danno un bell'inchiostro rosso, come la buccia, macerata con allume pure lo dà nero. La buccia o pericarpio detta malicorion, ricca di principio amaro, contiene moltissimo tannino e viene utilmente impiegata nella concia delle pelli. A Tunisi serve a tingere in giallo i così detti marocchini. In medicina viene somministrata per uso sì interno che esterno, come astringente e dei più energici. Arago, nella sua Promenade autour du monde, dice, che a Timor si usa nella dissenteria. In Persia al Thibet, nella China, fra gli Arabi ed anche in Russia al dire del Rehmann viene adoperata come succedaneo al chinino. Il seme risulta d'una buccia cartilaginea e di un mandorlo bianco, dolce da cui si può spremere olio. La radice, e precisamente la corteccia della radice, gialla all'interno, bigio-cenericcia all'esterno, à sempre goduto dall'antichità fino a' giorni nostri fama di tenifuga quando è fresca e caccia pure le ascaridi.
, e precisamente la corteccia della radice, gialla all'interno, bigio-cenericcia all'esterno, à sempre goduto dall'antichità fino a' giorni nostri fama
Il Noce è l'albero fruttifero più maestoso dei climi temperati. S'addatta a quasi tutti i terreni, tranne i molto umidi. Teme le brine, fiorisce a 12 gradi, matura il frutto da Agosto a Settembre. Si propaga per seme, e le varietà per innesto. Comincia a dar qualche prodotto a 8-10 anni, sino ai 25 non dà raccolto apprezzabile, lo dà dopo i 40. Ai 60 dà il massimo della produzione, ai 100 comincia a deperire — à vita di tre, quattro secoli. Se ne conoscono 16 varietà, a torto viene poco coltivata la nigra, oltre al rapido sviluppo, raggiungendo fino l'altezza di 50 metri, fornisce un legno nero durissimo che gli ebanisti preferiscono al noce comune. Il nome di juglans significa ghianda di Giove e, come dice Macrobio, prima si scriveva diuglandem, ghianda degli Dei, poi si lasciò il d, e restò juglandem, cibo di Giove, e a lui era dedicato il noce. La parola nux, da dove noce, viene da nocere perchè la sua ombra è nociva, perchè rompendone i frutti coi denti, questi si guastano. Nel linguaggio delle piante: Durezza. Si riconosce la noce matura quando il mesocarpo, o corteccia verde incomincia a screpolarsi e a staccarsi dal guscio. Si raccolgono e sbucciate si stendono in locali ben ventilati per farle asciugare e rimovendole due volte al giorno. Dopo un mese, sono stagionate. La noce fresca contiene una specie di emulsione, che poi si cangia in olio. Per cavarne l'olio bisogna pazientare fino all'inverno, perchè l'olio si forma lentamente colla stagionatura, rotti i gusci, si torchiano subito perchè soffrirebbero. Si conservano quasi per un anno, tenendole ben chiuse in luogo fresco. Per rinverdirle bisogna tenerle per 4, 5 giorni nell'acqua pura. Mantegazza suggerisce di metterle a macerare nel latte tepido e lasciarvele raffreddare. L'olio fresco è commestibile, ma col tempo diventa essicativo. È certo che la noce è migliore fresca, che secca, più digeribile spoglia della sua pellicola e che mangiandone in quantità si compromette la condotta degli organi digerenti e di quelli di secrezione, essicando diventa un po' acre. Ma la noce fresca è saporita e salubre e compare allegra al dessert. Pan e nôs, mangia de spôs dice un proverbio. Immatura ed intera, vien confettata collo zuccaro ed il miele e forma uno dei più grati componenti la mostarda. Brillat-Savarin ci racconta che le monache Visitandines di Bellay avaient pour les confire, une recette qui en faisait un tresor d'amour et de friandise. Infondendole nel vino bianco con erbe amare ed aromatiche se ne ottiene una particolare, delicata varietà di wermouth, e dietro infusione alcoolica se ne fabbrica un rosolio, o ratafià, che gode meritata fama di stomatico e roborante. Nella Virginia e nella Luigiana coi frutti di quelle noci si confeziona del pane. I Greci Mainotti, le fanno bollire col mosto del vino e ne compongono l'halvez che è uno dei più delicati loro