Una delle cose essenziali per chi si dedica all'arte della cucina è la perfetta conoscenza dei generi che si adoperano. A prima vista queste conoscenze sembrano la cosa più facile di questo mondo: ma in realtà non è così: tanto che spesso dei cuochi di mestiere sono tratti in inganno. Non bisogna dimenticare che il più delle volte tra chi compra e chi vende esiste un irriducibile antagonismo, per quanto larvato; e novanta volte su cento il negoziante ha tutto l'interesse di dare al cliente i generi che egli vuole anzichè quelli che dovrebbe dare. Occorre dunque che il compratore sia tanto agguerrito da sventare queste piccole insidie, mascherate spesso da sorrisi o accompagnati da un diluvio di parole esaltanti l'articolo. Chi compera deve rimanere tetragono e non lasciarsi abbindolare dalle chiacchiere: deve portare a casa quel ch'egli vuole e non quello che gli si vuole... propinare. Di qui, come dicevamo, la necessità di conoscere perfettamente quel che si acquista: a base principale dell'economia, prima, e della buona riuscita di ciò che si cucina, poi.
conoscenze sembrano la cosa più facile di questo mondo: ma in realtà non è così: tanto che spesso dei cuochi di mestiere sono tratti in inganno. Non bisogna
Per riconoscere il pesce un primo avvertimento, che può sembrare un paradosso: è, cioè, non affidarsi all'odorato. Un pesce anche freschissimo può tramandare un odore poco rassicurante se si sia cibato di speciali erbe marine o di qualche alimento impuro. Ma questo odore si perde immediatamente non appena il pesce sia sventrato e accuratamente lavato; mentre un pesce pescato da un mese e più, sepolto tutte le sere nel ghiaccio, dissepolto tutte le mattine e copiosamente annaffiato durante le poche ore che rimane esposto al pubblico in attesa del disgraziato che se lo porti a casa, non tramanderà, se odorato, niente di sgradevole, ma alla cottura avrà un saporaccio, le carni saranno molli, e quel che è peggio costituirà un alimento malsano, niente affatto nutriente e difficilmente digeribile. Quindi per non sbagliare quasi mai bisogna affidarsi, completamente alla vista. Quando un pesce sarà bello, novantanove volte su cento sarà anche buono.
, niente affatto nutriente e difficilmente digeribile. Quindi per non sbagliare quasi mai bisogna affidarsi, completamente alla vista. Quando un pesce
Il brodo è una delle preparazioni fondamentali della cucina. È il brodo che forma la base indispensabile di ogni specie di minestra, il brodo che con nuove addizioni di carne fornirà il «consommè», o servirà per salse, o verrà usato in un'altra quantità di casi. Occorre dunque avere il brodo nelle migliori condizioni, ciò che si ottiene con una oculata scelta degli elementi che lo compongono e più ancora con una cura continua e attenta. Buoni tagli di carne da brodo sono la copertina, il fianchetto, la spalla, la falsa costa, il petto ecc. Anche meglio sono la punta della culatta, e il «piccione» o nasello che hanno il pregio di offrire anche un bollito gustoso. In quanto alle ossa non bisogna prestar fede alla leggenda accreditata dai macellai, che cioè siano necessarie per ottenere un buon brodo. Checchè se ne dica, le ossa non servono che ad ingombrare la pentola. È tollerabile un osso col midollo. Per ogni chilogrammo di carne occorrono due litri di acqua fredda. Si pone la carne in una pentola, con l'acqua fredda, e si mette su fuoco moderato. L'acqua riscaldandosi a grado a grado, agisce sulle fibre della carne e dissolve le materie albuminose che esse contengono, e che salgono alla superficie sotto forma di schiuma, che deve essere subito tolta. È buona regola, mentre l'acqua si avvia all'ebollizione di versare, di quando in quando, qualche cucchiaiata di acqua fredda nella pentola, ciò che aiuta a liberare la carne da tutte le sue impurità. Più la schiumatura sarà stata fatta con cura, maggiore sarà la limpidità del brodo. Dopo schiumata la pentola, si sala, e vi si aggiungono cipolla, sedano, radica gialla, pomodoro ecc., che hanno lo scopo di comunicare al brodo il tono aromatico. E finalmente si tira sull'angolo del fornello e si lascia bollire dolcissimamente per qualche ora. È necessario che dal momento in cui si verifica l'ebollizione, il fuoco abbia sempre la stessa moderata intensità: un fornello a gas con la «veilleuse» serve ottimamente allo scopo. Quando la carne sarà giunta a perfetta cottura, si mette in una pentola più piccola, si copre con un po' di brodo e si tiene in caldo. Il brodo della pentola grande si sgrassa accuratamente, si passa attraverso una salvietta o un colobrodo, e si adopera.
«piccione» o nasello che hanno il pregio di offrire anche un bollito gustoso. In quanto alle ossa non bisogna prestar fede alla leggenda accreditata dai
Resta brevemente da esaminare quali sono i principii fondamentali degli arrosti sulla gratella, — che i francesi chiamano «grillades». Per gli arrosti sulla gratella il combustibile più appropriato è il carbone di legna completamente acceso e ridotto a brace incandescente. Le gratelle da applicare su fornelli a gas o qualunque altro sistema non daranno mai un risultato apprezzabile. Anche qui è necessario che la quantità di brace sia proporzionata alla quantità di carne da arrostire. Se il fornello fosse troppo piccolo e la gratella grande, converrà distendere uno strato di cenere sul camino e su questo mettere la brace incandescente. Diversi sono i modi di procedere nella cottura, secondo che si tratti di carni rosse o di carni bianche. Qualunque carne rossa, dopo essere stata unta, va messa in gratella a fuoco forte affinchè possa subito formarsi una corteccia leggermente abbrustolita, che conserverà alla carne tutto il succo e quindi tutto il suo sapore. Appena questa corteccia si sarà fatta da una parte, voltate subito la carne dall'altra affinchè anche qui la carne possa subire l'azione immediata del fuoco. Si riconosce il punto esatto di cottura quando, appoggiando un dito nel mezzo della bistecca, si sente una pressione come se la carnfosse di gomma elastica. Se il dito affonda troppo facilmente significa che la carne non è ancora cotta a punto. Guardatevi bene dal punzecchiare le bistecche o le costolette colle punte della forchetta quando dovrete voltarle. I buchi che fareste sulla carne darebbero facile uscita ai succhi che bisogna invece gelosamente conservare nell'interno, e voi ottereste un arrosto secco e senza gusto. Per voltare la carne usate una palettina o in mancanza di questa una larga lama di coltello. Ricordate anche che le carni arrostite sulla gratella vanno salate alla fine della cottura. E questo perchè il sale, liquefacendosi, forma uno strato umido sulla carne e impedisce la rapida formazione di quelo strato abbrustolito che, come abbiamo visto, è indispensabile per ottenere una buona bistecca arrosto. Le carni bianche, contenendo meno succhi, debbono invece essere arrostite a fuoco più dolce ed essere frequentemente unte di burro durante la loro cottura. In quanto ai pesci cotti alla gratella bisognerà osservare di tenere un calore moderato e di ungerli spesso di olio.
che fareste sulla carne darebbero facile uscita ai succhi che bisogna invece gelosamente conservare nell'interno, e voi ottereste un arrosto secco e
Chiuderemo l'esame delle varie farcie occupandoci delle finissime farcie della moderna cucina. In questo genere di farcie si è raggiunto il massimo della squisitezza, e con esse la cucina moderna ha segnato una delle sue più belle affermazioni. La confezione delle farcie alla crema non offre difficoltà, anzi potremmo dire che, rispetto alle altre farcie, il lavoro resta assai semplificato. Solamente bisogna operare con un po' di diligenza. Noteremo qui che il procedimento è identico sia che si tratti di confezionare una farcia di pollame, o di pesce, di selvaggina, ecc. ecc. Le nostre lettrici non dovranno quindi che variare il genere di carne, attenendosi sempre alle stesse dosi e allo stesso procedimento. Le proporzioni sono le seguenti: 250 gr. di carne cruda accuratamente mondata, un bianco d'uovo, un bicchiere e mezzo di crema di latte, sciolta ma molto spessa, 4 gr. di sale e un pizzico di pepe bianco.
