Tritate fine la parte bianca del porro e aggiungetela alle uova che avrete battute a lungo con sale e pepe: versate la miscela in un tegame dove il burro sia già liquefatto e fumante, e battetele ancora con la forchetta perchè formino i fiocchi. A metà cottura aggiungete le acciughe ben nettate e tagliate a pezzetti. Con lo stesso sistema potrete preparare le «uova alle erbe aromatiche» aggiungendo a metà cottura le erbe che preferite; ma se volete qualcosa di più raffinato servitevi di prosciutto tagliato a dadini o di lingua o anche di rognone di vitello che avrete preventivamente fatto cuocere in graticola e poi sottilmente affettato.
volete qualcosa di più raffinato servitevi di prosciutto tagliato a dadini o di lingua o anche di rognone di vitello che avrete preventivamente fatto
Meglio che mangiar fagiani è rammentare l'aneddoto di Creso e di Solone. Il Re Creso, assiso sopra un trono tutto incastonato di diamanti e di pietre preziose, ornato del suo diadema e coperto d'oro e di porpora, domandava a Solone, se mai avesse veduto qualcosa di più bello. Sì, gli rispose il filosofo, ho veduto i fagiani e i pavoni.»
preziose, ornato del suo diadema e coperto d'oro e di porpora, domandava a Solone, se mai avesse veduto qualcosa di più bello. Sì, gli rispose il
Antrè = Siccome questo è un pesce che mai servesi sopra a tavole de' Grandi, cosi dirò qualcosa del modo di apprestarlo alla Cittadina. Questo si allesso condito come lo Scorfano, o con sopra una Salsa di butirro alli capperi, o alici; ovvero tagliato mangia in fette per traverso, e apprestate come le Triglie panate all'Erbe fine, o come quelle al Per-moene, o fritte e marinate, o solamente fritte, o alla Cittadina. Vedete all'Articolo delle Triglie. o come le Cotelette di Cefalo, e finalmente in umido all'Erbe fine, alli Piselli, al sugo di Pomidoro etc. Per farle all'Erbe fine: passate in una cazzarola sopra il fuoco con un poco d'olio, petrosemolo, e cipollette trito, una punta d'aglio, quindi stemperateci fuori del fuoco tre alici, e bagnate con un bicchiere di vino bollente, fate bollire, poneteci le fette di Palombo, condite con sale, e pepe schiacciato; fate cuocere dolcemente, e prima di servire metteteci un pochino di pignuoli, e passarine. Per farle alli piselli in luogo di bagnare col vino, bagnate con acqua, poneteci dentro il pesce con piselli fini a proporzione, condite come sopra, fate cuocere, e servite con poca Salsa. Per farle voi al sugo di pomidoro, in luogo di bagnare col vino, o acqua, bagnate con sugo di pomidoro, e finitele nello stesso modo, ma senza pignoli, e passarina. Potete servire anche le fette di Palombo fritte con sopra o sotto una Salsa Agro-dolce, una Remolada, una Salsa verde, o Piccante, al sugo di pomidoro etc. Vedete queste Salse nel Cap. I.
Antrè = Siccome questo è un pesce che mai servesi sopra a tavole de' Grandi, cosi dirò qualcosa del modo di apprestarlo alla Cittadina. Questo si
Antrè = Siccome questo è un pesce, che mai servasi sopra a tavole de' Grandi, così dirò qualcosa del modo di apprestarlo alla Cittadina.Questo si mangia allesso condito come lo Scorfano, o con sopra una Salsa di butirro alli capperi, o alici; ovvero tagliato in fette per traverso, e apprestate come le Triglie panate all'Erbe fine, o come quelle al Per moene, o fritte, e marinate, o solamente fritte, o alla Cittadina. Vedete all'Artìcolo delle Triglie.
Antrè = Siccome questo è un pesce, che mai servasi sopra a tavole de' Grandi, così dirò qualcosa del modo di apprestarlo alla Cittadina.Questo si
Spianate la pasta col matterello soltanto quanto è necessario per rinchiudervi dentro il pane di burro. Questo si pone nel mezzo e gli si tirano sopra i lembi della pasta unendoli insieme colle dita e procurando che aderisca al burro in tutte le parti onde non resti aria framezzo. Cominciate ora a spianarla prima colle mani, poi col matterello assottigliandola la prima volta più che potete, avvertendo che il burro non isbuzzi. Se questo avviene gettate subito, dove il burro apparisce, un po' di farina, e di farina spolverizzate pure spesso la spianatoia e il matterello a ciò che la pasta scorra e si distenda sotto al medesimo. Eseguita la prima spianatura, ripiegate la pasta in tre, come sarebbero tre sfoglie soprammesse e di nuovo spianatela a una discreta grossezza. Questa operazione ripetetela per sei volte in tutto, lasciando di tratto in tratto riposare la pasta per dieci minuti. All'ultima, che sarebbe la settima, ripiegatela in due e riducetela alla grossezza che occorre, cioè, qualcosa meno di un centimetro.
. All'ultima, che sarebbe la settima, ripiegatela in due e riducetela alla grossezza che occorre, cioè, qualcosa meno di un centimetro.