manicaretti. In Francia ne fanno il nouga, espèce de conserve brulèe, avec les noix sèches et pelèe. Ed anche da noi, principalmente in campagna, ànno moltissimi usi in cucina ed in pasticcieria. Ricordo il pieno di noci che faceva la mia nonna ai capponi. Ma l'uso più grande delle noci secche, è di ricavarne olio, il quale estratto per pressione, è eccellentissimo in cucina, per certe fritture e per arrostire il pesce. Essendo essicativo è adoperato molto dai pittori, verniciatori e serve anche per fabbricare sapone. Irrancidisce facilmente. Il mollo o scorza verde, fresco, appena staccato facilmente annerisce e tinge in nero giallognolo la pelle di chi lo maneggia, è una vera ossidazione. «Un po' di scorza di noce mutò la mia pelle giallognola, in una gentil pelle brunetta » dice lo zio Tom nel romanzo della Beker. La fuliggine delle noci bruciate è uno dei principali ingredienti dell'inchiostro del Giappone. Fino dai tempi di Plinio era nota la maniera di tingere le lane colla scorza di noce. Se ne servono per conciare le pelli, per dar colore ai legnami. La decozione della scorza verde delle noci è specifico contro le cimici, libera i cani e i gatti dalle pulci, i cavalli, i muli ed i buoi dalle zanzare ecc. L'ombra del noce è dannoso alla vegetazione sottostante per lo sgocciolamento delle foglie e dei rami, impregnato di tannino e di sostanze non assimilabili, nuoce agli animali per l'esalazione graveolente e alquanto virosa delle foglie stesse — e produce, a chi vi dormisse sotto, gravezza di capo e cefalalgia. Il legno di noce è assai pregiato per la sua durezza, forza, e colore. Alla medicina il noce tutto, fino da Galeno dà sicuri e riputati specifici. Col frutto, se ne fà infuso, decotto, unguento, ed un rimedio facile, sicuro, economico contro la scrofola principalmente. Colle foglie, ammaccate e ridotte in pasta, strofinandone la pelle agli scabbiosi se ne distrugge l'acaro. Se ne fanno detersioni, bagni astringenti fortificanti. Servono a falsificare il tabacco principalmente presso i nostri fratelli del Cantone Ticino. Dal tronco se ne può cavare con opportune incisioni sciroppo zuccherino. La corteccia della radice fresca, macerata in aceto, dà un rubefaciente e rivulsivo. L'olio è usato come antielmitico, e purgativo internamente, (il lungo uso però irrita gli intestini), esternamente nelle erpeti crostose ed ulcerose. Plinio e Columella accusavano le noci come callidœ. Dioscoride le chiamava biliosœ, tussientibus inimicœ, e generalmente infatti, sono facile cagione di saburre e sconvenienti ai catarrosi, sicchè la Scuola Salernitana ebbe a sentenziare della noce: Unica nux prodest, nocet altera, tertia mors est . Fu creduto per molto tempo che il noce fosse originario, della Persia, d'onde Plinio lo dice importato in Roma al tempo dei Re, e le migliori qualità, le chiama persica, ma secondo una memoria del Dott. Heer, da alcuni avanzi fossili risulterebbe che sia spontanea anche in Italia da tempi remotissimi. In Grecia avevano vanto le noci di Thaso in Tracia, e presso i Romani quelle di guscio fragile di Tarento, onde si chiamavano noci tarentinœ. È ricordata la noce nell'Esodo (c. 25, 37), e da Salomone nel Cantico (c. 6.). Virgilio menziona le castagne e le noci che piacevano tanto alla sua Amarille:
wermouth, e dietro infusione alcoolica se ne fabbrica un rosolio, o ratafià, che gode meritata fama di stomatico e roborante. Nella Virginia e nella
Questa pianta aromatica gode fama medicinale. Facilita le funzioni digerenti, è antitisica e antierpetica. Secondo Biett giova nelle malattie di fegato, e secondo Beval in quelle degli occhi. Plinio ci assicura che i semi del cerfoglio erano molto in uso ad Atene — ed il commediografo Aristofane fece ridere, tutta la platea ed il lobbione, accusando la madre di Euripide, che a quanto pare era un'ortolana, di scamottare altre erbe col cerfoglio. Dovrebbe essere odiato dai professori perchè è una delle ghiottonerie degli asini.
