Il Susino o Pruno è una pianta indigena a foglie caduche, originaria dell'Asia. Le qualità migliori seguono il clima della vite. Da noi resiste ovunque all'aperto e sui monti fino a 400 m. Fiorisce a metà Aprile e matura, a seconda delle varietà e posizioni, dal Luglio a tutto Ottobre. Soffre l'ombra, ama terreno fresco, non umido. Si propaga per polloni, ma meglio per nocciolo e per innesto. Infinite le sue varietà, alcune delle quali si consumano verdi ed altre meglio si prestano ad essere essicate. Noto la Mirabella (brugna gialda) che matura alla fine di Luglio. La Damascena, originaria di Damasco portata dal duca d'Anjou al tempo delle Crociate, nome che si corruppe poi in d'amoscina, moscina e volgarmente massina, e da noi per eccellenza la nera (Prunus domestica ungarica). — La Regina Claudia, (brugna Sanclò) grossa e piccola, che matura in Agosto, e la Settembrina ecc. Nel linguaggio delle piante significa: Promessa. Il raccolto delle susine da conservarsi deve farsi delicatamente, a mano, quando sono asciutte dalla rugiada e dalla pioggia. La susina è nutriente quanto il fico, è di facile digestione e costituisce un cibo grato, sì fresca la state, che essicata nel verno. Sotto questa forma ne fanno attivo e proficuo commercio diversi paesi meridionali d'Italia e di Francia. Quelle di Palermo e di Provenza sono le più stimate. Si conciano al giulebbe, servono nei ragouts e nei ripieni delle pollerie, massime del pollo d'India, al quale levano quella certa ruvidezza e selvatichezza di sapore che possiede la sua carne. Si conservano nello spirito, aromatizzato e confettate. In Germania, nella Lorena e nella Svizzera se ne fabbrica alcool, i tedeschi lo chiamano Zwetschker-wasser. Gli Ungheresi Sligowitz e in Transilvania Raki. In farmacia, massime della qualità damascena, se ne fa conserva e polpa, che viene spesso a surrogare, con innocente falsificazione quella dei tamarindi e cassia e che non è meno rinfrescante e lassativa. Serve pure a preparare come ingrediente principale l'elettuario lenitivo, giova agli stitici. Ario morì d'una scorpacciata di susine. Il legno è durissimo e serve agli intarsiatori. La scuola Salernitana, dice: Frigida sunt, laxant, multumque prosunt tibi pruna. Virgilio nell'Egl. 2 le decanta così: Addam cerea pruna et honos erit huic quoque pomo. Dioscoride e Galeno ne magnificano le virtù. Si facevano essicare anche dagli antichi. Fu sempre celebre presso tutti la Damascena.
linguaggio delle piante significa: Promessa. Il raccolto delle susine da conservarsi deve farsi delicatamente, a mano, quando sono asciutte dalla rugiada e
Il Pesco è pianta a foglia caduca, indigena, originaria dall'Asia e più propriamente, come lo indica il suo nome, della Persia. Cresce in terreni buoni, caldi, ad esposizioni meridionali, difese dai venti. Vive anche nei climi freddi, ma non dà frutti. Si moltiplica per seme ed innesto sul Mandorlo, sul Pruno e sul Cotogno. Vuolsi che dia frutti migliori e più belli piantando la pesca intera colla sua polpa. Cresce rapidamente, dopo due o tre anni dà frutto, ma presto invecchia e deperisce — pochi peschi passano i 20 anni. Si allunga la loro vita innestandoli sul mandorlo. A fiori rosei prima delle foglie, che sono distrutti facilmente dalle brine e dalle forti pioggie primaverili. Dà frutti maturi da Luglio ad Ottobre, a seconda delle varietà, che sono numerose assai. I botanici dividono il pesco in due famiglie, quello a frutto coperto di pelurie, e quelle a frutto liscio — ambedue suddividonsi alla lor volta, in frutto a polpa e carne succosa, spiccaciola, che facilmente abbandona il nocciolo, e in frutto a polpa consistente duracina, che non si stacca dal nocciolo. La pesca è matura, quando dal lato dell'ombra od a tramontana mostra la pelle gialla — in tal momento tramanda la sua fragranza e profumo particolare. Non fatene la prova col tatto, perchè la minima contusione forma una macchia, che in breve tempo la guasta e fà marcire. L'Erera, botanico spagnolo, dice che se si adaqueranno i persici, con latte di capra per tre sere continue quando sono in fiore — vi nasceranno pesche grossissime. In China il pesco è l'albero a - frutta più importante e che per la sua fioritura jemale, ne à fatto il simbolo dell'amore e della fedeltà. La pesca colà si crede procuri l'immortalità al felice che ne mangia. Nel linguaggio delle piante presso noi significa: Contento, vita beata, non cercar troppo. Il