In Inghilterra, Germania, Svizzera e Francia i vegetariani proclamano, sia per principio di morale, o di religione, sia a scopo sanitario l'astinenza d'ogni sorta di carne. Invocano, in loro aiuto, la conformazione naturale dei denti e della mascella umana, e vogliono che l'uomo possa viver bene, anzi meglio e più lungamente, contentandosi puramente di quanto la Provvidenza fornisce nel regno vegetale. Abborro ogni disputa e lascio il mondo come l'ò trovato, tanto più, che l'esperienza mi convince, che ogni disputa non serve che a far perdere l'appetito, ci arrischia il regalo d'una malattia di fegato e poi ci lascia più cretini di prima. Nè, vo' soffermarmi un solo secondo alla questione dei denti e della mandibola umana. Se, da che mondo è mondo, si mangia carne e verdura, è segno che la Provvidenza ci à dato denti sì per l'una che per l'altra. Chi ama la carne non disprezzi il fratello che vuol nutrirsi di erba, e costui tolleri cristianamente che l'altro appaghi l'appetito col manzo e si divori delle costolette. La teoria e la pratica sono due sorelle che non si sono mai vedute e che forse, in questo mondaccio, sono destinate a non incontrarsi nè abbracciarsi mai. Peccato, perchè la prima è bella, affascinante, da far perder la testa, la seconda d'una bontà e d'una utilità impareggiabile! Ma lasciamola lì, che ognuno viva, dunque, a suo modo, in santa pace e che Domineddio ci benedica tutti!
fratello che vuol nutrirsi di erba, e costui tolleri cristianamente che l'altro appaghi l'appetito col manzo e si divori delle costolette. La teoria e la
In generale tutti gli erbaggi dell'orto che voglionsi conservare, devono essere raccolti di recente e ben maturi. Le piante e le radici succose si devono prima scottare, immergendole nell'acqua bollente per qualche minuto, poi conviene gettarle nell'acqua fresca, asciugarle e farle disseccare o al sole, o al forno; preferite il forno. Gli erbaggi si tagliano a pezzi, si mondano, e si dispongono su graticci, così preparati si mettono ad essiccare, e si conservano in luogo fresco e ventilato. I legumi che si essicano per l'inverno, spesso vengono avariati dagli insetti. A riparare tal malanno lavate i vostri legumi nell'acqua fredda appena colti, e fateli seccare perfettamente al sole. Tutti gli insetti già sviluppati nei legumi ne sfuggiranno e quelli che non lo sono ancora non si svilupperanno altrimenti. A cocere più presto le rape e le carote, devono essere tagliate per il lungo, e a far perdere l'odore troppo forte delle cipolle, pei delicati, sarà bene metterle per un momento nell'acqua calda salata, avanti cucinarle. Finisco con due parole sulla digeribilità. Quante calunnie si son dette, si dicono e si tramandano sul valore digestivo di questi eccellenti prodotti della vegetazione! Il tale, la tale non può digerire i fagioli, il citriolo, l'aglio, la cipolla, le castagne, ecc.; dunque sono indigesti, e si dà la colpa a questi poveri innocenti che nascono per la salute e conservazione nostra! Nè solo si accontentano, quel tale e quella tale di calunniarli, ma li proscrivono dalla loro casa e ne predicano l'ostracismo ai figli, ai parenti, agli amici e guardano biechi chi fa loro orecchie da mercanti. No, la colpa è dello stomaco di questi tali signori e di queste tali signore. Ma lasciateli, se vi fanno male, non diteli indigesti. Lo sono per voi, per altri sono invece tanta bona nutrizione e beata salute. Come abbiamo tutti una faccia nostra, così tutti abbiamo il nostro stomaco, che è un vero laboratorio chimico, una vera officina di acidi e di sughi chilifici. E chi ne à bisogno uno e chi un altro — a chi ne sopravanza di quantità, a chi ne manca di qualità; e l'istinto, il gusto, l'appetito, ci suggeriscono appunto ciò che ci è necessario ad equilibrare ed ordinare le funzioni del nostro individuo. Perchè voi siete brutto non vuol dire che tutti sieno brutti. Ah! quel benedetto io, che è padre dell'assoluto e dell'intolleranza!
. Perchè voi siete brutto non vuol dire che tutti sieno brutti. Ah! quel benedetto io, che è padre dell'assoluto e dell'intolleranza!
La Canella appartiene alla famiglia dei Lauri, è un albero sempre verde, ramosissimo (s'alza fino a 10 metri) del Ceylan, Borneo, Malabar e Martinica. È detta canella, quasi canna, del suo accartocciamento. Vien però chiamata Cinnamomo e Chiamo, che vuol dire legno odoroso. Quella del Malabar chiamasi pure Laurus cassia. La sua scorza, o corteccia, privata di epidermide e di sottostante tessuto è la droga da noi conosciuta sotto il nome di canella, che, verde sopra l'albero, diventa bruno-rossa essicando. À un odore aromatico, grato, penetrante, sapore caldo, piccante, zuccherino. Dà fiori in gennaio piccoli, numerosi, profumati, biancastri in pannocchia terminale. Si moltiplica per margote e da noi è vegetazione di serra calda. Nel linguaggio dei fiori e delle piante, significa: Adorazione. I giardini o boschetti di canella somigliano i nostri boschi cedui. Nel Goylan la raccolta ascende a 140 chilogrammi ogni anno. La canella del Ceylan, i cui principi attivi sono solubili nell'acqua e nell'alcool, è giornalmente impiegata nella medicina, nella farmacia e nell'economia domestica. Nella medicina si associa utilmente alla china, all'assenzio, ecc., nella debolezza di stomaco, nelle diarree croniche, nell'ultimo periodo delle febbri atassiche o di tifo, nella salivazione spontanea, ecc. I farmacisti apprestano con essa gran numero di preparazioni, un decotto, uno sciroppo, una tintura, un'acqua distillata, ecc. di uso assai frequente, e bene spesso per coprire l'odore ed il sapore disaggradevole di altri farmachi. Tutti conoscono l'uso che ne fanno i profumieri, distillatori, caffettieri, e i cuochi nel loro laboratorio gastronomico. La canella è droga che si unisce a molti manicaretti, sì di carne che di verdura e frutta. È eccitante, tonica, cordiale. In commercio generalmente si trova quella della China, di Sumatra, di Cajenna e del Malabar, ma quella del Ceylan (di un colore cedrino-biondo, corteccia sottile, ravvolta in sè), detta anche della Regina, è la più apprezzata di tutte. Dopo quella del Ceylan viene in secondo rango, per bontà, quella di Cajenna: quella della China è l'infima. Si falsifica mescolandola con qualità inferiori, o con false canelle, o vendendola già spoglia del suo aroma. Frodi più gravi si fanno colla canella in polvere, con farine, polvere d' altri legni, mattoni pesti, ocre, sabbia, ecc. Dalla canella si ricava un olio volatile, aromatico, che serve per liquori e confetture. Dai fiori pure e dalle foglie si estrae un'acqua spiritosa. Col nome di Cinnamomum, fu conosciuta dagli antichi ed era, fra le altre droghe, articolo di commercio ricercato e prezioso. Tutti gli autori ne fanno menzione. Salomone parlando alla sposa, nei Sacri Cantici, le dice:
. È detta canella, quasi canna, del suo accartocciamento. Vien però chiamata Cinnamomo e Chiamo, che vuol dire legno odoroso. Quella del Malabar
Il suo nome dal greco Daucus che vuol dire bruciare, perchè i semi della carota si ritenevano molto riscaldanti. Vuolsi originaria dalle sponde del Mar Rosso. Nel linguaggio dei fiori: bontà. È una radice indigena annuale succosa, carnosa. Oltre la selvatica, abbiamo la varietà bianca, rossa, violacea e gialla. Da noi specialmente si coltiva la rossa e la gialla, ma la più stimata di tutte è la bianca o moscatella, che sembra essere lo Staphylinos di Galeno e di Dioscoride. vuole terreno grasso e lavorato. Si semina alla fine di marzo, e il seme à virtù produttiva fino ai 5 anni e più. In ottobre e novembre si raccolgono le radici e si custodiscono entro la sabbia per gli usi domestici, oppure si lasciano nel terreno, purchè ben esposto e difeso dal gelo. Nella seguente primavera si ottiene la semente. In Inghilterra e nel napoletano si coltiva in grande anche per foraggio ai cavalli. La carota è una verdura ricca di amido e di zuccaro, che dà un cibo sano ed aromatico, che ingrassa. Piccola o grossa, fresca o conservata, la carota è sempre sana, agisce direttamente sul fegato ed è di aiuto a conservare la bella ciera. Il Tanara, vuole che la parola carota venga dal latino caro optala, o da caro radix, perchè cotta in brodo nutrisce come la carne. Si fa cuocere colle carni per dar loro sapore, si mescola in molti intingoli, allegra la busecca milanese, serve di letto alle salsiccie, è la sorella, direi quasi la gemella, del Sedano: dove va l'uno, va quasi sempre anche l'altra. Si fa cuocere in acqua e brodo, tagliata a fettuccie, si condisce col burro ed è eccellente piatto di verdura, si mangia in insalata. Colla sua polpa se ne fanno puree e torte, entra in molte salse. Le foglie verdi servono ad allontanare le cimici, mettendole nel pagliericcio o strofinando con esse le lettiere. La carota infusa nell'alcool dà un liquore nominato Olio di Venere. Se ne può cavare un'acquavite migliore di quella dei cereali. I suoi semi sono aromatici e lievemente stimolanti. In Inghilterra se ne fa un grato infuso teiforme. Nel nord della Germania sono usati nella fabbricazione della birra, le danno maggior grazia e forza. Gli Arabi li adoperano per fare buon alito e ritengono che il loro aroma rafforzi le gengive. Plinio e Dioscoride dicono che la carota mette appetito. Fin dall'antichità si dava ai convalescenti. Areteo lo consigliava nell'elefantiasi. Più tardi ne usarono i medici contro il cancro e le ulceri, nell'asma, nella bronchite, fino nella tisi. È rimedio volgare nelle scottature. Esternamente, la polpa si usa raschiata cruda: internamente, il roob, lo sciroppo. In Turchia se ne preparano col suo succo biscotti e pane in polvere per i bambini.
