Ma fra tante lodi c'è pure la nota ingrata. Nelle Effemeridi dei curiosi della natura si legge che l'asparagio rende le donne sterili (Decad., III, an. V). Il celebre Fontanelle, segretario perpetuo dell'Accademia, che morì a cent' anni, andava matto per gli asparagi. Un dì invitò l'abate Teerasson a pranzo e siccome l'abate amava gli asparagi al burro e lui all'olio, fu convenuto che metà si dovessero cucinare al burro e l'altra metà all'olio. Ma, giunto l'abate alla sala da pranzo, fu colto da apoplessia. A tal vista Fontanelle s'alza di repente e corre alla scala gridando al cuoco: Tutti all'olio, tutti all'olio!
Ma fra tante lodi c'è pure la nota ingrata. Nelle Effemeridi dei curiosi della natura si legge che l'asparagio rende le donne sterili (Decad., III
Questo è delle qualità più ricercate, ma si altera rapidamente se conservato in luogo non perfettamente asciutto. È impossibile dare una descrizione, anche approssimativa, del caffè buono: in generale dev' essere a grani uniformi. Il suo peso dipende dal grado di secchezza. Il caffè ci giunge tante volte cattivo per vizio proprio, alterato per fermentazione, avariato dall'acqua marina. Oltre a ciò l'industria della sua falsificazione è delle più fiorenti: arriva a darci il caffè.... che non è caffè. Lo si bagna per accrescerne il peso, se ne sostituisce una qualità all'altra, lo si mischia, lo si colorisce, lo si sofistica in grana e crudo — in grana e torrefatto — torrefatto e macinato. Tutti i semi, tutte le radici, tutti i frutti, tutte le corteccie furono esperite a trovar materie da surrogare, mescolare al caffè. Abbiamo il caffè di cicoria, di carote, di tarassaco, caffè di fichi e di ghiande fabbricato in Germania, di lupini, di fecole, leguminose, caffè di dàttoli, caffè di Mogdad (cassia occidentalis), altra particolarità tedesca, caffè d'orzo e di malto, dalla parola tedesca malz e mali, che è poi orzo tallito. Quest'ultima spudoratissima menzogna del Caffè malto fu appiccicata a quell'eccellente burlone di Kneipp, quel brav' uomo che cercò ripristinare la sensata cura dell'acqua fresca. Ne volete ancora? S'è arrivato fino alla lirica della falsificazione, a falsificare la falsificazione. Si falsifica anche quella porcheria di caffè di cicoria. Ma dove la falsificazione domina sovrana è nel caffè torrefatto e macinato. La più generale ed innocua è quella che si fa coi fondi di caffè, caffè già esaurito raccolto nei Caffè, Restaurants, negli Alberghi, e particolare provento dei cuochi delle case signorili. In Francia abbiamo un'infinita serie di caffè, fabbricati con tutto quel che si vuole, meno il caffè. Fino dal 1718 Giorgio I, in Inghilterra, multava i falsificatori del caffè da 20 a 100 sterline. Ora l'industria è libera.