difficoltà, anzi potremmo dire che, rispetto alle altre farcie, il lavoro resta assai semplificato. Solamente bisogna operare con un po' di diligenza
PER LEGARE LE SALSE. — Abbiamo visto che le salse veramente utili in una cucina casalinga sono le piccole salse da prepararsi al momento. Anche in questo campo ciò che si richiede è un po' di genialità; e voi vedrete che man mano riuscirete con un lavoro minimo a completare le vostre pietanzine con le più appetitose salsette. In altra parte del volume vi abbiamo raccomandato di non mandar sprecato «quel che si trova in fondo alla padella». Vi abbiamo anche detto che dopo aver scolato il grasso basterà bagnare il fondo della cottura con un ramaiolo di brodo o d'acqua, e mescolare, staccando i residui con un cucchiaio di legno, per avere la base di una eccellente salsa. Ma, come sapete, le salse debbono essere un po' dense, o come si dice con parola tecnica «legate». Per legare sollecitamente una salsa ci sono due mezzi: la fecola di patate o il burro maneggiato. Mettete nel primo caso un cucchiaino di fecola di patate in una tazza e scioglietela con un dito d'acqua fredda. Quando la salsa bollirà versateci con la mano sinistra un pochino della fecola disciolta, mentre con un cucchiaio di legno, tenuto nella mano destra mescolerete la salsa. Vedrete che ben presto la salsa si addenserà. Fate dare ancora un bollo e poi toglietela dal fuoco, per finirla, secondo le occorrenze, con del burro, o del Marsala, ecc. Bisogna fare attenzione di mettere poca fecola alla volta, perchè mettendone in eccesso si correrebbe il rischio di avere una salsa troppo densa e di doverla poi risciogliere con altro brodo o acqua. Se volete esperimentare anche il sistema del burro maneggiato procederete così: prendete, a seconda dalla quantità della salsa, un pezzo di burro più o meno grande; ad esempio la quarta parte di un panino da un ettogrammo. Mettete questo burro sulla tavola di cucina o in un piatto e versateci sopra una cucchiaiata di farina comune. Con le mani o con la lama di coltello impastate burro e farina in modo da unirli perfettamente. Mettete questo burro preparato nella salsa, mescolate, lasciate bollire pochi minuti ed avrete ottenuto il vostro scopo. Anche qui è bene non eccedere in burro maneggiato, ma di metterne un po' alla volta fino a che la salsa abbia raggiunto la densità necessaria.
addenserà. Fate dare ancora un bollo e poi toglietela dal fuoco, per finirla, secondo le occorrenze, con del burro, o del Marsala, ecc. Bisogna fare
Per fare questo antipasto molto elegante non c'è che una difficoltà: disossare le olive. Ma si tratta di una difficoltà più apparente che reale. Noi siamo sicuri che alla prima prova le nostre lettrici riusciranno a meraviglia in questa piccola operazione. Bisogna acquistare delle olive verdi, dette di Spagna, scegliendole tra le più grosse. Provvedetevi di un temperino a lama sottile e incominciando dall'alto tagliate la polpa dell'oliva girando intorno all'osso a mo' di spirale e formando un nastro di un sol pezzo, il quale, ricomposto, assume nuovamente la forma dell'oliva. Per spiegarci meglio dovrete operare come se si trattasse di toglier via la buccia da un arancio o da un limone cercando di ottenerla in un sol pezzo. Ad operazione finita avrete così ottenuto di nuovo l'oliva intera, ma vuota nel mezzo. Man mano che disosserete le olive le metterete in bagno in una scodella con acqua leggermente salata: ciò per impedir loro di annerire. Un po' prima dell'ora della colazione mettete nel mortaio una cucchiaiata di capperi, un paio di cetriolini sotto aceto, del prezzemolo, un paio di alici lavate e spinate e un rosso d'uovo sodo. Pestate tutto ciò ottenendo una specie di manteca e con un pochino di questo composto riempite le olive, che in questo modo potranno ricongiungere perfettamente la spirale praticata col coltellino. Accomodate le olive in un elegante piattino di cristallo e innaffiatele con un filo d'olio.
siamo sicuri che alla prima prova le nostre lettrici riusciranno a meraviglia in questa piccola operazione. Bisogna acquistare delle olive verdi
La pasta reale, che avrete spessissimo veduto nelle vetrine dei fornai di lusso, è costituita da tante piccole pallette fatte con la pasta degli «choux». È facilissima a prepararsi in casa e dà una minestra leggera, nutriente ed elegante. Con due uova potrete fare tanta pasta reale da essere più che sufficiente a sei persone, e ve ne avanzerà anche, che di queste pallettine bisogna metterne nella minestra un numero limitato. Prendete 60 grammi di burro e metteteli in una casseruolina con mezzo bicchiere molto scarso di acqua e un pizzico di sale. Mettete sul fuoco e appena il liquido bollirà tirate indietro la casseruola e versateci d'un colpo 60 grammi di farina, ossia due cucchiaiate ben colme. Mescolate e rimettete sul fuoco per due o tre minuti, fino a che la pasta si staccherà dalle pareti della casseruola. Levate dal fuoco, lasciate freddare e poi uno alla volta, mescolate nella pasta due uova intere piuttosto piccole. Lavorate energicamente la pasta col cucchiaio di legno, nè più nè meno si trattasse di fare degli «choux» o delle bignè; e quando la pasta sarà pronta mettetela in un cartoccio di carta bianca forte, chiudete il cartoccio, spuntatene l'estremità e fate uscire dal cartoccio su una teglia, appena unta, tante pallottoline come un cece e poco più. Mettete giù le pallottoline a distanza di un dito una dall'altra e quando ne avrete fatto una fila fatene un'altra e così di seguito. Se una teglia non sarà sufficiente prendetene un'altra. Infornate a forno forte e appena le pallottoline saranno gonfiate e avranno preso un bel color biondo — ciò che avviene in pochi minuti — togliete la pasta reale dal forno e lasciatela freddare su un setaccio. Se dovete conservare questa pasta per qualche giorno sarà bene rinchiuderla in vasi di vetro. Quando avrete preparato il vostro brodo per il pranzo, scodellatelo aggiungendo nella scodella un pugno di pasta reale e una cucchiaiata di fegatini di pollo tagliati a pezzetti e scottati con un po' di burro e un cucchiaino di marsala. Servite del formaggio grattato, a parte.
che sufficiente a sei persone, e ve ne avanzerà anche, che di queste pallettine bisogna metterne nella minestra un numero limitato. Prendete 60 grammi
Il minestrone alla genovese è caratterizzato dal cosidetto pesto, squisita e sapiente amalgama di ingredienti diversi. Come nelle varie minestre di erbe anche in questo minestrone si possono mettere tutti quegli erbaggi e legumi che si hanno a disposizione: fagioli sgranati, fagiolini, zucchine, patate, cavoli, qualche pomodoro, ecc. Adoperando i fagioli — che riescono piuttosto duri alla cottura — sarà bene prelessarli a parte, come pure sarà bene sbollentare il cavolo per togliere alle foglie quell'acredine caratteristica. Fatto questo, si tagliano in pezzi gli altri erbaggi e legumi e si mettono a bollire in una casseruola o in un tegame con sufficiente acqua, si aggiungono i cavoli tagliati a fettuccie, i fagioli, due o tre cucchiaiate di olio, sale e pepe, e si fa cuocere il tutto dolcemente. Quando i legumi saranno quasi cotti, si aggiunge — secondo il numero delle persone qualche pugno di piccoli cannolicchi o di altra pasta a piacere. Bisogna
pugno di piccoli cannolicchi o di altra pasta a piacere. Bisogna
Il farro costituisce una minestra non certo fine, ma gustosissima, specialmente se eseguita secondo le regole della cucina romana, che ne fa una vera specialità. Si possono calcolare 100 grammi di farro a persona; per sei persone potrà anche essere sufficiente mezzo chilogrammo. Il farro va mondato come il riso e poi lavato in acqua fresca. Per sei persone prendete un ettogrammo e mezzo di cotenne di maiale. Preferite le cotenne di prosciutto a quelle fresche perchè meno saporite. Raschiate queste cotenne e mettetele sul fuoco in una casseruolina con acqua fredda, fatele bollire un paio di minuti poi scolate l'acqua e risciacquate le cotenne in acqua fresca affinchè perdano il gusto un po' forte e rimangono ben nette. Tagliate le cotenne in pezzi di circa tre centimetri e rimettetele a cuocere coperte, sull'angolo del fornello, con abbondante acqua pulita, fino a completa cottura. Fate sul tagliere un pesto con mezzo ettogrammo di grasso di prosciutto, mezzo spicchio d'aglio e mettetelo a soffriggere in una casseruola con una cucchiaiata di strutto e una cipolla finemente tritata. Quando ogni cosa avrà preso un bel color d'oro, aggiungete mezzo chilogrammo di pomodori spellati, fatti a pezzi e privati dei semi, o, in mancanza di pomodoro fresco, una buona cucchiaiata di salsa. Aggiungete ancora una cucchiaiata di prezzemolo trito, un buon pizzico di maggiorana e due o tre foglie di basilico tagliuzzato. Quando il pomodoro sarà cotto versate nella casseruola le cotenne arrivate di cottura, con tutta l'acqua in cui cossero. Fate rialzare il bollore e poi mettete giù il farro, che condirete con sale e pepe. La cottura del farro è analoga a quella del risotto, e bisogna mescolare continuamente con un cucchiaio di legno affinchè il farro non s'attacchi. Se l'acqua nella casseruola venisse a mancare, aggiungete man mano altra acqua bollente, regolandovi in modo che alla fine della cottura — per la quale occorreranno una ventina di minuti — il farro sia asciutto. Conditelo con parmigiano grattato, o, per rimanere nella ricetta tradizionale, con del pecorino romano.