Questa pianta aromatica gode fama medicinale. Facilita le funzioni digerenti, è antitisica e antierpetica. Secondo Biett giova nelle malattie di
. Le màndorle migliori sono quelle di Spagna. Le dolci contengono molto olio fisso, 55 0[0, ed un principio di emulsina molto carico di azoto. La medicina ne prepara un'emulsione, bevanda gradevole sedativa nelle malattie flogistiche. Anche dalle amare si estrae un olio medicinale, che gela diffìcilmente, ma facilmente irrancidisce, lassativo, temperante nelle tossi, flogosi intestinali, stitichezza, nefrite, renella; serve pure alla confezione di diversi looch kermatizzati, balsamici, anodini. Esternamente l'olio di màndorle giova nelle dermatosi pruriginose, rigidità muscolari e tumori glandulosi. La sede principale del sapore amaro delle màndorle amare, è nella loro pellicola gialla, che è micidiale alle bestie e possiede anche qualità deleterie per l'uomo, indigesta in dosi maggiori, perchè contiene acido idrocianico, che distrugge rapidamente l'irritabilità e la facoltà sensitiva. Nondimeno, pochissime màndorle amare, corroborano lo stomaco, provocano l'appetito e sono credute vermifughe e febbrifughe. Antidoto contro il loro avvelenamento è l'ammoniaca e l'alcool — gli stimoli interni ed esterni. La polpa o pasta e la farina delle amare ridotta a cataplasma giova esternamente nelle nevralgie, coliche, nefrite, ecc. Con tale pasta si toglie pure qualunque ribelle ed inveterato odore ai vasi, sfregandoli internamente. Col guscio secco e sminuzzato delle dolci si confeziona un'emulsione teiforme che oltre al grato sapore, à una fragranza balsamica di violette e di vaniglia. Sull'origine del mandorlo, la tradizione greca racconta che Fillide, figlia di Licurgo, re di Tracia, era promessa a Demofoonte, figlio di Teseo. Ma essendo già state fatte le pubblicazioni e vedendo, come il suo promesso sposo non compariva, si impiccò e fu da quei bonissimi dèi cambiata in màndorlo. Demofonte, che aveva perduta la corsa, venne e versò amare lacrime su quell'albero, e fu sotto la pioggia di quel pianto che il màndorlo cominciò a mettere foglie e frutti — amari prima, dolci poi, essendosi Demofoonte finalmente consolato. La màndorla da Plinio venne chiamata noce greca. Ma in Italia, prima di Catone, nessuno ne à parlato, ed ancora lo confusero colle noci. Fu dopo le crociate che la màndorla cominciò ad avere fama e che si trovò di comporne ghiottonerie culinarie. Palladio ci tramanda che i Greci, divinando le macchine a vapore del Sonzogno, si servivano della mandorla come mezzo di pubblicazione. Ecco cosa dice:
in Italia, prima di Catone, nessuno ne à parlato, ed ancora lo confusero colle noci. Fu dopo le crociate che la màndorla cominciò ad avere fama e che
, dice Ovidio (Egl., 15). È frutto cercato ghiottamente, dalle signorine e dei ragazzi. Serve al dessert. I grani, somiglianti ai rubini, nettano i denti e movono l'appetito. Dal succo, espresso e fermentato, se ne fa una specie di vino che una volta si chiamava: vino del Palladio. Se ne compongono più comunemente sciroppi e conserve deliziose, confetture delicatissime, ghiotti giulebbi e gelati. I fiori del melagrano si usavano come astringenti in polvere e decotto — oggi macerati con allume nell'acqua danno un bell'inchiostro rosso, come la buccia, macerata con allume pure lo dà nero. La buccia, o perpicarpio, detta malicorion, ricca di principio amaro, contiene moltissimo tannino e viene utilmente impiegata nella concia delle pelli. A Tunisi serve a tingere in giallo i così detti Marocchini. In medicina viene somministrata per uso sì interno che esterno, come astringente e dei più energici. Arago, nella sua Promenade autour du bionde, dice, che a Timor si usa nella dissenteria. In Persia al Thibet, nella China, fra gli Arabi ed anche in Russia al dire del Rehmann viene adoperata come succedaneo al chinino. Il seme risulta di una buccia cartilaginea e di un màndorlo bianco, dolce, da cui si può spremere olio. La radice, e precisamente la corteccia della radice, gialla all'interno, bigio-cenericcia all'esterno, à sempre goduto dall'antichità fino a' giorni nostri fama di tenifuga quando è fresca e caccia pure le ascaridi.