Spezzettate il petto di vitella di latte lasciandogli le sue ossa. Fate un battuto con aglio, prezzemolo, sedano, carota e una fetta proporzionata di carnesecca; aggiungete olio, pepe, sale e mettetelo al fuoco insieme colla carne suddetta. Rivoltatela spesso, e quando sarà rosolata alquanto, spargete sulla medesima un pizzico di farina, un po' di sugo di pomodoro o conserva e tiratela a cottura con brodo o acqua. Per ultimo aggiungete un pezzetto di burro e i finocchi tagliati a grossi spicchi già ridotti a mezza cottura nell'acqua e soffritti nel burro. La cazzaruola, tanto in questo che negli altri stufati, tenetela sempre coperta. Quando parlo di cazzaruole intendo quelle di rame bene stagnate. Hanno a dir quel che vogliono, ma il rame, tenuto pulito, è da preferirsi sempre ai vasi di ferro e di terra, perchè quelli si arroventano e bruciano le vivande; questa screpola e suzza gli untumi e col troppo uso comunica qualcosa che sa di lezzo.
untumi e col troppo uso comunica qualcosa che sa di lezzo.
Dorate il di fuori e cuocetelo in forno o nel forno da campagna, e quando lo levate coprite il buco con un fiocco della detta pasta, fatto a misura e cotto a parte. La stessa regola potete tenere per un pasticcio di due beccacce le quali non hanno bisogno di essere vuotate, nè degli intestini, nè del ventriglio; soltanto verificherete che nelle parti basse non vi sia qualcosa di poco odoroso.
del ventriglio; soltanto verificherete che nelle parti basse non vi sia qualcosa di poco odoroso.
Distendete un velo di farina sulla spianatoia, versategli sopra il composto, copritelo con altra farina e fategliene prender tanta (qualcosa meno di 100 grammi possono bastare) per formare delle pallottole, piuttosto morbide, e grosse come le nocciuole. Gettatele nel brodo bollente e dopo 10 minuti di cottura servitele.
Distendete un velo di farina sulla spianatoia, versategli sopra il composto, copritelo con altra farina e fategliene prender tanta (qualcosa meno di
Avanti di descrivervi la zuppa di ranocchi voglio dirvi qualcosa di questo anfibio dell'ordine de' batraci (rana esculenta), perchè, veramente, merita di essere notata la metamorfosi ch'esso subisce. Nel primo periodo della loro esistenza si vedono i ranocchi guizzare nelle acque in figura di un pesciolino tutto testa e coda che gli zoologi chiamano girino. Come i pesci, respira per branchie prima esterne, in forma di due pennacchietti, poscia interne, e nutrendosi in questo stato di vegetali ha l'intestino come quello di tutti gii erbivori, comparativamente ai carnivori, assai più lungo. A un certo punto del suo sviluppo, circa a due mesi dalla nascita, perde, per riassorbimento, la coda, sostituisce alle branchie i polmoni e mandando fuori gli arti, cioè le quattro zampe che prima non apparivano, si trasforma completamente e diventa una rana. Nutrendosi allora di sostanze animali, ossia di insetti, l'intestino si accorcia per adattarsi a questa sorta di cibo. E dunque erronea l'opinione volgare che i ranocchi siano più grassi nel mese di maggio perchè mangiano il grano.
Avanti di descrivervi la zuppa di ranocchi voglio dirvi qualcosa di questo anfibio dell'ordine de' batraci (rana esculenta), perchè, veramente
In forma dimessa, quale si conviene ad un libraccio destinato a correre per le mani di chicchessia, ho detto come si mangia; quali sono le prime norme per mangiar bene, e i requisiti richiesti per mangiar bene. Ora, in questo paragrafo, dirò qualcosa sulla maniera di far mangiar bene.
norme per mangiar bene, e i requisiti richiesti per mangiar bene. Ora, in questo paragrafo, dirò qualcosa sulla maniera di far mangiar bene.
18 Qualsiasi cosa debba essere tolta dalla bocca e riportata sul piatto, si dovrà seguire questa regola molto semplice. Ciò che venne portato alla bocca con un cucchiaio verrà riportato sul piatto col cucchiaio. Ciò che vi è stato portato con la mano con la mano verrà riportato sul piatto. Per esempio, per i noccioli di prugna o di altre frutta nella composta si userà il cucchiaio. Per i semi delle arance, i noccioli delle olive, si useranno le dita. Si fa eccezione a questa regola quando si tratta di piccole cose pulite come lische di pesce o pallini di schioppo che si trovano a volte nella selvaggina. In questo caso, sia pure avendo portato il cibo alla bocca con una forchetta, ci si servirà della mano per riportarli sul piatto. In ogni modo, si deve sempre cercare di evitare questa eventualità, scartando ogni corpo estraneo prima di portare il cibo alla bocca, per quanto è possibile. Quando si debba riportare sul piatto qualcosa che non si può ingoiare bisogna farlo con la massima disinvoltura. È assolutamente scorretto nascondere questo semplice gesto servendosi del tovagliolo, mostrando così un imbarazzo sproporzionato.
. Quando si debba riportare sul piatto qualcosa che non si può ingoiare bisogna farlo con la massima disinvoltura. È assolutamente scorretto nascondere
19 Non si deve mai servirsi della propria forchetta già usata per prendere qualcosa dal piatto comune. Non si deve poi servirsi del proprio cucchiaino per prendere un supplemento di zucchero dalla zuccheriera.
19 Non si deve mai servirsi della propria forchetta già usata per prendere qualcosa dal piatto comune. Non si deve poi servirsi del proprio
Il carbone di legno è un assorbente ottimo degli odori di origine gassosa. Da questo semplice principio potete tirare mille applicazioni: se certi alimenti cuocendo dànno cattivo odore (i cavoli, per esempio) mettete nella vostra acqua di cottura due o tre pezzi di carbone, che prima laverete. Colla polvere di carbone potete formare una pasta per togliere i cattivi odori nella latrina, i vasi della toletta, ecc. Se adoprerete, come vi ho consigliato, dei pezzi di carbone quando cuocete degli alimenti un po' troppo... aggressivi nella espansività dei loro aromi, non vi dimenticate poi di lasciarli asciugare. Li metterete nel fornello, la prima volta che avrete bisogno di cuocer qualcosa a carbone.
lasciarli asciugare. Li metterete nel fornello, la prima volta che avrete bisogno di cuocer qualcosa a carbone.