farro è analoga a quella del risotto, e bisogna mescolare continuamente con un cucchiaio di legno affinchè il farro non s'attacchi. Se l'acqua nella
Gli antipasti caldi sono piccole preparazioni, le quali, in un pranzo, seguono immediatamente le minestre e servono di transizione tra queste e i grossi pezzi. La caratteristica assoluta di queste preparazioni deve essere la leggerezza. Come ebbe a dire il Maestro Escoffier, gli antipasti caldi, dal punto di vista della logica gastronomica, sono un pleonasmo e nulla, se non l'abitudine, ne ha giustificato l'uso. Non debbono quindi essere considerati che come una specie di piacevole intermezzo. Bisogna dunque studiarsi di fare delle preparazioni minuscole e graziose, qualche cosa come uno speciale petit-four, che, in un certo modo, possa solleticare gradevolmente l'appetito del convitato senza aggravarne lo stomaco. Infinite le preparazioni che possono figurare negli antipasti caldi, purchè si tenga presente quanto abbiamo già esposto nei riguardi della leggerezza, della grazia e della esattezza. La cucina moderna accoglie di preferenza tra gli antipasti caldi le barchette, riservate generalmente a guarniture di pesci, molluschi e crostacei, le tartelette, impiegate di preferenza per preparazioni a base di pollame, di caccia, ecc., le bouchées, più conosciute da noi col nome di petitspatés — ricordando che quando debbono servire per antipasti queste bouchées si faranno di misura assai più piccola dei soliti petits-patés — e i cannelloni, specie di cannoncini di pasta sfogliata, di cui le lettrici, come per le bouchées, troveranno il modo di esecuzione nel capitolo dei dolci.
considerati che come una specie di piacevole intermezzo. Bisogna dunque studiarsi di fare delle preparazioni minuscole e graziose, qualche cosa come uno
Bisogna scegliere dei panini di Vienna del tipo più piccolo possibile, calcolandone un paio a persona. Prendete dunque i panini, tagliatene una calotta, in modo da avere una specie di coperchio e, con un cucchiaino vuotateli di tutta la mollica. Si tratta ora di fare il ripieno, il quale potrà essere più o meno ricco a seconda della spesa che vorrete incontrare e in relazione anche con il tipo di colazione che avrete. Trattandosi infatti di una colazione di famiglia potrete, ad esempio, comporre il ripieno con funghi secchi, cotti in umido, amalgamati con un po' di carne trita avanzata e qualche pezzettino di prosciutto, o, se vorrete fare delle cose più ricche, potrete usare funghi, prosciutto, regaglie di pollo, qualche dadino d'uovo sodo, qualche fettina di mozzarella, ecc. Avete, dunque, la più ampia libertà di scelta. Certo è che più il ripieno sarà abbondante e variato, tanto più gustosa risulterà la pietanza. Riempite tutti i panini, rimettete loro i coperchi e tuffateli nel latte affinchè possano bene impregnarsene; passateli poi nella farina, nell'uovo sbattuto e finalmente friggeteli in una padella in cui sia abbondante olio o strutto. Quando avranno preso un bel color d'oro chiaro, estraeteli, lasciateli sgocciolare bene e accomodateli in un piatto con salvietta.
Bisogna scegliere dei panini di Vienna del tipo più piccolo possibile, calcolandone un paio a persona. Prendete dunque i panini, tagliatene una
Bisogna anzitutto impastare sulla tavola tre cucchiaiate di farina con la quarta parte di un panino di burro da un ettogrammo, e aggiungere poi un cucchiaio d'acqua e un pizzico di sale. Fate una palla della pasta e lasciatela riposare per un quarto d'ora. Stendetela poi con il rullo di legno allo spessore di due soldi, e tagliatene tante striscie verticali di sei centimetri l'una. Ritagliate la pasta con tagli orizzontali fatti alla distanza di circa nove centimetri, in modo da dividerla in tanti rettangoletti della misura di sei centimetri di base per nove di altezza. I ritagli li rimpasterete e li stenderete di nuovo, così da avere altri rettangoli regolari. Ve ne verranno complessivamente dai sedici ai diciotto. Preparate a parte quattro alici salate, lavate, spinate e fatte a pezzetti, due provature (o qualsiasi altro formaggio fresco) a pezzettini, un pizzico di pepe bianco e una cucchiaiata di parmigiano grattato. Mischiate bene questo composto e distribuitelo in porzioni uguali nel centro dei rettangoletti di pasta. Bagnate l'orlo di questi rettangoli con un po' d'uovo o con un pochino d'acqua; piegateli in due su sè stessi e appoggiate le dita sugli orli perchè combacino bene, e i fagottini restino ben chiusi. Friggeteli, pochi alla volta, nello strutto o nell'olio, finché abbiano preso un bel colore biondo. In padella i fagottini cresceranno un poco e si gonfieranno. Disponeteli con garbo in un piatto guarnito con una salviettina e mangiateli ben caldi.
Bisogna anzitutto impastare sulla tavola tre cucchiaiate di farina con la quarta parte di un panino di burro da un ettogrammo, e aggiungere poi un
Bisogna anzitutto preparare una pasta lievitata, che farete così. Mettete sulla tavola di cucina mezzo chilogrammo di farina — ricordatevi che è buona precauzione passare la farina dal setaccio — disponetela a fontana e nel vuoto mettete 20 grammi di lievito di birra sciolti in due dita d'acqua appena tiepida, un pizzico di sale, un pizzico di pepe, e impastate il tutto servendovi di altra acqua tiepida (un bicchiere e più). Regolatevi che la pasta deve risultare molto morbida. Lavoratela energicamente, come se si trattasse di fare il pane; poi quando sarà bene elastica, fatene una palla e mettetela in una terrinetta spolverizzata di farina, copritela, portatela sul camino o in un luogo caldo, ma non troppo, e lasciate che lieviti per un paio d'ore. Quando la pasta sarà ben rigonfia, rovesciatela sulla tavola infarinata, prendetene uno alla volta dei pezzetti grossi come un uovo, allargateli, tirando con le mani, e foggiatene delle pizzette sottili che getterete subito in una padella con olio o strutto caldissimi. Queste pizzette non devono stare in padella che pochi secondi e appena colorite da una parte dovranno essere voltate dall'altra. Solo così si ottengono leggiere. Mentre la pasta lievita, con olio, aglio e pomodori spellati e privati dei semi, sale e pepe, preparate un denso sugo di pomodoro. Occorrono dei pomodori piuttosto grossi e carnosi tagliati in pezzi grandi, e bisogna che la cottura sia fatta vivacemente affinchè i pomodori stessi non abbiano a disfarsi troppo. Quando il pomodoro sarà cotto, aromatizzatelo con un pizzico di origano e mettetelo da parte. Mentre le pizzette friggono riscaldate — se ce n'è bisogno — il pomodoro. Levate poi le pizzette dalla padella, accomodatele in un piatto largo mettendo sopra ognuna una abbondante cucchiaiata di pomodoro, e mandate in tavola immediatamente. Con mezzo chilogrammo di farina vengono circa venticinque pizzette. Per questa dose occorrono da un chilo e mezzo a due chilogrammi di pomodori.