, anche approssimativa, del caffè buono: in generale dev' essere a grani uniformi. Il suo peso dipende dal grado di secchezza. Il caffè ci giunge tante
il suo nome da Bresic, cavolo. È la pianta erbacea, annuale indigena che tutti conoscono. Vuole terreno lavorato, esposto, teme più il caldo che il freddo. Nel linguaggio delle piante: Cecità. Ve ne sono tante varietà, di precoci e di tardive. Le precoci si seminano in febbraio e marzo per averli nella state, le tardive in aprile e maggio, si trapiantano in agosto, si raccolgono in autunno e nel verno; a salvare i cavoli dal bruco (gattine) circondarli da striscie di fusti di canapa. i semi del cavolo mantengono la loro virtù germinatrice per 6 e più anni. La varietà del Gambùs (forse dal francese Choux Cabus) Brassica oleacera capitata, è meno saporita. Anche del Gambùs molte varietà. È distinto quello detto Cavolo Cappuccio di Schweinfurth a testa enorme, a fusto cortissimo — merita d'essere introdotto da noi per la sua straordinaria grossezza, precocità e certa squisitezza. Non è a metter da parte quello di Bruxelles a getti e a mille teste, che à fusto elevato, intorno al quale sporgono tante verzette, ricercate per delicatezza di gusto in minestra, o per guarnizione. In Lombardia il paesello di Verzago, ripete il suo nome dalle verze che vi abbondavano saporite e rigogliose. Molto stimati in Francia i choux de Milan (B. ol. Bullata). Il cavolo si mangia in cento maniere — nelle minestre — nelle zuppe — in insalata — si mette negli intingoli — serve ad accompagnare i salsicciotti — a far polpette — si condisce come gli spinacci all'olio, al burro aggiungetevi delle bacche di ginepro — se ne fa la così detta versata. Il cavolo è più saporito quando à sentito i primi freddi. Non si deve tagliare col coltello, ma strappare le foglie colle mani, perchè il ferro gli toglie sapore e comunica cattive qualità. Troppo cotto è tenuto come indigesto e flattulento. Ama molto il burro e specialmente il lardo, va d'accordo colla carne di porco. Iacopo Albertazzi vuole che i cavoli si conservino meglio e più saporiti a seppellirli nella terra coll'occhio e le foglie rivolte all'ingiù e le radici all'insù (lib. III, 54). Da solo il cavolo vale niente, onde il proverbio: El var un càvol, una sverza, per dire che vale nulla. I cavoli crudi servono alla preparazione di quelli erbacei fermentati che si conservano e si mangiano chiamati SauerKraut (erba acida) cibo prediletto dei Tedeschi e del quale Marziale:
freddo. Nel linguaggio delle piante: Cecità. Ve ne sono tante varietà, di precoci e di tardive. Le precoci si seminano in febbraio e marzo per averli
. Può essere che da Ceresunto, dove, a detta degli scrittori il ciliegio era superlativo, avesse il suo nome. Ma che il ciliegio ce l'abbia portato Lucullo è una delle tante bale romane. Un certo Difilo Sifnio, ricordato da Ateneo, che viveva molto prima di Lucullo, sotto il regno di Lisimaco, uno dei generali di Alessandro il Macedone, parlava già delle ciliege della Campania coll'acquolina in bocca. Nelle torbiere di Dax, nelle Lande, si riconosce perfettamente il tronco del ciliegio. Chi ne volesse sapere di più, legga la Cersalogia medica (Basilea, 1717), monografia scritta dal celebre Dollfuss.
Lucullo è una delle tante bale romane. Un certo Difilo Sifnio, ricordato da Ateneo, che viveva molto prima di Lucullo, sotto il regno di Lisimaco, uno
Polenta in Frittura. — Preparate una polenta di farina gialla fatta nel latte con sale. Fredda che sia, dividetela con un filo in fette della grossezza di un dito, e, coll'orlo di un bicchiere, fatene tante rotelle, che bagnate nell'uovo sbattuto e avvolte nel pane grattuggiato friggerete nel burro. Si può aggiungere alla polenta, se piace, canella, zuccaro, formaggio e burro. Per avere i frittelli alla lodigiana basta frapporre fra una rotella e l'altra di polenta una fetta sottile di formaggio detto battelmatt, giovane, avvolgere tre rotelle unite nell'uova e pane come sopra, e farle friggere.
