Ateneo scrive, che era proibito a chi mangiava aglio di entrare nel tempio di Venere. Era proverbio, che chi ama il quieto vivere, non mangi nè aglio nè fava, intendendo l'aglio per la guerra, la fava per i negozi pubblici. Nel 1368 Alfonso di Castiglia aveva istituito un Ordine cavalleresco, i cui membri si obbligavano a non mangiarne o a star lontani dalla Corte, per un mese, in caso di infrazione alla regola. Ora quell'Ordine non esiste più, ma è del bon ton il disprezzato, e a darsi poi per non intesi ogni volta che il cuoco lo appone mascherato, per regola d'etichetta. Checche però se ne dica dagli schifiltosi, un po' d'aglio è necessario e dà sapore a molte salse e conce, ai brodi, alle carni, al salame, ecc., ed è sano. Esso aumenta l'appetito e facilita la digestione. Forse per le sue proprietà toniche, ad alcuni serve come di febbrifugo. È anti-epidemico. Il suo sugo, o il latte bollito col bulbo è vermifugo. Raspail lo suggerisce contro il cholera. Entra nella composizione dell'aceto dei quattro ladri.
l'appetito e facilita la digestione. Forse per le sue proprietà toniche, ad alcuni serve come di febbrifugo. È anti-epidemico. Il suo sugo, o il
Conserva d'albicocchi. — Si fanno passare allo staccio con spatola di legno. Sugo e polpa espressa, si mette in bottiglia chiusa con boni turaccioli e assicurata con cordicella, si fa bollire in bacino d'acqua per 15 o 17 minuti. Dopo si toglie il bacino dal fuoco e si lascia raffreddare l'acqua prima di togliere le bottiglie, che si conservano poi in cantina.
Conserva d'albicocchi. — Si fanno passare allo staccio con spatola di legno. Sugo e polpa espressa, si mette in bottiglia chiusa con boni turaccioli
Nel linguaggio dei fiori: Generosità, Castità. È meno sensibile del limone, resiste a 4 gradi, ma ne soffre sempre. Ama terra buona, argillosa, fresca, esposizione di meriggio, riparata dal settentrione. Si riproduce per margotte, propagini, innesto e semina. Se ne contano 18 varietà dell'arancio dolce e 7 di quello amaro o selvatico. Dà frutto nel quinto anno nei climi favorevoli, si raccoglie in varie epoche. La pianta dell'arancio à vita secolare. Qui è pianta da serra, ma è coltivata in tutta Italia, da Malta e dalla Sicilia al Lago di Garda. A Salò dicesi Portogallo l'arancio a frutto dolce, e arancio quello a frutti amari, coi quali si fa l'acqua distillata. Il così detto napolino, che viene adoperato esclusivamente dal confetturiere, è detto Citrus bigaradia sinensis e chinotto in italiano, chinois o chinettier in francese. In China ve ne sono infinite varietà. Sono chiamati Kiu-Kù, ossia frutti d' oro. Il mandarino è detto Kan, cioè profumo. Anche là si candisce e se ne fa confetture. In Oceania e nelle Isole Fiji, l'arancio raggiunge un'enorme grossezza. La bellezza, il profumo e la dolcezza degli aranci ricordano i pomi dei mitologici orti esperidi, per cui, alla specie di questa famiglia, alcuni diedero il nome di esperidee e il frutto chiamarono espiridio. Eccettuate le radici, tutte le parti dell'arancio sono corroboranti, stomatiche, cordiali, antisettiche. I fiori e le foglie servono al distillatore, al credenziere. I fiori si colgono in maggio e giugno, nè subito dopo la pioggia, nè prima che sia scomparsa la rugiada. Dalle prime, anche la farmacia ne estrae un decotto antispasmodico, antiepilettico. Dai fiori, l'acqua distillata chiamata acqua nanfa, calmante, e un olio essenziale detto: essenza di nèroli. I fiori candidi servono di aureola verginale alle spose. I frutti si confettano con zuccaro, si candiscono, si compongono in mostarda. Mitigano la sete dei febbricitanti, principalmente quando la bocca è affetta da afte, da difterite, da stomacace, malattie contro le quali è particolarmente indicato il sugo d'arancio. La corteccia è tonica, stomatica. Anche colla radice si fanno pallottole di cauteri, le quali ànno il pregio di facilmente rammollirsi e gonfiarsi. A mascherare il cattivo odore e spiacevole sapore di certe medicine, fa ottimo effetto il masticare la scorza od una foglia d'arancio. L'arancio entra nella ricetta della famosa Acqua di Colonia.
bocca è affetta da afte, da difterite, da stomacace, malattie contro le quali è particolarmente indicato il sugo d'arancio. La corteccia è tonica
Il dottore Angelo Comi di Roma (Sitiologia, ossia Medicina naturale studiata nelle virtù delle piante alimentari. Tesi originale del dottor Angelo Comi, Roma, Perino, 1886), dice che il sugo dell'arancio sanguigno, citrus aurantium melitense, preso in tempo, riordina il disordine mentale della clopemania, ossia la pazzia di prendere gli oggetti degli altri, senza averne bisogno. La quale pazzia l'attribuisce alle levatrici che guastano e ledono il setto pellucido degli emisferi cerebrali, ed aggiunge che non essendo contemplato nei trattati di psichiatria, nè di medicina legale, taluni poveri sofferenti devono passar la vita in case di pena, processati e condannati come ladri. E pensare che si potrebbe rimediare col sugo dell'arancio sanguigno! Il medesimo illustrissimo signor Comi insegna che il Citrus bigarradia vulgaris (melangolo forte) dà una polpa sugosa che strofinata sulla testa più volte al giorno distrugge il pediculus — leggi pidocchio — e che questo frutto candito giova alla nostralgia — è un vero surrogato alla patria.
Comi, Roma, Perino, 1886), dice che il sugo dell'arancio sanguigno, citrus aurantium melitense, preso in tempo, riordina il disordine mentale della
Sciroppo d'arancio. — Prendete 25 aranci, graticciatene leggermente la pelle gialla in 2 litri d' acqua, tiepida. Indi aprite gli aranci e con frullino fate escire la polpa ed il sugo che unirete all'acqua tiepida, meno i semi. Mettete in un bacino 10 chilogrammi di zuccaro che ridurrete sul fuoco a sciroppo a la grosse plume, e quando sia tale, versateci l'acqua col miscuglio fatto, lasciate bollire 2 o 3 minuti, togliete dal fuoco, passate allo staccio e freddo conservate in bottiglie. Cosi pure fate per lo sciroppo di limone.
frullino fate escire la polpa ed il sugo che unirete all'acqua tiepida, meno i semi. Mettete in un bacino 10 chilogrammi di zuccaro che ridurrete sul fuoco
Riferisce Ateneo, filosofo peripatetico, che nel paese dei Getuli, in Africa, gli asparagi erano grossi come le canne e lunghe dodici piedi. E Plutarco, che nella Caria, provincia dell'Asia Minore, il popolo li adorava. I Fenici se ne ungevano il corpo col loro sugo onde non essere punti dalle api.