suo raccolto deve farsi a mano. Quelle destinate al commercio si devono cogliere qualche giorno prima della sua completa maturanza, onde siano più resistenti. La pesca, è frutto giocondo che ricorda le guancie paffute e rosee dei bimbi e delle bimbe. È squisitissimo, salubre, profumato di facile digestione, si mangia fresco e si fà seccare per l'inverno, e allora si chiamano da noi veggitt. I cuochi ne fanno fritture, polpettine, persicata, sorbetti, marmellate. Il loro delicato aroma è sì sfuggevole che invano si tenta fissarlo completamente nelle conserve, nei liquori. In America, dove molto abbonda, se ne fa eccellente aquavita. I nostri vecchi dicevano che del persico tutto va mangiato fuorchè il duro dell'osso: Malum quod implicuit persicum nucleus explicat. Diceva un antico proverbio latino, il che vuol dire che bisogna mangiarne anche l'amanda. Certe signorine troppo schifiltose non possono soffrire la lanuggine della sua pelle ed è precisamente nella sua pelle che si conserva il massimo tesoro della sua fragranza, come è nella pellicola dalla sua amanda che maggiormente si raccoglie l'amaro che possiede. Si ricordino del proverbio: all'amico pela il fico, al nemico il persico. Per saporire la pesca va mangiata senza pelarla e senza tagliarla. Le foglie ed i fiori del pesco sono velenosi, contenendo acido idrocianico, tuttavia in medicina se ne fà uso qualche volta come contro stimolanti e vermifughi. I fiori e le foglie recenti, ànno inoltre una virtù purgativa, se ne fà infusione e sciroppo, perdono molto coll'essicazione. In caso di avvelenamento coi fiori, foglie o mandorle de' suoi frutti, si soccorre con etere al quale s'aggiungono una ventina di goccie di laudano. Coi frutti ben maturi, che passano facilmente alla fermentazione, se ne può ricavare un vino leggero, assai piacevole a bersi. La gomma che scorre dal suo tronco e da' suoi rami può adoperarsi invece della gomma arabica. La Scuola Salernitana sentenzia:
beata, non cercar troppo. Il suo raccolto deve farsi a mano. Quelle destinate al commercio si devono cogliere qualche giorno prima della sua completa
Il Pomo, o Mela, è albero indigeno europeo, a foglia caduca, ama clima temperato — preferisce terreno sabbioso-argilloso. È fecondissimo. Si propaga per semi, barbatelle, innesto. À vita lunga, resiste al freddo, fiorisce tardi, chè soffre la brina pe' suoi frutti. Se ne contano più di 2000 varietà; fra queste le più apprezzate sono l'Azzeruola (pomm pomell), la Pupina (popin), od Appia — la Ruggine toscana, o Borda. Da noi tranne la varietà S. Peder e l'altra detta Pomm ravas, il pomo è frutto d'inverno. Nel linguaggio delle piante: Golosità. Può considerarsi maturo, quando incomincia a tingersi in giallo, mandare un po' della sua fragranza, e a cadere spontaneamente — indizio più sicuro è il colore nero de' suoi acini. Il raccolto è da farsi in giorno sereno, quando sia scomparsa la rugiada. Quelli che cadono avanti tempo, bisogna consumarli subito, facendoli cocere. Per conservarli freschi importa raccoglierli a mano, senza strapparli. Importa pure separare i frutti, che casualmente cadessero sul terreno, perchè presto si guasterebbero e guasterebbero gli altri. Nell'inverno gelano facilmente. Se le disgelate al fuoco, perdono: lasciate che disgelino con comodo o ponetele nell'acqua molto fredda, ma non ghiacciata; facendola intepidire a poco a poco anche il gelo della mela si rimette senza danno dell'organizzazione, così pure d'ogni altro frutto e delle ova. La mela, quando sia matura, è il più digeribile dei frutti, è simpatica, profumata, saporita, durevole, è l'amore dei bambini. Si mangia cruda, cotta, secca e confettata. I cuochi ne fanno fritture, charlottes, marmellate, la uniscono alle paste (lacciadin). In alcune contrade settentrionali, meno predilette dal Cielo, dove il sole non matura i pampini, la mela aquista molta importanza economica per la fabbricazione del Sidro, celebre quello di Normandia. È bevanda che può supplire il vino, e, al pari di questo, contiene dell'alcool, ma giammai del tartaro. Se ne fabbrica anche da noi a sofisticare o simulare il vino bianco, massime quello d'Asti. Riesce meno spiritoso e spesso incomodo, perchè genera flatulenze. Il sugo delle mele agre, serve a far aceto, che si conserva molto tempo. Le agre fanno perdere la memoria, dice il Pisanelli. Galeno parla pure di un succo liquore, delle mele, che sarebbe il sidro, che si vuole