Il suo nome dal greco Daucus che vuol dire bruciare, perchè i semi della carota si ritenevano molto riscaldanti. Vuolsi originaria dalle sponde del
Il che vuol dire: comunque le ammaniate, sono porcherie. Plinio invece, di visceri a prova di bomba, dopo aver detto che dai Greci i marroni erano chiamati Balani Sardi (da Balanos, ghianda) testifica che sono eccellentissime:
Il che vuol dire: comunque le ammaniate, sono porcherie. Plinio invece, di visceri a prova di bomba, dopo aver detto che dai Greci i marroni erano
Phaseolus dal greco Phaselos, navicella, alla cui torma s'avvicina il fagiolo. Il Tanara, dice che la parola fagiolo è dal latino phaseolus, perchè pervenne da Phaso, un'isola di Grecia. Pianticella annuale fecondissima e originaria dalle Indie Orientali, che dà il legume indigeno del fagiolo. Prospera nei terreni freschi e sostanziosi, ma viene quasi dovunque. Teme il freddo e perciò si semina tardi in aprile, e, nei terreni forti, anche in maggio. Sono tre le varietà principali: l'arrampicante, il nano ed il fagiolo dell'occhio. La varietà di Spagna (Phaseolus multiflorus) arrampicante, à grossissimi frutti violetti o bianchi saporitissimi, si può seminare da metà luglio a metà agosto, produce fino ai primi geli. Fra i nani, avvi il primaticcio (Phaseolus nanus), eccellente. Pregiato e saporito è anche il tondo (Phaseolus sphaericus), detto da noi borlott. La prima brina uccide il fagiolo. Dei fagioli si mangiano i semi freschi e secchi, e l'involucro loro, quando sono immaturi, che sono i cornetti (fagiolini). Questo legume nutriente, fornisce grande tributo alla cucina, ma è più o meno flatulento a seconda della qualità, quantità e degli stomachi. Vuol essere ben cotto, e cocetelo in acqua piovana o mettetevi della cenere. I migliori sono i verdi e teneri. Colla farina del fagiolo, si tentò farne del pane, mescolandola a quella di frumento, ma riesce pesante, compatto, indigesto. Cotto il fagiolo, passato allo staccio e liberato dalla buccia, è digeribile assai, perchè è la buccia la parte indigesta. Il fagiolo accompagna il riso, e fa l'allegria del minestrone, è d'ornamento gratissimo alle salsiccie, ai piatti d'umido, se ne fa eccellenti flan, punto indigesti. Il fagiolo non ama molto condimento, perchè secondo il parere della Cuciniera di M. Francisque Sarcey, porte son beurre avec lui. L'insalata di fagioli è per gli stomachi robustissimi. I cornetti si mangiano cotti con burro, panna e insalata. Si mettono in aceto come i citrioli. I cornetti si devono scegliere teneri, piccoli, senza grani già formati. i fagioli sono conservati nello stato di loro squisita succolenza, se vengono colti pri ma della loro perfetta maturità e se si fanno essicare all'ombra, nel loro guscio ed al sicuro d'ogni umidità. Virgilio nella Georgica,I, lo mette fra i cibi da villano:
nutriente, fornisce grande tributo alla cucina, ma è più o meno flatulento a seconda della qualità, quantità e degli stomachi. Vuol essere ben cotto, e
Vicia da vincia, che si attorciglia, o con più ragione dal greco faga, mangiare, perchè gli antichi ne mandavano prima d'ogni altro legume. La fava è legume annuale, originario del mar Caspio e della Persia. Vuol terreno argilloso, sostanzioso, a mezzodì. Si semina d'autunno a febbraio. Due varietà: la invernenga e la marzuola detta cavallina, più piccola. Celebre la fava di Nizza. Nel linguaggio dei fiori: Corbellare. La fava fresca, da noi si chiama bagiana, si mangia in minestra. Essa si macina e serve anche pel bestiame, e conserva la virtù germinante per sei anni. La fava è feculenta e flatulenta, deve essere mangiata di rado e tenera. La fava specialmente secca, è cibo da carrettiere. È il più grosso dei nostri legumi mangerecci. Gli inglesi dicono che tutti i feculenti fortificano, la fava più d'ogni altro, e quegli agricoltori ànno un proverbio che dice: Cavallo che mangia avena parte bene, ma quello che mangia fave ritorna meglio. I gusci delle fave sono diuretici: 200 grammi di questi in un litro d' acqua, bolliti per due o tre ore, danno uno dei più lenti diuretici. I fiori sono ottimi per le api. Le fave secche si mettono a cocere in acqua fredda. Le galline che mangiano le fave, fanno l'ovo col guscio molto fragile.
legume annuale, originario del mar Caspio e della Persia. Vuol terreno argilloso, sostanzioso, a mezzodì. Si semina d'autunno a febbraio. Due varietà
Fig. — Spagn.: Heigo. Il Fico è albero a foglie caduche, che cresce spontaneo nel mezzodì d' Europa. Viene in tutti i terreni, desidera posizioni calde, soleggiate, asciutte, difese dai venti, teme sopratutto i balzi di temperatura. Si propaga per margotte, polloni, tallee. Non ama essere tagliato, perchè avendo tessuto a fibre rade, facilmente ne soffre per l'acqua che vi può penetrare, e quando è necessario bisogna ricoprire il taglio con mastice, catrame, ecc. Comincia a dar frutto il terzo anno. Se ne conoscono 62 varietà, tra le quali, alcune non mangiabili e velenose. Il nome di Fico, dal greco phyo, produrre, a cagione della sua fecondità, e nel linguaggio delle piante significa pure: Fecondità. I fichi primaticci sono chiamati fioroni, e sono i frutti il cui germe era già sul ramo nell'autunno precedente. Maturano in luglio, e sono meno saporiti dei tardivi ed autunnali. Tranne un gran gelo, il fico dà un prodotto quasi sicuro. In Italia e negli altri paesi meridionali, dà un frutto che è un vero sciroppo fisso e profumato. Per farlo essicare, scegliere le varietà precoci. L'essicamento al forno, lo rende meno bello e meno saporito. Il fico frutto, contiene il 65 per cento d' acqua. Nell'Africa e nel Levante vi sono piante che danno fino a 300 chilogrammi di fichi. In China è chiamato cheudze; fresco, à il colore dell'arancio; secco, prende la forma rotonda e s'infila, come da noi il rosario; si conserva dolcissimo e prezioso per i viaggi. I rami teneri del fico e le sue foglie staccate dalla pianta, come pure il gambo del frutto immaturo, al luogo della rottura tramandano un sugo bianco, lattiginoso, che è alquanto corrosivo, e serve a cagliare il latte, e come rimedio volgare a guarire i porri della pelle. Il legno del fico è assai leggero e s'adopera per certe particolari industrie. Le foglie rigide e di un verde carico, sono adatte a pulire i vetri ed i cristalli. La decozione di dette foglie, ridona il colore alle stoffe di lana, scolorate per arature. Il Sicomoro, sul quale è salito il piccolo Zaccheo per vedere Gesù, è la varietà fico moro, o fico d'Egitto e di Faraone. È altissimo, cresce a Rodi, nella Siria ed in Egitto, dove è indigeno. Dà frutti dolciastri, tre o quattro volte l'anno. Il Fico si mangia fresco ed essicato ed è sempre cibo nutriente, sano e pettorale. Sono celebri quelli di Calabria, Sicilia e Smirne. Si usa mangiarlo col prosciutto, col salame. Se ne fa ghiotta frittura, imboraggiandoli sbucciati, con ova e pane. Se ne fa perfino salame. La buccia è indigesta, onde il proverbio: All'amico pela il fico e la persica al nemico. Frate Ambrogio da Cremona asseriva che perchè il fico sia meritevole da portarsi in tavola, dev' essere perfetto, cioè deve avere il collo torto, l'abito stracciato e l'occhio lagrimoso. Per la colazione sceglieva quelli che la mattina per tempo trovava bucati dagli uccelli. Forse da lui quel proverbio: Il fico vuol avere collo da impiccato e camicia di furfante, che nel nostro dialetto suona cosi: El figh per vess bell, el dea vess lung de coll e rott de pell, perciò il Marino lo scrive col verso:
tempo trovava bucati dagli uccelli. Forse da lui quel proverbio: Il fico vuol avere collo da impiccato e camicia di furfante, che nel nostro dialetto
