In generale tutti gli erbaggi dell'orto che voglionsi conservare, devono essere raccolti di recente e ben maturi. Le piante e le radici succose si devono prima scottare, immergendole nell'acqua bollente per qualche minuto, poi conviene gettarle nell'acqua fresca, asciugarle e farle disseccare o al sole, o al forno; preferite il forno. Gli erbaggi si tagliano a pezzi, si mondano, e si dispongono su graticci, così preparati si mettono ad essiccare, e si conservano in luogo fresco e ventilato. I legumi che si essicano per l'inverno, spesso vengono avariati dagli insetti. A riparare tal malanno lavate i vostri legumi nell'acqua fredda appena colti, e fateli seccare perfettamente al sole. Tutti gli insetti già sviluppati nei legumi ne sfuggiranno e quelli che non lo sono ancora non si svilupperanno altrimenti. A cocere più presto le rape e le carote, devono essere tagliate per il lungo, e a far perdere l'odore troppo forte delle cipolle, pei delicati, sarà bene metterle per un momento nell'acqua calda salata, avanti cucinarle. Finisco con due parole sulla digeribilità. Quante calunnie si son dette, si dicono e si tramandano sul valore digestivo di questi eccellenti prodotti della vegetazione! Il tale, la tale non può digerire i fagioli, il citriolo, l'aglio, la cipolla, le castagne, ecc.; dunque sono indigesti, e si dà la colpa a questi poveri innocenti che nascono per la salute e conservazione nostra! Nè solo si accontentano, quel tale e quella tale di calunniarli, ma li proscrivono dalla loro casa e ne predicano l'ostracismo ai figli, ai parenti, agli amici e guardano biechi chi fa loro orecchie da mercanti. No, la colpa è dello stomaco di questi tali signori e di queste tali signore. Ma lasciateli, se vi fanno male, non diteli indigesti. Lo sono per voi, per altri sono invece tanta bona nutrizione e beata salute. Come abbiamo tutti una faccia nostra, così tutti abbiamo il nostro stomaco, che è un vero laboratorio chimico, una vera officina di acidi e di sughi chilifici. E chi ne à bisogno uno e chi un altro — a chi ne sopravanza di quantità, a chi ne manca di qualità; e l'istinto, il gusto, l'appetito, ci suggeriscono appunto ciò che ci è necessario ad equilibrare ed ordinare le funzioni del nostro individuo. Perchè voi siete brutto non vuol dire che tutti sieno brutti. Ah! quel benedetto io, che è padre dell'assoluto e dell'intolleranza!
, e si conservano in luogo fresco e ventilato. I legumi che si essicano per l'inverno, spesso vengono avariati dagli insetti. A riparare tal malanno
Nel linguaggio dei fiori: Asinaggine è perenne e dura fino a 12 anni si semina da Marzo a tutto Settembre, preferisce terreno umido ed ombroso si moltiplica per mezzo di radici. Se ne contano molte specie, la più coltivata è la R. acetosa. Cresce nelle campagne, ma è da preferirsi quella coltivata nell'orto. Se ne mangiano le foglie verdi. I semi anno virtù produttiva per 4 anni. Preparasi in varie maniere come cibo: col burro e panna, colle uova, nelle frittate, nelle salse verdi, colla carne, nelle zuppe, negli intingoli; si mescola coll'insalata, massime alla lattuga serve a togliere il puzzore alle carni, principalmente di pecora e castrato. Varietà: la patientia, detta anche acetosa spinacio (nel linguaggio dei fiori Pazienza) è indigena, si semina in Marzo e Aprile, dà fiori verdicci. Le acetose servono ad uso medicinale, in decotto nelle febbri, sono antiscorbutiche e contengono molto acido ossalico, che fra tutti gli acidi vegetabili, è il più ricco di ossigeno convengono in tutte le malattie infiammatorie. Dall'acetosella si prepara il noto sale di tal nome. L'acetosa, a' tempi andati fu detta anche erba alleluja, perchè fiorisce verso le feste pasquali. Impastata coll'aceto e seccata serve all'occorrenza per cambiare in poco tempo il vino in aceto masticata scioglie i denti intorpiditi per aver mangiato frutte acerbe. La sua radice seccata e bollita dà una tinta rossa. Unita alla grassa di porco, presso i Romani, era adoperata come cauterio efficacissimo. Come mangereccia è menzionata da Plauto:
prepara il noto sale di tal nome. L'acetosa, a' tempi andati fu detta anche erba alleluja, perchè fiorisce verso le feste pasquali. Impastata coll
Ma fra tante lodi c'è pure la nota ingrata. Nelle Effemeridi dei curiosi della natura si legge che l'asparagio rende le donne sterili (Decad., III, an. V). Il celebre Fontanelle, segretario perpetuo dell'Accademia, che morì a cent' anni, andava matto per gli asparagi. Un dì invitò l'abate Teerasson a pranzo e siccome l'abate amava gli asparagi al burro e lui all'olio, fu convenuto che metà si dovessero cucinare al burro e l'altra metà all'olio. Ma, giunto l'abate alla sala da pranzo, fu colto da apoplessia. A tal vista Fontanelle s'alza di repente e corre alla scala gridando al cuoco: Tutti all'olio, tutti all'olio!