Bisogna anzitutto preparare una pasta lievitata, che farete così. Mettete sulla tavola di cucina mezzo chilogrammo di farina — ricordatevi che è
Bisogna prima di tutto preparare una specie di pasta da pane, per la quale vi regolerete così: mettete sulla tavola di cucina 300 grammi di farina, disponete la farina a fontana e nel mezzo sgretolateci quindici grammi di lievito di birra. Metteteci anche un pizzico di sale e mezza cucchiaiata di strutto. Sciogliete il tutto con un poco d'acqua appena tiepida e impastate come una comune pasta da pane, tenendo questa pasta di giusta densità. Lavoratela energicamente e quando sarà ben liscia ed elastica raccoglietela in una terrinetta spolverizzata di farina, copritela e ponetela in luogo tiepido affinchè possa lievitare: per il che occorrerà un'ora abbondante. Mentre la pasta sta lievitando preparate il ripieno. Tagliate in pezzetti mezzo ettogrammo di prosciutto e mezzo ettogrammo di salame o mortadella, aggiungete un ettogrammo di mozzarella in dadini, un ciuffo di prezzemolo trito e due o tre foglioline di basilico, anche tritate, un po' di sale e un pizzico di pepe. Raccogliete ogni cosa in una scodella e aggiungete due o tre cucchiaiate colme di parmigiano grattato, un pizzico di pepe e un uovo intiero, che avrete sbattuto in un tegamino, come per una frittata. Mescolate tutto insieme e mettete da parte. Quando la pasta sarà ben lievitata rovesciatela sulla tavola infarinata, sgonfiatela con le mani e dividetela in una dozzina di pezzi. Prendete un pezzo alla volta ed allargatelo in modo da farne un disco di una diecina di centimetri di diametro. Nel mezzo di ogni disco mettete un mucchietto del ripieno preparato e ripiegate il disco in due in modo da rinchiudere dentro il ripieno. Pigiate con le dita sui bordi affinchè possano bene unirsi e procedete nell'identico modo per tutti gli altri pezzi di pasta.
Bisogna prima di tutto preparare una specie di pasta da pane, per la quale vi regolerete così: mettete sulla tavola di cucina 300 grammi di farina
Per i vastieddi, specialità eminentemente siciliana, bisogna confezionare anzitutto dei panini speciali, la cui pasta si fa con le seguenti dosi: lievito di pane, gr. 200; farina, kg. 1; acqua, un bicchiere; un pizzico di sale. Si lavora la pasta come se si trattasse di fare il pane e si divide in tanti pezzetti della grandezza di un panino piuttosto piccolo. Si allineano questi panini su una teglia infarinata, si bagnano leggermente d'acqua e si cospargono di semi di finocchio. Si lasciano lievitare, e quando saranno cresciuti del doppio si cuociono in forno moderato. Affinchè riescano bene è quasi indispensabile il forno in mattoni. Appena cotti si aprono da una parte e si riempiono con una fetta di ricotta, un po' di siccioli non spremuti ed estratti caldi dallo strutto e una piccola quantità di formaggio forte tagliato in pezzetti come fiammiferi di legno. In Sicilia si usa uno speciale formaggio chiamato cascavaddu. Si finisce con un pochino di strutto caldo, si richiude il panino e si mangia subito.
Per i vastieddi, specialità eminentemente siciliana, bisogna confezionare anzitutto dei panini speciali, la cui pasta si fa con le seguenti dosi
Per sei persone lessate sei uova; rinfrescate le uova, sbucciatele, spaccatele in due e dividete i bianchi dai rossi. I bianchi li metterete da parte, e i rossi li passerete dal setaccio, impastandoli poi con trecento grammi di ricotta, una cucchiaiata ben colma di parmigiano grattato, sale, pepe, e un nonnulla di noce moscata. Bisogna ora ricostruire l'uovo non mettendo però, come generalmente si usa, un pochino del composto nel cavo dove prima era il rosso; ma formandone l'altra metà col composto di uova e ricotta. Per spiegarci meglio una metà dell'uovo sarà formata dalla chiara, e l'altra metà dalla ricotta accomodata con diligenza, in modo da simulare l'uovo intero. Così invece di sei uova ne otterrete dodici. Prendete con garbo queste uova, infarinatele, immergetele nell'uovo sbattuto, passatele nel pane pesto, procurando con una lama di coltello di correggere bene la forma, e friggetele nell'olio o nello strutto, finchè abbiano preso un bel color d'oro. La padella dovrà essere ben calda. Accomodate queste uova su un piatto con salviettina e mangiatele calde.
, e un nonnulla di noce moscata. Bisogna ora ricostruire l'uovo non mettendo però, come generalmente si usa, un pochino del composto nel cavo dove prima
Bisogna anzitutto preparare della pasta sfogliata, adoperando cento grammi di burro e cento di farina. Rompete in una terrinetta cinque o sei uova, sbattetele bene e fate con esse una frittata, tenendola piuttosto molletta. Questa frittata potrete farla con burro o con strutto. Avrete preparato un mezzo ettogrammo di formaggio fresco, tre o quattro alici salate, lavate e spinate e ritagliate in filettini e un cucchiaio di prezzemolo trito. Quando la frittata sarà un po' rassodata versateci in mezzo il formaggio, le acciughe e il prezzemolo, condite con un pizzico di pepe, ripiegate la frittata su sè stessa rinchiudendo dentro il ripieno e cercate di dare alla frittata una forma ovale il più possibilmente corretta. Fatta la frittata lasciatela raffreddare completamente. Stendete la pasta sfogliata e da essa ritagliate due ovali uguali, alquanto più grandi della frittata. Su uno di questi ovali adagiate la frittata. Con uovo sbattuto o con acqua inumidite il bordo, che dovrà sporgere dalla frittata due o tre dita, e coprite con l'altro ovale. Passate ancora intorno intorno la punta del coltellino per pareggiare bene i due ovali, dorate l'ovale superiore passandovi su una penna o un pennello bagnati in un po' d'uovo sbattuto; mettete la frittata cosi avviluppata su una lastra da pasticceria leggermente imburrata e date una quindicina di minuti di forno ben caldo affinchè la pasta sfogliata possa cuocere, gonfiare e prendere un bel colore biondo. Fate sdrucciolare la frittata in un piatto lungo, e mandatela in tavola. La troverete gustosissima.
Bisogna anzitutto preparare della pasta sfogliata, adoperando cento grammi di burro e cento di farina. Rompete in una terrinetta cinque o sei uova
Si cuociono in piatti di porcellana resistenti al fuoco o in piatti di metallo argentato. La preparazione è, su per giù, uguale per tutte le ricette. Solo cambia la guarnizione, che una signora o una signorina intelligente può variare all'infinito. Si imburra abbondantemente il piatto, vi si rompono quel numero di uova occorrente — bisogna che le uova siano molto fresche — si guarniscono e si passano un momento in forno caldissimo per far rapprendere il rosso e l'albume. Diamo qualche esempio.
rompono quel numero di uova occorrente — bisogna che le uova siano molto fresche — si guarniscono e si passano un momento in forno caldissimo per far
Lessate un chilogrammo di patate, e quando saranno cotte sbucciatele e schiacciatele in modo da ridurle in purè. Condite questa purè mentre è ancora calda, con circa mezzo ettogrammo di burro, una cucchiaiata colma di parmigiano grattato, un uovo intero, sale pepe e noce moscata. Le patate così preparate si chiamano patate duchesse. Spolverizzate leggermente di farina la tavola, e con le mani date alla massa la forma di un grosso cannello. Prendete un piatto rotondo, e piuttosto grande, di metallo o di porcellana resistente al forno, imburratelo, e disponete intorno intorno una parte del cordone ottenuto con le patate e con quello che resta dividete in tondo del piatto in sei parti, come i raggi di una ruota. Dorate con uovo sbattuto e mettete in forno, affinchè questa ruota di patate prenda un bel colore d'oro chiaro. Una diecina di minuti prima di andare in tavola, rompete un uovo in ognuno dei sei spazi, conditelo con un pochino di sale, metteteci su dei pezzettini di burro e un po' di parmigiano grattato e rimettete il piatto nel forno per dar modo all'uovo di rapprendersi. Fate servire subito. È questo un altro piatto elegante e di poca spesa adatto per colazione. La vostra fantasia vi suggerirà tante piccole varianti nel modo di ultimare questa pietanza. Così potrete mettere sulle uova della salsa densa di pomodoro, delle fettine di formaggio fresco o di fontina, dei pisellini, dei fagiolini, ecc. Bisogna fare attenzione che la ruota di patate sia fatta con esattezza e con gusto; il segreto è tutto qui. Se avete la tasca di tela con una bocchetta grande spizzata, potete assai meglio guarnire il piatto con le patate duchesse, facendole uscire dalla bocchetta; nè più nè meno di quanto fareste per ottenere dei biscotti.
fettine di formaggio fresco o di fontina, dei pisellini, dei fagiolini, ecc. Bisogna fare attenzione che la ruota di patate sia fatta con esattezza e
Una delle migliori preparazioni di questi piccioni è il salmì. Ve ne insegneremo uno semplicissimo e assai gustoso. Spezzate i palombacci e metteteli in una casseruola con un pochino d'olio, sale, pepe e una vasta varietà di odori: cipolla, aglio, prezzemolo, sedano, carote gialle, alloro, salvia, rosmarino, maggiorana, ecc.: in una parola tutto quello che la vostra dispensa potrà offrirvi. Di erbe aromatiche non bisogna metterne in gran quantità: basta un pizzico per specie. Fate cuocere i piccioni con fuoco brillante e quando saranno ben rosolati bagnateli con due dita di aceto, che diluirete con mezzo bicchiere di vino. Coprite la casseruola e lasciate che i piccioni finiscano di cuocere dolcemente aggiungendo, se occorre, qualche cucchiaiata d'acqua. Dopo circa un'ora, quando saranno cotti, estraete dalla casseruola i pezzi dei piccioni, staccate con un pochino d'acqua calda il fondo della cottura e passatelo da un setaccio. Rimettete questo sugo nella casseruola ed uniteci una salsetta, che farete pestando nel mortaio una o due acciughe lavate e spinate e un pezzettino d'aglio, il tutto sciolto con un dito di buon aceto. Mettete nuovamente i palombacci nella casseruola, riscaldateli bene senza far bollire la salsa, versateli in un piatto e guarniteli con una cucchiaiata di prezzemolo trito.