Il Ginepro è un arboscello che diventa anche albero dell'altezza di cinque, sei metri, sempre verde, indigeno, ama esposizione poco soleggiata, terreno leggero, esiste a qualunque freddo. Non vegeta bene in luogo umido, anzi vi perisce, vuol vivere e crescere nelle più aride ed alte montagne, fra ciottoli e pietre. Dà fiori giallicci in maggio cui seguono, sugli arboscelli femmine, frutti sferici piccoli di un azzurro nericcio, che maturano l'anno susseguente. Si propaga per seme ed innesto. I botanici ne contano 85 varietà, fra le quali il comunis che è quella dei nostri monti. Il suo nome dalla radicale celtica nup, che significa aspro, ruvido. Nel linguaggio delle piante: Asilo, soccorso. Le sue bacche o frutti ànno un gusto aromatico, dolce-amaretto e contengono della vera tiberintina. Si usano in cucina per aromatizzare le carni, principalmente quelle che si vogliono conservare, come lingue, coppe, ecc. Si mettono nella salamoja, in salse e conce, e servono a dar gusto ai selvatici, e a far diventare tordi i merli. I tordi e le grive ne sono ghiottissimi e la loro carne à sapore di ginepro. Il liquorista ne usa per aromatizzare liquori, vini, birra. Se ne fa un estratto, un'acquavita di ginepro detta gin, molto in uso in Inghilterra; da noi se ne fa della buona sul bergamasco. Il ginepro dà un olio essenziale, di cui è ricchissimo, adoperato in distilleria e farmacia. Dai vecchi tronchi del ginepro geme una resina secca e trasparente, di odor soave che si brucia, nota sotto il nome di sandracca, la quale viene adoperata anche per fare una vernice liquida. Il legno, tenace assai e durevole, quasi incorruttibile, serve per molti lavori da falegname e intarsiatore. La medicina assegna alle sue bacche virtù toniche, stimolanti, diuretiche, diaforetiche, antierpetiche. Ne fa una infusione col vino e coll'acqua e le distilla, ne compone un rob attivissimo nelle inappetenze e flatulenze. Fanno parte di molti composti e segreti polifarmaci e costituiscono la base principale del vino diuretico Trousseau. Si usano le frizioni coll'olio contro i dolori reumatici e le contusioni. Bruciato il suo legno insieme alle foglie ed alle bacche dà una fiamma viva allegrissima, sparge una grata fragranza, serve a disinfettare camere e locali, ad allontanare le zanzare, e il cotone e le lane ben imbevute del suo fumo si applicano con frutto a doglie reumatiche e gottose. I montanari bruciano il ginepro alla vigilia di Natale per allegria. Le ceneri ànno pure virtù diuretica, dovuta ai sali che contengono. Giobbe, ridotto all'ultima miseria si lamenta che vien deriso anche da quelli che, miserabili alla lor volta, si cibavano perfino delle radici di ginepro. (Cap. 30, 4).
, terreno leggero, esiste a qualunque freddo. Non vegeta bene in luogo umido, anzi vi perisce, vuol vivere e crescere nelle più aride ed alte montagne, fra
Piccolo arbusto perenne a foglia caduca, che cresce spontaneo in molti paesi d'Europa, e singolarmente nei climi temperati e freddi. Viene in piena terra, vuol terreno fresco, sabbioso, sostanzioso, esposizione di tramontana, ombreggiata alquanto. Dopo 8-10 anni comincia a deperire. Da Maggio a Giugno à fiori rossi o bianchi, pelosi, in piccoli corimbi, ai quali succedono frutti rossi, vellosi. Si moltiplica dividendo le radici in autunno. È detto Rubus idoeus dal monte Ida dove i Greci, teste Dioscoride, asseriscono d'averlo scoperto i primi. Nel linguaggio dei fiori: Dolcezza di linguaggio. Deve essere colto appena sia maturo, perchè facilmente si guasta e cade. Il lampone è uno dei frutti più salubri e profumati; è succoso, rinfrescante, di sapore gratissimo. È suscettibile di fermentazione vinosa, acida alcoolica. Contiene un olio essenziale solubile nell'alcool e nel vino, ma non nell'acqua. Se ne fa sciroppo col succo solo; unendovi l'aceto se ne à l'acetosa che è gradevole e rinfrescante. Le foglie sono astringenti, i fiori diaforetici. I frutti si mangiano crudi col vino e la panna, collo zuccaro se ne compongono conserve, sorbetti, gelatine, ecc. Si candiscono, danno profumo ad acquavite e liquori — se ne fa aceto e si adoperano per aggiunger forza e fragranza a quello di vino. Il nome di Fambros viene da Ambrosia per il grato sapore che lascia in bocca. Dai Romani era chiamata Mora Vaticana e la mangiavano condita di molto zuccaro.
terra, vuol terreno fresco, sabbioso, sostanzioso, esposizione di tramontana, ombreggiata alquanto. Dopo 8-10 anni comincia a deperire. Da Maggio a
La Lattuga prende il nome dal succo lattiginoso che contiene. È pianta erbacea annuale, di patria ignota. Vuolsi sia originaria dall'India e dall'Asia centrale. Ve ne sono 3 varietà. Da noi se ne coltivano due, la comune e la romana. Vuol terra leggera ben lavorata e grassa e frequenti irrigazioni. Si semina da Marzo a Settembre, e la si preserva dai freddi coprendola; i semi ànno virtù fino ai 5 anni. S'imbianca come l'endivia. Il suo seme migliore è quello di due anni. Nel linguaggio dei fiori: sonno. Fu sempre conosciuta la sua azione soporifera, la quale risiede principalmente nei nervi della foglia. Galeno ne mangiava tutte le sere per procurarsi il sonno. Dioscoride e Celso l'avevano come succedaneo dell'oppio, ed è forse per questa sua proprietà d'addormentare che venne chiamata Erba dei Filosofi. Era opinione che la lattuga accrescesse il latte alle nutrici, e ciò si crede anche oggi. Pitagora la chiamò Eunachion. La lattuga fu dai romani consacrata a Venere e pochi di loro per rispetto alla Dea ne mangiavano. Era tradizione che Venere dormisse al fresco nella lattuga. Adone ucciso da un cinghiale venne seppellito sotto la lattuga. Marziale scrive che la si mangiava dopo cena, per dissipare i vapori del vino. Svetonio ci tramanda che Augusto decretò una statua al suo medico Antonio Musa perchè costui colla lattuga lo guarì dalla ipocondriasi. In ogni tempo fu creduta verdura refrigerante e debilitante. La lattuga a poco a poco era caduta in dimenticanza tale che non era neppure più coltivata verso la fine del 1600. Alcuni medici vollero emulare il Musa di Augusto. E Lanzoni la vantò contro l'ipocondria. Breteuil nelle convulsioni, Gouan nella nefrite e nell'itterizia, Schelinger nell'angina di petto, Brassavola nell'idropisia, Hudellet nelle febbri intermittenti, terzane, quartane, ecc.; insomma una specie di manna. Oggi si mangia in insalata e si mette nelle zuppe e negli intingoli diversi. Si crede che non lavata, la lattuga sia più saporita. Non va tagliata col coltello, a meno che la lama sia d'argento, ma si deve lacerarla colle dita. Colla lattuga si accompagnano assai bene le ova sode. Il proverbio dice:
'Asia centrale. Ve ne sono 3 varietà. Da noi se ne coltivano due, la comune e la romana. Vuol terra leggera ben lavorata e grassa e frequenti irrigazioni
Il lauro, o alloro, è un albero sempre verde, il solo della numerosa famiglia dei Lauri che sia indigeno in Europa. Nasce spontaneo sui nostri colli e allieta le amene sponde dei nostri laghi. Si moltiplica per palloni e semi, vuol terreno fresco e grasso. Del lauro se ne contano ben 32 varietà. L'origine del suo nome è celtica, e significa verde. Nel linguaggio delle piante è: Gloria, Trionfo. Le foglie anno uso speciale nell'igiene alimentare, servendo ad aromatizzare vivande, frutta, carni, specialmente di pesce, da conservare essicati. Si innestano agli uccelletti invece della salvia, si unisce all'anguilla, alle salsiccie. Servono a dar sapore ai marinati di pesce e alla gelatina d'animale. Sopra le foglie d'alloro si pone la cotognata ed un ramoscello d'alloro acceso e messo entro lo strutto bollente gli porge aroma e lo toglie dal pericolo d'irrancidire. Conserva pure i fichi secchi ai quali s'inframmette. Il decotto d'alloro sparso in terra, scaccia i tafani e le foglie messe tra i libri, di quei letterati che non li aprono, li difendono dal tarlo — tale il precetto di un conservatore di Biblioteca. Le foglie, e più sfregandole, anno odore forte, piacevole,, canforato, sapore aromatico-amaro. Ardono schioppettando con fiamma viva, con fumo denso, diffondendo grata fragranza. Contengono olio etereo ed una materia estrattiva amara] sono perciò toniche, eccitanti, sudorifere, emmeaagoghe, e si vantano contro l'atonia dello stomaco, le flatulenze intestinali, i catarri cronici, le paralisi e l'idrope. Le bacche sono più attive delle foglie. Se ne fecero tisane, decotti, polveri e pillole allo stesso scopo. Ma il prodotto più importante è l'olio laurino che se ne estrae ad uso principalmente veterinario. All'uomo si applica esternamente per paralisi, reumatismi. Ammaccando le bacche grossolanamente se ne fa un decotto saturo per pediluvi contro i sudori estivi e giova assai per quelli che hanno i pee dolz, cioè per quelli ai quali torna molesto il camminare. L'alloro, onor d'imperatori e di poeti, godeva anticamente un concetto quasi religioso e superstizioso. Era consacrato ad Apollo, dio sempre giovane, biondo ed imberbe. Dai Greci veniva chiamato Dafne, perchè una certa Dafoe, una crestaina di quei tempi, essendo perseguitata da Apollo, si rivolse agli Dei chiedendo protezione, ed essi, non potendo far altro, la cambiarono in lauro, che poi essendosi accorto Apollo, se la mise in forma di corona sulla sua bionda parrucca e ne recinse pure le sue famose nove pettegole di Muse. Porfirio, filosofo, asserisce che gli antichi traevano i presagi del lauro se abbruciando crepitava assai era buon augurio e portava felicità — se no — brutto segno ! Per cui Tibullo (lib. II, Eleg. V) dice:
e allieta le amene sponde dei nostri laghi. Si moltiplica per palloni e semi, vuol terreno fresco e grasso. Del lauro se ne contano ben 32 varietà. L
Pianticella annuale originaria della Mesopotamia, che dà il noto legume coltivato molto in Francia e nel Vallese. Vuol terreno sciolto, asciutto, non molto grasso.