grossezza di un dito, e, coll'orlo di un bicchiere, fatene tante rotelle, che bagnate nell'uovo sbattuto e avvolte nel pane grattuggiato friggerete nel burro
Il luppolo è una pianticella indigena arrampicante, le cui radici sono perenni, ma gli steli annuali. Nel linguaggio dei fiori: Ingiustizia. Fiorisce in giugno e luglio, trovasi nei luoghi umidi e boschivi. I semi ànno virtù, germinanti per 2 anni. Il suo nome dal latino humus, terra umidiccia. Coltivata, dura dai 20 ai 40 anni e più. I giovani getti si mangiano precisamente come gli asparagi, tanto conditi che in minestra, sono tenerissimi e di gradevole gusto. È verdura che si trova in maggio presso le ortolane e che in Lombardia si chiamano Lovertìs. Questa pianta è molto coltivata in Germania, il cui fiore, o cono, serve quale principale ingrediente della birra, uso conosciuto fino dagli antichi Egizi. Il luppolo è anche pianta eminentemente medicinale, se ne fanno decotti, infusi, ecc. Il luppolo è utile per chi soffre d'inappetenza, e condito con salsa è cibo gradito dai convalescenti. Si volle dare al luppolo virtù soporifera, analoga a quella dell'oppio, ma pare una delle tante cantonate degli scienziati. Da esso abbiamo il lupolino. Nella Svezia si usano i suoi rami lunghi e flessibili quale materia tessile per grossi cordami.
convalescenti. Si volle dare al luppolo virtù soporifera, analoga a quella dell'oppio, ma pare una delle tante cantonate degli scienziati. Da esso abbiamo il
Frittura di patate. — Cotti e pelati sei od otto pomi di terra, pestateli nel mortaio con due cucchiai di prezzemolo trito, sale e canella in polvere. Quando la pasta comincia ad essere ben legata e lucente, dividetela in tante frittelle e fatele friggere al burro, voltandole finchè abbiano preso un colore dorato-scuro.
. Quando la pasta comincia ad essere ben legata e lucente, dividetela in tante frittelle e fatele friggere al burro, voltandole finchè abbiano preso
Il pepe lungo (piper lungum, macro piper), nasce nel Bengala e nelle isole Molucche, à gettini lunghi un pollice circa, grossi come una piccola penna da scrivere, di color cenere. Il loro sapore è più acre e meno grato del pepe nero e di un odore perfettamente, simile. Entra nella composizione di alcuni elettuari, ma il consumo maggiore si fa dagli acetai, i quali lo infondono nell'aceto debole per renderlo acre. Gli Indiani poveri lo macerano nell'acqua, e così reputano renderla stomatica. Ne mettono pure in conserva i racemi immaturi nella salamoia, e serve loro a tavola e nelle insalate. Venne pure chiamato pepe lungo il nostro peperone. Il pepe della Giammaica, o pimento degli Inglesi, o pepe garofanato, è della grossezza di un pisello, di color grigio-rossastro, rugoso. À odore aromatico analogo a quello della canella e del garofano, sapore piccante quanto il pepe. Questa droga è di gran uso nei paesi caldi, in Germania ed in Inghilterra per condire le vivande, ed è uno dei principali ingredienti per la composizione delle spezie. Quello che si usa sotto il nome di pepe di Cajenna (Vedi Peperone), non è altro che il seme e la capsula seminale di una pianta selvaggia del Sud dell'America, che è coltivata nelle Indie e che si chiama Capsicum baccatum, annuum et fructescens. Poche sostanze, fino dai tempi remotissimi, furono oggetto di tante falsificazioni quanto il pepe. Una buona regola, è quella di comperar sempre pepe in grana e di polverizzarvelo da voi a norma del bisogno, valendosi di quei piccoli macinatoi di pepe, oggi molto diffusi. Per falsificare il pepe nero servono farine d'ogni genere, segatura di legno, panelli oleosi, terre, gesso, ecc. Il pepe bianco si usa renderlo più pesante stacciandolo insieme a gomma, amido, calce, gesso, biacca, ecc. Nè solo si falsifica in polvere, ma pure in grani, e ciò abilmente con semi, argilla, gesso e polvere di pimento, in Inghilterra, in Germania e in Francia. A Parigi, lo afferma Chevallier, v'è una fabbrica che produce annualmente 1500 chilogrammi di una miscela che si vende unicamente per adulterare il pepe. Riesce facile riconoscere il falso pepe in grana, mettendolo nell'acqua, che allora i falsi grani vanno prontamente al fondo e si sciolgono in poltiglia. Il pepe è un aroma potente e popolare che condisce la minestra del povero e rende pizzicanti gli intingoli del ricco. Eccita la salivazione, favorisce la digestione, ma irrita, preso smodatamente, gli intestini delicati.