, rosmarino, maggiorana, ecc.: in una parola tutto quello che la vostra dispensa potrà offrirvi. Di erbe aromatiche non bisogna metterne in gran
Qualunque sia il modo di cucinare i filetti di tacchino, bisogna anzitutto privarli del nervo, operazione che si fa facilmente intaccando con un coltellino e mettendo a nudo il principio del nervo stesso, e poi tirandolo via. Levato il nervo si spiana un po' il filetto con un largo coltello leggermente bagnato di acqua, e si fa cuocere in una piccola teglia con un pochino di burro e un pizzico di sale. I filetti si possono anche infarinare, dorare, panare e friggere nell'olio o nello strutto, o meglio ancora nel burro.
Qualunque sia il modo di cucinare i filetti di tacchino, bisogna anzitutto privarli del nervo, operazione che si fa facilmente intaccando con un
Scegliete una bella pollastrina giovane e grassoccia, nettatela, bruciacchiatene la peluria, risciacquatela e mettetela in una casseruola in cui vada quasi giusta. Ricopritela d'acqua e mettetela sul fuoco. L'acqua non deve essere troppa, allo scopo di conservare alla gallina il massimo sapore. Su per giù ne dovrete impiegare un litro; ed è per questo che bisogna scegliere un recipiente in cui la gallina non stia troppo larga. Man mano che l'acqua si riscalda schiumate accuratamente la casseruola e quando il bollore si sarà dichiarato condite la gallina con del sale, una cipolla in cui avrete conficcato un chiodo di garofano, una carota gialla, un nonnulla di sedano e un ciuffo di prezzemolo. Coprite la casseruola, diminuite il fuoco e fate bollire pian piano fino a cottura della gallina, la quale non dovrà essere sfatta ma cotta a punto giusto. In meno di un'ora la pollastrina sarà pronta e voi la lascerete in caldo vicino al fuoco coperta del suo brodo. Una ventina di minuti prima della colazione mettete in una casseruola una mezza cipolla tritata sottilmente e una cucchiaiata di burro e fate cuocere questa cipolla su fuoco debolissimo, in modo che non abbia a colorirsi, ma si disfaccia quasi nel burro. A questo punto aggiungete il riso mondato; lasciatelo insaporire un momento, mescolandolo perchè non si attacchi, e poi bagnatelo col brodo del pollo. Portate adesso la cottura a fuoco brillante, fino alla fine. Verificate la sapidità, e se credete aggiungete al risotto un nonnulla di noce moscata grattata, per finirlo poi con un altro po' dì burro e abbondante parmigiano. Tagliate in pezzi regolari la pollastrina, che avrete tenuto sempre in caldo in un po' di brodo, accomodate ì pezzi in un piatto e circondateli col riso. Tenete presente che il risotto ha qui solo il compito di accompagnare la pollastrina. Non ne dovrete fare quindi una quantità eccessiva, poichè la quantità andrebbe necessariamente a scapito della bontà del risultato finale. Il brodo della pollastrina che serve per cuocere COME SI CUCE UN POLLO
per giù ne dovrete impiegare un litro; ed è per questo che bisogna scegliere un recipiente in cui la gallina non stia troppo larga. Man mano che l
I pollivendoli romani hanno spesso in mostra monticelli di budelline di pollame e generalmente queste budelline sono già aperte e nettate. Se così non fosse converrà aprirle e nettarle accuratamente. Giova tenere presente che siccome queste budelline si riducono assai cuocendo, bisogna prenderne in abbondanza calcolandone dai tre ai quattrocento grammi a persona. Dopo aver ben nettato le budelline lavatele in più acque, stropicciandole bene tra le mani in modo che risultino bianchissime. Lasciatele sgocciolare e poi mettetele in una casseruola ricoprendole di acqua. L'acqua deve sopravanzare di circa un centimetro. Condite con sale, un pochino di cipolla, un pezzettino di sedano e di carota gialla e un po' di prezzemolo. Coprite la casseruola e lasciate bollire pian piano fino a che l'acqua sia quasi del tutto evaporata. Mettete adesso in un'altra casseruola un pezzo di burro con delle fettine di prosciutto grasso e magro tagliate in listelline e un pochino di cipolla tritata finissima. Fate rosolare la cipolla a color d'oro e poi, dopo aver tolto i legumi alle budelline lessate, travasatele nella nuova casseruola mettendo anche quel po' di brodo che sarà rimasto dalla cottura. Fate insaporire, aggiungete qualche cucchiaiata di salsa di pomodoro o meglio di sugo d'umido e lasciate finir di cuocere fino a completa cottura, aggiungendo, se fosse necessario, qualche altra cucchiaiata d'acqua. Ultimatele con un pizzico di pepe e mandatele in tavola facendo servire insieme del parmigiano grattato.
non fosse converrà aprirle e nettarle accuratamente. Giova tenere presente che siccome queste budelline si riducono assai cuocendo, bisogna prenderne in
Uno dei principali guai della milza è la pelle, che bisogna levare completamente, sotto pena di ottenere una pietanza immangiabile da gettar via senz'altro. La pelle si leva facilmente con un coltello; ad ogni modo chi non avesse pratica con questa operazione o non volesse sporcarsi le mani, la faccia fare dallo stesso macellaio.
Uno dei principali guai della milza è la pelle, che bisogna levare completamente, sotto pena di ottenere una pietanza immangiabile da gettar via senz
Condite tutti gl'ingredienti che sono nella terrinetta con sale, pepe, un po' di noce moscata e un mezzo bicchiere di marsala. Mescolate ogni cosa con un cucchiaio, come se si trattasse di una insalata, coprite con un piatto e lasciate così per un'ora e più affinchè il composto possa ben profumarsi e insaporirsi di marsala. Questo composto forma, se così ci è dato esprimerci, il materiale per l'edificio della galantina, la pietra e i mattoni. Bisogna che questa pietra e questi mattoni siano uniti fra loro da una specie di calce o cemento.
. Bisogna che questa pietra e questi mattoni siano uniti fra loro da una specie di calce o cemento.
È appunto questo cemento culinario che bisogna fare adesso e che, come sapete, in linguaggio tecnico si chiama farcia. Pestate finemente sul tagliere o meglio passate a macchina, se l'avete, mezzo chilogrammo di carne magra di maiale e mezzo chilogrammo di lardo salato. Amalgamate bene le due sostanze e conditele con sale e pepe. Se vi contentate di un lavoro alla buona potrete fermarvi qui; ma se volete con poca fatica in più avere un risultato di prim'ordine, pestate poco per volta la carne e il grasso nel mortaio, e poi passateli da un setaccio, forzando con un cucchiaio di legno. Quando avrete preparato anche la farcia, tagliate col coltello una metà della rete e mettetela in un tegame con acqua calda. La rete dopo poco si ammorbidirà, e diventerà come un fazzoletto bagnato.