dall'antichità fino a' giorni nostri fama di tenifuga quando è fresca e caccia pure le ascaridi.
. Infondendole nel vino bianco con erbe amare ed aromatiche, se ne ottiene una particolare, delicata varietà di wermouth, e, dietro infusione alcoolica, se ne fabbrica un rosolio o ratafià, che gode meritata fama di stomatico e corroborante. Nella Virginia e nella Luigiana, coi frutti di quelle noci si confeziona del pane. I Greci Mainotti le fanno bollire col mosto del vino ene compongono l'halvez, che è uno dei più delicati loro manicaretti. In Francia ne fanno il
alcoolica, se ne fabbrica un rosolio o ratafià, che gode meritata fama di stomatico e corroborante. Nella Virginia e nella Luigiana, coi frutti di quelle
di orzo. Nella Grecia era celebre l'orzo di Atene dove era in antichissimo uso di cibo, al dire di Meandro e pare che fosse pure l'alimento più omogeneo dei gladiatori, i quali forse per ciò venivano chiamati Hordearii. Presso i Romani non godette molta fama. Es hordearium, veniva chiamato il foraggio dei cavalli, lo si dava al bestiame e ai soldati vigliacchi, ignominia; causa. Marcello diede alle sue legioni dell'orzo invece del frumento, perchè si erano lasciate battere da Annibale. Aristotele scrive che i fornai e coloro che facevano il pane d'orzo diventavano imbecilli. Nella Sacra Scrittura l'orzo è pure ritenuto come cibo ignominioso e da poco. L'orzo, il miglio e la veccia sono pressochè sempre messi insieme (Isaia). Ezechiele, parlando dei falsi profeti dice:
omogeneo dei gladiatori, i quali forse per ciò venivano chiamati Hordearii. Presso i Romani non godette molta fama. Es hordearium, veniva chiamato il
Il crescione, questa graziosa pianticella la quale ha la fama di adunare in sè tante virtù, oltre che offrire una squisita e salubre insalata dà modo di confezionare una minestra tra le più gustose e igieniche. Per sei persone provvedetevi di tre o quattro mazzi di crescione. Nettate accuratamente le foglie, spuntate un poco i gambi, lavate a grande acqua e gettate il crescione preparato in una pentola con acqua in ebollizione. Fate bollire un paio di minuti, scolate la verdura e passatela nuovamente in acqua fredda. Dopo qualche minuto raccogliete il crescione dall'acqua, strizzatelo fortemente tra le mani e finitelo di asciugare in una salvietta allo scopo di portar via l'umidità. Tritate poi grossolanamente i crescioni e pestateli nel mortaio con mezzo ettogrammo abbondante di burro.
