Spesso accade di vedere persone che hanno le palpebre arrossate, come se fossero afflitte da un inizio di congiuntivite: costoro soffrono di insufficienza di vitamina A. A causa di tale carenza la secrezione delle lacrime si arresta e le palpebre, non più lubrificate, si infiammano; bisogna dunque affrettarsi, quando si presenta tale disturbo, a immettere nella propria dieta abbondanza di vitamina A.
insufficienza di vitamina A. A causa di tale carenza la secrezione delle lacrime si arresta e le palpebre, non più lubrificate, si infiammano; bisogna dunque
Il suo nome dal latino coepa, o capite, capo, perchè è la maggiore fra le capitate della specie. Bulbo bisannuale conosciuto che vuolsi originario dall'Egitto, ma realmente la sua patria è sconosciuta. La si è trovata allo stato selvaggio anche nell'Himalaya. Ama terreno sostanzioso ma leggiero. Si semina da febbraio a maggio in luna vecchia, fiorisce in giugno e luglio, matura in autunno, e si conserva per tutto l'inverno. Nel linguaggio dei fiori: Spia. Si semina pure in estate ed autunno per averle nella successiva primavera. Chi desidera avere cipolline giovani ne semina ogni 15 giorni fino ad agosto irrigandole, e quando sono della grossezza d'un dito mignolo si trapiantano. La semente conserva la virtù di germogliare per tre anni. Molte varietà — le tonde e le depresse, le bianche e le rosse o gialle. Da noi più ricercate per sapore sono quelle di Como ed in particolar modo quelle di Brunate. È questa una radice importantissima che fa la sua comparsa cotta e cruda nella ciottola del contadino, e, sotto mentite spoglie, forma la base di tanti manicaretti e salse squisite, che si imbandiscono alla tavola del ricco. È condimento ed alimento. Nella cucina milanese la cipolla è come l'aglio uno dei principali suoi ingredienti. Per molti è indigesta cotta, per altri cruda, per altri ancora e cruda e cotta. Vogliono che tagliata a pezzi è lasciata alcun tempo nell'acqua perda la sua acredine e riesca molto dolce. La cipolla fu dagli Egiziani elevata agli onori della divinità. Fra tutte le cipolle era celebre l'ascalonia, cosi detta da Ascalone, castello della Giudea, dove venivano d'una grossezza e bontà straordinaria. Nelson e Vittorio Emmanuele la mangiavano cruda in insalata ed era uno dei loro cibi prediletti. Fino dall'antichità la cipolla cavava le lacrime, per cui quando vedevasi alcuno piangere, si diceva, teste Aristotele De problematibus: «À mangiato, o à odorato le cipolle.» Fu ritenuto anticamente come un cibo callido, massime se cruda e le si conferivano molte virtù. Donava bel colorito al viso, aiutava la digestione, promoveva l'appetito, guariva dalle morsicature dei cani:
. Nelson e Vittorio Emmanuele la mangiavano cruda in insalata ed era uno dei loro cibi prediletti. Fino dall'antichità la cipolla cavava le lacrime, per
. Le màndorle migliori sono quelle di Spagna. Le dolci contengono molto olio fisso, 55 0[0, ed un principio di emulsina molto carico di azoto. La medicina ne prepara un'emulsione, bevanda gradevole sedativa nelle malattie flogistiche. Anche dalle amare si estrae un olio medicinale, che gela diffìcilmente, ma facilmente irrancidisce, lassativo, temperante nelle tossi, flogosi intestinali, stitichezza, nefrite, renella; serve pure alla confezione di diversi looch kermatizzati, balsamici, anodini. Esternamente l'olio di màndorle giova nelle dermatosi pruriginose, rigidità muscolari e tumori glandulosi. La sede principale del sapore amaro delle màndorle amare, è nella loro pellicola gialla, che è micidiale alle bestie e possiede anche qualità deleterie per l'uomo, indigesta in dosi maggiori, perchè contiene acido idrocianico, che distrugge rapidamente l'irritabilità e la facoltà sensitiva. Nondimeno, pochissime màndorle amare, corroborano lo stomaco, provocano l'appetito e sono credute vermifughe e febbrifughe. Antidoto contro il loro avvelenamento è l'ammoniaca e l'alcool — gli stimoli interni ed esterni. La polpa o pasta e la farina delle amare ridotta a cataplasma giova esternamente nelle nevralgie, coliche, nefrite, ecc. Con tale pasta si toglie pure qualunque ribelle ed inveterato odore ai vasi, sfregandoli internamente. Col guscio secco e sminuzzato delle dolci si confeziona un'emulsione teiforme che oltre al grato sapore, à una fragranza balsamica di violette e di vaniglia. Sull'origine del mandorlo, la tradizione greca racconta che Fillide, figlia di Licurgo, re di Tracia, era promessa a Demofoonte, figlio di Teseo. Ma essendo già state fatte le pubblicazioni e vedendo, come il suo promesso sposo non compariva, si impiccò e fu da quei bonissimi dèi cambiata in màndorlo. Demofonte, che aveva perduta la corsa, venne e versò amare lacrime su quell'albero, e fu sotto la pioggia di quel pianto che il màndorlo cominciò a mettere foglie e frutti — amari prima, dolci poi, essendosi Demofoonte finalmente consolato. La màndorla da Plinio venne chiamata noce greca. Ma in Italia, prima di Catone, nessuno ne à parlato, ed ancora lo confusero colle noci. Fu dopo le crociate che la màndorla cominciò ad avere fama e che si trovò di comporne ghiottonerie culinarie. Palladio ci tramanda che i Greci, divinando le macchine a vapore del Sonzogno, si servivano della mandorla come mezzo di pubblicazione. Ecco cosa dice:
màndorlo. Demofonte, che aveva perduta la corsa, venne e versò amare lacrime su quell'albero, e fu sotto la pioggia di quel pianto che il màndorlo
oca grassa gelato nella luna lacrime del dio «Gavi» brodo di rose e sole favorito del mediterraneo zig, zug, zag agnelli arrosto in salsa di leone insalatina all'alba sangue di bacco «terra ricasoli» ruotelle tempiste di carciofo pioggia di zuccheri filati schiuma esilarante «cinzano» frutta colta nel giardino d'Eva caffè e liquori
oca grassa gelato nella luna lacrime del dio «Gavi» brodo di rose e sole favorito del mediterraneo zig, zug, zag agnelli arrosto in salsa di leone
Mi sono sentito due lacrime rigare le guancie. Ma allora addio «tajadele al parsott» delizia della mia giovinezza vorace. Deh, sii clemente, Fillìa, risparmia almeno la «salama vecchia» di Romagna, la veneranda «salama da sugo» che, insieme alla bionda Albana, accendeva l'estro poetico di Giosuè Carducci e di Giovanni Pascoli».
Mi sono sentito due lacrime rigare le guancie. Ma allora addio «tajadele al parsott» delizia della mia giovinezza vorace. Deh, sii clemente, Fillìa