Plutarco, che nella Caria, provincia dell'Asia Minore, il popolo li adorava. I Fenici se ne ungevano il corpo col loro sugo onde non essere punti dalle api.
In Francia è usata nelle malattie flogistiche, nella nefrite, ecc. L'uso continuato diminuisce il latte. Se ne fa succo, decotto ed infuso. Quello dei fiori è alquanto aromatico. Colà pure, dalla fermentazione del sugo, se ne ottiene un liquido vinoso, di sapore gradevole, di colore bruno chiaro,
dei fiori è alquanto aromatico. Colà pure, dalla fermentazione del sugo, se ne ottiene un liquido vinoso, di sapore gradevole, di colore bruno chiaro,
Crostini di capperi. — Si triturano finamente dei capperi con acciughe, poco aglio, poca maggiorana, pepe, olio, sugo di limone. Indi distendete il composto su fette di pane abbrustolite e servite. (Dumas).
Crostini di capperi. — Si triturano finamente dei capperi con acciughe, poco aglio, poca maggiorana, pepe, olio, sugo di limone. Indi distendete il
Salsa di capperi cruda. — La si fa con olio fine, capperi e sugo di limone — cotta, stemperate dell'inchioda in olio e burro a fuoco indi ponetevi capperi, prezzemolo trito ed aceto.
Salsa di capperi cruda. — La si fa con olio fine, capperi e sugo di limone — cotta, stemperate dell'inchioda in olio e burro a fuoco indi ponetevi
, e Brillat-Savarin, come afrodisiaco. Il sugo del carciofo, fu tenuto da Guitteau e Copermann come succedaneo all'aloe e drastico ad alta dose. Fu usato contro i reumatismi, le sciatiche, l'itterizia e come diuretico nelle idropi. Charrier, Otterbourg, Homolle ed altri lo consigliano nella cura della diarea cronica, e suggeriscono di mangiarne crudi con olio, sale e pepe quattro o sei al giorno. È nemico assoluto dei cantanti ai quali annebbia la voce. Giova la decozione del carciofo a coloro che patiscono fetore sotto le ascelle, lavandosi con essa. Le foglie del carciofo fresco allontanano le cimici. Varrone insegna che a macerare la semente in sugo di rose, gigli, alloro si à carciofi del sapore di questi. Un cronista napoletano ci tramanda che celebre per cucinare i carciofi fu Cleope da Vanafro. Vogliono che il nome di Cinara fosse quello di una bellissima ragazza che Giove, quand'era lui al potere, mutò in articiocco e cardone, nome che ancor rimase a questi.
, e Brillat-Savarin, come afrodisiaco. Il sugo del carciofo, fu tenuto da Guitteau e Copermann come succedaneo all'aloe e drastico ad alta dose. Fu
In umido. — Tagliate, fate cocere in acqua per un quarto d'ora le carote, mettetele in casseruola, con burro, poco brodo, vino bianco, erbe odorose, sale, latte, unitevi un po' di sugo. (Dumas).
(La Baronne Staffe). Altra ricetta ghiotta assai. — Fate cocere i maron come se li doveste mangiare arrosto. Levate loro il guscio, togliete loro pure l'altra pellicola. Mettete i vostri maroni in un pignattino con un po' d' acqua e zuccaro, lasciateli cocere per un quarto d'ora, lavateli, poneteli in un piatto bagnandoli di sugo di limone e spolverateli di zuccaro vanigliato.
in un piatto bagnandoli di sugo di limone e spolverateli di zuccaro vanigliato.
Sauer-Kraut. — Tagliate a liste sottili le verze o gambusi, poneteli in un vaso, salandole bene per ogni strato e si comprimano con grosso peso lasciandole così per 24 ore almeno, indi levate e spremute bene, si mettono a cocere in casserola con bon sugo o brodo, e dopo mezz' ora di cottura, vi si aggiunga un po' d'aceto con qualche grano di ginepro e si termini lentamente la cottura che deve essere non meno di quattr' ore.
lasciandole così per 24 ore almeno, indi levate e spremute bene, si mettono a cocere in casserola con bon sugo o brodo, e dopo mezz' ora di cottura, vi si
tratta di ciliege, e tre se marasche, un po' di canella, qualche chiodo di garofano e la scorza verde di mezzo limone. Al primo bollore toglietene la schiuma, e con essa le droghe ed il limone. Addensato il sugo, gettatevi dentro le ciliege o le marasche (nella dose dì un chilo) dopo d'aver loro tolto i noccioli. Dopo alcuni subbogli versate il tutto su delle fette di pan francese. Servite questa zuppa fredda o ghiacciata.
schiuma, e con essa le droghe ed il limone. Addensato il sugo, gettatevi dentro le ciliege o le marasche (nella dose dì un chilo) dopo d'aver loro
Galeno le proibiva ai letterati. Di tutto questo però, la scienza moderna, che è scettica, crede un bel nulla. Si limita a dire che la cipolla è un efficace diuretico e che, applicata fresca alla cute, è un energico rubefaciente. In Francia, oggigiorno, la si dà ai bambini nell'epidemia del croup e della difterite, la si ritiene eccellente nei reumi e nelle malattie di stomaco. Il sugo della cipolla fa sparire le lentiggini. Gli ortolani di Napoli adoperano un'infusione di cipolle a cacciare il bruco dai cavoli. La sapienza popolare ad indicare coloro che, come disse il Manzoni, sono semplici come i serpenti, dice:
della difterite, la si ritiene eccellente nei reumi e nelle malattie di stomaco. Il sugo della cipolla fa sparire le lentiggini. Gli ortolani di
Fagioli saltati. — Se i fagioli sono verdi, gettateli nell'acqua che bolle. A metà cottura aggiungetevi del sale e un piccolo pezzo di burro. Toltili dall'acqua e lasciatili sgocciolare, metteteli caldi ancora in una casseruola con burro misto a prezzemolo trito, sale, pepe e un po' di sugo di limone. Fateli saltare e serviteliI su d'un piatto caldo. Se i fagioli fossero secchi, converrebbe farli bollire nell'acqua per più lungo tempo, get tandoli in essa quando è ancor fredda. La stessa regola vale per i fagioli da mettersi nella minestra. In tal caso l'acqua nella quale bollirono deve essere buttata via, perchè essa acqua, più che i fagioli, cagiona indigestione e flatulenze.
dall'acqua e lasciatili sgocciolare, metteteli caldi ancora in una casseruola con burro misto a prezzemolo trito, sale, pepe e un po' di sugo di
Zuppa di fave. — Fate levare il bollore a tre litri di sugo d'olio, gettatevi dentro mezzo litro di fave, lasciatele bollire a lento fuoco. A metà cottura conditeli come segue: mettete a friggere qualche cucchiaio di olio con qualche foglia di salvia trita, poco prezzemolo trito, due acciughe stemperate — preso che abbia il color d' oro versate questo condimento nelle fave che bollono e ultimatene la cottura per zuppa.