oggetto di tante falsificazioni quanto il pepe. Una buona regola, è quella di comperar sempre pepe in grana e di polverizzarvelo da voi a norma del
. I Greci poi raccontano del pomo cose orribili. Giove unì in nozze un bel giorno la dea dei mari, Teti, con Peleo, dal quale matrimonio nacque poi il bollente Achille. Quelle nozze furono celebrate con gran pompa e alla presenza di tutto l'olimpo au complet. Tutte le divinità infernali, aquatiche e terrestri ebbero, non solo il fairepart, ma ufficiale invito d'intervenire. Una dea sola fu esclusa: la dea Discordia. E questa, per vendicarsi, al momento dei brindisi, comparve nella sala del banchetto e buttò sulla tavola un bellissimo pomo, dicendo: «Alla più bella di voi,» e sparì. Giunone, Pallade e Venere, ch'erano difatti le più belle, si guardarono per traverso, e ognuna di loro pretendeva quel pomo. Giove, che in quel giorno non voleva seccature, mandò a chiamare Paride, un bel giovinotto, e lo fece arbitro della bellezza di quelle concorrenti. Tutte e tre fecero gli occhietti a quel giovinotto, ma egli consegnò il pomo a Venere, lasciando le altre due con tanto di naso. Venere ebbe il pomo, ma Giunone e Pallade lo conciarono poi per le feste, e tanto fecero che andò a finir male. Rubò Elena, fu assediato e vinto a Troja, e ferito da Pirro, andò a morire sul monte Ida. Tutto, per quel pomo che dappoi fu chiamato il pomo della Discordia. Nè qui finisce la storia di quel pomo. Venere, in quel giorno, almeno per galanteria, doveva cederlo a Teti, che sedeva in capo tavola, sposa festeggiata, ma fe' la sorda e se lo mise in saccoccia. Naturalmente Teti l'ebbe a male alla sua volta, e se la legò anche essa al dito. Avvenne che Venere discese un giorno sulle rive delle Gallie a raccogliere perle e un tritone le rubò il pomo che aveva deposto su di un sasso, e lo portò a Teti. Questa lo prese, lo mangiò e buttò i semi in quella campagna a perpetuare il ricordo della sua vendetta e del suo trionfo. Ecco perchè, dicono i Galli-celti, sono tante mele nel nostro paese, e perchè le nostre fanciulle sono così belle! Questa seconda parte l'aggiunge Bernardin de S. Pierre, magnificando le bellissime mele della Normandia. Al pomo i nostri fratelli svizzeri attaccano la storiella di Guglielmo Tell, e al pomo che cadde sul naso a Newton, mentre riposava in giardino, dobbiamo la scoperta dell'attrazione. La quale attrazione, del pomo, era già scoperta migliaia d'anni fa da Eva. Ed è per questa attrazione che il re Wadislao di Polonia fuggiva e cadeva in deliquio alla vista di un pomo. Il nostro popolo, prende il pomo come il tipo della rotondità (rotond come un pomm) della somiglianza (vess un pomm tajaa in duu), del vino fatto colle mani (vin de pomm), della paura (pomm-pomm), degli avvenimenti necessari (el pomm quand l'è madur, bisogna ch' el croda); infine dell'arma più pacifica per sbarazzarsi da un seccatore (fa córr a pomm). Proverbi sul pomo:
vendetta e del suo trionfo. Ecco perchè, dicono i Galli-celti, sono tante mele nel nostro paese, e perchè le nostre fanciulle sono così belle! Questa
) per un tempo prolungato, onde possa produrre salutari modificazioni nell'organismo. Essa ingrassa, è sostanza nutriente, riconfortante nell'atonia-languore del ventricolo, nella gastrorrea, conviene nella pletorrea addominale, calma l'irritazione degli organi respiratori, mitiga la tosse, facilita l'espettorazione ed è indicata nella tubercolosi. La cura dell'uva si schiera più simpatica, e fors'anche più sicura a fianco di quelle delle tante aque minerali, del siero e dell'olio di fegato di merluzzo. Questa cura è in favore più all'estero che da noi. Si fa sistematicamente ed in grande in Germania, a Durkheim, Glesweiter nel Palatinato, Bingen, Creuznach, Rudesheim ed in generale sulle sponde del Reno da Mainz a Coblenz — in Slesia a Grümberg — in Tirolo a Merano — in Svizzera a Vevey, Montreux, Aigle, ecc. Al tempo della vendemmia i bagni, o a meglio dire le fangature di vinaccie, sono di uso molto popolare nelle nevralgie, paralisi, reumatiche, affezioni nevralgiche, ecc. Dall'uva e dal vino, mercè una fermentazione acida, se ne cava pure aceto, il più galantuomo degli aceti. Più sotto ne do qualche ricetta.