Pianticella annuale originaria della Mesopotamia, che dà il noto legume coltivato molto in Francia e nel Vallese. Vuol terreno sciolto, asciutto, non
. Il che vuol dire: il limone tiene lontano il medico e le malattie. Esternamente, il limone si adopera come astringente, rubefaciente, antigangrenoso, nella cefalgia. Poche goccie nell'acqua costituiscono un collirio semplice ed utilissimo nelle oftalmie. Coi semi fanno emulsioni per affezioni isteriche e nervose. Ammaccati e bolliti nell'acqua e nel brodo costituiscono un apiretico infallibile e sicuro nelle febbri intermittenti. Dal limone si cava l'acido citrico scoperto da Scheele nel 1784, che riscaldato coli' alcool ed acido solforico dà l'etere citrico. L'acido citrico si prepara in grande specialmente in Inghilterra per le arti tintorie. Serve agli stessi usi del succo, in modo da fare una limonata estemporanea alla dose di 1 grammo o 2 con 30 di zuccaro in 500 litri d'acqua, aggiungendo qualche goccia di essenza di cedro o d'arancio. L'acido citrico serve pure alla fabbricazione delle polveri di Seltz, ecc. L'acido del sugo di limone rode la carie dei denti. Ricchissima di aroma è la sua pellicola gialla, detta Zeft, che pure si adopera in cucina raschiandola e levandola leggermente, perchè la parte bianca, oltre non avere aroma, à sapore molto amaro. I Milanesi danno del limon a chi è furbo senza darsene per inteso, e del limon senza sug ad uno sciocco.
. Il che vuol dire: il limone tiene lontano il medico e le malattie. Esternamente, il limone si adopera come astringente, rubefaciente
Il Màndorlo è pianta indigena a foglia caduca, originaria dell'Asia e precisamente della Siria e Barberia. Climatologicamente, occupa il posto tra la vite e l'ulivo. Ama il caldo, terre leggere e calcaree — languisce e muore nelle forti. — Si propaga per seme ed innesto su sè stesso. Nasce spontaneamente nella Sicilia, Spagna, Provenza, a Tripoli e Marocco, vegeta con prosperità sulle riviere di Genova. Fiorisce in Marzo ed Aprile, teme le brine ed il freddo. Se ne contano 9 varietà. La migliore è il màndorlo fino o princesse, il cui guscio si rompe colle dita. Alcune di queste varietà ànno frutto dolce, altre amaro, ma dall'albero mal si distingue il sapore del frutto. La maturanza si riconosce dall'aprirsi del pericarpo carnoso, il quale serve pel bestiame. Il suo nome dall'ebraico suo appellativo che significa vigilante, perchè è il primo albero che si risveglia, e perciò in linguaggio delle piante significa: storditaggine. L'uso della màndorla a tavola è assai svariato. Sì verde che secca, si mangia come frutta da dessert al cui scopo la più ricercata è la qualità detta saccarelle. Si confettano, se ne fanno varie paste dolci, fra cui l'orzata o semata di mandorle dolci che serve alla preparazione di una notissima bevanda. In Provenza si fanno essiccare al forno e sono di un sapore gustoso. Entrano nel torrone, nei biscotti, marzapani, crocanti, ecc., dove si mischiano pure le amare. La màndorla si pela sempre e, se secca, lo si fa facilmente immergendola nell'acqua bollente. Anche delle dolci l'epidermide che riveste i semi, giallognola se verdi, imbrunita se essiccati, à qualche cosa d'indigesto e di acre. Conservata a lungo la màndorla irrancidisce e per conservarla nella state, vuol essere di quando in quando esposta all'aria. Colle màndorle amare si fa una pasta che tiene morbida la pelle delle mani e del viso delle donnine, cosmetici e saponi. Le amare schiacciate o pestate, uccidono il pollame ed i volatili. Una volta si credeva fossero antidoto all'ubbriachezza. Plutarco riferisce che il medico Druso, fratello di Tiberio, tremendo bevitore, gli faceva inghiottire ad ogni bicchiere di vino, cinque màndorle amare, onde mitigarne gli effetti, ma pare che quel furbo di Druso le mangiasse per eccitare la sete, dicendo Eupoli che fanno venir voglia di bere:
. Conservata a lungo la màndorla irrancidisce e per conservarla nella state, vuol essere di quando in quando esposta all'aria. Colle màndorle amare si fa una
Il che vuol dire, che essi, aperta una màndorla, vi scrivevano alcun che, e rinchiusala di nuovo la seminavano ben concimata, e le màndorle che faceva quell'albero erano altrettante edizioni di quella scritta. Se non credete pigliatevela con Palladio. Un proverbio dice:
Il che vuol dire, che essi, aperta una màndorla, vi scrivevano alcun che, e rinchiusala di nuovo la seminavano ben concimata, e le màndorle che
Pianticella gramignacea annuale, originaria delle Indie. Se ne contano 3 varietà, secondo il colore del seme, bianco, gialliccio e nero. Da noi si coltiva solamente il gialliccio, e vuol terreno sciolto, pingue, solatio. Si semina, raro, in giugno e luglio, dopo la messe. Si chiama miglio, dai mille semi che produce. Anche il miglio dà farina per alimento. Lo stesso nome antico di panicum, indica che serviva a far pane. Da noi si dice ancora pan de mej, perchè una volta anche da noi se ne usava, onde il sonetto del Burchiello: Perchè a Milan si mangia pan di miglio ? Plinio al lib. 28, cap. 10, dice:
coltiva solamente il gialliccio, e vuol terreno sciolto, pingue, solatio. Si semina, raro, in giugno e luglio, dopo la messe. Si chiama miglio, dai
NB. L'olio ci vuol fresco e bisogna conservarlo in luogo fresco, altrimenti irrancidisce. A purificarlo, se irrancidito o patito, tenete la seguente ricetta:
NB. L'olio ci vuol fresco e bisogna conservarlo in luogo fresco, altrimenti irrancidisce. A purificarlo, se irrancidito o patito, tenete la seguente
Alla patata si può accoppiare il pero di terra (Heliantus tuberosus), detta pure patata americana, tartufo bianco, tartufo di canna. Franc.: Topinanbour, poir de terre, du Bresil; Ted.: Endbirn; Ingl.: Jerusalem artichoke. Radice tuberosa, simile alla pianta del girasole, con fiori gialli in settembre ed ottobre, originaria del Brasile e del Messico. Nel linguaggio dei fiori: Adorazione, falsa ricchezza. Vuol terreno ricco, si propaga, dividendone le radici in primavera. Resiste al freddo e venne coltivato in Europa prima della patata, e non è farinaceo come questa, si può lasciarla in terra anche l'inverno e lo si raccoglie al bisogno. Si usa fresco, e lavato va messo subito nell'acqua fresca, perchè non perda il suo colore. Lo si coce, gettandolo in acqua bollente e salata, in 30 o 40 minuti. Troppo cotto diventa duro e legnoso. Lo si condisce con salse, lo si frigge impannato, lo si fa in guazzetto, in insalata, ma è molto più indigesto della patata. Si vuole che l'Haliantus tuberosus possegga una particolare attività depurativa dell'aria ed aspiri una grande quantità di ossigeno a guisa dell'Eucalyptus.
