18. — Conservazione della farina. Condizioni indispensabili per la buona conservazione delle farine sono: che derivino da grani sani e ben maturi; che siano il prodotto di una macinazione ben diretta e tale da non infranger troppo le parti corticali del seme. Per evitare poi che, malgrado ciò, vadano soggette ad alterazioni, bisogna aver alcune altre speciali cure. La conservazione delle farine dovrà farsi in locali freschi ed asciutti e tali da non esporle nè a correnti d'aria troppo secca, che le renderebbe poco impastabili nella fabbricazione del pane, nè a venti caldo-umidi che vi favoriscono la fermentazione e lo svolgimento degli insetti. Nei nostri panifici militari la farina generalmente si conserva in sacchi, sia soprapposti in senso orizzontale, sia isolati e situati in piedi. Si può anche conservarla per molto tempo essiccandola in una stufa fino a riduzione del 5-6 per cento della sua acqua di idratazione e ponendola quindi in balle ben compressa, od in botti, od in barili ben chiusi per salvarla dall'influenza di nuova umidità.
senso orizzontale, sia isolati e situati in piedi. Si può anche conservarla per molto tempo essiccandola in una stufa fino a riduzione del 5-6 per cento
Non è malattia mortale, ma produce grave denutrizione, deprezzando gli animali e la loro carne. Gli animali lievemente affetti possono esser macellati per utilizzarne le carni, escludendo le parti ammalate (piedi, organi della bocca, mammelle). A malattia molto intensa e con processi di suppurazione, la macellazione dovrebbe proibirsi.
macellati per utilizzarne le carni, escludendo le parti ammalate (piedi, organi della bocca, mammelle). A malattia molto intensa e con processi di
35. — Distribuzione della carne. I Capitoli di oneri per la fornitura dei viveri alle RR. truppe dicono: «Si considera come distribuibile: il bue (o la vacca nei casi in cui ne è ammessa la distribuzione) mozzo del capo alla prima vertebra cervicale, dei quattro piedi cogli stinchi tagliati immediatamente sotto le ginocchia, della coda tagliata a centimetri 20 dalla sua origine; tolta la pelle, vuoto affatto delle interiora e di qualsiasi organo e delle grasce interne dalla cavità della bocca all'ano.
la vacca nei casi in cui ne è ammessa la distribuzione) mozzo del capo alla prima vertebra cervicale, dei quattro piedi cogli stinchi tagliati
d) La visita dell'animale macellato è il complemento indispensabile di quella dell'animale vivo, perchè ci permette la ispezione dei singoli visceri nei quali si potranno constatare talvolta stati morbosi rimasti occulti nell'ispezione, benchè accurata, dell'animale in piedi.
nei quali si potranno constatare talvolta stati morbosi rimasti occulti nell'ispezione, benchè accurata, dell'animale in piedi.
I segni invece generici di malattia sono: Melanconia, testa bassa, stazione in piedi irregolare, occhi socchiusi e languidi, orecchie e corna fredde, pelle arida con croste, pustole o piaghe, con lana o pelo disgregato; lingua secca, tremolio del capo, avversione agli alimenti, respirazione accentuata, calore non uniformemente diffuso, aumentato o diminuito.
I segni invece generici di malattia sono: Melanconia, testa bassa, stazione in piedi irregolare, occhi socchiusi e languidi, orecchie e corna fredde
5° L'impastamento è eseguito prima a braccia e con i piedi, quindi per mezzo della gramola o stanga, come nella preparazione del pastone per la fabbricazione dei maccheroni, e ciò allo scopo di ottenere una pasta compatta, uniforme, ben liscia ed elastica; infine a mezzo di cilindri dai quali la pasta esce completamente lavorata in falde, dello spessore preciso che dovrà avere la galletta non cotta.
5° L'impastamento è eseguito prima a braccia e con i piedi, quindi per mezzo della gramola o stanga, come nella preparazione del pastone per la
5° Dopo la macellazione gli animali devono esser nuovamente visitati dal veterinario, specialmente nelle cavità viscerali, allo scopo di rilevare la possibile esistenza di qualche malattia interna, non avvisata nelle precedenti visite dell'animale in piedi.
possibile esistenza di qualche malattia interna, non avvisata nelle precedenti visite dell'animale in piedi.
Sono ammesse alla conservazione tutte le parti alibili dell'animale, e per queste si intendono le carni del bue mozzo del capo con l'intero collo, dei quattro stinchi con i piedi tagliati immediatamente sotto le ginocchia o garetti, della coda tagliata alla sua origine; liberato della pancetta, vuoto completamente delle interiora e delle grascie interne dalla cavita buccale all'ano; privato della pelle, delle ossa, dei tendini, delle aponevrosi e delle masse di grasso libere e superficiali.
, dei quattro stinchi con i piedi tagliati immediatamente sotto le ginocchia o garetti, della coda tagliata alla sua origine; liberato della pancetta
La testa ed i piedi degli animali, le ossa opportunamente spezzate, le aponevrosi ecc. verranno utilizzate per la preparazione della gelatina occorrente. I visceri invece sono asportati tosto dallo stabilimento.
