Pianticella annuale originaria della Mesopotamia che dà il noto legume coltivato molto in Francia e nel Vallese. Vuol terreno sciolto, asciutto, non molto grasso. Si semina in primavera e si colgono i frutti appena maturi perchè non cadano. Due varietà principali: la gialla e la rossiccia, questa più saporita. Si conservano per l'inverno in luogo asciutto e prima di usarne, si lasciano macerare in acqua onde si gonfino e diventino tenere. Se ne fa farina ed è molto leggera e buona pei malati. Le lenti si mangiano in minestra, come i fagioli, si mettono cotte negli umidi, accompagnano i salami cotti principalmente quello di fegato, la mortadella. Se ne fa purèe e flan di sapore delizioso. Al tempo antico dovevano essere molto più saporite d'adesso. Esaù le rese celebri cedendo per un piatto di esse la sua primo- genitura. Sono di un uso molto antico e generale. Ovidio dà la palma a quelle di Pelusio in Egitto. Ateneo da il menu d'una cena con queste parole: « mangiammo un piatto di lenti, poi ne venne un altro, poi ce ne servirono di nuovo ben condite in aceto. » Allora si servivano le lenti come oggi si fà della patata in Svizzera. Difilo comico, fà dire ad un suo personaggio: « la tavola era pulitamente disposta, noi avevamo ciascuno un piatto ben colmo di lenti. » Zenone, il fondatore della setta stoica, dice, essere uno dei caratteri del saggio quello di saper condir bene le lenti. Ecco il suo dogma - Sapientem omnia recte agere et lentem diligenter condire. La famiglia dei Lentuli doveva il suo nome a degli antenati venditori di lenti. Marziale ne parla in Xeniis:
'adesso. Esaù le rese celebri cedendo per un piatto di esse la sua primo- genitura. Sono di un uso molto antico e generale. Ovidio dà la palma a
Ne parla perfino Seneca nell'Ep. 87. - Olivetum cum rapo suo tranferre. I Greci magnificavano quelle di Corinto, della Francia e della Beozia. Erano notabili per la rotondità quelle di Cleone piccolo villaggio non lungi dalla selva Numea, citato da Ovidio (metam. 6) e per la lunghezza i Romani davano la palma a quelle di Amiterno città della Campania, patria di Sallustio - Indi venivano quelle di Nurzia, antica città della Sabina, patria di Quinto Sertorio, vir rei militaris, delle quali rape parla Virgilio chiamandole frigida Nurtia (En. 7). Infine venivano le Veronesi. Anche il Mattioli, che à visto le famose rape di Norcia e di Anagni dice che pesavano 30 libbre. - Sæpius librarum triginta pondere. - Il Giovio, fino da tre secoli fa nella sua Larii lacus descriptio, parlando di Pigna in Vall'Intelvi, la dice: « Oppidum cum arce, frumenti candoris, et magnitudinis eximii, et rapis nursinis æque similibus ». Marco Catone della famiglia Porcia, detto Censorio, tribuno, console, senatore, ricchissimo, si preparava da sè il piatto di rape e di quella viveva saluberrime. Marco Curio Dentato stava cocendo le rape sotto la cenere, quando rispose ai Sanniti che gli offrivano dei tesori a lasciarli in pace: Non vincerete coll'oro colui che non avete potuto vincere colle armi. La rapa vuolsi rinfreschi. Con essa si fanno decotti anti flogistici e diuretici, e colla sua polpa cataplasmi mollitivi usati in campagna contro i geloni, la si dà ai majali ai quali ingrossa e dilata l'epigastrio. La Sapienza popolare dei Milanesi ad indicare un sempliciotto, dice: Sempi come una rava, vess una rava. E ad un medicastro: Dottor de rava.
davano la palma a quelle di Amiterno città della Campania, patria di Sallustio - Indi venivano quelle di Nurzia, antica città della Sabina, patria di