Voi direte: ma lo dicono i medici; ma sta scritto in, tanti libri; ma è credenza universale e popolare. I medici! Lasciate che dicano e disdicano — la loro dogmatica e la loro casistica è conosciuta e stravecchia. A questo mondo non vi è nulla di assoluto: tutto è relatività. Il medico vostro sia il vostro istinto naturale e se qualche cosa vi è indigesta, datene colpa alla vostra ghiottoneria, all'ingordigia vostra. Quante verdure da fanciulli ci ributtano e ci tornano poi ghiotte, in altra età! Ditemi, perchè i fanciulli amano tanto i frutti acerbi ed acidi? L'età, la complessione, il genere di vita, la temperatura, il caldo, il freddo, l'umido, il secco, anche le passioni, tutto combina a formare questa relatività che è solo giudicabile da ciascuno di noi. — Sta scritto in tanti libri! — Vi rispondo col detto di Talleyrand:
Voi direte: ma lo dicono i medici; ma sta scritto in, tanti libri; ma è credenza universale e popolare. I medici! Lasciate che dicano e disdicano
Conserva per salse di pesci e vivande. — Sei spicchi d'aglio, con un chiodo di garofano in ciascuno, due foglie di lauro, sale. Fate bollire il tutto in una bottiglia di vino bianco ordinario, ma secco, fino che sia ridotto alla metà. Passate allo staccio, mettete in bottiglia ben chiusa, conservate in luogo fresco e secco. Questa essenza si conserva per molti mesi.
in una bottiglia di vino bianco ordinario, ma secco, fino che sia ridotto alla metà. Passate allo staccio, mettete in bottiglia ben chiusa
V'à chi dice, che l'albicocco sia stato portato in Europa al principio dell'era volgare, ma i Greci lo conoscevano prima, ed i suoi frutti li chiamavano poma precocca (primaticcia) che pronunciavano bericoca e vi venne portato al tempo di Alessandro il Grande. Da bericoca il nome arabo berkouk, e da cui lo spagnolo albaricoque e il nostro italiano albicocca. i Romani lo chiamavano: mela armeniaca. Al tempo di Plinio era rarissima. Egli con Dioscoride ne commenda l'aroma. Galeno ed i medici greci asserivano che questo frutto è più salubre della pesca:
V'à chi dice, che l'albicocco sia stato portato in Europa al principio dell'era volgare, ma i Greci lo conoscevano prima, ed i suoi frutti li
È pianta erbacea annuale, sta tra il popone e la zucca e si coltiva come questa. Teme l'asciutta, ma la troppa acqua la rende ancora più insipida. La maturanza incomincia in luglio e continua a tutto agosto. Si propaga per seme che à virtù fino a 6 anni. Dal seme fresco nascono piante più grandi, ma da quello di due o tre anni, si ànno piante più fruttifere. Nel linguaggio dei fiori: Sei insipido. À frutto e carne zuccherata ed alquanto acidula, rinfrescante, frigida, estingue la sete. Ve ne sono varie qualità: la nostrana a semi neri, la napolitana a semi bianchi, dà frutto più piccino della nostrana, è di buccia più sottile e trasparente, à sapore più squisito, quanto più rossa ne è la polpa. V' è pure la specie moscatella, l'ovale, la gialla, ecc. L'anguria, o più propriamente cocumero (da Cucumis derivante pure dal celtico cucce, vaso, desunto dalla sua forma) non confà a tutti gli stomachi, è indigesta e dicono che regali quei casi di colera, che viene denominato sporadico. Alcuni medici vogliono che sia lassativo, rinfrescante, ma è certo che è frutto insipido, che mangiandone bisogna unirvi del rhum o qualche liquore, e che bisogna mangiarne poco. Negli Stati Uniti l'anguria è coltivata su vasta scala. A conoscere l'anguria quando sia matura, c' è il proverbio:
È pianta erbacea annuale, sta tra il popone e la zucca e si coltiva come questa. Teme l'asciutta, ma la troppa acqua la rende ancora più insipida. La
Pianticella annuale, originaria dall'Egitto e dalla Siria. Si coltiva dovunque, massime nelle regioni meridionali ed in Sicilia, ma principalmente in Francia. Vuole terreno leggero, caldo, sostanzioso. À foglie somiglianti al prezzemolo, fiori piccoli bianchi in luglio, nel linguaggio dei fiori: Amorevolezza. Matura in agosto. Gli steli si mangiano verdi, i semi a foggia di granellini ovali alcun poco allungati, che conservano la virtù germinatrice per tre anni, d' un sapore dolce, aromatico, caldo, zuccherino e di odor soave, sono stomatici e servono per molti preparati di cucina, confetteria o liquoreria. Facilitano la digestione e combattono il dio Eolo. Sono utili nel singhiozzo. Ànno le stesse proprietà del finocchio.
Pianticella annuale, originaria dall'Egitto e dalla Siria. Si coltiva dovunque, massime nelle regioni meridionali ed in Sicilia, ma principalmente in
Nel 1560 le damine francesi, che si dilettavano nell'arte pistoria, combinavano certo pane col seme dell'anice che chiamavano Biscottum, dal quale i biscotti, i biscottini; ma pare che il biscottinismo avesse un'origine più antica, perchè, fino dai tempi di Pittagora, i semi d'anice si mettevano sulla crosta del pane. Ciò non ostante alla nostra Suora Latina dobbiamo il merito della sua ristorazione.
biscotti, i biscottini; ma pare che il biscottinismo avesse un'origine più antica, perchè, fino dai tempi di Pittagora, i semi d'anice si mettevano
L'Asparago, chiamato pure dagli Ateniesi Asparagus e dagli altri Greci Asparagon, trae il suo nome dalla parola greca sparasso (lacerare) stante che qualche specie è munita di spine laceranti. Il seme à virtù geminatrice per 5 anni. È pianta oleacera nota e gradita. Vuole esposizione di mezzodì. È spontanea nei terreni sabbiosi d'Europa. Tre le varietà principali: — il bianco, precoce e molto produttivo, verde all'estremità, che è quello d'Olanda e del Belgio — il violetto, più grosso di colore violetto o rossiccio all'estremità, che è quello di Ulma, Polonia-Darmstadt — e il verde, meno grosso del precedente, ma più saporito, verde e tenero in tutta la sua lunghezza, che è quello di Piemonte (celebri quelli di Cilavegna). L'asparago di Praga è il medesimo. Si moltiplica per mezzo delle radici, dette occhi, ma egualmente, e forse meglio, si ànno asparagiaie colla semina. Durano le radici dai 20 ai 30 anni e più. Se ne mangiano i talli in primavera. Gli asparagi, costituiscono una verdura saporitissima, di facile digestione, gradevole, ma poco nutritiva. Servono a moltissimi usi in cucina. Si fanno cocere senz'acqua in tegame di terra o fortiera, chiusi a foco lento, ove cocendo col proprio vapore, sono più saporiti, devono essere poco cotti altrimenti perdono del loro sapore, dieci o quindici minuti tutt' al più. Si condiscono con burro od olio. Si mangiano in insalata con olio, pepe e limone. Si friggono col pesce infarinati, s' accompagnano alle ova, al riso, agli stufati, nei ragouts e nei potaggi.