Zuppa di fave. — Fate levare il bollore a tre litri di sugo d'olio, gettatevi dentro mezzo litro di fave, lasciatele bollire a lento fuoco. A metà
Fig. — Spagn.: Heigo. Il Fico è albero a foglie caduche, che cresce spontaneo nel mezzodì d' Europa. Viene in tutti i terreni, desidera posizioni calde, soleggiate, asciutte, difese dai venti, teme sopratutto i balzi di temperatura. Si propaga per margotte, polloni, tallee. Non ama essere tagliato, perchè avendo tessuto a fibre rade, facilmente ne soffre per l'acqua che vi può penetrare, e quando è necessario bisogna ricoprire il taglio con mastice, catrame, ecc. Comincia a dar frutto il terzo anno. Se ne conoscono 62 varietà, tra le quali, alcune non mangiabili e velenose. Il nome di Fico, dal greco phyo, produrre, a cagione della sua fecondità, e nel linguaggio delle piante significa pure: Fecondità. I fichi primaticci sono chiamati fioroni, e sono i frutti il cui germe era già sul ramo nell'autunno precedente. Maturano in luglio, e sono meno saporiti dei tardivi ed autunnali. Tranne un gran gelo, il fico dà un prodotto quasi sicuro. In Italia e negli altri paesi meridionali, dà un frutto che è un vero sciroppo fisso e profumato. Per farlo essicare, scegliere le varietà precoci. L'essicamento al forno, lo rende meno bello e meno saporito. Il fico frutto, contiene il 65 per cento d' acqua. Nell'Africa e nel Levante vi sono piante che danno fino a 300 chilogrammi di fichi. In China è chiamato cheudze; fresco, à il colore dell'arancio; secco, prende la forma rotonda e s'infila, come da noi il rosario; si conserva dolcissimo e prezioso per i viaggi. I rami teneri del fico e le sue foglie staccate dalla pianta, come pure il gambo del frutto immaturo, al luogo della rottura tramandano un sugo bianco, lattiginoso, che è alquanto corrosivo, e serve a cagliare il latte, e come rimedio volgare a guarire i porri della pelle. Il legno del fico è assai leggero e s'adopera per certe particolari industrie. Le foglie rigide e di un verde carico, sono adatte a pulire i vetri ed i cristalli. La decozione di dette foglie, ridona il colore alle stoffe di lana, scolorate per arature. Il Sicomoro, sul quale è salito il piccolo Zaccheo per vedere Gesù, è la varietà fico moro, o fico d'Egitto e di Faraone. È altissimo, cresce a Rodi, nella Siria ed in Egitto, dove è indigeno. Dà frutti dolciastri, tre o quattro volte l'anno. Il Fico si mangia fresco ed essicato ed è sempre cibo nutriente, sano e pettorale. Sono celebri quelli di Calabria, Sicilia e Smirne. Si usa mangiarlo col prosciutto, col salame. Se ne fa ghiotta frittura, imboraggiandoli sbucciati, con ova e pane. Se ne fa perfino salame. La buccia è indigesta, onde il proverbio: All'amico pela il fico e la persica al nemico. Frate Ambrogio da Cremona asseriva che perchè il fico sia meritevole da portarsi in tavola, dev' essere perfetto, cioè deve avere il collo torto, l'abito stracciato e l'occhio lagrimoso. Per la colazione sceglieva quelli che la mattina per tempo trovava bucati dagli uccelli. Forse da lui quel proverbio: Il fico vuol avere collo da impiccato e camicia di furfante, che nel nostro dialetto suona cosi: El figh per vess bell, el dea vess lung de coll e rott de pell, perciò il Marino lo scrive col verso:
sue foglie staccate dalla pianta, come pure il gambo del frutto immaturo, al luogo della rottura tramandano un sugo bianco, lattiginoso, che è
. Cap. 7. I fichi presso i Romani erano impiegati a provocare lo sviluppo del fegato nei volatili. Fra i piatti, che Orazio numera, nella Satira del Banchetto, figura il fegato di un'oca bianca, nutrita da molto tempo con fichi grassi. Pierius sosteneva che il nettare, l'ambrosia degli Dei, era il sugo del fico. Ippocrate nel libro 2 De Dieta, dice:
sugo del fico. Ippocrate nel libro 2 De Dieta, dice:
Il nome Fungo — dal greco Sphongos, spugna, a cagione della loro sostanza spugnosa, d'onde il Fongus dei latini — è dato a certe vegetazioni che si allontanano dalla comune, per natura, sostanza, forma, mancanza di foglie, di fiori. Clemente Rossi ne dà questa definizione (ve la do per debito di coscienza): II fungo è una pianta crittogama parassita, priva di consistenza erbacea. Nel linguaggio delle piante: Tradimento. Ve ne sono d'ogni grandezza, d' ogni forma: filamentosi, membranosi, schiumosi, tuberosi, a carne consistente, spugnosa, coriacea, sugherosa, compatta. Alcuni danno seme, altri no. Infinito il numero delle specie: se ne conoscono più di 3000 varietà, ve ne sono in famiglia, a gruppi, solitari. Aderiscono al suolo o sul corpo sul quale vengono, per mezzo di fibrille, che non sono radici. Esalano un odore particolare ed umido, che è comune a tutti, con alcune gradazioni fra le diverse specie. Il sapore non è meno variabile, ordinariamente è sapido, acre, bruciante, stittico, acido, nauseante, aromatico, a seconda del sugo del quale sono imbevuti. Amano luoghi boschivi umidi e grassi, vengono sulle sostanze vegetali ed animali in decomposizione. L'umidità calda ne genera lo sviluppo e la moltiplicazione, principalmente in autunno e primavera. Vogliono i climi delle zone temperate. Le stesse specie di funghi non compariscono indifferentemente in tutte le stagioni. L'Asia boreale, la Cina, l'America settentrionale abbondano di funghi. Ànno sviluppo rapido, istantaneo, compariscono da prima come piccoli filamenti o fibre, che poi si tumefanno e s'ingrossano e crescono tosto a vista d'occhio a formare il fungo perfetto. Questo primo stato si chiama carette o bianco di fungo. Una sola notte vede apparire migliaia di funghi, alcune ore, alcuni minuti bastano a diverse specie per pervenire al loro ultimo sviluppo. L'assenza della luce e un'atmosfera tranquilla accelerano singolarmente la loro moltiplicazione. Pervenuti alla maturità, emettono de' piccoli corpuscoli tondi, chiamati seminoli, è l'ultimo loro prodotto, come i semi nei vegetali. Sono finissimi, quasi polvere e situati sia nell'intera superficie, sia nella superficie superiore, sia internamente e vengono alle luce per laceramento o morte del fungo. La pioggia li fa deperire facilmente. Sono preda degli insetti e di alcuni animali erbivori, e i più avanzati in età, sono preferiti dagli insetti. È ammesso dai chimici che sono potentissimi agenti di ossidazione e d'azotazione. I commestibili contengono, secondo la varietà, da 84 a 94 parti d' acqua, il resto è un composto di sali e sostanze organiche, vale a dire olii essenziali, materie resinose, grasse, coloranti, zuccherine, acidi organici diversi, materie gelatinose, gommose, raramente fecula-cellulosa, di composti azotati, albumine, ecc.