Se dovete comperare della stoffa per accomodare qualcosa di cui non potete prendere un campione (tende, poltrone, abito che non abbia orlature, eccetera, allora cercate un filo di cotone o di seta o di qualsiasi cosa che abbia la stessa tonalità; prelevatelo e andate con questo a fare la vostra compera.
Se dovete comperare della stoffa per accomodare qualcosa di cui non potete prendere un campione (tende, poltrone, abito che non abbia orlature
Prendete i fichi e tagliuzzateli in minutissimi pezzi, senza sbucciarli. Metteteli in una casseruola, aggiungendo 100 gr. di zucchero, e 10 gr. di anice, per ogni chilogrammo di fichi preparati. Ponete al fuoco tenendo la casseruola coperta, e lasciate cuocere finchè la massa sia divenuta densa e omogenea. Ritirate la casseruola dal fuoco e fate raffreddare l'impasto. Avrete ora preparato (per ogni chilogrammo di fichi) 200 gr. di nocciuole tostate, sgusciate e grattugiate o macinate. Incorporate un poco di questa polvere di nocciuole nella massa gelatinosa dei fichi. Stendete metà di questa su una piastra da forno preventivamente cosparsa di farina: spargete, su questa metà dei fichi, ben distesa sulla piastra, ma tenuta dell'altezza di un centimetro almeno, un poco delle nocciuole grattugiate o macinate. Ora stendetevi sopra la seconda metà dell'impasto dei fichi, dandole le stesse dimensioni in modo che le due metà formino un insieme che, senza pretendere ad eleganze perspicue di forma, si presenti il più possibile come un quadrato, o come un rettangolo, o insomma come qualcosa che abbia un aspetto cristiano. A questo punto date fondo alle ultime nocciole pestate, cospargendo la parte esterna della torta. Una spolveratura di farina, e passate a forno moderato. Potendo disporre di abbastanza farina, così da protegger questa torta dall'aria e prosciugarla bene, si conserva (la torta) per parecchio tempo, ed è buonissima.
quadrato, o come un rettangolo, o insomma come qualcosa che abbia un aspetto cristiano. A questo punto date fondo alle ultime nocciole pestate, cospargendo
Lo stesso Napoleone che aveva altro per la testa, diceva all'Antonmarchi: «V'è qualcosa di più dell'istinto nelle api. Credereste che io non abbia cercato d'eluderle? Ho trasportato un vaso di miele in tutte l'estremità della camera. Hanno impiegato due, tre giorni a cercarlo, ma alla fine l'hanno trovato».
Lo stesso Napoleone che aveva altro per la testa, diceva all'Antonmarchi: «V'è qualcosa di più dell'istinto nelle api. Credereste che io non abbia
Nel semplicismo c'è qualcosa di serio quando il semplice è il risultato d'una costante serie di ricerche eseguite da una mente ampia, vigorosamente proba, che non trascura neanche il minimo particolare per concentrare in una sintesi la chiave di un dato processo. Ma questo processo sarà applicabile sempre a quella costituzione che è servita da termini di rapporti e di riferimenti all'osservatore; non potrà riuscire utile a tutte le costituzioni, per la ragione che una costituzione differisce da un'altra.
Nel semplicismo c'è qualcosa di serio quando il semplice è il risultato d'una costante serie di ricerche eseguite da una mente ampia, vigorosamente
I libri di cucina pubblicati fino ad oggi ammontano, senza dubbio, ad alcune centinaia. Ma chi volesse tra questa sovrabbondanza di pubblicazioni cercare il «vero» libro di cucina forse non lo troverebbe. Una sola grande eccezione: la «Guide culinaire», di Augusto Escoffier. Il Maestro ha edificato con questa opera un insigne monumento all'arte gastronomica, raccogliendone le più pure tradizioni e coordinandole con grandiosità di linee, demolendo inesorabilmente tutto il vecchiume per gettare le basi di una tecnica moderna perfetta, armoniosa e rispondente alla evoluzione del tempo e alle conquiste che, anche nel vastissimo campo avente con la cucina immediati o mediati riferimenti, si sono verificate. Questa mirabile opera è in lingua francese; ma se la questione della lingua può essere cosa trascurabile, un'altra e più seria difficoltà è presentata dal fatto che la «Guide culinaire» è scritta esclusivamente per i professionisti; e quindi in forma sintetica e con la speciale terminologia tecnica dell'alta cucina. Cosicchè questo trattato, di una preziosa utilità per chi è iniziato alla grande scuola non potrebbe essere consultato con eguale profitto ai fini della cucina domestica. Tra i libri italiani moderni sarebbe vano ricercare qualcosa di simile — un tentativo in grande stile fatto anni addietro dal dott. Cougnet con la collaborazione di professionisti ebbe