Il crescione, questa graziosa pianticella la quale ha la fama di adunare in sè tante virtù, oltre che offrire una squisita e salubre insalata dà modo
Questa pietanza, di una semplicità e di una esecuzione assolutamente primordiali, non solamente riabilita il polipo, che — sia detto fra parentesi — nelle famiglie dei pesci gode di una fama volgaruccia anzichenò, ma immediatamente solleva lo spregiato mollusco ad altezze che non esiteremmo a chiamare epiche. C'è forse qualcosa di più squisito, di più appetitoso, di più delizioso di un polipo alla luciana? Quale pesce può compiere il prodigio di riempirvi la cucina di un profumo più intenso ? Uno di quei profumi che scendono allo stomaco «per vie non conosciute», come avrebbe detto il buon Stecchetti e che vi fanno venire l'acquolina in bocca. Di più il materiale di cucina occorrente non contribuirà certo a mandarvi in rovina: una pentola di coccio, un pezzo di carta paglia e un po' di spago. L'abbiamo già detto: si tratta di una preparazione primordiale. Il polipo che occorre deve essere di scoglio: quei polipi cioè che hanno una doppia fila di ventose sui tentacoli, e che sono detti a Napoli «veraci». Contrariamente poi a quanto si usa per le altre preparazioni sarà da preferirsi un polipo piuttosto grosso. E non abbiate timore che riesca duro: quando avrete seguito con diligenza i nostri consigli scambierete il vostro polipo per un pezzo di vitellino da latte, tanto sarà tenero. Comperato dunque il polipo, nettatelo bene, togliendo via la vescichetta della tinta, gli occhi e tutta la pelle. Quest'ultima operazione, che a prima vista può sembrare difficile, non lo è in realtà, se vi aiuterete con un piccolo coltello a punta. Fatta dunque un po' di toletta al polipo procedete ad un'altra operazione, che se non è molto gentile è però necessaria: quella della bastonatura; poichè il polipo «ama» di essere bastonato, come si legge in quei libri di cucina a base di strafalcioni. Naturalmente est modus... con quel che segue; e voi badate affinchè nella furia del combattimento il polipo non debba restare massacrato e coi tentacoli in pezzi. Dopo la bastonatura esso avrà perduto la rigidità delle fibre e sarà pronto per la cottura. La quale, come già abbiamo accennato, dovrà farsi in una pentola di terraglia, di capacità tale che il polipo possa occuparne i due terzi dell'altezza. Lavate adesso il polipo e, senza asciugarlo, deponetelo nella pentola. Conditelo con sale e pepe — è molto indicato, se piace, del peperoncino — qualche ciuffo di prezzemolo e abbondante olio (mezzo bicchiere un po' scarso per un polipo di mezzo chilogrammo). Chiudete ora la pentola con un paio di fogli di carta paglia — quella carta gialla usata dai rivenditori di generi alimentari — assicurate la carta con qualche giro di spago che fisserete sotto i manici e in ultimo coprite con un coperchio. Mettete la pentola su poca brace accesa, quasi delle ceneri calde, e lasciate che il polipo cuocia lentamente, insensibilmene, per un paio d'ore, per abbandonarlo poi sul camino fino al momento di mangiare, che esso guadagna ad essere gustato tiepido o freddo affatto. Vi ripetiamo la raccomandazione che il fuoco sia quasi niente, poichè in caso contrario rovinereste tutto. Pian piano, durante la cottura, un profumo allettatore si sprigionerà dalla pentola. Ma voi non vi lasciate vincere dalla tentazione di scoprirla fino a che non sia trascorso il tempo stabilito e sarà giunta l'ora del desinare. Togliete allora la carta, e avrete la sorpresa di vedere che il polipo è diventato come una specie di grosso crisantemo rossastro, tenerissimo, galleggiante in un brodo squisito, che la munifica bestia ha generosamente elargito. Non gli fate l'ingiuria di travasarlo. Adagiate la pentola in un piatto con salvietta, e fatelo portare in tavola così come si trova. È un piatto marinaresco, e va servito senza troppe cerimonie. In tavola dividetelo in pezzi, e fate che ogni commensale condisca il polipo con qualche cucchiaiata del suo brodo, un pochino d'olio e, se piace, qualche goccia di sugo di limone.