sugo del quale sono imbevuti. Amano luoghi boschivi umidi e grassi, vengono sulle sostanze vegetali ed animali in decomposizione. L'umidità calda ne
Triffolata. — Sfettate i funghi, distendeteli e dieci minuti prima di farli cocere aspergeteli di sale — e prima di metterli nella casseruola versatevi un po' di acqua, spremeteli — ciò toglie loro un certo sugo acqueo che li rende migliori. Nella casseruola, o meglio padella di terra, fate friggere burro con poco olio, inchioda, aglio trito — e quando quest' ultimo è colorato — aggiungete i funghi con poca drogheria. Lasciate cocere lentamente scoperti e a metà cottura, unitevi prezzemolo e una piccola foglia di menta triturata.
versatevi un po' di acqua, spremeteli — ciò toglie loro un certo sugo acqueo che li rende migliori. Nella casseruola, o meglio padella di terra, fate
Zuppa di lenti. — Mettete dell'acqua a bollire, e al primo bollore, gettatevi un quarto di litro di lenti secche, ben mondate, levate quelle che si portano a galla e lasciate cuocere le altre, fino a che si schiaccino sotto le dita, indi mettetele a sgocciolare in un crivello. Preparate intanto in una casserola dell'olio fino con prezzemolo e foglie di salvia e qualche acciuga tutto tritato alla mezzaluna. Preso il color d' oro unitevi le lenti, rimestatele, bagnatele con sugo d' olio e lasciatele cuocere al foco lento, scuotendole di tanto in tanto. Dopo pochi minuti versate brodo e lenti e delle fette secche di pane tostato alla gratella.
, rimestatele, bagnatele con sugo d' olio e lasciatele cuocere al foco lento, scuotendole di tanto in tanto. Dopo pochi minuti versate brodo e lenti e
Fusto arboreo sempre verde, dei climi caldi, acclimatizzato da noi, spesso munito di spine, che à fiori d'un bianco roseo quasi continuamente, frutto bislungo, paglierino di colore, polpa abbondante e ricca di sugo acido aromatico aggradevole. Si moltiplica per semi, talee, margotte. Ama terreno argilloso-calcareo-siliceo, clima dolce. Soffre il freddo e il troppo caldo rende il suo frutto stopposo. Cresce sollecitamente. A 20 anni in Sicilia produce circa 1000 limoni; vive dai 60 ai 70 anni. Si coltiva come gli aranci. Se ne contano 16 varietà. In China avvi la varietà cheilocarpa, il cui frutto rappresenta una mano, che i Chinesi dicono quella del loro Dio, lo chiamano: Fo-chu-kan, cioè mano odorante. Nel linguaggio delle piante: Sono sempre presente. Il limone vuolsi originario dalla Persia. Si narra che un re di quel paese ne facesse dono agli Ateniesi, d'onde si sparse poi in Europa. Plinio parla d'un frutto detto Pomo di Media che i greci chiamavano Kitrion. Si vorrebbe che ai tempi di Plinio il limone non fosse ancor portato in Italia, scrivendo egli stesso: Sed nisi apud Medos et in Perside nasci noluit. Abbiamo però Virgilio che ne celebrò le lodi nella 2.a Georgica:
bislungo, paglierino di colore, polpa abbondante e ricca di sugo acido aromatico aggradevole. Si moltiplica per semi, talee, margotte. Ama terreno
Gelatina di limone. — Mettete a gonfiare nell'acqua 20 grammi di colla di pesce per qualche ora, cambiando l'acqua in questo tempo per due volte. Gonfiata mettetela al foco con un bicchiere d'acqua pura e quando è sciolta colatela con pannolino bagnato. Stemperate a parte 350 grammi di zuccaro bianco in un bicchiere d'acqua, mettetelo a foco perchè si fonda in sciroppo e passatelo attraverso un pannolino bagnato. Unite ora la colla allo sciroppo di zuccaro, e messo in uno stampo, aromatizzate il liquido col sugo di un limone e un bicchierino di alkermes, maraschino, kirs o rhum, oppure con sugo di lamponi, fragole o pomi granati passati allo staccio. Lasciate raffreddare la gelatina se d'inverno, o mettetela a gelare se d' estate. Perchè si stacchi con facilità dalle pareti dello stampo, immergete questo nell'acqua calda per un istante. Aggiungendovi un po' d'amaranto liquido, quale si trova dai confetturieri, gli darete color gradevole. Se poi intanto che la gelatina è sul ghiaccio a gelare, la si diguazza con frullino, la si renderà soffice e spumosa come un soufflè.
di zuccaro, e messo in uno stampo, aromatizzate il liquido col sugo di un limone e un bicchierino di alkermes, maraschino, kirs o rhum, oppure con
. Il che vuol dire: il limone tiene lontano il medico e le malattie. Esternamente, il limone si adopera come astringente, rubefaciente, antigangrenoso, nella cefalgia. Poche goccie nell'acqua costituiscono un collirio semplice ed utilissimo nelle oftalmie. Coi semi fanno emulsioni per affezioni isteriche e nervose. Ammaccati e bolliti nell'acqua e nel brodo costituiscono un apiretico infallibile e sicuro nelle febbri intermittenti. Dal limone si cava l'acido citrico scoperto da Scheele nel 1784, che riscaldato coli' alcool ed acido solforico dà l'etere citrico. L'acido citrico si prepara in grande specialmente in Inghilterra per le arti tintorie. Serve agli stessi usi del succo, in modo da fare una limonata estemporanea alla dose di 1 grammo o 2 con 30 di zuccaro in 500 litri d'acqua, aggiungendo qualche goccia di essenza di cedro o d'arancio. L'acido citrico serve pure alla fabbricazione delle polveri di Seltz, ecc. L'acido del sugo di limone rode la carie dei denti. Ricchissima di aroma è la sua pellicola gialla, detta Zeft, che pure si adopera in cucina raschiandola e levandola leggermente, perchè la parte bianca, oltre non avere aroma, à sapore molto amaro. I Milanesi danno del limon a chi è furbo senza darsene per inteso, e del limon senza sug ad uno sciocco.