, facilita l'espettorazione ed è indicata nella tubercolosi. La cura dell'uva si schiera più simpatica, e fors'anche più sicura a fianco di quelle delle tante
Capisco la satira. Trattandosi di zucche, ti sei rivolto ad un professore. Ebbene, non ti sei male apposto. Sappi che le zucche più vuote di questo mondo possono elevarsi alla più alta aristocrazia non solo di censo e di gradi sociali, ma altresì alla più alta aristocrazia culinaria. Tu potresti apprestare a' tuoi amici un abbondante, gustoso e variato pranzo quasi colla sola zucca, vale a dire che essa formi d'ogni piatto, se non l'unico, almeno il principale coefficiente. Sono note le minestre di zucca d'ogni specie e fresche secche. La si fa cocere nel brodo, nell'aqua e burro, ovvero nel latte. Se ne rileva il sapore con erbuccie, ova, spezie e collo zuccaro. La polpa delle zucche ed anche i fiori si mangiano fritte, ripiene, accomodate, triffolate, in fracassèe, in stufato ed in polpette. Se ne fanno torte, pasticci e perfino salami. Colle, piccole zucchette lessate o cotte alla brage, o colle tenere ci-, me delle piante bollite nell'aqua, si fa dell'insalata che si condisce coll'olio degli stessi semi della zucca. Il sugo di essa, fermentato, può fornire l'aceto. Colla zucca confettata con miele ed aromi, si provvede al dessert di saporite mostarde e confetture, che si rende ancor più vago abbellendole con piccole zucchettine imitanti le pera, le poma, gli aranci. Il pane si forma colla zucca ben cotta, impastata con la terza parte di farina. Finalmente coi semi di zucca puoi comporre orzate e simili gustose bevande. Che se questo simposio, vuoi prepararlo a' tuoi amici all'aria aperta, lo potrai gentilmente offrire sotto un pergolato coperto colle foglie di una pianta di zucca. Che ne dirò poi delle zucche vuote ? Colla scorza di esse puoi farne bottiglie, bicchieri, piatti, cucchiai, forcine, coltelli, mestole, saliere, lucerne ove arda l'olio del seme suo, recipienti d'aqua, di vino, di liquori, tabacchiere, pipe e quello che vuoi. Le zucche vuote poi servono mirabilmente a sorreggere i mal pratici o novizi nuotatori. A questo proposito, vo' narrarti un aneddoto di Bellavitis e faccio punto. Bellavitis, mio illustre e celebre collega dell'Università di Padova, ora defunto, veniva un giorno supplicato da uno studente perchè gli fosse propizio nell'esame: Veda, professore, insisteva lo studente, se io non passo questo benedetto esame, ò l'inferno in casa mia! Sarei costretto a buttarmi in Brenta. Al che Bellavitis: Oh no xe pericolo per lu, perchè el sa che le zucche ì galleggia! Insomma, io non mi perito a chiamare la zucca la più utile delle verdure ed è ingiusto adoperare il suo nome per insultare alle teste umane. Rispetta dunque le zucche e cava loro tanto di cappello. Lo cavi a tante nullità coperte coi galloni di prefetto, di senatore, di generale ! Un bacio e vale.
insultare alle teste umane. Rispetta dunque le zucche e cava loro tanto di cappello. Lo cavi a tante nullità coperte coi galloni di prefetto, di senatore