È appunto questo cemento culinario che bisogna fare adesso e che, come sapete, in linguaggio tecnico si chiama farcia. Pestate finemente sul tagliere
Uno dei modi migliori e più eleganti per preparare gli spinaci rimane sempre il budino, il quale può fare bella mostra di sè in qualunque menù. Molti credono che per fare il budino di spinaci bisogna ricorrere poco meno che alla scienza; ed infatti ci sono molte cuoche che elencano questo piatto tra le loro commendatizie, quasi si trattasse di superare difficoltà eccezionali. Niente di più falso, in quanto che preparare un buon budino di spinaci è affare da nulla. Mettete a lessare un mazzo di spinaci e cotto che sia rinfrescatelo in acqua fredda e poi spremetelo tra le mani per estrarne tutta l'acqua. Dosi esatte di spinaci non se ne possono dare, poichè i mazzi variano secondo il capriccio di chi li confeziona. Potrete tener presente che per un budino sufficiente a sei persone occorreranno due palle di spinaci, lessati e spremuti, grandi ognuna come una grossa arancia. Passate questi spinaci dal setaccio, oppure tritateli finemente sul tagliere. È preferibile però passarli dal setaccio, perchè si ottiene un risultato migliore. Mettete intanto in una casseruola la quarta parte di un panino di burro, e quando il burro sarà liquefatto, aggiungete due cucchiaiate di farina, fate cuocere un poco, mescolando, e poi bagnate con un bicchiere di latte. Sciogliete la salsa col mestolo e fatela addensare sul fuoco fino a che abbia acquistato una notevole consistenza. Togliete la casseruola dal fuoco, condite con sale, pepe e noce moscata, una cucchiaiata di parmigiano grattato, e poi mescolateci un uovo intiero e un rosso, sbattuti come per frittata. Aggiungete gli spinaci, passati o tritati, mescolate tutto in modo da amalgamare bene i vari ingredienti, sentite se il composto sta bene di sale, correggendo al bisogno, e poi versatelo in una stampa da budino della capacità di circa mezzo litro, stampa che avrete unto con burro, e poi infarinata. Ricordatevi dopo che avrete infarinata la stampa, di capovolgerla, e batterla leggermente sulla tavola per far cadere il superfluo della farina. Mettete il budino in una casseruola piuttosto grande con acqua calda, avvertendo che l'acqua giunga soltanto a un paio di dita sotto l'orlo della stampa e fate cuocere a bagnomaria per circa un'ora, per dar modo al budino di rassodarsi.
credono che per fare il budino di spinaci bisogna ricorrere poco meno che alla scienza; ed infatti ci sono molte cuoche che elencano questo piatto
Generalmente si calcolano un paio di zucchine a persona. Bisogna che le zucchine siano piccine, e molto fresche. Per vuotare le zucchine c'è un apposito utensile in latta o in ferro il cui uso è così comune che crediamo non ci sia bisogno di spiegazioni. Vuotate dieci zucchine del peso di circa 100 grammi l'una, facendo attenzione di procedere con garbo affinchè il vuota zucchine non intacchi l'esterno delle zucche. Quando le avrete vuotate tutte, preparate il ripieno. Prendete due ettogrammi di carne magra di manzo e tritateli sul tagliere o nella macchinetta. Raccogliete la carne pestata in una scodella ed uniteci un uovo intiero, due cucchiaiate di parmigiano grattato, un pezzo di mollica di pane come un grosso uovo, tenuta in bagno nell'acqua e poi spremuta, qualche pezzettino di prosciutto, sale e pepe. Impastate bene tutti questi ingredienti in modo che risulti una massa fine, e con essa riempite le zucchine. Dopo averle così preparate prendete una teglia in cui possano stare comodamente in un solo strato, metteteci una cucchiaiata di strutto o la terza parte di un panino di burro, un pochino di cipolla, tagliata fine, un pochino di prezzemolo, e un po' di grasso di prosciutto tritato.
Generalmente si calcolano un paio di zucchine a persona. Bisogna che le zucchine siano piccine, e molto fresche. Per vuotare le zucchine c'è un
Bisogna fare attenzione che così gli sparagi, come le uova, siano ben scolati, altrimenti il burro verrà ad essere diluito dall'acqua e la pietanza riuscirà insipida. Se avete un piatto di argento, di metallo o di porcellana che resista al fuoco, dopo aver condito le uova e gli sparagi con burro e parmigiano, passate il piatto per un minuto o due, al massimo, in forno caldissimo. In questo modo il parmigiano si fonde e la pietanza viene più gustosa. All'uscita dal forno sgocciolate ancora sulle uova un altro po' di burro fuso e fate servire.
Bisogna fare attenzione che così gli sparagi, come le uova, siano ben scolati, altrimenti il burro verrà ad essere diluito dall'acqua e la pietanza
Bisogna scegliere delle cipolline piccole, sbucciarle e lavarle in acqua fresca. In una casseruola o in un tegame si mette un pochino di olio o di strutto e del pomodoro spellato e fatto a pezzi. Quando il pomodoro sarà quasi cotto si mettono giù le cipolle, si condiscono con sale e pepe, si coprono d'acqua e si fanno cuocere pian piano coperte.
Bisogna scegliere delle cipolline piccole, sbucciarle e lavarle in acqua fresca. In una casseruola o in un tegame si mette un pochino di olio o di
Dopo l'alto costo raggiunto dalla vainiglia si è sempre più esteso nella pasticceria l'uso della vainiglina, prodotto chimico che la sostituisce perfettamente. È una polvere bianca, di profumo penetrante, che si vende in tutte le farmaceutiche e presso i negozianti di prodotti chimici. Assolutamente innocua, serve mirabilmente a profumare creme, zucchero al velo, liquori, frutta sciroppate, ecc. Soltanto non bisogna esagerare nella quantità, poichè ne basta un nonnulla per comunicare agli zuccheri o alle creme un eccellente profumo. Acquistatene qualche grammo, che conserverete in un vasetto di vetro ben chiuso.
. Assolutamente innocua, serve mirabilmente a profumare creme, zucchero al velo, liquori, frutta sciroppate, ecc. Soltanto non bisogna esagerare nella quantità
Si può fare con la marmellata di frutta o con la crema. Per sei persone fate una pasta sfogliata con 250 grammi di burro e 250 grammi di farina, una forte pizzicata di sale, e circa mezzo bicchiere d'acqua (dalle sette alle otto cucchiaiate). Quando avrete ultimato il sesto giro stendete la pasta in ampio rettangolo dello spessore di mezzo centimetro scarso, avente una ventina di centimetri nel lato più corto e circa 80 nel lato più lungo. Prendete un coperchio, o un piatto da dessert che abbiano un diametro di una ventina di centimetri, appoggiate il piatto o il coperchio che sia — se sceglierete il piatto dovrete usarlo capovolto — sulla pasta e servendovi di esso come modello incidete intorno intorno la pasta con la punta di un coltellino, tagliando, uno dopo l'altro, quattro dischi di pasta, uno accanto all'altro. Liberate i dischi incisi dai ritagli, sovrapponete tutti i ritagli ottenuti, e invece d'impastarli con le mani, batteteli, a piccoli colpi, col rullo di legno affinchè possano rimpastarsi, ripiegateli in due e batteteli ancora. Con questa operazione tutti i ritagli formeranno un pezzo di pasta unico. Stendete questo pezzo di pasta in rettangolo e ripiegatelo in tre, nè più nè meno doveste dare un giro alla pasta sfoglia. Fatto questo, spianate la pasta in rotondo, fino a che potrete tagliarne un quinto ed ultimo disco. Vi consigliamo di fare questo quinto disco con i ritagli per non farvi fare una dose eccessiva di pasta, tanto più che il risultato non subirà nessuna variazione. Se aveste ancora qualche po' di ritagli non li gettate via, ma riuniteli battendoli col rullo come vi è stato detto più sopra e teneteli da parte per farne qualche nastrino da friggere, qualche fagottino, ecc. Ottenuti i cinque dischi, bisogna cuocerli in forno molto caldo, anzi rovente. Se il forno è grande potrete cuocere tutti e cinque i dischi insieme, altrimenti un po' alla volta. Prendete una teglia o una lastra da forno leggerissimamente imburrati. Con garbo, senza farli deformare, deponeteci uno o più dischi, e prima di infornarli, con le punte di una forchetta, pungete dappertutto la pasta. Pungete forte fino a sentire con la forchetta la teglia o la placca. Il disco dovrà assumere l'aspetto di una galletta. Si fa questa operazione per impedire che la pasta cresca troppo e irregolarmente. Punzecchiata la pasta infornate i dischi. Vi abbiamo già detto che il forno deve essere rovente. I dischi devono stare in forno una diecina di minuti e debbono risultare asciutti, leggeri, e appena appena biondi. Se operate in un piccolo forno domestico, dove bisogna supplire con espedienti alla irregolarità del calore, potrete dopo sei o sette minuti, voltare con attenzione il disco se la parte di sotto del forno cuoce più di quella di sopra come generalmente accade. Man mano che i dischi saranno cotti, levateli dal forno e appoggiateli sulla tavola o sul marmo. Se la cottura sarà stata portata a fuoco vivo i dischi avranno conservato la loro perfetta forma rotonda, cosa che non accadrebbe se il forno fosse imperfettamente riscaldato, perchè allora la pasta tenderebbe a liquefarsi e ad allargarsi. Mentre i dischi si freddano preparate una crema pasticcera con tre torli d'uovo, tre cucchiaiate colme di zucchero in polvere, tre cucchiaiate non troppo abbondanti di farina e mezzo litro di latte.
teneteli da parte per farne qualche nastrino da friggere, qualche fagottino, ecc. Ottenuti i cinque dischi, bisogna cuocerli in forno molto caldo, anzi
Farciti i datteri o le noci, bisogna aspettare un po' che la pasta si asciughi, e poi se vi accontenterete di mangiarli così, bene, altrimenti si procede all'operazione della caramellatura, la quale però, specialmente per i datteri, non è assolutamente necessaria.
