Il pepe fu per molto tempo il principale oggetto del commercio dell'Europa coll'India. Fino dalla più remota antichità era droga molto in uso e tenuta in conto di cosa preziosa. Al tempo di Plinio si vendeva a peso d'oro e d'argento — abbiamo ancora il proverbio: caro come il pepe, il che allude al valore che una volta aveva. Il pepe serviva di imposta ai vinti come oggi i miliardi. Ebbe l'onore di servire di riscatto a Roma e nel medio evo ancora, col pepe si pagavano molti tributi e molte imposte. Il nostro popolo à sul pepe i proverbi: Var pussee una grana depever che una zucca — Metteg sù el pever, veg sù el pever, rincarire — essere caro. Vess una grana de pever, piccino di corpo, ma d'intelletto acutissimo.
ancora, col pepe si pagavano molti tributi e molte imposte. Il nostro popolo à sul pepe i proverbi: Var pussee una grana depever che una zucca — Metteg sù
il suo nome da Bresic, cavolo. È la pianta erbacea, annuale indigena che tutti conoscono. Vuole terreno lavorato, esposto, teme più il caldo che il freddo. Nel linguaggio delle piante: Cecità. Ve ne sono tante varietà, di precoci e di tardive. Le precoci si seminano in febbraio e marzo per averli nella state, le tardive in aprile e maggio, si trapiantano in agosto, si raccolgono in autunno e nel verno; a salvare i cavoli dal bruco (gattine) circondarli da striscie di fusti di canapa. i semi del cavolo mantengono la loro virtù germinatrice per 6 e più anni. La varietà del Gambùs (forse dal francese Choux Cabus) Brassica oleacera capitata, è meno saporita. Anche del Gambùs molte varietà. È distinto quello detto Cavolo Cappuccio di Schweinfurth a testa enorme, a fusto cortissimo — merita d'essere introdotto da noi per la sua straordinaria grossezza, precocità e certa squisitezza. Non è a metter da parte quello di Bruxelles a getti e a mille teste, che à fusto elevato, intorno al quale sporgono tante verzette, ricercate per delicatezza di gusto in minestra, o per guarnizione. In Lombardia il paesello di Verzago, ripete il suo nome dalle verze che vi abbondavano saporite e rigogliose. Molto stimati in Francia i choux de Milan (B. ol. Bullata). Il cavolo si mangia in cento maniere — nelle minestre — nelle zuppe — in insalata — si mette negli intingoli — serve ad accompagnare i salsicciotti — a far polpette — si condisce come gli spinacci all'olio, al burro aggiungetevi delle bacche di ginepro — se ne fa la così detta versata. Il cavolo è più saporito quando à sentito i primi freddi. Non si deve tagliare col coltello, ma strappare le foglie colle mani, perchè il ferro gli toglie sapore e comunica cattive qualità. Troppo cotto è tenuto come indigesto e flattulento. Ama molto il burro e specialmente il lardo, va d'accordo colla carne di porco. Iacopo Albertazzi vuole che i cavoli si conservino meglio e più saporiti a seppellirli nella terra coll'occhio e le foglie rivolte all'ingiù e le radici all'insù (lib. III, 54). Da solo il cavolo vale niente, onde il proverbio: El var un càvol, una sverza, per dire che vale nulla. I cavoli crudi servono alla preparazione di quelli erbacei fermentati che si conservano e si mangiano chiamati SauerKraut (erba acida) cibo prediletto dei Tedeschi e del quale Marziale:
var un càvol, una sverza, per dire che vale nulla. I cavoli crudi servono alla preparazione di quelli erbacei fermentati che si conservano e si
si fa nascere su letto caldo e si trapianta in aprile in luna vecchia. Avvene molte varietà: Il bianco grosso, da insalata, il piccolo, per aceto, il giallo precoce, il tondo a pelle ruggine ricamata, che à carne fina bianchissima, il verde lungo inglese, quello d'Atene, ecc. Il citriolo à odore suo proprio, raccogliesi il frutto acerbo, o mal maturo, e ridotto in fette si mangia in insalata con olio, aceto, sale e pepe. I piccoli si mettono in conserva nell'aceto, per mangiarli colla carne a lesso. I citrioli, per molti sono indigesti, per molti altri, rinfrescanti. Se cotti amano il lardo. Si fanno farciti come le zucche e servono come guarnizione. Dei citrioli tutti ne dissero male. Fu sempre reputato un cibo difficile a digerirsi. Galeno voleva che si abolisse dai cibi dell'uomo, come la più iniqua delle vivande, e Plinio asseriva che gli restava sullo stomaco fino al giorno dopo. Nerone ne era ghiottissimo e Tiberio ne mangiava ogni giorno, ma cotti. I milanesi per dire che una cosa vai poco, ànno il proverbio: la var trii cocùmer e un peveron. E per dare dell'imbecille ad alcuno lo chiamano un cocùmer. I citrioli erano una delle dolci rimembranze egiziane degli Ebrei nel deserto. Una ricetta di Dumas:
. Nerone ne era ghiottissimo e Tiberio ne mangiava ogni giorno, ma cotti. I milanesi per dire che una cosa vai poco, ànno il proverbio: la var trii
Il suo nome da Bresic, cavolo. È la pianta erbacea, annuale indigena che tutti conoscono. Vuole terreno lavorato, esposto, teme più il caldo che il freddo. Ve ne sono tante varietà, di precoci e di tardive. Le precoci si seminano in Febbraio e Marzo per averle nella state, le tardive in Aprile e Maggio si trapiantano in Agosto, si raccolgono in Autunno e nel verno ; a salvare i cavoli dal bruco (gattine) circondarli da strisce di fusti di canapa. La varietà del Gambus, (forse dal francese Choux Cabus) Brassica oleacera capitata è meno saporita. Anche del Gambus molte varietà. È distinto quello detto Cavolo Cappuccio di Schweinfurth a testa enorme, a fusto cortissimo - merita d'essere introdotto da noi per la sua straordinaria grossezza, precocità e certa squisitezza. Non è a metter da parte quello di Bruxelles a getti e a mille teste, che à fusto elevato intorno al quale sporgono tante verzette, ricercate per delicatezza di gusto in minestra, o per guarnizione(1). Il cavolo si mangia in cento maniere - nelle minestre - nelle zuppe - in insalata - si mette negli intingoli - serve ad accompagnare i salsicciotti - a far polpette - si condidisce come gli spinacci all'olio, al burro - se ne fà la così detta verzata. Il cavolo è più saporito quando à sentito i primi freddi. Non si deve tagliare col coltello, ma strappare le foglie colle mani, perchè il ferro gli toglie sapore e comunica cattive qualità. Troppo cotto è indigesto e flattulento. Ama molto il burro e specialmente il lardo, va d'accordo colla carne d'animale. Da solo il cavolo vale niente - onde proverbio: El var un càvol, una sverza, per dire che val nulla. I cavoli crudi servono alla preparazione di quelli erbacei fermentati che si conservano e si mangiano chiamati Sauer-Kraut (erba acida) cibo prediletto dei Tedeschi se del quale Marziale :
lardo, va d'accordo colla carne d'animale. Da solo il cavolo vale niente - onde proverbio: El var un càvol, una sverza, per dire che val nulla. I
Varrone dice che cucumis viene da cucumeres a curvitate dictos, quasi circumvimeres, cioè che desumono il nome della forma. Nel linguaggio dei fiori: goffaggine. È pianta annale originaria dall'Oriente o meglio dalle Indie. Ama bon terreno a mezzodì, larghe irrigazioni. Ad ottenere grossi frutti si svetta la pianta dopo fiorita. La semente si fa nascere su letto caldo e si trapianta in Aprile in luna vecchia. Avvene molte varietà: Il bianco grosso, da insalata, il piccolo, per aceto, il giallo precoce, il tondo a pelle ruggine ricamata, che à carne fina bianchissima, il verde lungo inglese, quello d'Atene, ecc. Il citriolo à odore suo proprio, raccogliesi il frutto acerbo o mal maturo e ridotto in fette si mangia in insalata con olio, aceto, sale e pepe. I piccoli si mettono in conserva nell'aceto, per mangiarli colla carne a lesso. I citrioli sono molti indigesti — cotti i citrioli non lo sono, e si fanno farciti come le zucche e servono come guarnizione. Dei citrioli tutti ne dissero male. Fu sempre reputato un cibo difficile a digerirsi. Galeno voleva che si abolisse dai cibi dell'uomo, come la più iniqua delle vivande, e Plinio asseriva che gli restava sullo stomaco fino al giorno dopo. Nerone ne era ghiottissimo e Tiberio ne mangiava ogni giorno, ma cotti. I milanesi per dire che una cosa val poco, ànno il proverbio: la var trii cocùmer e un peveron. E per dare dell'imbecille ad alcuno lo chiamano un cocùmer. I citrioli erano una delle dolci rimembranze egiziane degli Ebrei nel deserto. Num. 11.
var trii cocùmer e un peveron. E per dare dell'imbecille ad alcuno lo chiamano un cocùmer. I citrioli erano una delle dolci rimembranze egiziane degli