. Ma, giunto l'abate alla sala da pranzo, fu colto da apoplessia. A tal vista Fontanelle s'alza di repente e corre alla scala gridando al cuoco: Tutti
Fagioli saltati. — Se i fagioli sono verdi, gettateli nell'acqua che bolle. A metà cottura aggiungetevi del sale e un piccolo pezzo di burro. Toltili dall'acqua e lasciatili sgocciolare, metteteli caldi ancora in una casseruola con burro misto a prezzemolo trito, sale, pepe e un po' di sugo di limone. Fateli saltare e serviteliI su d'un piatto caldo. Se i fagioli fossero secchi, converrebbe farli bollire nell'acqua per più lungo tempo, get tandoli in essa quando è ancor fredda. La stessa regola vale per i fagioli da mettersi nella minestra. In tal caso l'acqua nella quale bollirono deve essere buttata via, perchè essa acqua, più che i fagioli, cagiona indigestione e flatulenze.
tandoli in essa quando è ancor fredda. La stessa regola vale per i fagioli da mettersi nella minestra. In tal caso l'acqua nella quale bollirono deve
Pera al mosto. — Spremete da alcuni grappoli di uva matura il mosto, ed in esso fate cocere delle pera decorticate e tagliate a fette, servendosi a tal uopo di una pentola di terra inverniciata, mai di rame. Ridotte le pera ad una poltiglia, servitele senza zuccaro nè canella.
tal uopo di una pentola di terra inverniciata, mai di rame. Ridotte le pera ad una poltiglia, servitele senza zuccaro nè canella.
La duracina e le sue varietà, cotta nel vino e zuccaro, sono alimento eccellente per gli stomachi delicati e, sciroppata, il toccasana pel catarro stomacale. La pesca è matura quando dal lato dell'ombra od a tramontana mostra la pelle gialla: in tal momento tramanda la sua fragranza e profumo particolare. Non fatene la prova col tatto, perchè la minima contusione forma una macchia, che in breve tempo la guasta e fa marcire, L'Erera, botanico spagnuolo, dice che se si adacqueranno i persici con latte di capra per tre sere continue quando sono in fiore, vi nasceranno pesche grossissime. In China il pesco è l'albero a frutta più importante e che per la sua fioritura iemale, ne à fatto il simbolo dell'amore e della fedeltà. La pesca colà si crede procuri l'immortalità al felice che ne mangi. Nel linguaggio delle piante presso noi significa: Contento, vita beata, non cercar troppo. Il suo raccolto deve farsi a mano. Quelle destinate al commercio si devono cogliere qualche giorno prima della sua completa maturanza, onde siano più resistenti. La pesca è frutto giocondo, che ricorda le guancie paffute e rosee dei bimbi e delle bimbe, è la rosa dei frutti.
stomacale. La pesca è matura quando dal lato dell'ombra od a tramontana mostra la pelle gialla: in tal momento tramanda la sua fragranza e profumo
Pesche ripiene. — Aperte in due le pesche, levatene la ghianda e mettetele a cocere fino a metà cottura in pentola di terra, con vino bianco, canella e scorza gialla di limone. Levate dal vino, deponetele in una tegghia unta di burro. Il sugo vinoso che resta, unitelo a dello zuccaro e condensatelo a foco inspessandolo con qualche biscottino e colla polpa di qualche frutto o di una delle medesime pesche. Di questo denso giulebbe riempite le cavità delle pesche, mettendovi anche in mezzo la sua mandorla spogliata dalla pellicola, e mettete al forno, o al testo. Di tal maniera si ammaniscono poma, pera ed altre frutta.