Farciti i datteri o le noci, bisogna aspettare un po' che la pasta si asciughi, e poi se vi accontenterete di mangiarli così, bene, altrimenti si
Mettete in una piccola casseruola con acqua un ettogrammo di mandorle e portatele fino all'ebollizione. Sarà così facile levare loro la pellicola. Lasciate asciugare bene, passandole nel forno appena tiepido, e poi pestatele nel mortaio con cento grammi di zucchero in pezzi. Pestate poche mandorle e poco zucchero alla volta, e badate che le mandorle non facciano olio. Passate poi la farina ottenuta da un setaccio e pestate nuovamente la granella rimasta, fino a che avrete passato tutto. Adesso bisogna fare il color verde. Prendete un pugno di foglie di spinaci, pestatele bene nel mortaio, poi mettetele in una salvietta e strizzate forte. Ne uscirà un liquido verdastro che raccoglierete in un tegamino. Mettete il tegamino sul fuoco e al primo bollore vedrete che il liquido si sarà decomposto. Passatelo allora per un velo. La parte acquosa se ne andrà, e sul velo rimarrà una sostanza verde che è il colore richiesto. Mescolate questo verde con la farina di mandorle zuccherata, e se vedrete che l'impasto stenta a formarsi, uniteci poche goccie di acqua o meglio di maraschino. Guardate che la pasta deve riuscire ben sostenuta. Fendete per metà 40 datteri e togliete il nocciolo senza dividerli in due. Aprite il dattero, e nell'apertura mettete un po' di pasta di mandorle, procurando di disporla in modo regolare, cosicchè tra le due labbra — diciamo così — del dattero si veda una bella striscia di pasta di mandorle. Questo per i datteri. Le noci si schiacciano senza rovinarle, e con un coltellino si tagliano in due parti. Tra una parte e l'altra si mette una pallina di pasta di mandorle e si ricostruisce la noce.
rimasta, fino a che avrete passato tutto. Adesso bisogna fare il color verde. Prendete un pugno di foglie di spinaci, pestatele bene nel mortaio, poi
Le dosi sono per sei persone. La charlotte non risulta molto grande, ma poichè si tratta di un dolce sostanzioso, constaterete che sarà sufficiente. Bisogna anzitutto fare una purè densa di castagne. Prendete 400 grammi di castagne — in numero, dalle trenta alle trentacinque — togliete loro la scorza con la punta di un coltellino e mettetele a cuocere nell'acqua leggermente salata. Quando saranno ben cotte estraetele dalla pentola, togliete loro la pellicola e mettetele in una casseruola con un bicchiere e mezzo di latte, due cucchiaiate di zucchero in polvere, e fatele bollire di nuovo infrangendole con un cucchiaio di legno per ridurle in purè, che deve riuscire densa e ben liscia. Se ci fossero ancora qua e là delle particelle di castagne, tornate a schiacciare la purè sulla tavola con uno schiacciapatate. Prendete una stampa da charlotte della capacità di mezzo litro o una piccola casseruola della stessa capacità e foderatela di carta bianca, mettendo cioè un disco di carta sul fondo e una striscia di carta all'intorno. Prendete la purè, mettetela nell'interno della stampa e, aiutandovi con le dita o con un cucchiaio di legno, fate che aderisca alle pareti della charlotte per uno spessore di circa un dito. Per intenderci, dovete modellare una specie di scatola, avvertendo di premere bene con le dita affinchè la purè vada a prendere la esatta forma della stampa senza lasciare vuoti. Preparate intanto in una scodella 150 grammi di ricotta e aggiungeteci un cucchiaio di latte, due cucchiaiate di zucchero, una cucchiaiata di filettini di scorzetta candita, una cucchiaiata di uvetta, qualche filettino tostato di mandorla e mezzo bicchierino di rhum o di altro liquore forte, a vostra scelta. Lavorate bene la ricotta col cucchiaio per scioglierla e per impastarla e di essa riempite l'interno della scatola di castagne. Con una lama di coltello lisciate la superficie pigiando anche qui affinchè la ricotta non lasci vuoti nell'interno. Coprite con un altro disco di carta e mettete in fresco, o meglio, sul ghiaccio per circa un'ora. Trascorso questo tempo, capovolgete la charlotte su un piatto rotondo con salviettina e levate pian piano la carta, che è necessaria per poter sformare facilmente il dolce: dolce di bella apparenza, di gradito sapore e di costo assai moderato.
. Bisogna anzitutto fare una purè densa di castagne. Prendete 400 grammi di castagne — in numero, dalle trenta alle trentacinque — togliete loro la
Mettete il miele in una casseruola, piuttosto grande, perchè in essa dovremo poi fare tutta la manipolazione, e poi mettete questa casseruola in un'altra ancor più grande posta sul fornello e contenente acqua bollente. Bisogna cuocere il miele di preferenza a bagno-maria, perchè se cotto a fuoco diretto si attacca e si colorisce, mentre, per il torrone, deve rimanere ben limpido e senza grumi. Provvedetevi di un cucchiaio di legno nettissimo, che non abbia odori di grassi e di sughi e incominciate a mescolare il miele, senza mai più lasciare di mescolarlo. È questa l'operazione più noiosa, poichè la cottura a bagno-maria è lenta e necessita quella pazienza alla quale abbiamo fatto appello. Del resto, non ci sono altre complicazioni e, se volete, potrete affidare questa parte di lavoro manuale alla vostra domestica, mentre voi sorveglierete la cottura, che durerà circa un'ora e mezzo, e accudirete intanto alle altre preparazioni. Mentre il miele cuoce, preparate gli altri ingredienti necessari al torrone. E prima di tutto le mandorle e le nocciole. Acquistando le mandorle rivolgetevi ad un negoziante onesto, che vi garentisca mandorle dolci e non vi dia un misto di mandorle dolci e amare che darebbero un cattivo sapore al torrone. Le mandorle — naturalmente senza guscio — vanno messe in una casseruolina con acqua fredda che poi si porta pian piano fin quasi all'ebollizione. Si ritirano allora dal fuoco e si sbucciano facilissimamente. Prima di mettere le mandorle nella casseruolina, sarà bene di dar loro una guardata, per toglier via qualche pezzo di guscio che potesse esservi mischiato. Le nocciole si schiacciano, si pesano e si allargano insieme con le mandorle in una teglia ben netta, e si mettono ad asciugare su un po' di brace, o meglio in forno leggerissimo, mescolandole di quando in quando con le mani. Fatto questo, montate in neve due chiare d'uovo. Dopo qualche tempo, incominciate a provare la cottura del miele che dovrà essere portata esattamente al grado della «caramella». Quando constaterete che la cottura del miele è al grado voluto incominciate a metterci le chiare montate, un po' alla volta, e sempre mescolando. Vedrete che la massa si gonfierà e diventerà bianca e spumosa. Tenete pronto intanto lo zucchero, che cuocendosi a fuoco diretto e non a bagno-maria come il miele, arriva assai più presto di cottura. Mettete i duecento grammi di zucchero in un polsonetto
'altra ancor più grande posta sul fornello e contenente acqua bollente. Bisogna cuocere il miele di preferenza a bagno-maria, perchè se cotto a fuoco
Ecco dunque come bisogna procedere per candire le scorze d'arancio. Si tagliano le bucce in quattro spicchi, si staccano dagli aranci e si mettono per due o tre giorni in una catinella ad acqua corrente, allo scopo di far perdere alle bucce tutto l'amaro. Si mette poi sul fuoco un grande recipiente con acqua, e quando l'acqua bollirà vi si gettano le bucce, che dovranno cuocere per circa un quarto d'ora, cioè fino a quando si possono attraversare facilmente con uno stecchino. È bene però non eccedere nella cottura. Si rimettono le bucce cotte in acqua fresca, si scolano bene e poi si accomodano in un tegame. Intanto si preparerà uno sciroppo con mezzo chilogrammo di zucchero e un litro d'acqua, sciroppo che risulterà a circa 20 gradi. Si fa bollire e così bollente si versa sulle scorze d'arancio. Si copre il recipiente e si ripone fino al giorno dopo. Il giorno dopo scolate lo sciroppo e siccome misurandone i gradi troverete che la densità è molto scesa, dovrete aggiungere dello zucchero affinchè lo sciroppo torni verso i 22 gradi. Fatelo bollire e versatelo così bollente sulle scorze. Ripetete ogni giorno l'operazione portando lo sciroppo con l'aggiunta di zucchero prima a 27, poi a 30 e finalmente a 34 gradi. Arrivati ai 30 gradi sarà bene unire allo sciroppo un po' di glucosio, che impedisce allo zucchero di granire. L'ultimo giorno portate lo sciroppo a 36 gradi facendo scaldare in esso anche le bucce. I vostri canditi sono pronti. Se vorrete adoperarli subito mettete le scorze in un vaso di vetro, se poi vorrete conservarli provvedetevi di scatole di latta da un litro, accomodateci le bucce, ricopritele di sciroppo; aggiungete un altro po' di glucosio, fate saldare le scatole dallo stagnaio e cuocetele per un'ora a bagno-maria.