esito infelicissimo — e d'altra parte è risaputo che i trattati professionali hanno sempre un interesse assai relativo per la limitata cerchia di persone alle quali necessariamente si rivolgono. Una vera pletora c'è invece in quel che riguarda la letteratura gastronomica ad uso delle famiglie. Se volessimo semplicemente enumerare i libri italiani di cucina antichi e moderni del genere, potremmo comporre un interminabile indice bibliografico. Non lo faremo, che è nostra consuetudine non perdere del tempo nè farlo perdere ad altri. Dai librai di lusso alle più modeste cartolerie, dai chioschi delle stazioni ferroviarie ai banchetti volanti che nelle strade o nelle piazze offrono libri d'occasione, troverete volumetti e volumi di cucina dai titoli più promettenti: Re dei cuochi, vero Re dei cuochi, Re dei Re dei cuochi, ecc.: una tale dovizia di cuochi coronati da permettere di estendere il regime monarchico su tutta la superficie di questo nostro vecchio pianeta. Ebbene, in così lussureggiante fiorire di pubblicazioni, non una che insegni a cucinare, perchè o compilate a scopo di bassa speculazione da empirici, che si sono accontentati di ritagliare con le forbici delle ricette senza avere la capacità di esercitare su esse il minimo controllo — vediamo infatti che questo genere di libri non porta quasi mai il nome dell'autore — o, nella migliore delle ipotesi, dovute a professionisti, i quali però avendo non solamente poca pratica con la grammatica e la sintassi, ma nessuna comunicativa, non sono riusciti a farsi comprendere e hanno avvolto le loro ricette in una fitta rete di spropositata nebulosità. Facendo un'accurata selezione di tutta la letteratura gastronomica italiana, rimangono quattro autori degni di considerazione: due antichi e due più vicini ai nostri tempi. I grandi trattati che portano ancora attorno la loro decrepita fastosità sono quelli del Vialardi, cuoco di Carlo Alberto e di Vittorio Emanuele II, e l'altro, di cui fu principale collaboratore il Nelli. Ambedue di ampia mole e dovuti a persone di indiscutibile competenza, poterono forse rappresentare al loro tempo una notevole affermazione. Ma purtroppo essi non rispondono più sia alla evoluzione della cucina, sia a quei principi di economia e di semplicità che, per forza di cose, si sono imposti alla mensa famigliare. Scorrendo le vecchie pagine, dove si parla di petti di fagiani o di pernici, di salse a base di tartufi, di leccornie d'ogni specie presentate su zoccoli monumentali o con difficoltose e dispendiosissime decorazioni, non si può a meno di sorridere, pensando che una sola di queste pietanze assorbirebbe tutto ciò che una famiglia di media fortuna spende in una settimana ed anche più. Rimangono dunque, questi trattati, semplice documentazione di un ciclo culinario esageratamente fastoso, ma oramai conchiuso per sempre. In tempi più recenti, gli autori che si sono divisi principalmente il favore del pubblico sono: Adolfo Giaquinto e Pellegrino Artusi. Il Giaquinto, reputato gastronomo, ha portato con le sue varie pubblicazioni un salutare risveglio nella pratica culinaria, ed è stato un fecondo volgarizzatore della gaia scienza nelle famiglie. Queste pubblicazioni però non sono recentissime, e risalgono ad epoche se non troppo lontane certo più fortunate, quando le famiglie non erano assillate dal problema del caro viveri; ed anche allora, dagli stessi suoi ammiratori, fu rimproverato all'autore una sensibile ed evidente tendenza alla ricchezza di preparazioni che caratterizzava appunto quella cucina di cui il Giaquinto è stato, senza dubbio, apprezzato campione. L'autore che riuscì invece a vendere stracci e orpelli per sete rare e oro fu Pellegrino Artusi, nume custode di tutte le famiglie dove non si sa cucinare. Per taluni tutto ciò che dice l'Artusi è vangelo, anche quando questo ineffabile autore scrive con olimpica indifferenza le sciocchezze più madornali. Anzitutto egli dichiara di essere un dilettante e di aver provato le sue ricette alla sazietà, fino a che gli riuscirono bene, o meglio sembrò a lui che riuscissero tali. Egli fa un edificante preambolo che suona presso a poco così: Guardate, io non so cucinare, tanto vero che i cuochi preparano le ricette che io insegno in un modo completamente diverso. Però dopo una serie di tentativi sono riuscito ad ottenere qualche risultato, ed anche voi, un po' con la mia guida (!), un po' con la vostra pazienza, può darsi che riusciate «ad annaspar qualche cosa». Ed allora vien voglia di chiedere a questo signor Artusi perchè mai, stan[...]
