Conserva di grattaculi. — Prendete grattaculi maturi, metteteli al sole un pajo di giorni ad appassire. Indi poneteli in fusione per un pajo di giorni nel vino. Fateli bollire in caldaja nel medesimo vino a che siano disfatti. Se abbisogna aggiungetevi vino. Ridotti in poltiglia passateli allo staccio doppio, intanto che sono caldi. Mettete altrettanto peso di zuccaro in un padcllotto con un bicchiere d'aqua per chilo di zuccaro, e fate bollire. Purgate lo zuccaro con un chiaro d'ova e schiumate, e quando lo zuccaro è limpido e fila, unite la salsa, rimenate con spatula di legno incorporate il tutto a fuoco — fatene evaporare bene l'umido della pasta e versatela in un vaso di terra conservandola chiusa in luogo asciutto. Se amuffisce è segno che non è cotta abbastanza, rimettetela ancora sulla pentola. Si allunga, per gli usi, con vino, aceto, limone, tanto a freddo, come a caldo. È squisitissima col lesso, coll'arrosto e colle ova principalmente quelle in camicia. Nè voglio terminare senza suggerire; alle signorine, che anche colle altre rose, in ispecie quella comune (Rosa gallica, rosa fragrans), la rosa d'orto, la rosa rossa, quella di Maggio insomma della quale gli speziali fanno un'infusione per uso esterno nelle oftalmie principalmente, si fanno conserve e sciroppi. Ecco la ricetta. Prenda adunque la signorina dei bottoncini di detta rosa, li separi dal gambo, li ammacchi con pestello di legno in mortajo di marmo, finchè li riduca in massa molle e allora vi aggiunga due volte il loro peso, di zuccaro fino, polverizzato agitando e rimestando la massa onde formi un tutto omogeneo. Questa conserva à sapore dolce, ed odore di rose, è rinfrescante ed è leggermente astringente. Se invece dei bottoni di rosa si volessero adoperare per comporla le foglie fresche o secche, in allora invece di impastarla collo zuccaro, quale ò detto sopra, si userà lo zucchero stesso cotto a manuscristi, evaporando poscia la massa a lento calore fino a consistenza di conserva. Avvertite che le rose allora vanno colte prima che si aprano del tutto. Nel medesimo modo si prepara la conserva d'assenzio ecc.
lento calore fino a consistenza di conserva. Avvertite che le rose allora vanno colte prima che si aprano del tutto. Nel medesimo modo si prepara la
Essicazione delle susine. — Nel mezzodì della Francia si essicano in tre modi diversi, due per quelle che maturano d'estate, l'altro per quelle che maturano più tardi; 1° ad Agen, si aspetta che le susine cadano da sè e non si scote che leggermente la pianta se non quando la stagione è di già avanzata. Si raccolgono ogni giorno, si lavano se non sono pulite, si espongono al sole disposte su dei graticci di vimini per due giorni, rivoltandole frequentemente, e si termina l'essicamento al forno, introducendole in esso per tre volte, ed aumentando gradatamente la temperatura, perchè il frutto non si screpoli. Se l'operazione è ben fatta, le susine presentano una consistenza alquanto elastica, e la buccia lucente e ricoperta del fioretto, che è una specie di materia cerosa. Così preparate si conservano in luogo secco e s'incassano pel commercio. 2° a Brignolles si raccolgono alla fine di Luglio od in Agosto, si pelano coll'unghia, s'infilzano su sottili rametti per modo che non si tocchino e si espongono al sole ogni giorno ritirandole la sera. Quando sono essicate si toglie loro il nocciolo si comprimono e si rimettono al sole. In commercio vanno col nome di pistoles. 3° L'ultimo sistema è quello di tuffare i canestri contenenti le susine, nell'aqua bollente, farle poi asciugare al coperto, indi esporle al sole.
la sera. Quando sono essicate si toglie loro il nocciolo si comprimono e si rimettono al sole. In commercio vanno col nome di pistoles. 3° L'ultimo
4.ª Conserve e sciroppi vanno tenuti in luoghi asciutti e freschi. I recipienti, siano di terra o di vetro e prima bene asciugati, l'umidità del solo recipiente è molte volte causa della fermentazione delle conserve, e quando fermentano bisogna di novo farle bollire, altrimenti inacidiscono.