grosso del precedente, ma più saporito, verde e tenero in tutta la sua lunghezza, che è quello di Piemonte (celebri quelli di Cilavegna). L'asparago di
Ma fra tante lodi c'è pure la nota ingrata. Nelle Effemeridi dei curiosi della natura si legge che l'asparagio rende le donne sterili (Decad., III, an. V). Il celebre Fontanelle, segretario perpetuo dell'Accademia, che morì a cent' anni, andava matto per gli asparagi. Un dì invitò l'abate Teerasson a pranzo e siccome l'abate amava gli asparagi al burro e lui all'olio, fu convenuto che metà si dovessero cucinare al burro e l'altra metà all'olio. Ma, giunto l'abate alla sala da pranzo, fu colto da apoplessia. A tal vista Fontanelle s'alza di repente e corre alla scala gridando al cuoco: Tutti all'olio, tutti all'olio!
Ma fra tante lodi c'è pure la nota ingrata. Nelle Effemeridi dei curiosi della natura si legge che l'asparagio rende le donne sterili (Decad., III
Arboscello odoroso annuale, originario dalle IndieOrientali e dalla Persia. Ve ne sono 22 varietà. Tra queste il Grandiflorum (dall'Africa), che è perenne, e il Minimum annuale dell'Isola di Ceylan. Generalmente si coltiva la specie Ocymum. La Minimum però, è la più graziosa. Nel linguaggio dei fiori: Odio. Si semina in aprile e maggio, in buona terra, esposizione meridiana. Il seme germina fino ad 8 anni. Tanto i fiori che le foglie servono per condimento, per confettura e anche per profumo. È molto usato nella cucina genovese. In Persia se ne usa per aromatizzare le bibite. Crisippo lo reputava non solo inutile, ma eccitante l'insania, e come era disprezzato dalle capre, doveva fuggirsi dagli uomini. E così predicò Galeno, ma i popoli della Mauritania lo avevano per un'esilarante. Il Basilico selvatico, detto Brunella (Brunella vulgaris officinalis), è vantato nelle malattie degli organi respiratorii e nella diarrea. Messe le foglie nell'insalata, si voleva guarisse le emorroidi. Dal Basilico se ne cava un'olio essenziale. I Genovesi lo conservano nell'olio in vasi o alberelli ben chiusi. E fanno così: pigliano il basilico fresco, lo lavano per pulirlo dalla terra, l'asciugano con una salvietta, vi distaccano le foglie, gettano via i gambi e lo pongono in un alberello che si riempie d'olio e si chiude ermeticamente. Così conservato, mantiene tutte le sue qualità aromatiche, nè si distingue da quello fresco.
reputava non solo inutile, ma eccitante l'insania, e come era disprezzato dalle capre, doveva fuggirsi dagli uomini. E così predicò Galeno, ma i popoli
La Coffea Arabica è un grazioso arboscello, ramosissimo, sempre verde, originario dall'Arabia e particolarmente dall'Abissinia Galla e Kaffa, dove anche oggi si trova allo stato selvaggio. Dà fiori candidi, olezzanti in luglio ed agosto, simili a quelli del gelsomino di Spagna. Ai fiori succedono bacche rosse come le ciliege, che maturano 4 mesi dopo la fioritura e che racchiudono due grani o semi che sono quelli che tosti[mo, e che ci danno la deliziosa bevanda del caffè. Questi semi quando sono verdi e maturi sono circondati da una polpa dolcigna bona a mangiarsi. Si propaga per seme. Da noi è pianta di serra calda. Nel linguaggio dei fiori e piante: Allegria. Numerose le varietà del caffè, che prendono il loro nome non solo dalla differenza specifica, ma dalla provenienza commerciale e geografica. Generalmente tutte queste varietà si riferiscono a tre tipi: Molta, Borbone e Martinica, che da noi è sostituito col Porto Rico. Il migliore caffè è quello che proviene dalla sua patria primitiva, ma rarissimamente giunge in Europa. Il Moka, o Levante (dal nome del suo antico porto di esportazione) è un prodotto del Yemen montuoso, il suo colore ricorda quello del the e questo pure rarissimamente ci perviene. È consumato quasi interamente in Turchia, in Asia, in Persia ed in Egitto. Quello che perviene a noi sotto il nome di Moka, è Moka di Zanzibar, di Aden e di Giava, a piccoli grani, accuratamente scelto.
differenza specifica, ma dalla provenienza commerciale e geografica. Generalmente tutte queste varietà si riferiscono a tre tipi: Molta, Borbone e Martinica
Ma se noiosa ipocondria t'opprime E troppo intorno alle vezzose membra Adipe cresce, de' tuoi labbri onora La nettarea bevanda, ove abbronzato Fuma ed arde il legume a te d'Aleppo Giunto e da Moca, che di mille navi Popolata mai sempre insuperbisce.
Ma se noiosa ipocondria t'opprime E troppo intorno alle vezzose membra Adipe cresce, de' tuoi labbri onora La nettarea bevanda, ove abbronzato Fuma
. Può essere che da Ceresunto, dove, a detta degli scrittori il ciliegio era superlativo, avesse il suo nome. Ma che il ciliegio ce l'abbia portato Lucullo è una delle tante bale romane. Un certo Difilo Sifnio, ricordato da Ateneo, che viveva molto prima di Lucullo, sotto il regno di Lisimaco, uno dei generali di Alessandro il Macedone, parlava già delle ciliege della Campania coll'acquolina in bocca. Nelle torbiere di Dax, nelle Lande, si riconosce perfettamente il tronco del ciliegio. Chi ne volesse sapere di più, legga la Cersalogia medica (Basilea, 1717), monografia scritta dal celebre Dollfuss.