La testa ed i piedi degli animali, le ossa opportunamente spezzate, le aponevrosi ecc. verranno utilizzate per la preparazione della gelatina
La testa, i piedi, le ossa, si mettono pure in una gran caldaia, anch'essa riscaldata a vapore, per, estrarne la gelatina che poi, insieme al brodo delle caldaie, sarà adoperata per completare il riempimento delle scatolette.
La testa, i piedi, le ossa, si mettono pure in una gran caldaia, anch'essa riscaldata a vapore, per, estrarne la gelatina che poi, insieme al brodo
Il brodo ottenuto dalla cottura della carne e la gelatina ricavata per la cottura della testa, piedi, ossa, ecc., come fu detto al N° 7, sono gettati in un vaso di ferro, posto a circa 5 metri dal pavimento della sala e mantenuto caldo, mediante il vapore, per impedire il coagulamento della gelatina. Da quel vaso parte un tubo che, arrivato alla sala della gelatina, si dispone orizzontalmente all'altezza di circa due metri da un gran piano orizzontale di marmo. Da quel tubo discendono varj tubi di gomma, terminati all'estremo libero da un apparecchio metallico finito a cono acuminato e cavo, il quale, mediante una mella di apertura e chiusura, può permettere o no il fluire della gelatina. Questi tubi servono, come ben può capirsi, alla iniezione di questa sostanza nelle scatolette già disposte sul piano di marmo; iniezione che si fa attraverso il foro cho hanno pervio ancora nel coperchio ultimo saldato.
Il brodo ottenuto dalla cottura della carne e la gelatina ricavata per la cottura della testa, piedi, ossa, ecc., come fu detto al N° 7, sono gettati
Un ottimo filtro d'improvvisazione in campagna è anche quello suggerito dalla Istruzione francese (12 sett. 1881), sul modo di correggere l'acqua potabile. «Si mette una botte sfondata in piedi sopra un cavalletto assai elevato. Questa botte è forata alla sua parte inferiore da un buco nel quale viene fissata una cannella che serve di tubo di scarico. Si riempie la botte a metà di ghiaia di più in più sottile, e si termina per uno strato di sabbia fina di fiume. Si può rendere questo apparecchio più attivo intercalando nello strato di ghiaia un letto di carbone di legno sminuzzato, o più semplicemente anche lasciando nuotare questo carbone nell'acqua da filtrare che riempie la parte superiore della botte; questa sarà bene venga munita di un coperchio.»
potabile. «Si mette una botte sfondata in piedi sopra un cavalletto assai elevato. Questa botte è forata alla sua parte inferiore da un buco nel quale
Riferisce Ateneo, filosofo peripatetico, che nel paese dei Getuli in Africa, gli asparagi erano grossi come le canne e lunghi dodici piedi. E Plutarco, che nella Caria, provincia dell'Asia Minore, il popolo li adorava. I Fenici se ne ungevano il corpo col loro sugo onde non essere punti dalle api. Pare che anche il cuoco di Giulio Cesare glieli apprestasse non molto stracotti, perch'egli ad esprimere la velocità d'alcun che soleva dire: citius quam asparagi coquantur. Mille sono le virtù ed i vizi che i medici assegnano agli asparagi. Sono diuretici in sommo grado, giovano nell'idrope, nelle affezioni cardiache, sono calmanti nell'orgasmo nervoso, nei dolori dei tisici, nell'insonnia, giovano contro il catarro polmonare, nella paralisi della vescica e perfino a detta del medico ateniese Chairetes contro l'idrofobia. All'incontro non sono convenienti agli isterici, agli ipocondriaci, ma sopratutto a quelli che patiscono la gotta. Albert suggerisce che mettendo la sera nel pot de chambre un paio di goccie d'aceto, colui che il giorno prima s'è fatto una scorpacciata d'asparagi si desta al mattino in un'atmosfera embaumè di violette. Altri invece assevera, che tale effetto si ottenga con un po' di essenza di trementina invece dell'aceto.