cavità delle pesche, mettendovi anche in mezzo la sua mandorla spogliata dalla pellicola, e mettete al forno, o al testo. Di tal maniera si ammaniscono
Il nome di rosa dal greco rhodon, rosa, o dal celtico roag che significa rosso. La rosa è la regina dei fiori, la figlia del cielo, il sorriso della primavera, l'emblema dell'innocenza e della fugace bellezza femminile. Le sue varietà si contano a migliaia. Qui non dirò che della canina, la quale è la più semplice di tutte le altre. Fu detta rosa canina o rosa di cane, perchè fu creduto, fino dall'antichità, che la sua radice fosse efficace contro la rabbia del cane. Anche i Greci la chiamavano cinorrhodon, da don, cane e rodhon, rosa. Da noi si chiama anche Rovo. Nel linguaggio dei fiori, la rosa canina significa: Indipendenza. È un arboscello indigeno che viene lungo le siepi di montagna, nei luoghi aprichi, che dà in maggio una rosetta pallida, semplice, di cinque foglie. Ai fiori succedono alcune frutta ovali, bislunghe, rosse come il corallo nella loro maturità, la di cui scorza è carnosa, midollosa, d'un sapor dolce-aciduletto e che racchiude alcune semenze, inviluppate d'un pelo consistente, che attaccandosi alle dita penetra nella pelle e vi cagiona molestie. Tali semi posti nel letto ad alcuno per celia fecero sì che questo frutto prese il nome poco castigato di grattaculo. Un mio amico ingegnere mi assicura che tal nome viene da ciò, che i sullodati semi, producono a chi li mangia un lieve prurito, precisamente in una località indicata nella seconda parte di quel disgraziato vocabolo e vi richiama l'azione indicata pure nella prima parte del surriferito disgraziato vocabolo. Tale appellativo, non si vorrebbe mai pronunciare dalla gente pudibonda, ma che è pure registrato presso i più seri botanici; è costretta a ripeterla, colle gote vermiglie, anche la damigella sortita di collegio, se vuol dimandare di quel delizioso sciroppo che danno i prefati grattaculi. Il Cherubini nota che da alcuni viene chiamata salsa di ciappetti, ma è un eufemismo. Il quale eufemismo è una figura rettorica incaricata di stendere un velo si, ma trasparente, su
grattaculo. Un mio amico ingegnere mi assicura che tal nome viene da ciò, che i sullodati semi, producono a chi li mangia un lieve prurito, precisamente in una
Spinacci alla panna. — Cocete una libbra di spinacci, spremeteli fortemente, triturateli colla mezzaluna e passateli allo staccio. Mettete in una casserola un pezzo di burro, un pizzico di farina, e lasciate friggere un istante, poi gettatevi gli spinacci e conditeli con sale e pepe. Rimestateli bene per cinque minuti e bagnateli quindi con due bicchieri di panna. Consumata la panna, incorporatevi dentro in fretta tanto quanto una noce di burro, e servite questa purèe sulle fette di pane fritto con burro. In tal modo si può preparare la purèe di piselli, di taccole (gaglioli) e di cornetti (fagioletti in erba).
, e servite questa purèe sulle fette di pane fritto con burro. In tal modo si può preparare la purèe di piselli, di taccole (gaglioli) e di cornetti
La vaniglia o vainiglia, è il frutto di parecchie specie del genere vanilla; piante erbacee ed arrampicanti, originarie delle regioni calde dell'America e segnatamente del Messico e dell'Asia. La sua fecondazione vuolsi la si deva a degli insetti. À fiori bianchi screziati di rosso-giallo. Se ne conoscono quattro varietà: la planifolia, di cui la migliore cresce nelle regioni calde ed umide del Messico, della Colombia e della Guajana, coltivasi nelle Antille. La gujanensis di Surinam. La palmarum di Bahia fornisce qualità inferiori. La pompona, il vaniglione di odor forte, ma non balsamico, che ricorda quello dei fiori della vaniglia dei giardini (Heliotropium peruvianum), viene dalle Antille, à siliqua grossa e corta, è la più scadente. Queste piante, grosse come un dito, s'avvolgono al tronco degli alberi come la vitalba, il convolvolo e l'edera, e s'innalzano a grandi altezze. Il frutto della vaniglia, chiamato guscio, è una capsula carnosa, lunga 14-15 centimetri in forma di siliqua. La sua superficie dapprima verde poi colorata in bruno-rossastro molto intenso, è dotata di una lucentezza grassa. Contiene una quantità di semi estremamente piccoli, globulari, lisci, duri, neri e contenenti un succo denso e bruniccio, che, maturi, danno una fragranza squisitissima. La miglior vaniglia è quella del Messico, le cui capsule anno qualche volta la lunghezza di 22 centimetri . Epidendrum, dal greco Epi, sopra, e dondron, albero, cioè che corre sopra l'albero. Il nome di vaniglia dallo spagnolo vajnilla, piccola guaina. Nel linguaggio delle piante: Soavità. La vaniglia è uno degli aromi meno irritanti e dei più delicati ed importanti della cucina ghiotta — dà sapore alle carni, a tutti gli intingoli nei quali è introdotta — e serve principalmente per le cose di latte col quale si marita benissimo, per dare aroma al cacao e farne cioccolatta — per sorbetti, liquori, paste. Dà profumo pure ai saponi, entra in molte aque odorifere, per es. l'aqua di Cipro. In Europa si coltiva, da tempo, la varietà planifolia, nelle serre di Liegi, nel Giardino delle Piante a Parigi, e di Hillfield, House-rigate, dopo che Morren, nel 1857, à mostrato che si poteva fecondare artificialmente. Da quest'epoca la fecondazione e la produzione delle capsule si ottengono in tutti i paesi tropicali, e i frutti della vaniglia europea non la cedono nel profumo a quelli del Messico. La vaniglia fu introdotta in Europa dagli Spagnuoli dopo la scoperta dell'America. Gli Indiani chiamano arris arack, il liquore d'anice aromatizzato colla vaniglia. Per conservare la vaniglia la si chiude in una bottiglia di vetro o in un cannoncino di latta, cosparsa di zuccaro. In tal modo si ottiene lo zuccaro vanigliato che serve comunemente in cucina ed in pasticceria. Si falsifica la vaniglia con le vaniglie alterate, o raccolte troppo tardi, o esaurite coli' alcool e restaurate col balsamo peruviano o del Tolù — colla mescolanza di qualità inferiori, quali il vaniglione. Un guscio sano e bono di vaniglia, deve offrire intatta l'estremità ad uncino. La vaniglia in polvere è più soggetta ancora a falsificazione.