— nelle famiglie dei pesci gode di una fama volgaruccia anzichenò, ma immediatamente solleva lo spregiato mollusco ad altezze che non esiteremmo a
È questa una rinomatissima specialità della scuola francese. Calcolate mezzo piede a persona. Fiammeggiateli, raschiateli, lavateli bene, e metteteli a cuocere in acqua e sale con sedano, carota gialla, una cipolla con due chiodi di garofano, mezza foglia d'alloro, e quattro o cinque granelli di pepe. Cotti che siano, lasciateli freddare nella stessa pentola, poi estraeteli, liberateli dai legumi, divideteli in due per lunghezza e spalmateli leggermente di mostarda. Questa mostarda può essere, o della senape inglese sciolta con un pochino di acqua, o della mostarda francese che si vende già pronta per l'uso in vasi di vetro a forma di bariletto. Secondo noi la senape è preferibile, purchè naturalmente, non se ne abusi. Grattate della mollica di pane non troppo rafferma: grattate piano affinchè le bricioline risultino uguali e piccole. Rotolate in questa mollica di pane i mezzi piedi, badando che la panatura aderisca da per tutto. Ungeteli allora, di burro o di strutto liquefatti, e metteteli sulla gratella. Cuoceteli per una ventina di minuti con un fuoco moderato, affinchè possano prendere calore e colorirsi leggermente all'esterno. Non c'è bisogno di dire che quando saranno cotti da una parte bisognerà voltarli. Fateli servire caldi, accompagnandoli con una purè di patate; li troverete squisiti. Sainte-Menehould è celebre per i suoi piedi di porco, specialità insuperata del paese. E per finire ricorderemo l'aneddoto di un noto commediografo francese, il quale si era acquistata fama così per il suo ingegno, come per la incredibile trascuratezza della sua toilette. Un amico, fine buongustaio e arguto motteggiatore, lo incontra.
acquistata fama così per il suo ingegno, come per la incredibile trascuratezza della sua toilette. Un amico, fine buongustaio e arguto motteggiatore, lo
La cosa non è facile a dirsi poichè i pareri di famosi ghiottoni sono stati, in tutti i tempi, discordi. Un celebre buongustaio si accontentava di spruzzare sulla testa dello sparagio qualche granello di sale. «Non c'è bisogno di salsa — diceva — per accompagnare lo sparagio: è un fondant». E a proposito di discordi pareri sulla migliore salsa per gli sparagi è famoso l'aneddoto degli sparagi di Fontenelle, l'illustre e irriducibile ghiottone, il quale smentì eloquentemente il vecchio adagio: «Ne uccide più la gola che la spada», perchè, in barba alle sue quotidiane incursioni nei regni della golosità, morì all'età rispettabilissima di cento anni. Del resto la fama di ghiottone dell'illustre segretario dell'Accademia delle Scienze non era un mistero: la duchessa di Grammont affermava che egli sarebbe stato capace di appiccare il fuoco al castello di Versailles per arrostire un'allodola. Una mattina un vecchio amico di Fontenelle, l'abate Garcin, altro buongustaio emerito, viene a chiedergli da colazione. Quale ispirazione quel Garcin! Proprio quella mattina, Fontenelle ha ricevuto in dono dall'Ambasciatore di Napoli un magnifico mazzo di sparagi. Aggiungete che si è in inverno, in pieno gennaio. Con quale salsa dovranno essere conditi questi rari, questi meravigliosi sparagi ? Fontenelle è propenso per l'olio e il limone, Garcin propone senz'altro la salsa bianca. Quale scegliere? Ognuno difende energicamente la sua salsa prediletta. I due vecchi discutono, si accalorano, alzano la voce. Ed ecco sopraggiungere Teresa, la valentissima cuoca di Fontenelle, la quale riesce a mettere facilmente d'accordo i due contendenti mediante la più saggia delle decisioni: una metà degli sparagi all'olio per Fontenelle, l'altra metà alla salsa bianca per l'abate. Lieti di questa soluzione così semplice, alla quale nondimeno non avevano pensato, i due vecchi amici, in attesa della colazione si siedono davanti al fuoco che scoppietta nell'alto camino. All'improvviso l'abate Garcin, una specie di botte vivente, leva le mani al cielo, straluna gli occhi, tenta d'alzarsi e rotola in terra fulminato da un colpo apoplettico. Allora Fontenelle, scavalca con giovanile vigore il monumentale corpo del suo vecchio amico, e, slanciandosi verso la cucina, grida con voce trionfante:
golosità, morì all'età rispettabilissima di cento anni. Del resto la fama di ghiottone dell'illustre segretario dell'Accademia delle Scienze non era
Pregato da noi, Giacomo Manfredi ha voluto cortesemente comunicare alle nostre lettrici il procedimento minuzioso per ottenere le violette candite. È una ricetta piuttosto rara, che difficilmente figura nei trattati di pasticceria, ricetta che acquista una speciale importanza per la fama di cui il nome del Manfredi è meritamente circondato.