settembre ed ottobre, originaria del Brasile e del Messico. Nel linguaggio dei fiori: Adorazione, falsa ricchezza. Vuol terreno ricco, si propaga
Il pepe serve a calmare i dolori di un dente cariato, purchè tocchi il nervo dentale. Una volta il popolo chiamava il pepe: grani di paradiso. In un manoscritto del secolo V, tradotto da Sim, si trova che il pepe in quel tempo si credeva rimedio sicuro per l'idrofobia, distinta col vero suo nome di lissa. Il pepe fu, per molto tempo, il principale oggetto del commercio dell'Europa coll'India. Fino dalla più remota antichità era droga molto in uso e tenuta in conto di cosa preziosa. Al tempo di Plinio si vendeva a peso d' oro e d' argento — abbiamo ancora il proverbio: caro come il pepe, il che allude al valore che una volta aveva. Il pepe serviva di imposta ai vinti, come oggi i miliardi. Ebbe l'onore di servire di riscatto a Roma e nel medio evo ancora, col pepe si pagavano molti tributi e molte imposte. Il pepe anticamente veniva adoperato nelle febbri intermittenti, è stato abbandonato da che fu scoperta la china. Ma è pure un rimedio efficace e pronto, che offre il vantaggio d'una spesa insignificante. Vuol essere amministrato in grani interi. Se ne prendono dapprima sei grani due volte al giorno, indi si va ascendendo fino a nove grani per volta. Al secondo o terzo accesso la febbre è troncata. Rare volte nella terzana si arriva ai cento grani: nella quartana, fa duopo salire fino ai tre e quattrocento, ma si conosce la difficoltà di curare queste febbri, anche colla china. Proverbi sul pepe:
abbandonato da che fu scoperta la china. Ma è pure un rimedio efficace e pronto, che offre il vantaggio d'una spesa insignificante. Vuol essere amministrato in
Il pero è un albero piramidale, indigeno europeo, a foglia caduca. Ama il clima temperato, ma sopporta i freddi dell'Italia settentrionale. Vuol terreno alquanto calcareo e profondo. Si propaga per semi, barbatelle ed innesto. In aprile dà fiori bianchi in mazzetti, matura i frutti a seconda delle varietà da luglio ad ottobre. À vita lunga. Le sue varietà si contano a centinaia, e però altre sono precoci ed altre tardive, altre danno frutto mangiabile appena colto, altre lo maturano d'inverno e sono chiamate invernenghe. In generale, i nomi che si danno alle pera, provengono dagli antichi nomi che avevano o dagli uomini che li fecero conoscere e posero in uso, o dai luoghi donde vennero, o dalla loro figura e colore, o dai tempi nei quali maturano. Con raffinata coltura, in Francia si ànno pere che maturano ogni mese dell'anno. Il nome pero, dal greco pyr, donde anche pira, che vuol dire fuoco, dalla forma che à il pero di piramide, di fiamma accumulata.
Il pero è un albero piramidale, indigeno europeo, a foglia caduca. Ama il clima temperato, ma sopporta i freddi dell'Italia settentrionale. Vuol
Il che, in due parole, vuol dire: che la pera è migliore cotta che cruda e che bisogna inaffiarla di vino. Dagli scrittori greci sappiamo, che il Peloponeso era ricchissimo di pera, ed erano celebrate quelle dell'isola di Cea. Omero, nell'Odissea, descrivendo il giardino del re Alcinoo, ci parla di tre qualità di pera. A Roma erano celebri le Tiberiane, una specie che maturava in autunno e cosi dette, perchè erano le ricercate da Tiberio, così riferisce Plinio. La pera è celebrata pure da quel ghiottone d'Orazio. Gli antichi Romani a tutte le specie preferivano la pera celebrata anche da Cornelio Celso e da Columella.
Il che, in due parole, vuol dire: che la pera è migliore cotta che cruda e che bisogna inaffiarla di vino. Dagli scrittori greci sappiamo, che il
, diceva un antico proverbio latino, il che vuol dire che bisogna mangiarne anche l'amanda. Certe signorine troppo schifiltose non possono soffrire la lanuggine della sua pelle, ed è precisamente nella sua pelle che si conserva il massimo tesoro della sua fragranza, come è nella pellicola della sua amanda che maggiormente si raccoglie l'amaro che possiede. Si ricordino del proverbio: all'amico pela il fico, al nemico il persico. Per saporire la pesca, va mangiata senza pelarla e senza tagliarla. Le foglie ed i fiori del pesco sono velenosi, contenendo acido idrocianico; tuttavia, in medicina, se ne fa uso qualche volta come contro stimolanti e vermifughi. I fiori e le foglie recenti, ànno inoltre una virtù purgativa, se ne fa infusione e sciroppo, perdono molto coll'essiccazione. In caso di avvelenamento coi fiori, foglie o mandorle de' suoi frutti, si soccorre con etere, al quale s'aggiungono una ventina di goccie di laudano. Coi frutti ben maturi, che passano facilmente alla fermentazione, se ne può ricavare un vino leggero, assai piacevole a bersi. La gomma che scorre dal suo tronco e da' suoi rami, può adoperarsi invece della gomma arabica. La Scuola salernitana sentenzia:
, diceva un antico proverbio latino, il che vuol dire che bisogna mangiarne anche l'amanda. Certe signorine troppo schifiltose non possono soffrire
Noto legume annuale. Quello detto campestre nasce spontaneamente in alcune parti d'Italia e di Germania. Ma il sativum è quello coltivato negli orti. Àvvene molte varietà. Il pisello germina fino ai 3 anni. Il nano (P. humile) primaticcio olandese, da noi detto anche quarantin. Il quadrato (P. quadratum) o reale, bianco e verde, l'umbrellatum, che è piuttosto d'ornamento nei giardini. L'excorticatum, o, pisum sativum cortice eduli, pisello dolce zuccherino che si mangia unitamente al guscio, detto in francese Pois goulus e da noi taccole, ed altre. Nel linguaggio dei fiori: Confidenza. Si può seminarli in varie epoche ed averli tutti i mesi. Il pisello ama terreno leggero, sostanzioso, lavorato e soleggiato; non vuol essere riseminato nel medesimo luogo. Si fa seccare e si conserva per l'inverno. La varietà verde, in Francia, è coltivata su larga scala. In Inghilterra si coltiva il pisello per alimentare le pecore nell'inverno. Vuolsi che il nome di pisello l'abbia da Pisa, antichissima città del Peloponneso, da dove sembra venuto in Italia, come vennero alcuni abitanti di quella Pisa a fabbricare la nostra sull'Arno, che pure battezzarono Pisa, teste Strabone. Altri lo vuole dal nome originario del legume in lingua celtica, o dal vocabolo greco, che significa cadere. Il nostro nome di erbion pare sia un corrotto dell'Arneja spagnuolo o un prolungamento dell'erbse tedesco. Il pisello fu sempre ritenuto uno dei più graziosi legumi. La storia ci tramanda che aveva l'onore delle tavole reali. Gli autori greci e latini ne parlarono tutti con vera benevolenza; i più maldicenti, lo accusano di flattulenze. Perfino l'austerissimo Eupolim, forse il più antico commediografo greco, ne fa menzione onorata. L'imperatore Tito ne andava matto. I medici, non potendone dire male, come al solito, lasciano però scappare qualche bieca osservazione. Baldassare Pisanelli, medico bolognese, nel suo Trattato dei cibi et del bere, dice: «I piselli non sono molto differenti dalle fave, ma fanno venire sospiri et inducono strane meditazioni.» Con sua bona pace, il pisello è l'ottimo fra i legumi, digeribile, saporito, nutriente. Plinio aveva già sentenziato:
seminarli in varie epoche ed averli tutti i mesi. Il pisello ama terreno leggero, sostanzioso, lavorato e soleggiato; non vuol essere riseminato nel
È un grande albero a foglia caduca, originario delle Indie Orientali, della Persia, dell'Arabia e della Siria. Fra Damasco ed Aleppo ve ne ànno selve intere. Da noi è fatto indigeno in Toscana, nel Genovesato e nella Sicilia. Nelle provincie meridionali della Francia vegeta pure con prosperità. Non resiste d'inverno in piena terra nei paesi settentrionali. Vuol terreno sostanzioso, leggero e parche irrigazioni. Si moltiplica per semi, che si fanno nascere sotto cuccia, porta in primavera fiori piccoli, giallognoli, a cui succedono frutti ovali lunghi, secchi, con polpa sottilissima, e grossi quanto una oliva, contenenti un nocciolo che apresi in due valve, entro le quali trovasi una màndorla verde coperta d'una pellicola rossastra, d'un sapor dolce, soave, grato, pingue. Nel linguaggio dei fiori e piante: Accoglienza benevola. Questo frutto è mangereccio e per i pregi ed i difetti è da mettersi insieme al pignolo. Contiene molto olio, che è facile estrarre con semplice pressione. Serve a preparare alcune emulsioni, affatto simili a quelle delle màndorle dolci, prescritte nelle infiammazioni degli intestini e delle vie orinarie. I confetturieri ne fanno grande uso in paste e confetti. I salumai ne regalano le galantine e certi salami a cuocersi. I cuochi lo mettono nei polpettoni e nei croquants, che i fiorentini chiamano pistacchiata. Se ne fa pure una eccellente conserva. Gii Arabi lo chiamano pustach, e gli Olandesi pistassies. Vuoisi che chi lo portò in Italia fosse il console romano Lucio Vitellio, sotto Tiberio, di intorno dalla Siria, come Fiacco Pompeo, suo commilitone, lo portò pel primo, in Spagna.