inventato da Publio Negro, che lo fabbricavano pure i Mormoni e lo trasportavano in Brittannia. In medicina, sono rinfrescative, lassative, pettorali. Se ne fa decozione e sciroppo nelle tossi catarrali. La polpa cotta, onde il nome di pomata, fu usata come emolliente nelle flogosi oculari, e fa parte della pomata del Rosenstein, contro le regadi delle labbra e de' capezzoli. La poma selvatica à virtù astringenti, detersive. Il legno del pomo è di grana fina, prende facilmente la pulitura, è uno dei migliori da fuoco. Il pomo è frutto cosmopolita e vanta la più antica delle prosapie. Iddio dopo aver creato la luce e divise le acque dalla terra, creò il pomo. Eva lo trovò bello e saporito e lo mangiò e lo fece mangiare ad Adamo, e da quel pomo l'origine e la serie d'ogni disgrazia. Mala mali malo mala contulit omnia mundo. Vero è che col nome di pomo, non solo la Bibbia, ma tutti gli scrittori designarono le frutta in genere, ma se ciò avvenne era perchè il pomo era il re, il capostipite di tutti i frutti e si prese il nome suo ad indicare tutto ciò che il regno vegetale produceva di bello e di bono a mangiarsi. Così tutti i barbari che calavano da noi, chiamavano l'Italia la terra delle dolci poma, così il frutteto fu chiamato pomarium. A Roma il Dio del pomo, era detto Falacer e vi aveva un apposito sacerdote col relativo santuario. I romani li facevano cocere nel vapore dell'acqua o sotto la cenere. L'arte di conservare le poma, era all'apogeo presso i Romani. Pollione dice di Gallieno: — Uvas triennio servavit, hyeme summa, melones exibuit: mustum quemadmodum toto anno haberetur docuit: ficos virides et poma ex arboribus recentia semper alienis mensibus prœbuit (Plinio, lib. 14). I Greci raccontano del pomo cose orribili. Giove unì in nozze un bel giorno la dea dei mari, Teti, con Peleo, dal quale matrimonio nacque poi il bollente Achille. Quelle nozze furono celebrate con gran pompa e alla presenza di tutto l'olimpo au complet. Tutte le divinità infernali, aquatiche e terrestri ebbero, non solo il faire-part, ma officiale invito d'intervenire. Una Dea sola fu esclusa: la Dea Discordia. E questa per vendicarsi, al momento dei brindisi, comparve nella sala del banchetto e buttò sulla tavola un bellissimo pomo dicendo: «Alla più bella di voi» e sparì. Giunone, Pallade e Venere, ch' erano diffatti le più belle, si guardarono per traverso, e ognuna di loro pretendeva quel pomo. Giove, che in quel giorno non voleva seccature, mandò a chiamare Paride, un bel giovinotto, e lo fece arbitro della bellezza di quelle concorrenti. Tutte e tre fecero gli occhietti a quel giovinotto, ma egli consegnò il pomo a Venere, lasciando le altre due con tanto di naso. Venere ebbe il pomo, ma Giunone e Pallade lo conciarono poi per le feste, e tanto fecero che andò a finir male. Rubò Elena, fu assediato e vinto a Troja, e ferito da Pirro, andò a morire sul monte Ida. Tutto per quel pomo che dappoi fu chiamato il pomo della Discordia. Nè qui finisce la storia di quel pomo. Venere in quel giorno, almeno per galanteria, doveva cederlo a Teti, che sedeva in capo tavola, sposa festeggiata, ma fe' la sorda e se la mise in saccoccia. Naturalmente Teti l'ebbe a male alla sua volta, e se la legò anch'essa al dito. Avvenne, che Venere discese un giorno sulle rive delle Gallie a raccogliere perle e un tritone le rubò il pomo, che aveva deposto su di un sasso e lo portò a Teti. Questa lo prese, lo mangiò e buttò i semi in quella campagna a perpetuare il ricordo della sua vendetta e del suo trionfo. Ecco perchè, dicono i Galli-celti, sono tante mele nel nostro paese, e perchè le nostre fanciulle sono così belle! Questa seconda parte l'aggiunge Bernardin de S. Pierre, magnificando le bellissime mele della Normandia. Al pomo i nostri fratelli Svizzeri attaccano la storiella di Guglielmo Tell, e al pomo che cadde sul naso a Newton mentre riposava in giardino dobbiamo la scoperta dell'attrazione. Il nostro popolo prende il pomo come il tipo della rotondità (rotond come un pomm), della somiglianza (vess un pomm tajaa in duu), del vino fatto colle mani (vin de pomm), della paura (pomm-pomm), degli avvenimenti necessarii (el pomm quand l'è madur, bisogna ch'el croda); infine dell'arma più pacifica per sbarazzarsi da un seccatore (fà côrr a pomm).
farsi in giorno sereno, quando sia scomparsa la rugiada. Quelli che cadono avanti tempo, bisogna consumarli subito, facendoli cocere. Per conservarli