. Può essere che da Ceresunto, dove, a detta degli scrittori il ciliegio era superlativo, avesse il suo nome. Ma che il ciliegio ce l'abbia portato
Tale il precetto salernitano, sentito il parere di Dioscoride, Galeno e Tralliano. Ma s' avvertano i divoratori di cipolle che mangiandone in quantità, fanno doler la testa, mettono sete, li fanno diventar rossi come i peperoni, promovono loro la saliva e più di tutto fanno perdere il
Tale il precetto salernitano, sentito il parere di Dioscoride, Galeno e Tralliano. Ma s' avvertano i divoratori di cipolle che mangiandone in
Phaseolus dal greco Phaselos, navicella, alla cui torma s'avvicina il fagiolo. Il Tanara, dice che la parola fagiolo è dal latino phaseolus, perchè pervenne da Phaso, un'isola di Grecia. Pianticella annuale fecondissima e originaria dalle Indie Orientali, che dà il legume indigeno del fagiolo. Prospera nei terreni freschi e sostanziosi, ma viene quasi dovunque. Teme il freddo e perciò si semina tardi in aprile, e, nei terreni forti, anche in maggio. Sono tre le varietà principali: l'arrampicante, il nano ed il fagiolo dell'occhio. La varietà di Spagna (Phaseolus multiflorus) arrampicante, à grossissimi frutti violetti o bianchi saporitissimi, si può seminare da metà luglio a metà agosto, produce fino ai primi geli. Fra i nani, avvi il primaticcio (Phaseolus nanus), eccellente. Pregiato e saporito è anche il tondo (Phaseolus sphaericus), detto da noi borlott. La prima brina uccide il fagiolo. Dei fagioli si mangiano i semi freschi e secchi, e l'involucro loro, quando sono immaturi, che sono i cornetti (fagiolini). Questo legume nutriente, fornisce grande tributo alla cucina, ma è più o meno flatulento a seconda della qualità, quantità e degli stomachi. Vuol essere ben cotto, e cocetelo in acqua piovana o mettetevi della cenere. I migliori sono i verdi e teneri. Colla farina del fagiolo, si tentò farne del pane, mescolandola a quella di frumento, ma riesce pesante, compatto, indigesto. Cotto il fagiolo, passato allo staccio e liberato dalla buccia, è digeribile assai, perchè è la buccia la parte indigesta. Il fagiolo accompagna il riso, e fa l'allegria del minestrone, è d'ornamento gratissimo alle salsiccie, ai piatti d'umido, se ne fa eccellenti flan, punto indigesti. Il fagiolo non ama molto condimento, perchè secondo il parere della Cuciniera di M. Francisque Sarcey, porte son beurre avec lui. L'insalata di fagioli è per gli stomachi robustissimi. I cornetti si mangiano cotti con burro, panna e insalata. Si mettono in aceto come i citrioli. I cornetti si devono scegliere teneri, piccoli, senza grani già formati. i fagioli sono conservati nello stato di loro squisita succolenza, se vengono colti pri ma della loro perfetta maturità e se si fanno essicare all'ombra, nel loro guscio ed al sicuro d'ogni umidità. Virgilio nella Georgica,I, lo mette fra i cibi da villano:
. Prospera nei terreni freschi e sostanziosi, ma viene quasi dovunque. Teme il freddo e perciò si semina tardi in aprile, e, nei terreni forti, anche in
Erba perenne, originaria dalla Giudea e dall'Egitto, vuole terra buona, esposizione solare. In estate dà fiori gialli. Nel linguaggio dei fiori: Mi rallegri. Se ne ànno quattro varietà. I semi durano due anni ma si propaga in primavera separandone le radici. Impedendo la pianta di fiorire, si prolunga fino all'autunno la produzione delle foglie, e del loro gusto primitivo. Le foglie di quest'erba si mettono nelle frittate e le rende più digeribili e gustose, si mescolano ad altre verdure e si fanno cocere. Coltivasi nei giardini. In Egitto è usata come tonico, à virtù vermifuga. Dioscoride, Teofrasto e Plinio ne fanno menzione.
rallegri. Se ne ànno quattro varietà. I semi durano due anni ma si propaga in primavera separandone le radici. Impedendo la pianta di fiorire, si
Conservazione dei cornetti. — Si leva loro il filo, si scottano nell'acqua bollente con poco sale, poi si levano e si mettono in quella fredda e si fanno asciugare alla stufa o all'aria, ma all'ombra e si conservano in luogo asciutto. Bisogna sieno teneri. Si fanno poi rinverdire nell'acqua tepida e mettonsi a fuoco nell'acqua fredda.
fanno asciugare alla stufa o all'aria, ma all'ombra e si conservano in luogo asciutto. Bisogna sieno teneri. Si fanno poi rinverdire nell'acqua tepida
L'abuso, anticamente, non solo si credeva regalasse coliche, ma procurasse sudore e generasse pidocchi, rogna ed altre sordidezze. Generan anche i fighi assai pidocchi, cantò il Fagioli. Il fico è boccon ghiotto anche per gli uccelli.
L'abuso, anticamente, non solo si credeva regalasse coliche, ma procurasse sudore e generasse pidocchi, rogna ed altre sordidezze. Generan anche i
), olezzare, d'onda la parola fragrantia e la nostra fragrante. Nel linguaggio dei fiori: Bontà perfetta, Delizia. Tutti conoscono la bellezza graziosa, la bontà salubre, il delicato profumo di questo primo bacio del sole alla terra. È uno dei frutti più preziosi, che abbondanti e spontanei somministrano i nostri monti. L'artificiale coltura ben riuscì a produrne di più appariscenti e grossi e ad acclimatarne di esotici, come la Grandiflora del Surinam e la Chiloensis od Ananas (introdotta in Italia nel 1774 dal maresciallo conte Della Torre, di Rezzonico castellano di Parma, ecc.) dell'America — ma non ad eguagliare le modeste, non meno che soavissime fragole che apporta alla città la graziosa montanina. Si mangiano sole, con zuccaro, rhum, vino e latte, il quale è da sconsigliare perchè gli acidi del frutto facilmente lo coagolano, al dire dei medici. È molto digeribile ma poco nutriente. Con opportuni processi se ne fabbricano conserve, sciroppi per gelati, ecc., un liquore vinoso ed un'acqua distillata, usata come cosmetico e come aromatizzante. La radice, i gambi e le foglie ànno virtù astringente e può usarsene il decotto nelle diarree e nell'ematuria. Il dottor Klekzinsky di Vienna insegna che colle foglie della Fragaria sylvestris raccolte tosto dopo la maturanza del frutto, ed essicate al sole, o leggermente torrefatte, se ne ottiene un infuso verdastro di odore gradevole, di sapore astringente, che ricorda il tè e che fornisce una piacevole bevanda dietetica (W. Med. Wochenscrift, 1885). È da fuggirsi la fragola dai paralitici e da quelli che soffrono disturbi cardiaci, erutazioni, pirosi. L'uso smodato provocato provoca eruzioni diverse alla pelle. Lobb osservò che diminuisce i calcoli, e Linneo che scioglie il tartaro dei denti, che egli stesso guarì dalla gotta col suo uso e ne scrisse una dissertazione De fragaria vesca. Ma lo svedese Cullen non gliela mena buona nel suo trattato di Materia medica. Geoffroy compendia in queste parole le virtù della fragola:
'America — ma non ad eguagliare le modeste, non meno che soavissime fragole che apporta alla città la graziosa montanina. Si mangiano sole, con zuccaro
La fragola, venne in ogni tempo tenuta in conto di frutto miracoloso. Non vanno d'accordo i Greci nel suo nome e cognome, ma ne parlano Dioscoride e Teofrasto con ammirazione. Myrepsi Alessandrino ne scrisse le glorie in 48 capitoli, tradotto ed illustrato da Leonardo Fuchsio e stampato a Basilea nel 1540.