4.ª Conserve e sciroppi vanno tenuti in luoghi asciutti e freschi. I recipienti, siano di terra o di vetro e prima bene asciugati, l'umidità del solo
Il Castagno è un albero a foglia caduca, indigeno, dall'Europa meridionale. Ama terreno sabbioso, argilloso non adombrato da altri alberi, e più d'ogni altro il montuoso. Non viene a più di 800 metri al disopra del livello del mare. Fiorisce in Luglio, dà frutti in Ottobre e per loro teme il freddo. Si propaga per semina, avendo cura di immergere prima il seme per 12 ore nell'aqua satura di fuliggine e noce vomica, o in olio bollito con aglio, acciò ri- mangano illese dagli animaletti. Nel linguaggio dei fiori: Sii giusto verso di me! Le varietà principali il Castagno propriamente detto, che fiorisce precocemente, il cui raccolto è quindi dubbio e dà un frutto piuttosto piccolo e poco saporito, ed il marrone che è più grosso, più saporito e nutriente. Il marrone si propaga per innesto sopra il castagno, perchè il marrone seminato produce nuovamente il castagno. Il castagno comincia a fruttificare cinque anni dopo l'innesto, e verso il 60° dà il massimo prodotto. Le piante non innestate, ritardano e sono meno produttive. A 150 anni comincia a deperire e raggiunge i 3-4 secoli. Il raccolto si fà quando alcuni pericarpi cominciano ad aprirsi, un ettolitro di castagne pesa 80 kilogrammi. La castagna fresca contiene 48 % d'aqua e 0,52 d'azoto — il marrone fresco, 54 d'acqua, e 0,53 d'azoto. — La castagna secca, contiene ancora dal 10 al 12 d'aqua, e 0,77 d'azoto ed il marrone secco contiene 1,17 ° d'azoto. Si conserva la castagna nel proprio involucro in locali asciutti e ventilati o dissecandola pei graticci. Le castagne messe sui mattoni delle camere, marciscono presto e sono preda degli insetti. Si conservano più a lungo e saporite facendole prima essicare alcun poco al sole. Il castagno dell'Etna avrebbe secondo alcuni 59 m. di circonferenza. La castagna, il qual nome si vuole venuto da Castano Magnesia, città della Macedonia è la sposa del focolare, la ghiottoneria dei fanciulli, la Dea delle chiacchere e delle mormorazioni, l'amica del vino generoso e nuovo, ed è maritata in nozze morganatiche al Dio Eolo. È eminentemente farinosa, dà una sana ed abbondante nutrizione. La lessata è più digeribile, irroratela di vino generoso se non confà al vostro stomaco non ditene male. Mille le maniere di far cocere le castagne. A lesso dette succiole o Ballotte, cotte in poc' aqua sale, finocchio, anice, o con una pianta di sedano. Lessate monde (peladei o pest) sbucciate e cotte con o senza la loro peluria in aqua, sale ed erba bona. Anseri o Vecchioni (Bellegott) quando cotte a lesso, si fanno dissecare al fumo nel serbatojo, sotto la cappa del camino (agraa). Il nome di Bellegott viene da bei e cott, (belli e cotti) Bruciate (Borœul) cotte nella padella a fiamma. Biscotti (Bescott) varietà dei Vecchioni, si mettono a seccare col guscio e poi si tengono alcun tempo nel mosto. A questi appartengano i cuni, da Cuneo, loro provenienza, cotte in forno spruzzate di vin bianco serbevoli per molti mesi, delicatissime. Le Veronesi (Veronès) così dette perchè tale maniera di cocerle, ci venne dal Veronese — e si cociono nel forno o nella stufa spruzzate di vino, o con poco burro in casserola. I marroni si fanno anche candire nello zuccaro dopo essere stati arrostiti e si chiamano marron glacès è confettura da dessert. La castagna forma l'alimento principale dei montanari. Nel Sienese se ne fa polenta, che nutrisce i più strenui faticatori, i quali non avendo che aqua da bere dicono scherzando che vivono: del pane dei boschi e del vino delle nuvole. Il Castagnaccio è una specie di pane fatto con farina di castagna, pinocchi ed uva. Fino dalla più remota epoca le castagne tennero il primato fra tutte le sorte di ghiande. Ateo, insigne medico di Antiochia, che le chiama Sardinias glandes, perchè le migliori qualità venivano dalla Sardegna, non si perita a rilasciar loro il brevetto di alimentum effatu dignum — cibo di straordinaria celebrità — ma, soggiunge che va alla testa — caput tamen tentare. Bello! quelle castagne che vanno alla testa... invece. Galeno, si capisce che non poteva digerirle e ne dice corna: Gastanœ sive elixentur, sive œstuantur, sine denique frigantur, semper sunt pravœ. Il che vuol dire comunque le ammaniate, sono porcherie. Plinio invece di visceri a prova di bomba, dopo aver detto che dai Greci i marroni erano chiamati Balani Sardi (da Balanos, ghianda) testifica che sono