. Tra i libri italiani moderni sarebbe vano ricercare qualcosa di simile — un tentativo in grande stile fatto anni addietro dal dott. Cougnet con la
Per sei persone comperate un chilogrammo di corata di maiale mista Dovrà esserci del polmone, del cuore, del fegato, della milza. Alcuni consigliano anche l'aggiunta di qualche pezzo di rognone e di qualche cotenna fresca. Approviamo la cotenna mentre non sapremmo molto approvare l'aggiunta del rognone che può avere talvolta un gusto sgradevole e rovinare la zuppa, la quale è veramente ottima e nutriente. Se desiderate aggiungere la cotenna sarà bene che, dopo averla ben nettata, le facciate subire una mezza cottura ad evitare che rimanga troppo dura. Mettete la corata sul tagliere e dividetela in piccoli pezzi, della grandezza di una nocciola. Prendete una casseruola, metteteci una cucchiaiata di strutto e, quando lo strutto sarà caldo, mettete giù la corata in pezzi. Fatela ben rosolare su fuoco piuttosto vivace, fino ad averla ben scura, conditela con sale, abbondante pepe, o, per essere più in armonia con la tradizione napolitana, con qualche pezzetto di peperoncino, dovendo questa zuppa essere di sapore molto piccante. Quando sarà rosolata, potrete, ma non è di rigore, bagnare la corata con mezzo bicchiere di vino. Dopo questa prima parte dell'operazione, aggiungete nella casseruola un pizzico di rosmarino, una mezza foglia di lauro spezzettata e un paio di cucchiaiate di salsa di pomodoro o un po' di conserva nera diluita in un dito d'acqua calda. Mescolate bene col cucchiaio e poi, dopo qualche minuto, aggiungete circa un litro di acqua. Coprite la casseruola e continuate la cottura con fuoco più moderato, di modo che essa possa compiersi dolcemente: per la qualcosa occorrerà, su per giù, un'ora. Se avrete prelessate le cotenne, tagliate anche queste in pezzetti e aggiungetele alla corata. Preparate intanto sei scodelle con dentro qualche fettina di pane abbrustolito, e quando la corata sarà cotta distribuitela nelle scodelle col suo sugo. Questo sugo dovrà essere nè troppo denso, nè troppo liquido. Nel primo caso converrà aggiungere ancora un poco d'acqua, nel secondo far bollire a fuoco forte per ottenere quella quantità sufficiente per bagnare il pane.
continuate la cottura con fuoco più moderato, di modo che essa possa compiersi dolcemente: per la qualcosa occorrerà, su per giù, un'ora. Se avrete
Questa pietanza, di una semplicità e di una esecuzione assolutamente primordiali, non solamente riabilita il polipo, che — sia detto fra parentesi — nelle famiglie dei pesci gode di una fama volgaruccia anzichenò, ma immediatamente solleva lo spregiato mollusco ad altezze che non esiteremmo a chiamare epiche. C'è forse qualcosa di più squisito, di più appetitoso, di più delizioso di un polipo alla luciana? Quale pesce può compiere il prodigio di riempirvi la cucina di un profumo più intenso ? Uno di quei profumi che scendono allo stomaco «per vie non conosciute», come avrebbe detto il buon Stecchetti e che vi fanno venire l'acquolina in bocca. Di più il materiale di cucina occorrente non contribuirà certo a mandarvi in rovina: una pentola di coccio, un pezzo di carta paglia e un po' di spago. L'abbiamo già detto: si tratta di una preparazione primordiale. Il polipo che occorre deve essere di scoglio: quei polipi cioè che hanno una doppia fila di ventose sui tentacoli, e che sono detti a Napoli «veraci». Contrariamente poi a quanto si usa per le altre preparazioni sarà da preferirsi un polipo piuttosto grosso. E non abbiate timore che riesca duro: quando avrete seguito con diligenza i nostri consigli scambierete il vostro polipo per un pezzo di vitellino da latte, tanto sarà tenero. Comperato dunque il polipo, nettatelo bene, togliendo via la vescichetta della tinta, gli occhi e tutta la pelle. Quest'ultima operazione, che a prima vista può sembrare difficile, non lo è in realtà, se vi aiuterete con un piccolo coltello a punta. Fatta dunque un po' di toletta al polipo procedete ad un'altra operazione, che se non è molto gentile è però necessaria: quella della bastonatura; poichè il polipo «ama» di essere bastonato, come si legge in quei libri di cucina a base di strafalcioni. Naturalmente est modus... con quel che segue; e voi badate affinchè nella furia del combattimento il polipo non debba restare massacrato e coi tentacoli in pezzi. Dopo la bastonatura esso avrà perduto la rigidità delle fibre e sarà pronto per la cottura. La quale, come già abbiamo accennato, dovrà farsi in una pentola di terraglia, di capacità tale che il polipo possa occuparne i due terzi dell'altezza. Lavate adesso il polipo e, senza asciugarlo, deponetelo nella pentola. Conditelo con sale e pepe — è molto indicato, se piace, del peperoncino — qualche ciuffo di prezzemolo e abbondante olio (mezzo bicchiere un po' scarso per un polipo di mezzo chilogrammo). Chiudete ora la pentola con un paio di fogli di carta paglia — quella carta gialla usata dai rivenditori di generi alimentari — assicurate la carta con qualche giro di spago che fisserete sotto i manici e in ultimo coprite con un coperchio. Mettete la pentola su poca brace accesa, quasi delle ceneri calde, e lasciate che il polipo cuocia lentamente, insensibilmene, per un paio d'ore, per abbandonarlo poi sul camino fino al momento di mangiare, che esso guadagna ad essere gustato tiepido o freddo affatto. Vi ripetiamo la raccomandazione che il fuoco sia quasi niente, poichè in caso contrario rovinereste tutto. Pian piano, durante la cottura, un profumo allettatore si sprigionerà dalla pentola. Ma voi non vi lasciate vincere dalla tentazione di scoprirla fino a che non sia trascorso il tempo stabilito e sarà giunta l'ora del desinare. Togliete allora la carta, e avrete la sorpresa di vedere che il polipo è diventato come una specie di grosso crisantemo rossastro, tenerissimo, galleggiante in un brodo squisito, che la munifica bestia ha generosamente elargito. Non gli fate l'ingiuria di travasarlo. Adagiate la pentola in un piatto con salvietta, e fatelo portare in tavola così come si trova. È un piatto marinaresco, e va servito senza troppe cerimonie. In tavola dividetelo in pezzi, e fate che ogni commensale condisca il polipo con qualche cucchiaiata del suo brodo, un pochino d'olio e, se piace, qualche goccia di sugo di limone.