La fragola, venne in ogni tempo tenuta in conto di frutto miracoloso. Non vanno d'accordo i Greci nel suo nome e cognome, ma ne parlano Dioscoride e
Altri sono eduli, altri velenosi. Teoricamente è impossibile dare una ragione, un indizio che distingue sicuramente gli eduli, dai velenosi. Bisogna affidarsi, più che al medico, alla conoscenza pratica locale delle specie, della forma, taglio, colore, aspetto, odore e sapore. I mangiabili, in una regione, sono talvolta velenosi in un'altra e viceversa. Alcune specie che si mangiano in Italia, sono dannose in Francia, d'onde i frequenti dispareri dei micologi. A migliaia sono gli scienziati che ne parlarono, e tra questi il milanese Vittadini (1)., ma finora la scienza non à detto l'ultima sua parola. S'è bensì trovata la maniera di coltivarli, ma su tanta specie di funghi saporiti, appena s'è riescito di coltivarne le meno pregiate e anche queste con un premio abbastanza insipido. Il progresso verrà, non dubitiamone. Ma frattanto, occhio alla padella! In gerale, rifiutare tutti i funghi non sani, o che cominciano a decomporsi, quelli che rotti tramandano un'umore lattiginoso, che crudi sono acri, che tingono in rosso la carta azzurra, che presentano una superficie viscosa, od umida, o macchiata, o brinata, che cambiano di colore rompendosi. In generale, i mangerecci non ànno odore, o l'ànno grato, non tutti cangiano colore quando sono spezzati. Non vi affidate mai ai volgari esperimenti che i funghi velenosi anneriscono il geniale d'argento, la cipolla, il prezzemolo, ecc. — Pregiudizio credere che siano venefici quelli che nel cocere anneriscono l'argenteria, giacchè tale annerimento è prodotto dall'acido ossalico, comune a tutte le sostanze albuminose, per conseguenza anche ai funghi mangerecci.
dispareri dei micologi. A migliaia sono gli scienziati che ne parlarono, e tra questi il milanese Vittadini (1)., ma finora la scienza non à detto l'ultima
. Plinio li chiama: gulae novissima irritamento. Difilo, filosofo, li commenda, ma li chiama cibo sospetto. Cardano li teneva come pianta nemica dell'uomo. Ne morirono avvelenati il figlio e la moglie di Euripide, il papa Clemente VII e Carlo VII.
. Plinio li chiama: gulae novissima irritamento. Difilo, filosofo, li commenda, ma li chiama cibo sospetto. Cardano li teneva come pianta nemica dell
Chiuda il suo desinare .... Dice Orazio Sat. IV. Ateneo riferisce al libro II, c. X, che essendo rimasti sterili i rovi per lo spazio di 20 anni, la podagra fe' strage non solo fra gli uomini, ma fra le donne e i fanciulli e inoltre fra gli armenti. Le môre si conservano lungo tempo nello stato di maturità, onde i Romani d'una donna che tardi si maritava o che campasse gli anni di Matusalemme, dicevano: Maturior mora, ch'era più matura della môra.
podagra fe' strage non solo fra gli uomini, ma fra le donne e i fanciulli e inoltre fra gli armenti. Le môre si conservano lungo tempo nello stato di
11 lino è una pianticella annua indigena venuta a noi dall'Egitto. Ve ne sono 19 varietà. Un etimologo tedesco (oh, gli etimologi!), vuole che il suo nome venga dal celtico lein, un uccello che si pasce dei semi del lino, che dev'essere il passero. Col quale sistema di etimologia, si può spiegare benissimo anche che la parola osso viene da cane, essendo i cani che mangiano le ossa. Pare invece che venga da lis linon e linteum, dall'uso più comune che si fa della pianta, o dal latino Unire, ungere, fregare, il che indurrebbe a credere l'uso antichissimo dell'olio di lino. Il tessere il lino è antichissimo. Omero riferisce che nella guerra trojana molti avevano corazze di lino. Lo filavano perfino le regine, esempio Berta. II seme di lino, riposato fino a 7 ed 8 anni, acquista in qualità arrivando a dare un prodotto comparabile a quello di Riga. I Russi ànno un processo per essiccare nel forno il grano destinato alla semente. Plinio parla di un lino incombustibile, ma evidentemente intende d'un tessuto d'amianto conosciuto già dagli Indi e dagli Egizi. Il lino si coltiva in grande nel Belgio, nell'Olanda, nella Germania, in Irlanda sulle rive del Baltico e nei dipartimenti francesi del Nord. Celebre quello di Riga in Russia, pregiato quello dell'Egitto e del Canada. Da noi si coltiva nelle provincie di Pavia, Lodi, Crema, Piacenza e nella Lomellina. Il lino ci accarezza il corpo di giorno e di notte, ci serve democraticamente in cucina e fa brillare nella sua candidezza i calici aristocratici dello Champagne e del Johannisberg. Ma qui ne parlo solo per riguardo al suo olio. Il seme del lino dà un olio, da noi chiamato di linosa, che non piace a tutti, che non à i pregi di quello di oliva (che à dato il nome all'olio, perchè olio viene da oliva, olea, ma che però, quando è fresco, e molto fresco, e fatto a freddo, è saporito e assai gustoso nella maggior parte delle insalate. Specialmente nell'alta Lombardia è molto usato ed è assai sano. Dal seme del lino se ne cava farina, ma per quanto si sia tentato anche dagli antichi di farne pane o di servirsene per nutrimento, fu sempre rifiutata, ingenerandone l'uso malattie ed anche la morte. Di essa se ne serve felicemente la medicina per cataplasmi, emollienti, ecc.