una ricetta piuttosto rara, che difficilmente figura nei trattati di pasticceria, ricetta che acquista una speciale importanza per la fama di cui il
I Genovesi che trovai così diversi dalla fama che li offende da Dante in qua, mi coprirono di cortesie e temo che il mio naturale poco espansivo e quella ritenutezza che i miei amici dicono modestia, ma che in fondo viene da una timidezza che mi fa fuggire dalle esteriorità così care a tanti, mi abbiano fatto comparire più rospo del vero. Credano però che io serbo di loro e di Genova così grata memoria da chieder scusa qui, come faccio, se non corrisposi, come avrei dovuto, a tante gentilezze e cortesie.
I Genovesi che trovai così diversi dalla fama che li offende da Dante in qua, mi coprirono di cortesie e temo che il mio naturale poco espansivo e
La nipote esagera, ma certo nelle case non signorili il saper preparare gli avanzi in modo ancor presentabile e mangiabile è un bel risparmio. Saranno sempre avanzi ed avranno perduto la freschezza ed il sapore del piatto originario. Basti la fama infame che vitupera i cavoli riscaldati; ma tuttavia un piatto sano, nutriente e spesso appetitoso, se ne potrà cavare, come si potrà cavare anche da questo libro, per imperfetto che sia, qualche non inutile notizia o consiglio.
. Saranno sempre avanzi ed avranno perduto la freschezza ed il sapore del piatto originario. Basti la fama infame che vitupera i cavoli riscaldati; ma
Questa pianta aromatica gode fama medicinale. Facilita le funzioni digerenti, è antitisica e antierpetica. Secondo Biett giova nelle malattie di fegato, e secondo Deval in quella degli occhi. Plinio ci assicura che i semi del cerfoglio erano molto in uso ad Atene — ed il Commediografo Aristofane, fece ridere tutta la platea ed il lobbione, accusando la madre di Euripide, che a quanto pare era un'ortolana, di scamottare altre erbe col cerfoglio. Dovrebbe essere odiato dai professori perchè è una delle ghiottonerie degli asini.
Questa pianta aromatica gode fama medicinale. Facilita le funzioni digerenti, è antitisica e antierpetica. Secondo Biett giova nelle malattie di
L'Orzo dopo il frumento ed il riso è il cereale che serve più d'ogni altro all'alimentazione dell'uomo. Si crede originario della Palestina e della Siria - si afferma però che fu trovato indigeno in Sicilia. Il suo nome da horreo, per le reste ruvide al tatto. Viene in quasi tutti i terreni, ama però meglio quello sciolto. Sopporta il freddo più della segale, nella Svizzera si coltiva a m. 1900 sul livello del mare. Seminasi in primavera ed autunno. Ve ne sono diverse varietà; se ne coltivano due specie: il volgare e lo scandella, questo per pascolo al bestiame. Del volgare migliore quello di Germania e della Siberia. Colla farina del grano d'orzo se ne fà pane, la si mescola con quella del frumento. Coll'orzo se ne fanno eccellenti, saporite e sanissime minestre. L'orzo mondo, di scelta qualità, precedentemente con meccanico sfregamento arrotondato, chiamasi perlato, e viene preferito a farne pappine alimentari e cataplasmi. Un principio di germinazione altera i principi costitutivi dell'orzo, sì che, mentre aumenta la proporzione dell'amido e zuccaro, diminuisce quello del glutine e dell'ordeina. In questo stato chiamasi orzo tallito, o germinato, che è preferito negli ospedali come base al decotto pettorale. L'orzo è il principale ingrediente e la base della birra. Gli antichi lo chiamano frumento nobilissimo. Gli Etiopi e gli Indi non conobbero altro pane che quello di miglio e di orzo. Nella Grecia era celebre l'orzo di Atene dove era in antichissimo uso di cibo, al dire di Meandro e pare che fosse pure l'alimento più omogeneo dei gladiatori, i quali forse per ciò venivano chiamati Hordearii. Presso i Romani non godette molta fama. Es hordearium, veniva chiamato il foraggio dei cavalli, lo si dava al bestiame e ai soldati vigliacchi, ignominiæ causa. Marcello diede alle sue legioni dell'orzo invece del frumento, perchè si erano lasciate battere da Annibale. Aristotele scrive che i fornai e coloro che facevano il pane d'orzo diventavano imbecilli. Nella Sacra Scrittura l'orzo è pure ritenuto come cibo ignominioso e da poco. L'orzo, il miglio e la veccia sono pressochè sempre messi insieme (Isaia). Ezechiele parlando dei falsi profeti dice: Et violabant me (cioè Iddio) ad populum meum propter pugillum hordei etfragmen panis. (Ezech.). Di tale opinione è pure S. Gerolamo, vedi In Isaiam. Lo stesso S. Gerolamo asserisce aver visto in Siria un'eremita che visse trent'anni con orzo ed acqua sporca. Galeno ne scrisse lungamente in un libro tutto dedicato al decotto: De Phtisana hordacea.