resiste d'inverno in piena terra nei paesi settentrionali. Vuol terreno sostanzioso, leggero e parche irrigazioni. Si moltiplica per semi, che si
Il cotogno è pianta indigena, a foglia caduca, originaria dalla Grecia. Vuol terreno sciolto, fresco, clima caldo, teme il vento. Si propaga per barbatelle, semi, tallee. Conta poche varietà: il comune, o cotogno di China (Cydonia Sinensis)a frutto piriforme ed oblungo molto grosso ed il cotogno di Portogallo (C. lusitania), che è il migliore. In aprile e maggio dà grandi fiori bianchi o di un rosso pallido. Frutti gialli in ottobre. Nel linguaggio delle piante: Fastidioso. Il suo nome Cydonia, da Cydon, città dell'isola di Creta, fondata da Cidone, figlio di Apollione, da dove venne in Italia. I Greci lo chiamavano: Crysomela, Catone:cortonea, Virgilio: mela aurea, perchè maturando acquista color giallo dorato (Buc, Egl. III, n. 73): aurea mala decem misi, cras altera mittam. Evvi chi vuole che il suo nome venga da coctognus, il che si potrebbe spiegare da ciò, che si mangia coctus, perchè crudo è insipido. La cotogna è frutto grosso come una mela ordinaria, carnoso, giallo anche nella polpa, di odore penetrante, che facilmente comunica agli oggetti vicini e si forte che non si può, senza incomodo, tenerlo nelle camere d' abitazione. À sapore sì astringente ed agro, che è impossibile mangiarlo crudo, lo perde però colla stagionatura, coll'essiccazione, colla cottura, ed
Il cotogno è pianta indigena, a foglia caduca, originaria dalla Grecia. Vuol terreno sciolto, fresco, clima caldo, teme il vento. Si propaga per
Pianticella annua conosciutissima, originaria dall'America Meridionale, e venuta tardi in Italia. La sua propagazione in Europa non conta più di due secoli. Cento anni fa era appena conosciuta da noi. Non à quindi storia nè greca nè romana. Vuol terreno lavorato, piuttosto asciutto, non tanto pingue e molto soleggiato.
secoli. Cento anni fa era appena conosciuta da noi. Non à quindi storia nè greca nè romana. Vuol terreno lavorato, piuttosto asciutto, non tanto
Il popone, volgarmente detto melon, è una pianta erbacea, annua, indigena, originaria dall'Asia. Depone, dal greco pepo, che significa maturo. Vuol terreno sciolto, lavorato profondamente, grasso, fresco. Per la coltura forzata, si semina su letto caldo in gennaio, febbraio, marzo: solo in aprile e maggio all'aperto si trapianta. Ama la mezz'ombra e la pulitezza, il troppo umido gli è dannoso. Si svetta, a farlo più prolifico e ad impedirne una soverchia vegetazione. I semi del popone germinano fino ai 5 anni. È maturo quando il suo peduncolo è corto, grosso, à sapore amarognolo, e quando il frutto è pesante e resistente alla pressione. L'odore non deve essere molto pronunciato. La troppa sonorità del frutto, battuto colle dita, è indizio d'immaturità. Il distico seguente ve lo insegna:
Il popone, volgarmente detto melon, è una pianta erbacea, annua, indigena, originaria dall'Asia. Depone, dal greco pepo, che significa maturo. Vuol
. Plinio dice che non solo il prezzemolo è un cordiale per gli uomini, ma lo è anche per i pesci: Pisces quoque, si aegrotant in piscinis, apio viridi recreantur, il che vuol dire: se ti si ammalassero i pesci nella piscina, mettivi delle erborine verdi che guariranno. Le lepri ed i conigli ne sono avidissimi, anzi il darlo loro fa bene e li fa guarire. Le galline e i pappagalli ne soffrono ed anche moiono. Ma se il prezzemolo è un aroma sano, non se ne deve abusare, perchè è eccitante, la sua radice è più stimolante delle foglie. Del resto i medici gli assegnano virtù diuretica, dà rimedio nelle malattie d'occhi, è febbrifugo e risolvente, vulnerario e narcotico nelle contusioni, nelle echimosi, negli ingorghi lattei. Le famose pillole galattifughe, arcana preparazione della farmacia di Brera, constano principalmente di estratto di prezzemolo. Il seme del prezzemolo triturato in polvere serve di cipria per distruggere i pidocchi. Se si prende una certa quantità di prezzemolo e lo si pone nell'acqua per 48 ore e poi se ne spruzzi il suolo e le lettiere, si è certi di essere liberati dalle pulci. Impropriamente da noi si chiamano erborinn quelle piccole macchie, che troviamo nello stracchino di Gorgonzola, le quali sono nè più nè meno che muffa. In un'antica Cronica milanese troviamo che «Menina Briancea fu l'inventrice della salsa verde, che fassi ottima a Milano nel Monistero Maggiore da quelle sante mani di donna Anastasia Cotta.» Si può essicarlo per l'inverno, e secco triturarlo colle mani e conservarlo in bottiglie ben turate. Gl'inglesi e gli americani fanno molto uso della polvere del seme di prezzemolo nelle salse, zuppe ed intingoli.
viridi recreantur, il che vuol dire: se ti si ammalassero i pesci nella piscina, mettivi delle erborine verdi che guariranno. Le lepri ed i conigli ne sono
Rafano, dal greco rha, sincopato di rhadios, facilmente, e phaino, apparire, cioè che i semi germogliano in breve tempo. Pianta erbacea, perenne, indigena, dà grandi foglie, che servono d'ornamento ai giardini, e fiori piccoli bianchi in primavera. Cresce naturalmente nei luoghi umidi, ma si coltiva negli orti. Vuol terra
Radice erbacea annuale, indigena, di patria ignota, che vuol terreno ricco, leggero, fresco. Si semina tutto l'anno, si raccoglie come la patata, i semi durano fino al settimo anno. Varietà: lunga dolce (hortensis), quando è cotta chiamasi da noi: bojocch, la rotonda à radice compressa. La rapa è carnosa, dolce, di facile digestione, di sapore ignoto, e contiene il 92 per cento d'aqua. La rapa è più saporita da ottobre a febbraio. Si sfetta nelle zuppe, nelle minestre, si mangia condita col burro, formaggio e spezie, in salsa bianca, in insalata, si frigge. Si marita bene al montone e all'anitra. La sua semente dà olio da ardere. Dal sugo espresso e fermentato, se ne può cavare spirito pure da ardere. In Francia, Belgio ed Inghilterra si coltiva la specie gialla per foraggio, e vi vengono grossissime. Il suo nome di rapa, viene da rapere, verbo latino, che significa rubare, perchè le rape mangiandosi crude dai Romani, si rubavano volentieri dai passanti nei campi. Nel linguaggio delle piante: Sei scipito. Pare che presso gli antichi fosse un cibo ghiotto, perchè tutti ne parlano. Marziale ne vantava il sapore allorchè anno sentito il freddo.