chiamare epiche. C'è forse qualcosa di più squisito, di più appetitoso, di più delizioso di un polipo alla luciana? Quale pesce può compiere il prodigio di
Lo stufatino è un piatto caratteristico della cucina di Roma ed è veramente degno di quel favore che i buongustai romani gli accordano. Per questa pietanza occorre servirsi della polpa dello stinco, e più propriamente di quel muscolo allungato che i macellai chiamano «pulcio». Badate che spesso i macellai non guardano tanto pel sottile, e allo stesso modo che battezzano per «pezza» qualsiasi taglio senz'osso, magari il più duro e nervoso, vi offrono per «pulcio» i più inverosimili ritagli di carne. Tagliate il muscolo o fatelo tagliare dal negoziante stesso, in fettine sottili. Potete calcolare mezzo chilogrammo per quattro abbondanti porzioni. Mettete in una casseruola di rame una mezza cucchiaiata di strutto con un po' di cipolla tagliuzzata, e quando la cipolla avrà preso colore, aggiungete un pezzo di grasso di prosciutto tritato con una puntina d'aglio; e subito dopo la carne. Condite con sale, pepe, una presina di maggiorana e fate rosolare lo stufatino. Quando avrà preso una bella tinta scura versate nella casseruola mezzo bicchiere di vino e allorchè questo si sarà asciugato, aggiungete una cucchiaiata di salsa di pomodoro o qualche pomodoro, spellato, fatto in pezzi e nettato dai semi. Fate cuocere ancora un pochino e poi bagnate con tanta acqua da ricoprire lo stufatino, coprite la casseruola, diminuite un poco il fuoco e lasciate che la cottura si compia dolcemente: per la qualcosa occorreranno circa un paio d'ore. Se durante la cottura il sugo venisse a mancare rinfondete altra acqua, regolandovi che al momento di mandare in tavola il bagno sia sufficientemente addensato, scuro e saporito. Lo stufatino si può servire semplice, oppure con un contorno. Generalmente i contorni più caratteristici di questo piatto sono i cordoni o «gobbi» e i sedani. Tanto gli uni che gli altri, vanno nettati, lessati a parte e poi messi ad insaporire nello stufatino. Ma potrete anche accompagnare la carne con qualunque altro contorno come zucchine, cipolline, funghi, ecc. servendo questi legumi in un piatto a parte: ciò che secondo noi è preferibile, perchè conserva a questa appetitosa pietanza, tutto il suo caratteristico profumo.
fuoco e lasciate che la cottura si compia dolcemente: per la qualcosa occorreranno circa un paio d'ore. Se durante la cottura il sugo venisse a mancare
E torniamo in argomento. Molti, per indolenza o per un senso di malintesa economia di tempo, hanno l'abitudine di acquistare i piedi di porco già cotti, dai pizzicagnoli o dai così delti «norcini». Ciò che è da condannarsi, senz'altro, sia nei riguardi culinari come in quelli igienici. Il piede di porco è squisito, a patto di essere mangiato caldo e cotto in un «fondo» piuttosto aromatizzato. Tra parentesi notiamo qui che in termine di cucina si chiama «fondo» quel liquido — per lo più brodo — con una aggiunta maggiore o minore di condimenti che serve per cuocere una data vivanda. Ma più grave ancora è l'inconveniente igienico che offrono i piedi di porco venduti già cotti. Essi rimangono infatti in una vassoia, che non è sempre un modello di pulizia, esposti all'aria, alla polvere, e specialmente ai maneggiamenti del cliente e del negoziante. Il cliente, infatti, prima di decidersi per l'acquisto, incomincia un accurato esame palpabile dei vari pezzi che sono sul banco di vendita. A un certo punto il negoziante crede opportuno di far pesare la sua autorevole parola sulla decisione del cliente, ed anch'egli prende in mano il malcapitato piede e lo palpa, lo palleggia, vantandone il peso e l'abbondanza della parte carnosa. E intanto nel calore della discussione — ci perdonino le nostre lettrici — qualche atomo di qualcosa che non è lecito definire, pioviggina in non desiderata nebbiolina sulla vassoia... Il quadro non è purtroppo carico di tinte. È fedele come una fotografia, e noi più e più volte abbiamo assistito alla inverosimile compra-vendita. Ora, pensate voi, signore gentili, che razza di acquisto farà il cliente che comprerà qualcuno degli ultimi piedi in vendita, che possono essere lì da un giorno e più. Non certo potrebbe ripetersi il detto evangelico: Beati gli ultimi; e la polizia scientifica si troverebbe assai imbarazzata nel rilevare le molteplici impronte digitali accumulatesi intorno al piede, condito gratuitamente di tutti i più inopportuni condimenti. Comperate dunque i piedi di porco crudi, raschiateli, fiammeggiateli, lavateli in acqua bollente e poi metteteli a lessare in acqua aromatizzata di sedano.