Riferisce Ateneo, filosofo peripatetico, che nel paese dei Getuli in Africa, gli asparagi erano grossi come le canne e lunghi dodici piedi. E
Il Carciofo della famiglia dei cardoni è un caule di 5 o 6 piedi indigeno. Vuole esposizione meridionale, essere difeso dai freddi, terreno lavorato, asciutto, ricco. Ama molt' acqua, il gelo l'uccide. Si propaga per semi, getti, o meglio per polloni dei vecchi carciofi, in Marzo ed Aprile ed anche in Maggio, in luna vecchia. È una verdura delle più delicate, sana, saporita e ghiotta. Quello che si mangia è il fiore immaturo, che è fatto a scaglie ed à la figura d'una pigna. Sono rinomati quelli di Genova e come migliori quelli di Sardegna. Si mangiano tenerelli crudi coll'olio d'olivo sale e pepe - e cotti all'olio ed al burro. Si digeriscono meglio cotti che crudi, sono più saporiti al burro che all'olio. Dai ricettacoli del carciofo cavasi amido. Dumas nel suo Dizionario di Cucina insegna sedici maniere di cucinare i carciofi. Galeno li calunniava come cibo bilioso: pravi succi est edulium, e Brillant-Savarin, come afrodisiaco. Il sugo del carciofo, fù tenuto da Guitteau e Copermann come succedaneo all'aloe e drastico ad alta dose. Fu usato contro i reumatismi, le sciatiche, l'itterizia e come diuretico nelle idropi. Charrier, Otterbourg, Homolle ed altri lo consigliano nella cura della diarea cronica, e suggeriscono di mangiarne crudi con olio, sale e pepe quattro o sei al giorno. Giova la decozione del carciofo a coloro che patiscono fetore sotto le ascelle, lavandosi con esso. Le foglie del carciofo fresco allontanano le cimici. Varrone insegna che a macerare la semente in sugo di rose, gigli, alloro si à carciofi del sapore di questi. Un cronista napoletano ci tramanda che celebre per cucinare i carciofi fu Cleope da Varafro. Vogliono che il nome di CINARA fosse quello di una bellissima ragazza che Giove quand'era lui al potere mutò in articiocco e cardone, nome che ancor rimase a questi.
Il Carciofo della famiglia dei cardoni è un caule di 5 o 6 piedi indigeno. Vuole esposizione meridionale, essere difeso dai freddi, terreno lavorato
Il Nasturzio, o Lepidio, è pianticella annuale indigena, conosciuta e coltivata nei giardini e negli orti pei suoi fiori giallo-scuri e rossi. Nel linguaggio dei fiori: Mi importuni. Si moltiplica seminando i suoi frutti a primavera, fiorisce fino all'Ottobre, ama terreno grasso e inaffiamenti. Avvi una varietà a larghe foglie (lepidium latifolium) che si coltiva come la precedente. Il nome di lepidio da lepis squama, perchè si usava a rimedio delle impettigini squamose. Anche presso di noi il volgo lo usò molto tempo per distruggere i vermi ai ragazzi. La pianta è diuretica, i fiori si mangiano colla insalata, che rendono più allegra e saporita per un certo acre tra il rafano e la senape che gli comunica. I semi possono supplire ai capperi, conservansi verdi nell'aceto e se ne fa salse. I Greci la chiamavano Cardamon, lo mangiavano principalmente colla lattuga. Egineta e Zenofonte asseriscono che serviva di companatico ai Persiani. I latini lo chiamarono Nasturtium, a nasi tormento, oppure da nasus tortus, dice Plinio, perchè fa arricciare il naso ed eccita le papille nasali come la senape. Ne dissero mirabilia Dioscoride, Galeno, Avicenna. Gli antichi gli assegnarono la virtù di infondere coraggio, e di chiarificare le idee, onde il precetto: homines secordes et somnolentes nasturtium edere jubeamus. l milanesi ad indicare piedi lunghi e larghi alla moda inglese chiamano le scarpe dei loro fortunati possessori: cassett de Nasturzi.
piedi lunghi e larghi alla moda inglese chiamano le scarpe dei loro fortunati possessori: cassett de Nasturzi.
Satureja, santoreggia, savoreggia, caniella, peverella, erba acciuga è la medesima pianticella annuale, originaria della Spagna, vaga per la sua fioritura bianco porporina. Si risemina da sè abbondantemente, e nasce facilmente dovunque. Nel linguaggio dei fiori: ingenuità. Ve ne sono 8 varietà , tutta la pianta è aromatica. I cuochi la ricercano per rendere più grato il sapore delle fave, delle lenti, dei piselli secchi, e degli altri legumi, ai quali si unisce assai bene, come in tutte le salse I Tedeschi la mettono nel loro Sauer-Kraut. Fu chiamata la salsa dei poveri. È utile in medicina, come stomachica, la sua decozione è buona per gargarismi e spruzzata nelle orecchie per le otiti, da qui forse il suo nome popolare di santoreggia, giova nelle affezioni vaporose. Colla satureja se ne profumano le abitazioni in tempo di epidemia e le stalle quando regnano le epizoozie. Il suo nome satureja dall'antico satyreja perchè di questa erba se ne cibavano volentieri i satiri, certi uomini, che c'erano una volta e che avevano le corna e i piedi di capra. Era detta dai Romani cunila e conyza, (da qui l'altro nome popolare di coniella) che il volgo chiamava anche pulicaria perchè serviva a scacciare le pulci, virtù che conserva anche oggidì, emula della maggiorana. I fiori della satureja, sono cibo graditissimo delle api.
piedi di capra. Era detta dai Romani cunila e conyza, (da qui l'altro nome popolare di coniella) che il volgo chiamava anche pulicaria perchè serviva