eccellentissime: — castanearum genere excellens; e che celerius transmittuntur che è quanto, di facilissima evacuazione. Virgilio, più sibarita, le mangiava col latte: Castanœ molles, et pressi copia lactis (Egl. 2). Tiberio adoperava la parola balanum per indicare i vegetali più saporiti. Anche i Romani adoperavano la castagna per farne la farina e pane, come si fa ancora oggidì presso alcune popolazioni. La castagna è da fuggirsi da chi patisce il mal di pietra, soffra di ernie o vada soggetto a coliche. Francesco Gallina, medico Piemontese, forse da Cuneo che fioriva all'alba del secolo XVII raccomanda di mangiare le più grosse, — perchè sono migliori di tutti li marroni, e se per lungo tempo si conservano si fanno più saporiti. E suggerisce alle ragazze bionde, di adoperare il decotto delle loro buccie per conservare il dorato dei loro capelli. È voce di scienza popolare, che mangiando le castagne crude, si popoli la capigliatura di cavalieri erranti. Raccolgo per ultimo la spiegazione chi mi fu data da un R. Padre Oblato di S. Sepolcro a Milano sulla espressione: far marrone. Egli dunque mi diceva, che viene da questo, che chi mangia i marroni difficilmente lo può nascondere e ne è quasi sempre sorpreso. Tutto per quello scandaloso matrimonio col Dio Eolo.
, soggiunge che va alla testa — caput tamen tentare. Bello! quelle castagne che vanno alla testa... invece. Galeno, si capisce che non poteva digerirle e
Pianticella erbacea perenne, indigena, originaria delle Indie. Vuole terreno sciolto, fresco, concimato con materie vegetali, preferisce esposizione non molto soleggiata. Si moltiplica per rampolli. Se ne conoscono 9 varietà. Quella coltivata da noi è la bifera, spontanea dei nostri boschi e monti. Il suo nome dal secchio verbo latino fragare, (odorem emitio fragando) olezzare, d'onde la parola fragrantia e la nostra fragrante. Nel linguaggio dei fiori: Bontà perfetta, Delizia. Tutti conoscono, la bellezza graziosa, la bontà salubre, il delicato profumo di questo primo bacio del sole alla terra. È uno dei frutti più preziosi, che abbondanti e spontanei, somministrano i nostri monti. L'artificiale coltura ben riescì a produrne di più appariscenti e grossi e ad acclimatarne di esotici, come la Grandiflora del Surinam e la Chiloensis od Ananas (introdotta in Italia nel 1774 dal maresciallo conte Della Torre, di Rezzonico, castellano di Parma, ecc.) dell'America — ma non ad eguagliare le modeste, non meno, che soavissime fragole che apporta alla città la graziosa montanina. Si mangiano sole, con zuccaro, rhum, vino e latte, il quale è da sconsigliare perchè gli acidi del frutto facilmente lo coagulano. È molto digeribile la fragola, ma poco nutriente. Con opportuni processi se ne fabbricano conserve, sciroppi, per gelati, ecc un liquore vinoso ed un'aqua distillata usata come cosmetico e come aromatizzante. La radice, i gambi e le foglie ànno virtù astringente e può usarsene il decotto, nelle diarree e nell'ernaturia. Il dott. Klekzinsky di Vienna insegna che colle foglie della Fragaria sylvestris raccolte tosto dopo la maturanza del frutto, ed essicate al sole, o leggermente torrefatte, se ne ottiene un infuso verdastro di odore gradevole, di sapore astringente, che ricorda il tè e che fornisce una piacevole bevanda dietetica (W. Med. Wochenscrift, 1885) È da fuggirsi la fragola dai paralitici e da quelli che soffrono disturbi cardiaci, erutazioni, pirosi. L'uso smodato provoca eruzioni diverse alla pelle. Lobb osservò che diminuisce i calcoli e Linneo che scioglie il tartaro dei denti, che egli stesso guarì dalla gotta col suo uso e ne scrisse una dissertazione De fragaria vesca. Ma lo svedese Cullen non gliela mena buona nel suo trattato di Materia medica. Geoffroy compendia in queste parole le virtù della fragola: «Fraga refrigerant, sitim sedant, œstum ventriculi compescunt, alvum emolliunt, urinam provocant, arenulas expellunt, parum nutriunt, fugacemque alimoniam corpori exibent.» La fragola venne in ogni tempo tenuta in conto di frutto miracoloso. Non vanno d'accordo i Greci nel suo nome e cognome, ma ne parlano Dioscoride e Teofrasto con ammirazione. Myrepsi Alessandrino ne scrisse le glorie in 48 capitoli, tradotto ed illustrato da Leonardo Fuchsio e stampato a Basilea nel 1549. Virgilio nell'Egl. 3 non la dimentica: Qui legistis flores et umi nascentia fraga. Nè la dimentica quel sibarita d'Ovidio: Mollia fraga leges. Murat, il brillante delle battaglie napoleoniche, amava le fragole col sugo d'arancio.