vaniglia. Per conservare la vaniglia la si chiude in una bottiglia di vetro o in un cannoncino di latta, cosparsa di zuccaro. In tal modo si ottiene lo
luoghi inondati e dove si coltiva ancora. Somiglia alle nostre canne, si alza portando una panocchia setacea che dà fiori. Esternamente è verdiccia, articolata; interiormente, bianca e ripiena di una mollica simile a quella del sambuco, pregna d'un sugo dolce, piacevole. À foglie strette, striate, verdi, che servono ad alimento delle bestie. La piantagione si fa per barbocchi, da marzo a tutto aprile. Può essere coltivata in tutti i paesi caldissimi. Da noi, è da serra. È matura quando diventa gialla, il midollo si è fatto bigio scuro e il sugo viscoso e dolcissimo. La parola zuccaro, dal greco sacchar, zuccaro. Nel linguaggio delle piante: Dolcezza. La canna dello zuccaro, matura, si taglia al piede, se ne tronca la panocchia, si sfoglia, si porta al molino, che la schiaccia fra tre cilindri. Se ne raccoglie il sugo entro una caldaia sottoposta, e tal sugo è chiamato dai negri vezù o vino di canna. Presto fermenta, e perciò è necessario cocerlo prontamente e depurarlo con un processo di evaporazione e filtrazione, sinchè è ridotto allo stato di sciroppo, d' onde il melazzo o melassa. Gli zuccari della seconda e terza cristallizzazione, sono sempre più grassi ed oscuri, e passano sotto il nome di mascabadi. Quelli d'Avana, che sono i migliori, si chiamano terzieri o biondi. Lo zuccaro, benchè di prima estrazione, bianchissimo ed asciutto, contiene impurità, e vuol essere raffinato. Questa depurazione si fa nelle grandi raffinerie, da dove sortono in pani. La bianchezza e solidità estrema dello zuccaro in pani, dipende non solo dalla qualità degli zuccari che si adoperano, ma ancora dall'esito felice dell'operazione e dall'espertezza dell'operatore. Se i pani riescono, friabili o macchiati qua e là, o troppo oscuri, e quindi da scarto, allora si pestano ed entrano in commercio sotto la denominazione di zuccaro raffinato in polvere, ossia pile. Lo zuccaro raffinato in pane è bianchissimo, senza macchie, compatto, duro, sonoro; percosso con un ferro nell'oscurità, tramanda della luce; la sua cristallizzazione è minutissima, serrata e lucida, non à odore, è dolcissimo. Se si tiene in bocca diventa poroso e non si scioglie uniformemente. Cristallizzato lo zuccaro in forma cubica con altro processo di evaporazione, si vende sotto il nome di zuccaro candito. Questo è sempre più o meno colorato, tramanda molta luce percosso nell'oscurità, è assai dolce, e si scioglie in bocca uniformemente come le caramelle. La melassa, in America ed altrove, s'adopera per la fabbricazione del rhum e nel Brasile l'impiegano per la concia del tabacco. Per ottenere il rhum, si fa fermentare la melassa entro grandi vasi di terra, sepolti nel terreno fino all'orifizio e ricoperti di paglia. Compiuta la fermentazione, si passa alla distillazione.
, si porta al molino, che la schiaccia fra tre cilindri. Se ne raccoglie il sugo entro una caldaia sottoposta, e tal sugo è chiamato dai negri vezù o