forno il grano destinato alla semente. Plinio parla di un lino incombustibile, ma evidentemente intende d'un tessuto d'amianto conosciuto già dagli
Il luppolo è una pianticella indigena arrampicante, le cui radici sono perenni, ma gli steli annuali. Nel linguaggio dei fiori: Ingiustizia. Fiorisce in giugno e luglio, trovasi nei luoghi umidi e boschivi. I semi ànno virtù, germinanti per 2 anni. Il suo nome dal latino humus, terra umidiccia. Coltivata, dura dai 20 ai 40 anni e più. I giovani getti si mangiano precisamente come gli asparagi, tanto conditi che in minestra, sono tenerissimi e di gradevole gusto. È verdura che si trova in maggio presso le ortolane e che in Lombardia si chiamano Lovertìs. Questa pianta è molto coltivata in Germania, il cui fiore, o cono, serve quale principale ingrediente della birra, uso conosciuto fino dagli antichi Egizi. Il luppolo è anche pianta eminentemente medicinale, se ne fanno decotti, infusi, ecc. Il luppolo è utile per chi soffre d'inappetenza, e condito con salsa è cibo gradito dai convalescenti. Si volle dare al luppolo virtù soporifera, analoga a quella dell'oppio, ma pare una delle tante cantonate degli scienziati. Da esso abbiamo il lupolino. Nella Svezia si usano i suoi rami lunghi e flessibili quale materia tessile per grossi cordami.
Il luppolo è una pianticella indigena arrampicante, le cui radici sono perenni, ma gli steli annuali. Nel linguaggio dei fiori: Ingiustizia. Fiorisce
Il melagrano è un alberetto originario dall'Africa, a foglia caduca, indigeno in Italia. Viene in piena terra, ma meglio addossato ai muri, ama esposizione soleggiata, calda, difesa dai venti. Teme l'umidità ed il gelo. Si propaga per seme, margotte, talloni. Se ne annoverano dal sapore dei frutti tre varietà, dolce, acido, ed agro dolce. Si coltiva molto in Spagna, dove i frutti vengono grossissimi ed aromatici. Fiorisce in giugno e luglio, si raccolgono i frutti immaturi alla fine di settembre perchè, aspettando più tardi, la corteccia si apre per eccessiva umidità. Il vocabolo punica è da punicus, rosso scarlatto, il colore de' suoi fiori — e granatum dalla quantità dei grani. Onde da noi è detto melagranata, e à dato pure il nome al rosso violetto che si chiama pure granato. Nel linguaggio delle piante significa: Fatuità. Il pomo granato si conserva fresco e sano sino a metà inverno, cogliendolo in giornata serena, ed esponendolo al sole per due giorni. Poi si colloca, involto con carta, in qualche recipiente i cui vani si riempiono con sabbia ben asciutta e se ne tura l'orifizio con bon coperchio. Così conservato acquista anche maggior grado di maturanza. Questo frutto sferoideo, bellicato, è rivestito di scorza coriacea prima verde, poi rosso scuro, che raccoglie in segmenti divisionali semi numerosi, involti in una polpa rosea, pelucida, succosa, gradevole, pochissimo nutriente, ma rinfrescante e salubre.
Il melagrano è un alberetto originario dall'Africa, a foglia caduca, indigeno in Italia. Viene in piena terra, ma meglio addossato ai muri, ama
. Tutti gli scrittori greci e latini ne parlano, magnificandone i benefici. Columella lo chiama addirittura: Olea omnium arborum prima. Le foglie e le scorze ànno sapore amaro e danno un succedaneo al chinino nelle febbri. Nelle regioni cocenti dell'Africa e nelle meridionali d'Italia, principalmente nelle Puglie e nelle Calabrie, dal tronco dei vecchi alberi cola un succo addensato che si chiama Gomma d'olivo o Gomma di Lecce; è una resina balsamica che, soffregata, dà odore di vaniglia e, bruciata, di acido benzoico. Gli antichi la facevano venire dall'Etiopia e l'avevano molto in pregio come profumo e rimedio balsamico, tonico, oftalmico. Il legno, durissimo, serve per i tornitori. L'olivo fu portato nell'Arca dalla colomba, simbolo di pace tra il cielo e la terra. Il Redentore si ritirava sul monte degli Olivi a pregare dal suo divin Padre il ritorno di questa pace, e la Chiesa nel suo rito, benedice l'olivo e lo distribuisce ancor oggi segnale di pace a' suoi fedeli. Sulla fede di Plinio moltissimi pretendono che l'olivo sia originario dell'Asia, e non sia stato portato in Italia che sotto Tarquinio Prisco, verso il 180 dalla fondazione di Roma. Ma come nota il Bortoloni, forse allora solo, s'incominciò a coltivarlo, ma l'olivo selvatico è assolutamente indigeno di tutti i climi caldi e temperati d' Europa. Presso noi, quattordici secoli fa, il poeta Claudiano già ne scriveva:
originario dell'Asia, e non sia stato portato in Italia che sotto Tarquinio Prisco, verso il 180 dalla fondazione di Roma. Ma come nota il Bortoloni
per uso di zuppa, che proviene dalla Francia. Colla pastinacca se ne fa in Francia una marmellata che, inzuccherata, eccita l'appetito ed è assai propria per i convalescenti. L'imperatore Tiberio amava la pastinacca ed ogni anno ne faceva venire dalla Germania, precisamente da Gelder, località renana, ove era prelibata, e dove la si pagava come tributo ed imposta. Dioscoride la dichiarò delicata, ori gratam, ed eccitante l'appetito. Così Plinio ed altri eruditi, la dichiararono utile ai convalescenti e agli ubbriachi: ad vinum transeuntibus. È buon foraggio per le mucche ed il bestiame, ma indebolisce i cavalli e gli asini e fa perdere la vista ai muli.
ed altri eruditi, la dichiararono utile ai convalescenti e agli ubbriachi: ad vinum transeuntibus. È buon foraggio per le mucche ed il bestiame, ma
Ed ora la patata è l'amica del povero e del ricco, del medico e del prete. Certamente la patata non è squisita come la pesca, nè nutriente come un beeftek, ma è sana e saporita anch'essa, e anch'essa sazia la fame del povero. Castor Durante scrisse della patata:
beeftek, ma è sana e saporita anch'essa, e anch'essa sazia la fame del povero. Castor Durante scrisse della patata:
Ma se la patata è sanissima quando è sana, quando incomincia a germogliare, si spoglia della fecola e allora è nociva, sviluppandosi pure la solanina che è veleno. Vi sono stati casi di avvelenamento di patata che si manifesta coll'idrope e piaghe cancrenose all'estremità.