il peso e l'abbondanza della parte carnosa. E intanto nel calore della discussione — ci perdonino le nostre lettrici — qualche atomo di qualcosa che
Per candire qualunque frutto è indispensabile un pesa-sciroppi, istrumento semplicissimo che assicura la perfetta riuscita. Si tratta di una specie di termometro il quale resta diritto, in equilibrio in uno sciroppo, affondando più o meno in esso a seconda della densità del liquido. Si guarda il punto in cui la superficie dello sciroppo taglia il tubo di vetro numerato del pesa-sciroppi, e il numero che si troverà scritto sulla colonnina di vetro dell'apparecchio segnerà il grado di densità dello sciroppo da esaminarsi. Le nostre lettrici potranno acquistare il pesa-sciroppi sia presso gli ottici, che generalmente vendono anche strumenti di precisione, sia presso qualche negozio di articoli per cucina e pasticceria. Di tutte le frutta le castagne sono le più difficili a candirsi, a motivo della loro friabilità, e nei grandi laboratori ci sono all'uopo apparecchi speciali piuttosto costosi. Ma anche in famiglia, con un po' di diligenza, si può riuscire a fare qualcosa di buono. Prendete un centinaio di belle castagne. Le migliori sono quelle del Viterbese, del Napoletano, del Piemonte, della Toscana e della Provincia di Belluno. Anzi, per dir meglio, se desiderate avere un centinaio di castagne candite, preparatene circa centocinquanta, perchè — non spaventatevi! — parecchie vi si romperanno cuocendo. In un chilogrammo di bei marroni, ne entrano circa una sessantina. Regolatevi, dunque. Sbucciate accuratamente le castagne, e, se l'avete, mettetele in uno di quei cestini di rame in cui si mettono le uova, o si fa scolare l'insalata. Fate bollire dell'acqua in un caldaio e quando bollirà, se avete messo le castagne nel cestino, immergete questo nel caldaio, se no, gettate senz'altro le castagne nell'acqua in ebollizione. L'uso del cestino di metallo è raccomandato per non far muovere troppo le castagne mentre cuociono, ma se ne può anche fare a meno. Comunque sia, mantenete l'ebollizione lenta per impedire alle castagne di ballare una troppo incomposta danza. Quando le castagne, dopo pochi minuti, saranno cotte, ma non troppo, quando cioè potrete trapassarle facilmente con uno spillone, levatele dall'acqua e, accuratamente, con la punta di un coltellino, togliete loro la pellicola. Vedrete che parecchie si saranno rotte o si romperanno man mano che togliete la pellicola; ma voi non preoccupatevene troppo e accogliete l'inevitabile disastro con filosofica rassegnazione. In una teglia bassa e larga preparate uno sciroppo con un litro d'acqua — quattro bicchieri abbondanti — e 900 grammi di zucchero in pezzi. Mettete la teglia sul fuoco e portate lo sciroppo all'ebollizione, schiumandolo se vedrete che farà della schiuma biancastra. Fatto lo sciroppo lasciate che si freddi. Se vorrete verificarlo al pesa-sciroppi vedrete che segnerà circa 25 gradi. Siccome il pesa-sciroppi non potrebbe affondare nella teglia, mettete lo sciroppo in un secchietto o in qualunque altro recipiente alto e stretto. Potrete così verificarne facilmente la densità. Mettete con garbo le castagne nella teglia con lo sciroppo, ponete la teglia sul fuoco, e riscaldate sciroppo e castagne fino all'ebollizione. Al primo bollore togliete la teglia dal fuoco, copritela, e lasciate così le castagne fino al giorno dopo. Il giorno dopo inclinate la teglia e scolate tutto lo sciroppo, travasandolo in una casseruola. Aggiungete allo sciroppo un paio di cucchiaiate ben colme di zucchero e fatelo bollire per qualche minuto. Verificate col pesa-sciroppi la densità del liquido, che deve segnare 30 gradi, e così bollente versatelo nuovamente sulle castagne. Se lo sciroppo non avesse ancora raggiunto il grado necessario aggiungete ancora un po' di zucchero o fatelo bollire ancora. Coprite nuovamente [immagine e didascalia: Pesa sciroppi] la teglia e lasciate le castagne in riposo per un altro giorno. Il terzo giorno scolate di nuovo il liquido e con l'aggiunta di poco altro zucchero e con una leggera ebollizione portatelo a 32 gradi. Versatelo bollente sulle castagne e lasciate questo così fino al giorno successivo. Fatto questo accomodate le castagne in un vaso di vetro e ricopritele col loro sciroppo. Sarà bene, preparando lo sciroppo, di farci bollire insieme una stecca di vainiglia o metterci un pizzico di vainiglina, ciò che comunicherà alle castagne uno squisito profumo; come pure, ad evitare che
costosi. Ma anche in famiglia, con un po' di diligenza, si può riuscire a fare qualcosa di buono. Prendete un centinaio di belle castagne. Le migliori sono
7. — Suo uso nell'esercito. Composizione. Non tutte le truppe del R. Esercito sono alimentate con pane da munizione. In alcuni presidî, oggi però assai ridotti di numero, si è costretti ancora a ricorrere al commercio per il pane da somministrare al soldato, attesa la mancanza sul luogo, od in sito sufficientemente vicino, di panifici militari. Per questa possibilità ritengo adunque importante di dire qualcosa intorno al pane ordinario incettabile dal libero commercio, avendo specialmente di mira le falsificazioni cui è così di frequente subordinato per opera di fornitori disonesti.
sufficientemente vicino, di panifici militari. Per questa possibilità ritengo adunque importante di dire qualcosa intorno al pane ordinario
61. — Sue varietà commerciali, suoi caratteri. L'ultimo condimento di cui occorre dire qualcosa è lo zucchero impiegato, sia nelle ordinarie razioni del soldato, sia negli ospedali militari, a temperare l'amarezza del caffè.