ogni tempo tenuta in conto di frutto miracoloso. Non vanno d'accordo i Greci nel suo nome e cognome, ma ne parlano Dioscoride e Teofrasto con
Il pepe lungo (piper lungum, macro piper) nasce nel Bengala e nelle Isole Molucche, à gettini lunghi un pollice circa, grossi come una piccola penna da scrivere di color cenere. Il loro sapore è più acre e meno grato del pepe nero e di un odore perfettamente simile. Entra nella composizione di alcuni elettuarj, ma il consumo maggiore si fa dagli acetai, i quali lo infondono nell'aceto debole per renderlo acre. Gli Indiani poveri lo macerano nell'aqua e così reputano renderla stomatica. Ne mettono pure in conserva i racemi immaturi nella salamoja e serve loro a tavola e nelle insalate. Venne pure chiamato pepe lungo il nostro peperone. Il pepe della Giammaica, o pimento degli inglesi, o pepe garofanato, è della grossezza d'un pisello, d'un color grigio rossastro, rugoso. À odore aromatico analogo a quello della canella e del garofano, sapore piccante quanto il pepe. Questa droga è di gran uso nei paesi caldi in Germania ed in Inghilterra per condire le vivande ed è uno dei principali ingredienti per la composizione delle spezie. Quello che si usa sotto il nome di pepe di Cajenna (1), non è altro che il seme e la capsula seminale di una pianta selvaggia del Sud dell'America, che è coltivata nelle Indie e che si chiama Capsicum baccatum, annuum et fructescens. Poche sostanze fino dai tempi remotissimi furono oggetto di tante falsificazioni quanto il pepe. Una buona regola è quella di comperar sempre pepe in grana, e di polverizzarlo da voi a norma del bisogno, valendosi di quei piccoli macinatoi di pepe, oggi molto diffusi. Per falsificare il pepe nero servono farine d'ogni genere, segatura di legno, panelli oleosi, terre, gesso, ecc. Il pepe bianco si usa renderlo più pesante stacciandolo insieme a gomma, amido, calce, gesso, biacca, ecc. Nè solo si falsifica in polvere ma pure in grani, e ciò abilmente con semi, argilla, gesso e polvere di pimento in Inghilterra, in Germania e in Francia. A Parigi, lo afferma Chevallier, v'à una fabbrica che produce annualmente 1500 chilogrammi di una miscela che si vende unicamente per adulterare il pepe. Riesce facile riconoscere il falso pepe in grana, mettendolo nell'aqua, che allora i falsi grani vanno prontamente al fondo e si sciolgono in poltiglia. Il pepe è un'aroma potente e popolare che condisce la minestra del povero e rende pizzicanti gli intingoli del ricco. Eccita la salivazione, favorisce la digestione, ma irrita preso, smodatamente, gli intestini delicati. È veleno per gli emorroidarj, gli erpetici, conviene ai flemmatici. Da Aristotile, Egineta, Dioscoride, Serapione, era tenuto avente benefici effetti sulla vista e nei giramenti di capo. Se non rinfresca, scioglie ed abbassa molti umori e non è del tutto stramba la lezione della scuola Salernitana:
riconoscere il falso pepe in grana, mettendolo nell'aqua, che allora i falsi grani vanno prontamente al fondo e si sciolgono in poltiglia. Il pepe è un'aroma