Ma se la patata è sanissima quando è sana, quando incomincia a germogliare, si spoglia della fecola e allora è nociva, sviluppandosi pure la solanina
Serve di foraggio ai quadrupedi, di cibo ingrassante al pollaio. Sotto l'aspetto medico, Redi scriveva: «Hanno le patate nome d'essere un po' ventose, a me però non è paruto, ch'abbiano questo difetto, ma può essere che Io abbiano, se sieno mangiate soverchiamente.» È antiscorbutica e serve, cruda raschiata, come cataplasma nelle piaghe cancrenose, è rimedio volgare nelle scottature. I pediluvi di acqua di patate calmano la gotta ed il dolore alle ginocchia ed alle mani.
, a me però non è paruto, ch'abbiano questo difetto, ma può essere che Io abbiano, se sieno mangiate soverchiamente.» È antiscorbutica e serve, cruda
Mantegazza dice: «Il pepe irrita, quindi stimola —. et ubi irritatio, ibi fluscus — quindi il pepe dovrebbe riscaldare ma invece raffredda, perchè dà una frustata al sistema nervoso incaricato di raffreddare.» È veleno per gli emorroidari, gli erpetici. Da Aristotile, Egineta, Dioscoride, Serapione, era tenuto avente benefici effetti sulla vista e nei giramenti di capo. Se non rinfresca, abbassa molti umori e non è del tutto stramba la lezione della scuola salernitana:
Mantegazza dice: «Il pepe irrita, quindi stimola —. et ubi irritatio, ibi fluscus — quindi il pepe dovrebbe riscaldare ma invece raffredda, perchè dà
Nel linguaggio delle piante: Ardore costante. La pera è frutto squisito, di facile digestione; quando è matura offre i più svariati sapori. Si mangia fresca e cotta giuleppata, come la poma e le altre frutta ed insieme a loro. Da noi, la pera è consumata quasi interamente allo stato fresco, ma si fa pure essiccare e si conserva per l'inverno. Anche anticamente serviva a dare un liquore spiritoso, spumante, analogo al sidro delle poma, ma alquanto più alcoolico. La pera estiva, dà anche maggior quantità di sugo che non la poma ben matura. Se ne estrae acquavite bonissima. Il legno del pero è durissimo, unito, compatto e viene adoperato dai tornitori ed ebanisti, che lo colorano in nero per darci il falso ebano; dà un fuoco forte. La Scuola salernitana dice del pero:
fresca e cotta giuleppata, come la poma e le altre frutta ed insieme a loro. Da noi, la pera è consumata quasi interamente allo stato fresco, ma si
Il pesco è pianta a foglia caduca, indigena, originaria dall'Asia e, più propriamente, come lo indica il suo nome, della Persia. Cresce in terreni buoni, caldi, ad esposizioni meridionali, difese dai venti. Vive anche nei climi freddi, ma non dà frutti. Si moltiplica per seme ed innesto sul màndorlo, sul pruno e sul cotogno. Vuolsi che dia frutti migliori e più belli piantando la pesca intera colla sua polpa. Cresce rapidamente dopo due o tre anni dà frutto, ma presto invecchia deperisce; pochi peschi passano i 20 anni. Si allunga la loro vita innestandoli sul màndorlo. À fiori rosei prima delle foglie, che sono distrutti facilmente dalle brine e dalle forti pioggie primaverili. Dà frutti maturi da luglio ad ottobre, a seconda della varietà, che sono assai numerose. I botanici dividono il pesco in due famiglie, quello a frutto coperto di pelurie, a quello a frutto liscio; ambedue suddividonsi, alla lor volta, in frutto a polpa e carne succosa, spiccaciola, che facilmente abbandona il nocciolo, e in frutto a polpa consistente, duracina (franc, pavies), che non si stacca dal nocciolo.
buoni, caldi, ad esposizioni meridionali, difese dai venti. Vive anche nei climi freddi, ma non dà frutti. Si moltiplica per seme ed innesto sul
La pimpinella (da bipennula, per le foglie bipennate) detta anche salvastrella, è originaria della Germania. Ve ne ànno di 5 specie. Il seme à durata germinativa per tre anni. È pianticella erbacea perenne, si moltiplica per seme, ma meglio per radici in autunno, si adatta a qualunque terreno, ma lo predilige umido e fresco, à fiori a spira rossastra, nasce naturalmente nelle montagne e nei prati, resiste al freddo. Nel linguaggio dei fiori: noncuranza. Si coltiva negli orti per uso di cucina; le sue foglie servono per condimento e per guarnizione d'insalata. Si raccomanda per il suo odore di melone. I suoi fiori, messi in decozione con certa quantità di allume, sviluppano un bellissimo color grigio che serve a tingere la lana, la seta ed il cotone. Gli antichi ne usavano per guarire la tabe. Pare fosse l'erba chiamata dai Greci Phrinion, usata contro i morsi dei rospi, chiamati appunto dai Greci phrinos. È leggermente astringente. Un proverbio dice: «L'insalata non è bona nè bella, se vi manca la pimpinella.»