fabbricazione delle polveri di Seltz, ecc. L'acido del sugo di limone rode la carie dei denti. Ricchissima di aroma è la sua pellicola gialla, detta Zeft, che
La calunnia sta nell'affibbiare a questo frutto delle proprietà eccitanti che non à mai avuto, e la bugia nel dire che è frutto cattivo. Se anticamente le chiamavano mele matte, in Francia la battezzarono poi con l'epiteto di poma d' amore. Il sapore amarognolo che ad alcuni può dispiacere, si leva cospergendo le fette di melanzana con sale e lasciando che il sugo assorba il sale per qualche ora. Dopo si fanno cocere, e la migliore cucinatura sarà il farle friggere, perchè acquistano il sapore di funghi. Da noi la migliore e la più comune è quella violetta, che è pure ricordata dal Boccaccio, che ne era ghiotto, nell'Amleto. Il nome di Petronciana è derivato dalla sgarbata scilinguatura del volgo di pera insana. La parola volgare di meresgian, si vuole venga da mela di Giano, cioè sacra a Giano.
cospergendo le fette di melanzana con sale e lasciando che il sugo assorba il sale per qualche ora. Dopo si fanno cocere, e la migliore cucinatura
La Myristica moscata è pianta ramosa, sempre verde, che si eleva fino a 15 metri, rassomigliante l'alloro, originaria delle Molucche, ora coltivata nell'Isola di Banda, a Cajenna, alle Antille, Brasile e Perù. Nel 1864 Banda ne possedeva 266.000 piante. Si propaga per semi ed alcune specie di colombe, segnatamente la carpaphora concinna, ànno una parte attiva nella sua disseminazione trangugiando il frutto, ed evacuando il seme che conserva e forse è favorito nella sua facoltà germinativa, dal passaggio per i loro intestini. À fiori piccoli, biancastri, che lasciano il posto a drupe, o frutti carnosi, grosse quanto un'albicocca, che si aprono in due valve, e lasciano vedere un seme ovoidale nerastro, duro, che è la sua vera noce. Essa è circondata da una pellicola o arilla di color rosso arancio, e frangiata quando è recente, ma che diventa gialla colla essicazione, ed è ciò che noi denominiamo macis. Nel linguaggio delle piante: Potenza. La raccolta di queste noci si fa in aprile, luglio e novembre, le qualità migliori sono colte a mano quando sono mature. Sul mercato inglese si valutano le noci moscate dalla loro grossezza, quelle che ànno circa due centimetri e mezzo di lunghezza, sopra due di larghezza, e dalle quali bastano soltanto quattro a formare un'oncia, sono tenute in alto pregio. Il macis lo si separa dal seme, lo si fa essiccare al sole, dopo averlo immerso nell'acqua salata, ciò che gli conserva morbidezza ed impedisce la volatilizzazione del principio aromatico. Le noci, spogliate del loro arillode, vengono rapidamente essiccate in camere affumicate, sino a che lasciano il loro sottile inviluppo. Così essiccate vengono in commercio, subendo però prima ancora un bagno di latte di calce, ciò che in China si omette. Le migliori noci moscate, sono quelle rotonde, pesanti, fresche, odorose, tramandano un sugo oleoso, aromatico, grasso. La noce moscata ed anche il macis contengono olio volatile, nel quale risiede tutta la loro energia, un'olio fisso, una sostanza buttirrosa volatile, ed un principio estrattivo solubile nell'alcool molto odoroso ed attivo. Questa sostanza buttirrosa che forma circa il quarto del suo peso, è conosciuta sotto il nome di burro noce moscata. Viene falsificata con miscela di cera gialla, sego e polvere di curcuma. La noce moscata, viene essa pure falsificata con quella tarlata dagli insetti, quella vecchia, ammuffita, esaurita colla distillazione e con quella fabbricata di tutto punto con pasta di farina, polvere e burro noce moscata, ma nell'acqua si stempera completamente. Jobard di Bruxelles riferisce, che, or sono una ventina d' anni circa, è arrivato da Canton un bastimento inglese, carico di... noci moscate di legno bianco, perfettamente modellate ed imitate. La noce moscata è fra gli aromi uno dei più potenti ad eccitare l'inerzia del ventricolo, a dar vita al cuore. Regala di graditissimo sapore molti manicaretti, sì di carne, che di verdure; e d'ova. Entra grattugiata non solo in cucina e nella pasticceria, ma nella distilleria, fa parte di vari elisiri, tinture, rosolj, ecc. Il macis è uno dei componenti l'aceto dei tre ladri. I medici assegnano alla noce moscata virtù toniche ed eccitanti. Se ne adopera l'olio in frizioni delle parti paralizzate. Averroè, vuole che, la noce moscata non fosse conosciuta dai Greci e dai Romani. Avicenna, antico medico arabo (n. 980+1037), la conosceva e dice che gli Arabi la chiamavano Jausiband, cioè noce bandese, e doveva essere nota anche agli antichi Egizi, perchè ne abbiamo trovati alcuni frammenti nelle loro mammie e si crede fosse ingrediente dei loro balsami a conservare i cadaveri. Serapione, nel libro II dei Semplici, la descrive appoggiato all'autorità dei Greci. Galeno la chiama crisobalano. Anche Emolao Barbaro, in Dioscoridem, è dell'opinioneche i Greci la conoscessero. Gli Olandesi, nel secolo scorso, si misero in testa di farne un loro monopolio e a tale intento ne distrussero quasi la specie nello Isole Molucche. Ma nel 1770 Poivre, governatore di Bourbon, riuscì a rapir loro, con quelli dei chiodi di garofano, alcuni alberi di noce moscata e li piantò a Maurizio e a Bourbon.
rotonde, pesanti, fresche, odorose, tramandano un sugo oleoso, aromatico, grasso. La noce moscata ed anche il macis contengono olio volatile, nel quale
Minestre due, l'una di sugo di patate passate allo staccio, l'altra con brodo grasso, in cui il pane dello patate fu cotto lentamente senza sbriciolarsi.
Minestre due, l'una di sugo di patate passate allo staccio, l'altra con brodo grasso, in cui il pane dello patate fu cotto lentamente senza
Una ricetta di Dumas. — Mettete in casseruola olio d'oliva con scorza gialla di mezzo limone, prezzemolo, aglio, cipolla, il tutto ben fine, indi noce moscata, sale e pepe. Tagliati crudi i pomi di terra, fateveli cocere, e al momento di servire cospergeteli col sugo d'un limone.
noce moscata, sale e pepe. Tagliati crudi i pomi di terra, fateveli cocere, e al momento di servire cospergeteli col sugo d'un limone.