godette molta fama. Es hordearium, veniva chiamato il foraggio dei cavalli, lo si dava al bestiame e ai soldati vigliacchi, ignominiæ causa. Marcello
Altro intervallo: la Signora Maria Kousnezoff, dell'Opéra e dell'ex-teatro imperiale di Pietrogrado, in due interpretazioni, accompagnata al piano dal Maestro Balbis, dimostrò ancora una volta le sue eccezionali qualità di voce che le hanno procurato una fama mondiale.
dal Maestro Balbis, dimostrò ancora una volta le sue eccezionali qualità di voce che le hanno procurato una fama mondiale.
2) Sono esterofili e quindi colpevoli di antitalianità gli interpreti italiani di fama mondiale (artisti del canto, concertisti e direttori d'orchestra) quando si gonfiano fino a dimenticare che l'interprete è il servo utile non necessario del genio creatore. Esempio: l'eccellente e celebre direttore d'orchestra Arturo Toscanini che antepose il suo successo personale al prestigio della sua patria col rinnegare i suoi inni nazionali per delicatezza artistica ed eseguire quelli stranieri per opportunismo.
2) Sono esterofili e quindi colpevoli di antitalianità gli interpreti italiani di fama mondiale (artisti del canto, concertisti e direttori d
Qui ha fine la varia nomenclatura delle diverse vivande che si possono confezionare traendo il miglior possibile partito dal pollame proveniente dai rilievi della tavola. Ora passeremo ad un soggetto non meno interessante, al pollo di Marengo, o alla Marengo, opera delicata e difficile, la quale esige una mano assai esperta, e che di per sè basterebbe, quando fosse ben eseguita, a dar fama all'artista.
esige una mano assai esperta, e che di per sè basterebbe, quando fosse ben eseguita, a dar fama all'artista.
La cacciagione e la selvaggina in genere, se mai non lo sapeste, è un alimento aromatico, nutritivo e leggermente eccitante; so di un medico di bella fama il cui cuoco ha ordine di preferirla a qualunque altra carne, quando la può trovare; e in quanto ai cefali vi dirò che quando io ero nella bella età in cui si digeriscono anche i chiodi, la serva ci portava questo pesce in tavola con un contorno di cipolle bianche tagliate in due, arrostite in gratella ed anch'esse condite con olio, sale e pepe e succo di melagrana.
fama il cui cuoco ha ordine di preferirla a qualunque altra carne, quando la può trovare; e in quanto ai cefali vi dirò che quando io ero nella bella
I Romani conoscevano e apprezzavano i boleti che godono anche adesso d'una fama giustificata in parecchie regioni d'Europa. In Italia molti paesi fanno commercio di boleti seccati, anzi per Varese Ligure essi sono una grande specialità.
I Romani conoscevano e apprezzavano i boleti che godono anche adesso d'una fama giustificata in parecchie regioni d'Europa. In Italia molti paesi
Col composto degli storti veneziani e col ferro quadrilungo quadrettato si possono fare delle cialde non molto dissimili dai famosi Sugar- wafers inglesi che ora godono tanta fama,