germinativa per tre anni. È pianticella erbacea perenne, si moltiplica per seme, ma meglio per radici in autunno, si adatta a qualunque terreno, ma
Ma invece pare che il primo sia stato un certo Adamo, consorte legittimo della signora Eva, che prima ancora di quell'ubbriacone di Bacco, lo volle mordere co' suoi candidi dentini. Può considerarsi maturo quando incomincia a tingersi in giallo, mandare un po' della sua fragranza e a cadere spontaneamente; indizio più sicuro è il colore nero de' suoi acini. Il raccolto è da farsi in giorno sereno, quando sia scomparsa la rugiada. Quelli che cadono avanti tempo, bisogna consumarli subito, facendoli cocere. Per conservarli freschi, importa raccoglierli a mano, senza strapparli. Importa pure separare i frutti che casualmente cadessero sul terreno, perchè presto si guasterebbero e guasterebbero gli altri. Nell'inverno gelano facilmente. Se le disgelate al fuoco, perdono: lasciate che disgelino con comodo o ponetele nell'aqua molto fredda, ma non ghiacciata; facendola intepidire a poco a poco, anche
Ma invece pare che il primo sia stato un certo Adamo, consorte legittimo della signora Eva, che prima ancora di quell'ubbriacone di Bacco, lo volle
. Vero è che col nome di pomo, non solo la Bibbia, ma tutti gli scrittori, designarono le frutta in genere, ma, se ciò avvenne, era perchè il pomo era il re, il capostipite di tutti i frutti e si prese il nome suo ad indicare tutto ciò che il regno vegetale produceva di bello e di bono a mangiarsi. Così tutti i barbari che calavano da noi, chiamavano l'Italia la terra delle dolci poma, cosi il frutteto fu chiamato pomarium. A Roma, il Dio del pomo, era detto Falacer, e vi aveva un apposito sacerdote col relativo santuario. I Romani li facevano cocere nel vapore dell'aqua o sotto la cenere. L'arte di conservare le poma, era all'apogeo presso i Romani. Pollione dice di Gallieno:
. Vero è che col nome di pomo, non solo la Bibbia, ma tutti gli scrittori, designarono le frutta in genere, ma, se ciò avvenne, era perchè il pomo
. I Greci poi raccontano del pomo cose orribili. Giove unì in nozze un bel giorno la dea dei mari, Teti, con Peleo, dal quale matrimonio nacque poi il bollente Achille. Quelle nozze furono celebrate con gran pompa e alla presenza di tutto l'olimpo au complet. Tutte le divinità infernali, aquatiche e terrestri ebbero, non solo il fairepart, ma ufficiale invito d'intervenire. Una dea sola fu esclusa: la dea Discordia. E questa, per vendicarsi, al momento dei brindisi, comparve nella sala del banchetto e buttò sulla tavola un bellissimo pomo, dicendo: «Alla più bella di voi,» e sparì. Giunone, Pallade e Venere, ch'erano difatti le più belle, si guardarono per traverso, e ognuna di loro pretendeva quel pomo. Giove, che in quel giorno non voleva seccature, mandò a chiamare Paride, un bel giovinotto, e lo fece arbitro della bellezza di quelle concorrenti. Tutte e tre fecero gli occhietti a quel giovinotto, ma egli consegnò il pomo a Venere, lasciando le altre due con tanto di naso. Venere ebbe il pomo, ma Giunone e Pallade lo conciarono poi per le feste, e tanto fecero che andò a finir male. Rubò Elena, fu assediato e vinto a Troja, e ferito da Pirro, andò a morire sul monte Ida. Tutto, per quel pomo che dappoi fu chiamato il pomo della Discordia. Nè qui finisce la storia di quel pomo. Venere, in quel giorno, almeno per galanteria, doveva cederlo a Teti, che sedeva in capo tavola, sposa festeggiata, ma fe' la sorda e se lo mise in saccoccia. Naturalmente Teti l'ebbe a male alla sua volta, e se la legò anche essa al dito. Avvenne che Venere discese un giorno sulle rive delle Gallie a raccogliere perle e un tritone le rubò il pomo che aveva deposto su di un sasso, e lo portò a Teti. Questa lo prese, lo mangiò e buttò i semi in quella campagna a perpetuare il ricordo della sua vendetta e del suo trionfo. Ecco perchè, dicono i Galli-celti, sono tante mele nel nostro paese, e perchè le nostre fanciulle sono così belle! Questa seconda parte l'aggiunge Bernardin de S. Pierre, magnificando le bellissime mele della Normandia. Al pomo i nostri fratelli svizzeri attaccano la storiella di Guglielmo Tell, e al pomo che cadde sul naso a Newton, mentre riposava in giardino, dobbiamo la scoperta dell'attrazione. La quale attrazione, del pomo, era già scoperta migliaia d'anni fa da Eva. Ed è per questa attrazione che il re Wadislao di Polonia fuggiva e cadeva in deliquio alla vista di un pomo. Il nostro popolo, prende il pomo come il tipo della rotondità (rotond come un pomm) della somiglianza (vess un pomm tajaa in duu), del vino fatto colle mani (vin de pomm), della paura (pomm-pomm), degli avvenimenti necessari (el pomm quand l'è madur, bisogna ch' el croda); infine dell'arma più pacifica per sbarazzarsi da un seccatore (fa córr a pomm). Proverbi sul pomo:
e terrestri ebbero, non solo il fairepart, ma ufficiale invito d'intervenire. Una dea sola fu esclusa: la dea Discordia. E questa, per vendicarsi, al
Rafano, dal greco rha, sincopato di rhadios, facilmente, e phaino, apparire, cioè che i semi germogliano in breve tempo. Pianta erbacea, perenne, indigena, dà grandi foglie, che servono d'ornamento ai giardini, e fiori piccoli bianchi in primavera. Cresce naturalmente nei luoghi umidi, ma si coltiva negli orti. Vuol terra
, indigena, dà grandi foglie, che servono d'ornamento ai giardini, e fiori piccoli bianchi in primavera. Cresce naturalmente nei luoghi umidi, ma si
Pianticella annuale gramignacea, aquatica, originaria della China e delle Indie Orientali, che dà il grano da tutti conosciuto. Il suo nome, riso, dal greco Oryza, derivato anch'esso dall'arabo Eruz. Dopo il frumento è l'alimento più sano e nutritivo. Il riso nasce, vegeta e matura nell'acqua, ed ama tutta la pompa del sole: non può vivere senz'acqua e senza sole. Nel linguaggio dei fiori: Ricchezza. Si coltiva dappertutto. Il riso per essere bono, dev'essere novo, ben mondato, ben netto, grosso, bianco, che non sappia di polvere nè d' altri odori. Il riso di più difficile cottura è il più saporito. Col riso si fa pane, il quale è assai bianco e di bon gusto, ma non s'inzuppa bagnandolo. Ma l'uso principale del riso è nella cucina. Nazioni intere se ne fanno il loro nutrimento quotidiano. Il Pilao dei Cinesi non è che il riso. Si coce da noi ogni giorno in minestra, al grasso, al magro, col burro, col latte, coll'olio. Si mescola con ogni sorta di legumi, erbaggi e carnami, se ne fanno torte, pasticci, frittelli, tortelli. Universalmente lo si fa cocere sino all'intero disfacimento, solo da noi si mangia, come si dice, al dente. Sarà forse per effetto di assuefazione, ma da noi lo si trova più saporito così. La cucina milanese, à dato al mondo col riso quel capolavoro che si chiama Risotto, il vero monopolio del quale, per quanto si sia fatto, non si è ancor tolto dalle mani dei veri Milanesi. Alcuni asseriscono che da noi il riso venne introdotto nel secolo XVI, ma è certo che in Italia invece era anticamente conosciuto. Plinio scrive che in Italia