Nel linguaggio delle piante: Ardore costante. La pera è frutto squisito, di facile digestione; quando è matura offre i più svariati sapori. Si mangia fresca e cotta giuleppata, come la poma e le altre frutta ed insieme a loro. Da noi, la pera è consumata quasi interamente allo stato fresco, ma si fa pure essiccare e si conserva per l'inverno. Anche anticamente serviva a dare un liquore spiritoso, spumante, analogo al sidro delle poma, ma alquanto più alcoolico. La pera estiva, dà anche maggior quantità di sugo che non la poma ben matura. Se ne estrae acquavite bonissima. Il legno del pero è durissimo, unito, compatto e viene adoperato dai tornitori ed ebanisti, che lo colorano in nero per darci il falso ebano; dà un fuoco forte. La Scuola salernitana dice del pero:
alquanto più alcoolico. La pera estiva, dà anche maggior quantità di sugo che non la poma ben matura. Se ne estrae acquavite bonissima. Il legno del pero è
Pesche ripiene. — Aperte in due le pesche, levatene la ghianda e mettetele a cocere fino a metà cottura in pentola di terra, con vino bianco, canella e scorza gialla di limone. Levate dal vino, deponetele in una tegghia unta di burro. Il sugo vinoso che resta, unitelo a dello zuccaro e condensatelo a foco inspessandolo con qualche biscottino e colla polpa di qualche frutto o di una delle medesime pesche. Di questo denso giulebbe riempite le cavità delle pesche, mettendovi anche in mezzo la sua mandorla spogliata dalla pellicola, e mettete al forno, o al testo. Di tal maniera si ammaniscono poma, pera ed altre frutta.
e scorza gialla di limone. Levate dal vino, deponetele in una tegghia unta di burro. Il sugo vinoso che resta, unitelo a dello zuccaro e condensatelo
. Si mangia cruda, cotta, secca e confettata. I cochi ne fanno fritture, charlottes, marmellate, la uniscono alle paste (lacciadin). In alcune contrade settentrionali, meno predilette dal cielo, dove il sole non matura i pampini, la mela acquista molta importanza economica, per la fabbricazione del Sidro, celebre quello di Normandia. È bevanda che può supplire il vino, e, al pari di questo, contiene dell'alcool, ma giammai del tartaro. Se ne fabbrica anche da noi a sofisticare o simulare il vino bianco, massime quello d' Asti. Riesce meno spiritoso e spesso incomodo, perchè genera flatulenze. Il sugo delle mele agre, serve a far aceto, che si conserva molto tempo. Le agre fanno perdere la memoria, dice il Pisanelli. Galeno parla pure di un succo liquore delle mele, che sarebbe il sidro, che si vuole inventato da Publio Negro, che lo fabbricavano pure i Mormoni e lo trasportavano in Brittannia. In medicina, sono rinfrescative, lassative, pettorali. Se ne fa decozione e sciroppo nelle tossi catarrali. La polpa cotta, onde il nome di pomata, fu usata come emolliente nelle flogosi oculari, e fa parte della pomata del Rosenstein, contro le regadi della lebbra e de' capezzoli. La poma selvatica à virtù astringenti, detersive. Il legno del pomo è di grana fina, prende facilmente pulitura, è uno dei migliori da fuoco. Il pomo è frutto cosmopolita e vanta la più antica delle prosapie. Iddio, dopo aver creato la luce e divise le aque dalla terra, creò il pomo. Eva lo trovò bello e saporito e lo mangiò e lo fece mangiare ad Adamo, e da quel pomo l'origine e la serie d' ogni disgrazia.
. Il sugo delle mele agre, serve a far aceto, che si conserva molto tempo. Le agre fanno perdere la memoria, dice il Pisanelli. Galeno parla pure di un
Radice erbacea annuale, indigena, di patria ignota, che vuol terreno ricco, leggero, fresco. Si semina tutto l'anno, si raccoglie come la patata, i semi durano fino al settimo anno. Varietà: lunga dolce (hortensis), quando è cotta chiamasi da noi: bojocch, la rotonda à radice compressa. La rapa è carnosa, dolce, di facile digestione, di sapore ignoto, e contiene il 92 per cento d'aqua. La rapa è più saporita da ottobre a febbraio. Si sfetta nelle zuppe, nelle minestre, si mangia condita col burro, formaggio e spezie, in salsa bianca, in insalata, si frigge. Si marita bene al montone e all'anitra. La sua semente dà olio da ardere. Dal sugo espresso e fermentato, se ne può cavare spirito pure da ardere. In Francia, Belgio ed Inghilterra si coltiva la specie gialla per foraggio, e vi vengono grossissime. Il suo nome di rapa, viene da rapere, verbo latino, che significa rubare, perchè le rape mangiandosi crude dai Romani, si rubavano volentieri dai passanti nei campi. Nel linguaggio delle piante: Sei scipito. Pare che presso gli antichi fosse un cibo ghiotto, perchè tutti ne parlano. Marziale ne vantava il sapore allorchè anno sentito il freddo.
'anitra. La sua semente dà olio da ardere. Dal sugo espresso e fermentato, se ne può cavare spirito pure da ardere. In Francia, Belgio ed Inghilterra si
Il ribes è un arboscello europeo a foglia caduca, originario dell'Arabia. Il suo nome da ribiz, parola araba, che significa cosa acidula. Nel linguaggio delle piante: Stizza. Vuole clima temperato, nei paesi caldi il frutto à poco sugo, nei freddi è troppo acido. Ama terreno sciolto e fresco. Si moltiplica per semi, margotte e talee. Si educa a spalliera ed a siepe. À fiori odorosi in aprile e matura più o men tardi a seconda delle varietà. Di queste se ne conoscono 31, ma le principali sono: il ribes ordinario (ribes rubrum), con frutto a grappolo rosso e bianco più o men grosso. L'uva spina o d'Inghilterra (ribes uva spina, ribes grossularia). Mil.: Uva spina. Franc.: Gadelier. Ted.: Stachelbeere. Ingl.: Roug Goosberry che cresce a grappolo ed a frutti più grossi e carnosi e meno acidi. Finalmente il ribes nero (ribes nigrum) di sapore più aromatico, odorifero in tutti i suoi organi, a foglia variegata. La più coltivata, è la prima specie, il cui frutto vien conservato allo stato fresco e serve a far sciroppi e bevande spiritose. Se ne estrae anche acido citrico. La seconda specie, che conta pure le sue varietà, è coltivata con arte raffinata dagli Inglesi, che ne preparano il loro rinomato vino d'uva spina. Del ribes nero, gli Svizzeri ne fanno pure una bevanda spiritosa, una specie di ratafià detto Cassis. Nel linguaggio dei fiori: Tu fai la mia delizia. I frutti del ribes rosso si mangiano crudi, si conservano in aquavite, si candiscono, se ne fanno giulebbi, e serve pure a far salsa, aque, sciroppi e sorbetti. Serapione ne parla, ed è lui che ne indica l'origine africana. Le donne e le ragazze amano molto questo frutto che dà l'aspretto del limone. L'uva spina era detta da noi anche uva crispina e marina e la si metteva nelle minestre, guazzetti ed intingoli ai quali comunicava un certo bruschetto grazioso, dice il Pisanelli. In medicina è considerato un rinfrescante ed un astringente.