Radice erbacea annuale, indigena, di patria ignota, che vuol terreno ricco, leggero, fresco. Si semina tutto l'anno, si raccoglie come la patata, i
Il nome di rosa dal greco rhodon, rosa, o dal celtico roag che significa rosso. La rosa è la regina dei fiori, la figlia del cielo, il sorriso della primavera, l'emblema dell'innocenza e della fugace bellezza femminile. Le sue varietà si contano a migliaia. Qui non dirò che della canina, la quale è la più semplice di tutte le altre. Fu detta rosa canina o rosa di cane, perchè fu creduto, fino dall'antichità, che la sua radice fosse efficace contro la rabbia del cane. Anche i Greci la chiamavano cinorrhodon, da don, cane e rodhon, rosa. Da noi si chiama anche Rovo. Nel linguaggio dei fiori, la rosa canina significa: Indipendenza. È un arboscello indigeno che viene lungo le siepi di montagna, nei luoghi aprichi, che dà in maggio una rosetta pallida, semplice, di cinque foglie. Ai fiori succedono alcune frutta ovali, bislunghe, rosse come il corallo nella loro maturità, la di cui scorza è carnosa, midollosa, d'un sapor dolce-aciduletto e che racchiude alcune semenze, inviluppate d'un pelo consistente, che attaccandosi alle dita penetra nella pelle e vi cagiona molestie. Tali semi posti nel letto ad alcuno per celia fecero sì che questo frutto prese il nome poco castigato di grattaculo. Un mio amico ingegnere mi assicura che tal nome viene da ciò, che i sullodati semi, producono a chi li mangia un lieve prurito, precisamente in una località indicata nella seconda parte di quel disgraziato vocabolo e vi richiama l'azione indicata pure nella prima parte del surriferito disgraziato vocabolo. Tale appellativo, non si vorrebbe mai pronunciare dalla gente pudibonda, ma che è pure registrato presso i più seri botanici; è costretta a ripeterla, colle gote vermiglie, anche la damigella sortita di collegio, se vuol dimandare di quel delizioso sciroppo che danno i prefati grattaculi. Il Cherubini nota che da alcuni viene chiamata salsa di ciappetti, ma è un eufemismo. Il quale eufemismo è una figura rettorica incaricata di stendere un velo si, ma trasparente, su
ripeterla, colle gote vermiglie, anche la damigella sortita di collegio, se vuol dimandare di quel delizioso sciroppo che danno i prefati grattaculi
Salvia è dal latino salvare per le grandi virtù che possiede. Salvia salva, diceva un proverbio romano. È pianta erbacea perenne, indigena, originaria dell'Armenia, si moltiplica per getti, per divisione di radici ed anche per semi: questi germinano fino a tre anni. Brama terra sostanziosa ma piuttosto leggera, vuol essere di preferenza addossata al muro, ama il sole, porta fiori dal giugno al luglio. Nel linguaggio dei fiori: ambizione, stima. Ve ne sono più di 80 varietà, gran parte delle quali si distinguono pel loro grato odore e per l'eleganza. L'officinalis, che è quella comunemente conosciuta, si coltiva negli orti per la cucina e la medicina. La parte usata sono le foglie e le cime fiorite, à forte odore aromatico, sapore caldo amaro piccante. La salvia mescolata con cipolla in insalata eccita l'appetito, massime posta sopra le alici. Se ne veste ogni arrosto, in ispecial modo gli uccelletti e i pesci, ai quali dà bonissimo odore e sapore. Pesta e stemperata con aceto, mista con zucchero ed aglio fa una salsa non isgradevole. Le minestre di legumi (e più quella di ceci) prendono sapore dalla salvia. Involta nelle frittelle, massime se di farina di castagne, dicono sia ghiotta. Cotta con aceto, olio, zafferano e poco zuccaro fa un ottimo marinato per il pesce. Friggesi la salvia con olio, burro, strutto, se ne regalano tutti i fritti. La salvia sta bene per tutto, fuori che nei lessi, a' quali non s' addice per la sua amarezza. Attiva le funzioni digerenti e circolatorie, aumenta il calore animale, modifica l'influenza nervosa. La farmacia ne estrae un olio essenziale e ne fa una infusione della quale la medicina si serve ad eccitare i sudori e a rianimare le forze vitali, perchè la salvia è tenuta come un bon stimolante. Il decotto di salvia è giudicato volgarmente come un febbrifugo e in primavera come un depurativo del sangue. Gli antichi ne facevano molto uso. Tutti l'ànno lodata. Da Agrippa veniva chiamata herba nobilis, herba sacra. Era tanto comune il suo uso presso i latini che inventarono perfino il verbo salutare, dare una porzione di salvia, condire con la salvia. E la Salernitana si meraviglia come possa morire un uomo che abbia nel suo orto la salvia:
piuttosto leggera, vuol essere di preferenza addossata al muro, ama il sole, porta fiori dal giugno al luglio. Nel linguaggio dei fiori: ambizione, stima
L'etimologia del sambuco è a desumersi dal nome dell'istrumento a cui servì primamente. Il greco sambuke ed il latino sambuca era istrumento musicale fatto a triangolo, forse la synphonia biblica, citata dal Calmet; in sostanza, la cornamusa, la nostra tiorba fatta di cannuccie di sambuco, quella stessa che adoperava Orfeo, uno dei primi sambuciarii, per far ballare i sassi. Onde sambucistria la ballerina, e sambucam cothurno aptare, che era l'operetta d'allora. Anche oggi i ragazzi zufolano come Orfeo entro la canna del sambuco. Il sambuco è un arboscello perenne delle nostre siepi, che cresce in ogni terreno. Nel linguaggio dei fiori: Umiltà, riconoscenza. Dà fiori piccoli, bianchi, ad ombrella, di odore delizioso, da noi chiamati panigada. La parola panigada alcuni vogliono venga dal greco pana gatoz, che vuol dire ottimo, altri da panis gaudium, per il gratissimo sapore che dona al pane. I fiori cedono il posto ai frutti a forma di bacche verdi in principio, nere quando sono mature, grosse quanto i frutti del ginepro ed in gran numero. I suoi fiori servono al cuoco che li frigge, al fornaio che li mescola col pane, al pasticciere che ne aromatizza le leccornie, al cantiniere che con quelli dà un sapore di moscatello al vino, principalmente al bianco, e all'aceto. Con essi si aromatizzano altresì le acque. I frutti, quando sono maturi e neri, servono a tingere le acque ed i vini senza pericolo alcuno. La polvere stessa di essi frutti disseccati comunica ai liquidi grato sapore. Le bacche nere si mangiano talora preparate con zuccaro e droghe. Il sambuco è adoperato in medicina in molti modi. Se ne prepara un roob diaforetico, un infuso teiforme. L'odore aromatico dei fiori finisce col diventare nauseante e nocevole aspirandolo lungamente. Plinio dice: E sambuco vertigines sonnusque profundus: dal sambuco vertigini e sonno profondo. Colle bacche nere, fino da' suoi tempi, le donne usavano tingersi i capelli, forse con minore risultato, ma certo con minori pericoli che oggi. In Norvegia si mangiano infuse in aceto, come i citrioli. In Inghilterra se ne fa una specie di vino. I frutti sono alquanto purgativi e gradito pascolo dei merli. I rami del sambuco, scrive il cardinal Simonetta, sono preziosissimi per fare orinare i cavalli, battendoli con essi sotto la pancia. L'odore graveolente del sambuco scaccia le mosche, le farfalle e gli scarafaggi. Il sugo delle cime del sambuco unito a grasso di maiale, ungendone i cavalli e gli asini, li libera dalle zanzare. Mettendone dei rami fra i cavoli, si liberano dalle gatte, al qual uso servirebbe meglio l'altra specie puzzolente detta sambucus ebutus o sambuco nano, da noi conosciuto sotto il nome di ughetta, la quale scaccia pure i topi.