61. — Sue varietà commerciali, suoi caratteri. L'ultimo condimento di cui occorre dire qualcosa è lo zucchero impiegato, sia nelle ordinarie razioni
La virtù sterilizzatrice delle ampolle di biscotto preparate dalla Manifattura Ginori, fu constatata non inferiore a quella delle note bougies Chamberland. L'acqua filtrata attraverso a dette ampolle, sottoposta da me ad opportuni saggi, si dimostrò completamente scevra di microbi. Di questi saggi anzi mi piace dirne qualcosa, per far comprendere che per il metodo e la scrupolosità con cui furono condotti, e per la lucidezza dei risultati che fornirono, possono ritenersi abbastanza probativi della cosa. Oltre a ciò il riferire brevemente sui detti esperimenti mi servirà per dare al lettore almeno una idea dell'esame biologico vero e proprio delle acque, che fui costretto ad omettere in questo manuale, perchè lungo, complicato ed esigente impianto speciale di mezzi e perciò non nel novero delle semplici ricerche cui intesi abilitare fin'ora.
anzi mi piace dirne qualcosa, per far comprendere che per il metodo e la scrupolosità con cui furono condotti, e per la lucidezza dei risultati che
Per ottenere la calce viva, tuffatela nell'acqua colla mano per 5 o 6 secondi di minuto, e mettetela quindi sopra un pezzo di carta. Vedrete che si screpola, fuma, rigonfia e cade in polvere. Quando è ridotta in polvere, dovete mescolarla alla cenere, e, versandovi l'acqua, ne formerete una poltiglia nè troppo densa nè troppo liquida, nella quale metterete le olive, premendole con qualcosa acciocchè non vengano a galla, e lasciatevele per 12 o 14 ore, cioè finché non sieno diventate alquanto morbide.
poltiglia nè troppo densa nè troppo liquida, nella quale metterete le olive, premendole con qualcosa acciocchè non vengano a galla, e lasciatevele per 12 o
« È fuori d'Italia che il Futurismo ha avuto il massimo d'influenza. F. T. Marinetti ha ragione di proclamare che l'orfismo, il creazionismo, il surrealismo francese, il raggismo russo, il vorticismo inglese, l'espressionismo tedesco, il costruttivismo serbo, in breve, tutte le scuole d'avanguardia nel campo letterario o plastico devono, dal 1909, qualcosa al Futurismo». BENJAMIN CRÉMIEUX. (Panorama della «Littérature italienne»).
nel campo letterario o plastico devono, dal 1909, qualcosa al Futurismo». BENJAMIN CRÉMIEUX. (Panorama della «Littérature italienne»).
Distendete un velo di farina sulla spianatoia, versategli sopra il composto, copritelo con altra farina e fategliene prender tanta (qualcosa meno di 100 grammi possono bastare) per formarne delle pallottole, piuttosto morbide, e grosse come le nocciuole. Gettatele nel brodo bollente e dopo 10 minuti di cottura servitele.
Distendete un velo di farina sulla spianatoia, versategli sopra il composto, copritelo con altra farina e fategliene prender tanta (qualcosa meno di
Avanti di descrivervi la zuppa di ranocchi voglio dirvi qualcosa di questo anfibio dell'ordine de' batraci (rana esculenta), perchè, veramente, merita di essere notata la metamorfosi ch'esso subisce. Nel primo periodo della loro esistenza si vedono i ranocchi guizzare nelle acque in figura di un pesciolino tutto testa e coda che gli zoologi chiamano girino. Come i pesci respira per branchie prima esterne, in forma di due pennacchietti, poscia interne, e nutrendosi in questo stato di vegetali ha l'intestino come quello di tutti gli erbivori, comparativamente ai carnivori, assai più lungo. A un certo punto del suo sviluppo, circa a due mesi dalla nascita, perde, per riassorbimento, la coda, sostituisce alle branchie i polmoni e mandando fuori gli arti, cioè le quattro zampe che prima non apparivano, si trasforma completamente e diventa una rana. Nutrendosi allora di sostanze animali, ossia di insetti, l'intestino si accorcia per adattarsi a questa sorta di cibo. È dunque erronea l'opinione volgare che i ranocchi sieno più grassi nel mese di maggio perchè mangiano il grano.
Avanti di descrivervi la zuppa di ranocchi voglio dirvi qualcosa di questo anfibio dell'ordine de' batraci (rana esculenta), perchè, veramente
Spianate la pasta col matterello soltanto quanto è necessario per rinchiudervi dentro il pane di burro. Questo si pone nel mezzo e gli si tirano sopra i lembi della pasta unendoli insieme colle dita e procurando che aderisca al burro in tutte le parti onde non resti aria framezzo. Cominciate ora a spianarla prima colle mani poi col matterello assottigliandola la prima volta più che potete avvertendo che il burro non isbuzzi. Se questo avviene gettate subito dove il burro apparisce un po' di farina e di farina spolverizzate pure spesso la spianatoia e il matterello a ciò che la pasta scorra e si distenda sotto al medesimo. Eseguita la prima spianatura ripiegate la pasta in tre come sarebbero tre sfoglie soprammesse e di nuovo spianatela a una discreta grossezza. Questa operazione ripetetela per sei volte in tutto lasciando di tratto in tratto riposare la pasta per dieci minuti. All'ultima che sarebbe la settima, ripiegatela in due e riducetela alla grossezza che occorre, cioè, qualcosa meno di un centimetro.
'ultima che sarebbe la settima, ripiegatela in due e riducetela alla grossezza che occorre, cioè, qualcosa meno di un centimetro.
― «Ancora non ha deciso! E' la festa, oggi, del maggiore dei ragazzi, e vorrei preparargli qualcosa di buono e di nuovo, poiché egli è un tale buongustaio...
― «Ancora non ha deciso! E' la festa, oggi, del maggiore dei ragazzi, e vorrei preparargli qualcosa di buono e di nuovo, poiché egli è un tale