linguaggio delle piante: Stizza. Vuole clima temperato, nei paesi caldi il frutto à poco sugo, nei freddi è troppo acido. Ama terreno sciolto e fresco. Si
L'etimologia del sambuco è a desumersi dal nome dell'istrumento a cui servì primamente. Il greco sambuke ed il latino sambuca era istrumento musicale fatto a triangolo, forse la synphonia biblica, citata dal Calmet; in sostanza, la cornamusa, la nostra tiorba fatta di cannuccie di sambuco, quella stessa che adoperava Orfeo, uno dei primi sambuciarii, per far ballare i sassi. Onde sambucistria la ballerina, e sambucam cothurno aptare, che era l'operetta d'allora. Anche oggi i ragazzi zufolano come Orfeo entro la canna del sambuco. Il sambuco è un arboscello perenne delle nostre siepi, che cresce in ogni terreno. Nel linguaggio dei fiori: Umiltà, riconoscenza. Dà fiori piccoli, bianchi, ad ombrella, di odore delizioso, da noi chiamati panigada. La parola panigada alcuni vogliono venga dal greco pana gatoz, che vuol dire ottimo, altri da panis gaudium, per il gratissimo sapore che dona al pane. I fiori cedono il posto ai frutti a forma di bacche verdi in principio, nere quando sono mature, grosse quanto i frutti del ginepro ed in gran numero. I suoi fiori servono al cuoco che li frigge, al fornaio che li mescola col pane, al pasticciere che ne aromatizza le leccornie, al cantiniere che con quelli dà un sapore di moscatello al vino, principalmente al bianco, e all'aceto. Con essi si aromatizzano altresì le acque. I frutti, quando sono maturi e neri, servono a tingere le acque ed i vini senza pericolo alcuno. La polvere stessa di essi frutti disseccati comunica ai liquidi grato sapore. Le bacche nere si mangiano talora preparate con zuccaro e droghe. Il sambuco è adoperato in medicina in molti modi. Se ne prepara un roob diaforetico, un infuso teiforme. L'odore aromatico dei fiori finisce col diventare nauseante e nocevole aspirandolo lungamente. Plinio dice: E sambuco vertigines sonnusque profundus: dal sambuco vertigini e sonno profondo. Colle bacche nere, fino da' suoi tempi, le donne usavano tingersi i capelli, forse con minore risultato, ma certo con minori pericoli che oggi. In Norvegia si mangiano infuse in aceto, come i citrioli. In Inghilterra se ne fa una specie di vino. I frutti sono alquanto purgativi e gradito pascolo dei merli. I rami del sambuco, scrive il cardinal Simonetta, sono preziosissimi per fare orinare i cavalli, battendoli con essi sotto la pancia. L'odore graveolente del sambuco scaccia le mosche, le farfalle e gli scarafaggi. Il sugo delle cime del sambuco unito a grasso di maiale, ungendone i cavalli e gli asini, li libera dalle zanzare. Mettendone dei rami fra i cavoli, si liberano dalle gatte, al qual uso servirebbe meglio l'altra specie puzzolente detta sambucus ebutus o sambuco nano, da noi conosciuto sotto il nome di ughetta, la quale scaccia pure i topi.
fare orinare i cavalli, battendoli con essi sotto la pancia. L'odore graveolente del sambuco scaccia le mosche, le farfalle e gli scarafaggi. Il sugo
rinverdire per un'ora. Cocete poi le susine in un bicchiere di vino rosso con 200 grammi di zuccaro, canella e qualche chiodo di garofano e una scorzetta gialla di limone; quando appariranno cotte e gonfie, toglietele dal loro sugo, e disponetele asciutte sul piatto. Concentrate a parte il sugo finchè assuma la consistenza del giulebbe e versatelo sulle susine.
scorzetta gialla di limone; quando appariranno cotte e gonfie, toglietele dal loro sugo, e disponetele asciutte sul piatto. Concentrate a parte il sugo
Questo diamante della cucina, entra signore in tutti i piatti, sì di carne che di pesce e di verdure. Il cuoco dove lo mette lo accompagna sempre con quel verso di Dante: «Qui si porrà la tua nobilitate.» Aquistando tartufi, badate alla loro durezza, odore e peso. Cucinandoli, se potete pulirli senza bagnarli, meglio — tanto meno di fragranza dispersa, se no lavateli in poca aqua assai tepida, per non dir fredda. La miglior maniera di mangiarli è ancora quella suggerita da Dioscoride. Tagliateli a fette sottilissime, metteteli in un piatto con, poco olio d'oliva, sale e pepe — coprite e mettete al fuoco. Quando il piatto scotta, rivoltatele un poco e servite aspersi di sugo di limone. Il calore sviluppa il loro aroma in tutta la sua potenza. Un'altra ricetta la potete trovare in Fungo.
mettete al fuoco. Quando il piatto scotta, rivoltatele un poco e servite aspersi di sugo di limone. Il calore sviluppa il loro aroma in tutta la sua
sostanzioso ed aromatico del secondo, il quale è pure molto astringente. La proporzione è di 20 grammi di tè ih un litro d'aqua bollente. Migliore l'aqua delle sorgenti e la piovana. L'aggiunta di alcune goccie di sugo di limone od altro acido vegetale, rende il tè più pie. cante e profumato. Nella Tartaria chinese e nel Cachemire e in altri paesi dell'Asia si mangiano le foglie del tè cotte in diverso modo, con burro, farina, ecc., e la loro ricchezza in albumina ne spiega il valore nutritivo. Il tè, come il caffè, è soggetto ad alterarsi sia per cattiva preparazione, che per cattiva conservazione. Il profumo del tè è volatile, non deve essere quindi esposto nè all'aria, nè alla luce: conservatelo in vasi chiusi ed opachi. Il tè s'impregna assai facilmente degli odori anche i più deboli: non mettetelo a contatto con sostanze odorose, anche quando l'odore di queste è gradevole. Troppo vecchio perde, è passato; troppo fresco è acre ed amaro. I Chinesi non se ne servono che stagionato di un anno. Aquista ad essere trasportato per mare, come il vino. La falsificazione del tè, è antichissima ed incomincia in China e nel Giappone per essere perfezionata in Europa dagli Inglesi. Si falsifica, coll'addizione di materie minerali, per aumentarne peso e volume, colla colorazione artificiale, colla rivivificazione dei tè esauriti, cioè già spogliati dei loro principi solubili: è industria tutta inglese. A Londra lo si raccoglie già usato nei caffè, negli alberghi, nei mucchi di lordure dei più sporchi quartieri di Shang-Hai. Nel 1843 a Londra vi erano otto fabbriche che lo falsificavano con sostituzione di foglie straniere, frassino, pioppo nero, platano, quercia, faggio, olmo, spinobianco, alloro, sambuco, ecc. Del resto molte piante danno foglie che possono surrogare benissimo il tè. A Sumatra si servono delle foglie del caffè. Nell'America del Sud e nel Paraguay sostituiscono al tè il mute, che chiamano tè mate (Ilex Paraguayensis). Nel bacino delle Amazzoni col guaranà (Paullinia sorbillis), nella Bolivia colla coca (Erytroxylon coca), che venne messa in musica su tutti i toni dal maestro Mantegazza. Volgarmente il tè viene denominato, dalla sua immediata provenienza, tè d'Olanda, di Russia, ecc. La storia del tè non è antica. Fu introdotto dagli Olandesi verso il 1610 che lo ricevevano dai Ghinesi in cambio della salvia. (Vedi in Salvia). Il tè nei Paesi Bassi serviva a designare i fautori del principe d'Orange e degli Inglesi, che lo preferivano al caffè. Un medico asserisce che l'uso del tè impedisce la formazione della pietra nella vescica (1).