saporito. Col riso si fa pane, il quale è assai bianco e di bon gusto, ma non s'inzuppa bagnandolo. Ma l'uso principale del riso è nella cucina. Nazioni
Il nome di rosa dal greco rhodon, rosa, o dal celtico roag che significa rosso. La rosa è la regina dei fiori, la figlia del cielo, il sorriso della primavera, l'emblema dell'innocenza e della fugace bellezza femminile. Le sue varietà si contano a migliaia. Qui non dirò che della canina, la quale è la più semplice di tutte le altre. Fu detta rosa canina o rosa di cane, perchè fu creduto, fino dall'antichità, che la sua radice fosse efficace contro la rabbia del cane. Anche i Greci la chiamavano cinorrhodon, da don, cane e rodhon, rosa. Da noi si chiama anche Rovo. Nel linguaggio dei fiori, la rosa canina significa: Indipendenza. È un arboscello indigeno che viene lungo le siepi di montagna, nei luoghi aprichi, che dà in maggio una rosetta pallida, semplice, di cinque foglie. Ai fiori succedono alcune frutta ovali, bislunghe, rosse come il corallo nella loro maturità, la di cui scorza è carnosa, midollosa, d'un sapor dolce-aciduletto e che racchiude alcune semenze, inviluppate d'un pelo consistente, che attaccandosi alle dita penetra nella pelle e vi cagiona molestie. Tali semi posti nel letto ad alcuno per celia fecero sì che questo frutto prese il nome poco castigato di grattaculo. Un mio amico ingegnere mi assicura che tal nome viene da ciò, che i sullodati semi, producono a chi li mangia un lieve prurito, precisamente in una località indicata nella seconda parte di quel disgraziato vocabolo e vi richiama l'azione indicata pure nella prima parte del surriferito disgraziato vocabolo. Tale appellativo, non si vorrebbe mai pronunciare dalla gente pudibonda, ma che è pure registrato presso i più seri botanici; è costretta a ripeterla, colle gote vermiglie, anche la damigella sortita di collegio, se vuol dimandare di quel delizioso sciroppo che danno i prefati grattaculi. Il Cherubini nota che da alcuni viene chiamata salsa di ciappetti, ma è un eufemismo. Il quale eufemismo è una figura rettorica incaricata di stendere un velo si, ma trasparente, su
vocabolo. Tale appellativo, non si vorrebbe mai pronunciare dalla gente pudibonda, ma che è pure registrato presso i più seri botanici; è costretta a
. In Grecia, teste Galeno, lo si mangiava in insalata: oleo et aceto confecto: ma da molti veniva creduto produrre epilessia e cecità. Plutarco ci ricorda che era proverbio: abbisognare di sedano quelli che sono male in gamba: qui deplorata sunt valetudine. I Romani s'incoronavano di sedano nei conviti onde preservarsi dall'ebbrezza. Il sedano lo si vuole un leggero eccitante, lo si può ritenere non solo sano, ma un vero medicamento. In Inghilterra lo si prescrive in uso giornaliero alle persone nervose, onde fortificarle. Calma e combatte le palpitazioni, ed è utilissimo nelle affezioni reumatiche. Alle tavole inglesi si trova la polvere dei semi di sedano grattugiata come il cren, macerata nell'aceto con un poco di sale. Da noi il sedano lo si mangia per gradito antipasto. Con la polvere del suo seme, meglio del selvatico, se ne fa un unguento per i pidocchi.
. In Grecia, teste Galeno, lo si mangiava in insalata: oleo et aceto confecto: ma da molti veniva creduto produrre epilessia e cecità. Plutarco ci
ed asciutti ed in terreni poco profondi. Il sesamo non reggerebbe nei paesi montuosi anche per i venti. Vuolsi originario dell'Asia Minore, e precisamente dalla Paflagonia, dove esisteva pure la città di Sesamon, chiamata poi Amastris, della quale parla Plinio. In Bologna se ne sono fatte molte esperienze, notate nel Giornale d'Italia di scienze naturali. Coi suoi semi, in Egitto, se ne fa una minestra saporita. In Sicilia lo si metteva nel pane. Oggi ancora si mangiano arrostiti e cotti come quelli del riso e dell'orzo, e macinati forniscono una farina grossolana, ma di cui i pasticcieri si servono assai. Era conosciuto il sesamo in Oriente sino dai tempi più remoti. Da Plinio fu messo il sesemo fra i cereali, da Columella fra i legumi, da Teofrasto fra i grani che non ànno nome. Ateneo, nel libro XVI, dice che i Greci lo mangiavano torrefatto col miele. Galeno, che lo si metteva nel pane, ma che era di sua natura calido. In Egitto i semi del sesamo servono a preparare una pasta biancastra che si usa per mantenere la freschezza e la bellezza della pelle.
. Oggi ancora si mangiano arrostiti e cotti come quelli del riso e dell'orzo, e macinati forniscono una farina grossolana, ma di cui i pasticcieri si
Lo zafferano scaccia la noia, è un calmante utile nell'asma e nella tosse convulsa; è un utilissimo menagogo, acuisce e fortifica la vista e giova in molte morbosità oculari: ma, vecchio, perde la sua virtù. Doveva essere un ingrediente di prelibati profumi, giacchè lo troviamo nominato nella Bibbia come un profumo delizioso della Sposa dei Sacri Cantici: Nardus et crocus (Cant. 4). I milanesi indorano collo zafferano il loro Risotto, dando ragione a Bacone.
molte morbosità oculari: ma, vecchio, perde la sua virtù. Doveva essere un ingrediente di prelibati profumi, giacchè lo troviamo nominato nella
Ma pare servisse solò in medicina (Galeno, De Simpl. Med. Fac., cap. 120). L'epoca vera della prima introduzione dello zuccaro in Europa è oscura. Era ramo di commercio fra l'Indostan, la Persia e l'Arabia. Dalla Mecca per Bassora e Magdad discese al basso Egitto, poi in Grecia e nell'Asia Minore, di là in Europa. Vogliono alcuni che gli Spagnoli e i Portoghesi lo scoprissero per la prima volta nelle Isole Canarie ed a Madera. Ma la cosa pare invece all'incontrario. L'arundo saccarifera nel 996 fu portata la prima volta; dall'Oriente a Venezia, e prosperava dopo il 1000 in Sicilia, tanto che nel 1419 l'Università di Palermo assegnava aque per la sua coltivazione. Secondo Merini prima ancora del 1319 se ne spedì da Venezia in Inghilterra per 100.000 libbre e 10.000 di candito. I Portoghesi, prendendo possesso di Madera, vi piantarono la canna dello zuccaro, facendola venire dalla Sicilia, da dove penetrò pure in Spagna. Nel 1440, Pietro Speciale lo piantò nelle campagne di Ficaruzzi su quel di Palermo. Nel 1550, un viaggiatore descrive i trappeti (aje) dello zuccaro a Carini, Trabia, Casalbianco, Modica, ecc. Ciò riferisce Albert Aqueus, lib. V, 37. Dopo
Ma pare servisse solò in medicina (Galeno, De Simpl. Med. Fac., cap. 120). L'epoca vera della prima introduzione dello zuccaro in Europa è oscura