panigada. La parola panigada alcuni vogliono venga dal greco pana gatoz, che vuol dire ottimo, altri da panis gaudium, per il gratissimo sapore che dona al
erbacea, annuale, indigena, piuttosto coltivata che spontanea, fiorisce in giugno e luglio. Si propaga per semi in primavera, vuol terreno mobile, fresco, sostanzioso. Il seme va gettato rado e coperto leggermente e vanno sradicate le pianticelle troppo vicine, sarchiate se bisogna. Il raccolto si fa subito che i fusti incominciano ad ingiallire e quando alla maggior parte dei fiori inferiori succedono dei semi nerastri, che sono i migliori, senza aspettare che maturino gli altri, che sono gli infimi e fanno perdere i primi. Tagliate le pianticelle, lasciatele alquanto in riposo, perchè i semi finiscano di perfezionarsi, poi battete, vagliate, crivellate. I semi conservano la loro facoltà germinativa per tre o quattro anni, purchè distesi in granaio arioso. Per gli usi medicinali servirsene il più presto possibile, perchè quanto più è recente, tanto più è migliore: al secondo anno comincia già a deteriorare. Nel linguaggio dei fiori: Dispetto. Àvvene due varietà: la bianca e la nera. La prima à fiori grandi d'un giallo pallido,, di sapore delicato, viene coltivata molto in Inghilterra e preferita per uso gastronomico. La nera à fiori piccoli gialli, dà seme più minuto ed à sapore più forte ed acuto, e questa è la più usitata. Polverizzato il seme della senape nera, serve a preparare coll'aqua, o col mosto, o coll'aceto, o collo zuccaro, o col brodo, o misto a droghe e sapori, le varie paste liquide dette mostarde o salse di senape, in uso giornaliero per la tavola. I giovani getti della senape si mangiano in insalata. La specie detta della China, dalla sua provenienza, arriva fino ad un metro e più di altezza. À larghe foglie, fiori gialli. Si semina in agosto, bisogna irrorarla quando nasce. I semi anno virtù germinatrice fino ai 4 anni. In capo ad un mese si possono raccogliere le foglie che danno un prodotto abbondante, che si cucinano ed ànno un gusto gradevole. È uno dei legumi più apprezzati dei paesi caldi. La senape eccita l'appetito ed aiuta a digerire. A prevenire e sopprimere la sua azione topica sulle mucose nasali applicate alle narici un po' di mollica di pane fresco. È antichissimo l'uso gastronomico della senape. Columella, de re rustica, ci conservò la ricetta di due salse che componevano i Romani. L'una, quale press' a poco la facciamo noi oggi, e serviva per condire le rape, l'altra con pignola ed amido, che raggiungeva esimia bianchezza, serviva al più nobile uso, di tornagusto per carni lessate e pesci. Galeno suggerisce di renderla dolce. È colla senape che si fabbrica la mostarda e lo si rende più o men dolce coll'unirvi zuccaro, miele o mosto d'uva, mostarda viene da mosto. La senape stuzzica l'appetito, favorisce la digestione e rallegra lo spirito. Il filosofo Kant usava masticarne i semi per rinvigorire la memoria. La senape serve in medicina a farne i così detti senapismi, e se ne cava un olio risolutivo. È eminentemente antiscorbutica. Lo storico Ray narra che all'assedio della Rocella, dove lo scorbuto aveva già colpito centinaia di soldati, la malattia si arrestò prontamente, facendo prendere a tutti come rimedio e preservativo l'infusione di senape nel vino bianco. Dietro ciò l'ammiragliato d'Olanda, prescrisse che tutti i vascelli dovessero sempre portarne seco sufficiente provvigione. La Scuola Salernitana dice della senape:
erbacea, annuale, indigena, piuttosto coltivata che spontanea, fiorisce in giugno e luglio. Si propaga per semi in primavera, vuol terreno mobile
Il sesamo, detto anche giuggiolena, è pianticella annuale. Si propaga per semi, vuol terra sciolta e pingue e viene sotto l'azione del gran caldo e dell'umido. Nel linguaggio dei fiori significa: Indifferenza. Ve ne sono 5 varietà. L'orientale, cresce spontaneamente nei terreni secchi ed aridi dell'India, del Ceylan, del Malabar, e s'accomoda facilmente nei suoli fertili. Fornisce un fusto alto un metro, diritto, erbaceo, quasi cilindrico, assai ramoso, foglie verdi, fiori bianchi o color rosa in giugno. I semi di esso col calore e colla pressione forniscono il 48 per cento di olio che è cosi limpido e gustoso da rivaleggiare colle migliori qualità dell'olivo, per le quali viene sovente venduto, essendo l'olio di sesamo riconoscibile solo per contenere meno sostanza. Inoltre l'olio di sesamo à il merito di non mai irrancidire. Il vantaggio dell'olivo su questa pianta, è quello di poter allignare anche in luoghi erti
Il sesamo, detto anche giuggiolena, è pianticella annuale. Si propaga per semi, vuol terra sciolta e pingue e viene sotto l'azione del gran caldo e
Lo spinacelo o spinace di orto, è pianticella erbacea annuale, indigena, originaria dall'Asia. Vuol terreno sciolto, sostanzioso, grasso, lavorato, si semina da gennaio a tutto settembre per averne l'anno intero. Il seme dura per 5 anni. Nel linguaggio dei fiori dice: Confidenza. Pongasi cura a coprirlo leggermente dal freddo e a tenerlo pulito dalle erbe selvatiche. Fra le varietà di spinacci notiamo quello d'Inghilterra a semi pungenti, a lunghe foglie, quello d'Olanda a foglie rotonde, di Fiandra, quello a foglie di lattuga larghissime, infine la recente varietà Viroflay, la quale sorpassa in prodotto tutte le altre. Lo spinacelo è cibo leggiero, ma gustoso e sano. Chi lo cuoce asciutto e chi all'aqua; migliore il primo metodo. Si mangia in minestra, triffolato, si frigge, si marina. Se ne fa torte e puree, si marita alla frittura e colle lumache. Gli spinacci sono leggermente lassativi e non convengono a tutti gli stomaci. Fu portato lo spinaccio dagli Arabi in Spagna e dalla Spagna in Italia, e dapprima erano detti spagnacci, d'onde la corruzione spinacci. Serapione invece assevera che in lingua araba sono detti spanacli. Altri invece vogliono il suo nome da spina, perchè la sua semente è a punta spinosa. Opinano alcuni scrittori che lo spinaccio non fosse conosciuto dagli antichi, ma pare che fossero da questi indicati sotto il nome di atriplex e blitum. Greci e Latini convengono che l'atriplex e il blitum erano:
Lo spinacelo o spinace di orto, è pianticella erbacea annuale, indigena, originaria dall'Asia. Vuol terreno sciolto, sostanzioso, grasso, lavorato
Valerianella, o anche Valeriana, Cicerbita, Sonco, Grispignolo, è pianticella erbacea, annuale, indigena, che cresce fra le biade delle vigne. À, piccolissima radice, le sue foglie anno sapore gustoso, dolcigno. Nel linguaggio delle piante: Sei benvenuto. È migliore il seme d'un anno. La valerianella si coltiva anche negli orti, vuol terreno grasso, lavorato, a bona esposizione. Si semina in settembre per averne nell'inverno e nella primavera, in agosto per l'autunno. Le sue foglie danno un eccellente genere d'insalata e bona verdura per condire le minestre. La valerianella è sommamente amata dagli agnelli e dalle lepri, ed è per questo che in alcuni siti è chiamata allattalepri.
valerianella si coltiva anche negli orti, vuol terreno grasso, lavorato, a bona esposizione. Si semina in settembre per averne nell'inverno e nella primavera
luoghi inondati e dove si coltiva ancora. Somiglia alle nostre canne, si alza portando una panocchia setacea che dà fiori. Esternamente è verdiccia, articolata; interiormente, bianca e ripiena di una mollica simile a quella del sambuco, pregna d'un sugo dolce, piacevole. À foglie strette, striate, verdi, che servono ad alimento delle bestie. La piantagione si fa per barbocchi, da marzo a tutto aprile. Può essere coltivata in tutti i paesi caldissimi. Da noi, è da serra. È matura quando diventa gialla, il midollo si è fatto bigio scuro e il sugo viscoso e dolcissimo. La parola zuccaro, dal greco sacchar, zuccaro. Nel linguaggio delle piante: Dolcezza. La canna dello zuccaro, matura, si taglia al piede, se ne tronca la panocchia, si sfoglia, si porta al molino, che la schiaccia fra tre cilindri. Se ne raccoglie il sugo entro una caldaia sottoposta, e tal sugo è chiamato dai negri vezù o vino di canna. Presto fermenta, e perciò è necessario cocerlo prontamente e depurarlo con un processo di evaporazione e filtrazione, sinchè è ridotto allo stato di sciroppo, d' onde il melazzo o melassa. Gli zuccari della seconda e terza cristallizzazione, sono sempre più grassi ed oscuri, e passano sotto il nome di mascabadi. Quelli d'Avana, che sono i migliori, si chiamano terzieri o biondi. Lo zuccaro, benchè di prima estrazione, bianchissimo ed asciutto, contiene impurità, e vuol essere raffinato. Questa depurazione si fa nelle grandi raffinerie, da dove sortono in pani. La bianchezza e solidità estrema dello zuccaro in pani, dipende non solo dalla qualità degli zuccari che si adoperano, ma ancora dall'esito felice dell'operazione e dall'espertezza dell'operatore. Se i pani riescono, friabili o macchiati qua e là, o troppo oscuri, e quindi da scarto, allora si pestano ed entrano in commercio sotto la denominazione di zuccaro raffinato in polvere, ossia pile. Lo zuccaro raffinato in pane è bianchissimo, senza macchie, compatto, duro, sonoro; percosso con un ferro nell'oscurità, tramanda della luce; la sua cristallizzazione è minutissima, serrata e lucida, non à odore, è dolcissimo. Se si tiene in bocca diventa poroso e non si scioglie uniformemente. Cristallizzato lo zuccaro in forma cubica con altro processo di evaporazione, si vende sotto il nome di zuccaro candito. Questo è sempre più o meno colorato, tramanda molta luce percosso nell'oscurità, è assai dolce, e si scioglie in bocca uniformemente come le caramelle. La melassa, in America ed altrove, s'adopera per la fabbricazione del rhum e nel Brasile l'impiegano per la concia del tabacco. Per ottenere il rhum, si fa fermentare la melassa entro grandi vasi di terra, sepolti nel terreno fino all'orifizio e ricoperti di paglia. Compiuta la fermentazione, si passa alla distillazione.
ed asciutto, contiene impurità, e vuol essere raffinato. Questa depurazione si fa nelle grandi raffinerie, da dove sortono in pani. La bianchezza e