'aqua delle sorgenti e la piovana. L'aggiunta di alcune goccie di sugo di limone od altro acido vegetale, rende il tè più pie. cante e profumato. Nella
Capisco la satira. Trattandosi di zucche, ti sei rivolto ad un professore. Ebbene, non ti sei male apposto. Sappi che le zucche più vuote di questo mondo possono elevarsi alla più alta aristocrazia non solo di censo e di gradi sociali, ma altresì alla più alta aristocrazia culinaria. Tu potresti apprestare a' tuoi amici un abbondante, gustoso e variato pranzo quasi colla sola zucca, vale a dire che essa formi d'ogni piatto, se non l'unico, almeno il principale coefficiente. Sono note le minestre di zucca d'ogni specie e fresche secche. La si fa cocere nel brodo, nell'aqua e burro, ovvero nel latte. Se ne rileva il sapore con erbuccie, ova, spezie e collo zuccaro. La polpa delle zucche ed anche i fiori si mangiano fritte, ripiene, accomodate, triffolate, in fracassèe, in stufato ed in polpette. Se ne fanno torte, pasticci e perfino salami. Colle, piccole zucchette lessate o cotte alla brage, o colle tenere ci-, me delle piante bollite nell'aqua, si fa dell'insalata che si condisce coll'olio degli stessi semi della zucca. Il sugo di essa, fermentato, può fornire l'aceto. Colla zucca confettata con miele ed aromi, si provvede al dessert di saporite mostarde e confetture, che si rende ancor più vago abbellendole con piccole zucchettine imitanti le pera, le poma, gli aranci. Il pane si forma colla zucca ben cotta, impastata con la terza parte di farina. Finalmente coi semi di zucca puoi comporre orzate e simili gustose bevande. Che se questo simposio, vuoi prepararlo a' tuoi amici all'aria aperta, lo potrai gentilmente offrire sotto un pergolato coperto colle foglie di una pianta di zucca. Che ne dirò poi delle zucche vuote ? Colla scorza di esse puoi farne bottiglie, bicchieri, piatti, cucchiai, forcine, coltelli, mestole, saliere, lucerne ove arda l'olio del seme suo, recipienti d'aqua, di vino, di liquori, tabacchiere, pipe e quello che vuoi. Le zucche vuote poi servono mirabilmente a sorreggere i mal pratici o novizi nuotatori. A questo proposito, vo' narrarti un aneddoto di Bellavitis e faccio punto. Bellavitis, mio illustre e celebre collega dell'Università di Padova, ora defunto, veniva un giorno supplicato da uno studente perchè gli fosse propizio nell'esame: Veda, professore, insisteva lo studente, se io non passo questo benedetto esame, ò l'inferno in casa mia! Sarei costretto a buttarmi in Brenta. Al che Bellavitis: Oh no xe pericolo per lu, perchè el sa che le zucche ì galleggia! Insomma, io non mi perito a chiamare la zucca la più utile delle verdure ed è ingiusto adoperare il suo nome per insultare alle teste umane. Rispetta dunque le zucche e cava loro tanto di cappello. Lo cavi a tante nullità coperte coi galloni di prefetto, di senatore, di generale ! Un bacio e vale.
brage, o colle tenere ci-, me delle piante bollite nell'aqua, si fa dell'insalata che si condisce coll'olio degli stessi semi della zucca. Il sugo di
luoghi inondati e dove si coltiva ancora. Somiglia alle nostre canne, si alza portando una panocchia setacea che dà fiori. Esternamente è verdiccia, articolata; interiormente, bianca e ripiena di una mollica simile a quella del sambuco, pregna d'un sugo dolce, piacevole. À foglie strette, striate, verdi, che servono ad alimento delle bestie. La piantagione si fa per barbocchi, da marzo a tutto aprile. Può essere coltivata in tutti i paesi caldissimi. Da noi, è da serra. È matura quando diventa gialla, il midollo si è fatto bigio scuro e il sugo viscoso e dolcissimo. La parola zuccaro, dal greco sacchar, zuccaro. Nel linguaggio delle piante: Dolcezza. La canna dello zuccaro, matura, si taglia al piede, se ne tronca la panocchia, si sfoglia, si porta al molino, che la schiaccia fra tre cilindri. Se ne raccoglie il sugo entro una caldaia sottoposta, e tal sugo è chiamato dai negri vezù o vino di canna. Presto fermenta, e perciò è necessario cocerlo prontamente e depurarlo con un processo di evaporazione e filtrazione, sinchè è ridotto allo stato di sciroppo, d' onde il melazzo o melassa. Gli zuccari della seconda e terza cristallizzazione, sono sempre più grassi ed oscuri, e passano sotto il nome di mascabadi. Quelli d'Avana, che sono i migliori, si chiamano terzieri o biondi. Lo zuccaro, benchè di prima estrazione, bianchissimo ed asciutto, contiene impurità, e vuol essere raffinato. Questa depurazione si fa nelle grandi raffinerie, da dove sortono in pani. La bianchezza e solidità estrema dello zuccaro in pani, dipende non solo dalla qualità degli zuccari che si adoperano, ma ancora dall'esito felice dell'operazione e dall'espertezza dell'operatore. Se i pani riescono, friabili o macchiati qua e là, o troppo oscuri, e quindi da scarto, allora si pestano ed entrano in commercio sotto la denominazione di zuccaro raffinato in polvere, ossia pile. Lo zuccaro raffinato in pane è bianchissimo, senza macchie, compatto, duro, sonoro; percosso con un ferro nell'oscurità, tramanda della luce; la sua cristallizzazione è minutissima, serrata e lucida, non à odore, è dolcissimo. Se si tiene in bocca diventa poroso e non si scioglie uniformemente. Cristallizzato lo zuccaro in forma cubica con altro processo di evaporazione, si vende sotto il nome di zuccaro candito. Questo è sempre più o meno colorato, tramanda molta luce percosso nell'oscurità, è assai dolce, e si scioglie in bocca uniformemente come le caramelle. La melassa, in America ed altrove, s'adopera per la fabbricazione del rhum e nel Brasile l'impiegano per la concia del tabacco. Per ottenere il rhum, si fa fermentare la melassa entro grandi vasi di terra, sepolti nel terreno fino all'orifizio e ricoperti di paglia. Compiuta la fermentazione, si passa alla distillazione.
, articolata; interiormente, bianca e ripiena di una mollica simile a quella del sambuco, pregna d'un sugo dolce, piacevole. À foglie strette, striate