Ecco dunque come bisogna procedere per candire le scorze d'arancio. Si tagliano le bucce in quattro spicchi, si staccano dagli aranci e si mettono
Per questo delicato lavoro di bomboneria occorrono le violette doppie di Parma e — naturalmente — freschissime. Si privano del gambo e si tuffano in acqua fresca per ripulirle bene. Si tolgono delicatamente dall'acqua, si raccolgono su un ampio setaccio e si lasciano sgocciolare per qualche ora, tenendole in un luogo fresco. Bisogna adesso preparare dello zucchero nel seguente modo. Prendete una buona quantità di zucchero, in polvere molto fina, mettetelo su un setaccio di seta e fatene cadere la parte impalpabile, cioè lo zucchero cosidetto al velo, che riserverete per altri lavori. Sul setaccio rimarrà della polvere di zucchero che, presa tra le dita, rassomiglia ad un semolino a grana finissima, e che è appunto quello che serve alla preparazione. Questo zucchero va adesso colorito in viola. Per i vari lavori di pasticceria ci sono in commercio degli speciali colori innocui di diverse Case, e già pronti per l'uso. Siccome però tutti questi colori sono molto concentrati e densi, per il lavoro delle violette candite bisogna diluirli, affinchè il colore possa aver modo di ripartirsi tra tutti i granellini dello zucchero. Per diluire il colore si fa così: si prende un po' di color viola concentrato e si stempera con mezzo bicchiere d'acqua bollente. Avvenuta la soluzione si lascia freddare e si rifinisce con un bicchierino d'alcool puro e una o due gocce di essenza di violetta. Si raccoglie il colore ottenuto in una bottiglina e si conserva. Si stende lo zucchero su un foglio grande di carta bianca e vi si versa, a gocce, il colore viola, impastando bene con le due mani affinchè questo colore, che è dotato di grande potenza colorante, vada a tingere uniformemente ogni granellino. Si giudica del risultato ottenuto, e se l'intonazione generale dello zucchero non rispondesse al vero colore delle violette di Parma, se ne può correggere la nuance con qualche goccia di color «rosa brillante». Stendete bene lo zucchero sulla carta, e lasciate asciugare completamente, all'aria. Sciogliete a bagnomaria della gomma arabica in pezzi con poca acqua e a parte preparate uno sciroppo di zucchero al profumo di vainiglia. Questo sciroppo misurato col pesa-sciroppi dovrà segnare 32 gradi. Unite la gomma fusa e densa allo sciroppo e tenete il tutto in caldo, senza che il calore però sia eccessivo. Prendete le violette, mettetene poche alla volta in una terrinetta di porcellana e versateci su un pochino del composto di gomma e sciroppo: tanto che basti appena appena a bagnarle. Operando con attenzione, girate le violette nel liquido affinchè restino inumidite in ogni parte. Appoggiatele subito sullo zucchero colorato e rotolatele in esso con grande delicatezza in modo da far loro raccogliere la maggiore quantità di zucchero. Procedete così fino ad avere esaurito tutte le violette e poi collocatele bene allargate su un grande setaccio di seta lasciandole per qualche giorno in luogo tiepido, onde abbiano ad asciugarsi completamente.
, tenendole in un luogo fresco. Bisogna adesso preparare dello zucchero nel seguente modo. Prendete una buona quantità di zucchero, in polvere molto fina
Come le materie albuminose di cui la carne si spoglia, turbano la limpidità del brodo, così questa schiuma di frutti, che è anche materia albuminosa, turberebbe la limpidità della gelatina. Se voi immergete la cucchiaia bucata nella gelatina in ebollizione e la sollevate di taglio, constaterete che la gelatina ricade in goccie rapide. Ma man mano che la cottura progredisce, rinnovando l'esperimento (ciò che bisogna fare spesso), vi accorgerete che queste goccie si staccano meno vivamente e finiscono per radunarsi sul ciglio inferiore della cucchiaia da cui si separano in masse più voluminose, e a intervalli di tempo piuttosto lunghi. Questo punto che i francesi chiamano «la nappe» perchè la cucchiaia resta quasi avviluppata in un velo di gelatina, indica il grado preciso ed infallibile della cottura di tutte le marmellate e di tutte le gelatine. Lasciate raffreddare un poco la gelatina, versatela in piccoli vasi di vetro ben netti e sopratutto asciutti bene, e il giorno dopo ponete sopra ogni vasetto un disco di carta pergamena bagnato nell'alcool, chiudete col coperchio e conservate in un luogo fresco.
la gelatina ricade in goccie rapide. Ma man mano che la cottura progredisce, rinnovando l'esperimento (ciò che bisogna fare spesso), vi accorgerete
Questo metodo di preparare la gelatina d'uva, esperimentato numerose volte con vero successo, differisce dai consueti metodi in quanto non si adopera punto zucchero. Per ottenere questa gelatina è necessaria una grande quantità di uva, che durante la cottura, la gelatina diminuisce assai. L'operazione è facilissima. Si lavano molto accuratamente i grappoli di uva — è bene adoperare uva bianca — si sgranano e si mettono in un caldaio nel quale, con le mani, si dà ai chicchi una prima pigiata sommaria. Fatto questo, si mette il recipiente sul fuoco e si fa bollire l'uva per una diecina di minuti, dopo di che si rovescia su un largo setaccio e si spreme energicamente, raccogliendo il sugo in una terrina o in una insalatiera. Quando sul setaccio non saranno rimaste che le buccie ben spremute e i semi, si travasa nuovamente il sugo nel caldaio e si mette a bollire su fuoco moderato. Questa seconda bollitura dalla quale dipende la buona riuscita della gelatina, dovrà prolungarsi per un tempo che varia dalle due alle tre ore. Bisogna di quando in quando mescolare con un cucchiaio di legno, specie verso la fine dell'operazione. Quando vedrete che la gelatina vela abbondantemente il cucchiaio e che lasciandone cadere qualche goccia su un piatto, queste goccie si rapprendono facilmente, l'operazione sarà terminata. Bisogna fare attenzione di sorvegliare la cottura e di non passarne il limite, altri menti la gelatina prenderebbe uno sgradevole sapore di bruciato. Aspettate che la gelatina perda gran parte del suo calore, e poi colatela in piccoli barattoli di vetro. Il giorno dopo mettete su ogni vasetto a contatto con la gelatina un dischetto di carta bagnato d'alcool, e poi chiudete i vasi col loro coperchio o con carta pergamena, e diponeteli in dispensa.
seconda bollitura dalla quale dipende la buona riuscita della gelatina, dovrà prolungarsi per un tempo che varia dalle due alle tre ore. Bisogna di
Anche per questa conserva non bisogna, adoperare recipienti stagnati poichè le more, come tutti i frutti rossi, anneriscono a contatto dello stagno. Le more si sciacquano in acqua fresca e poi si mettono sul fuoco con un bicchiere d'acqua per ogni chilogrammo di frutta. Si lasciano così bollire per un quarto d'ora mescolandole e schiacciandole con un cucchiaio di legno, e poi si rovesciano su un setaccio e si passano, raccogliendo il sugo in una terrinetta. Il setaccio dovrà essere di crine e non di ferro, che anche questo danneggerebbe il colore della conserva. Chi non avesse il setaccio adattato, versi le more in uno strofinaccio di bucato, ve le arrotoli, e poi, facendosi aiutare da un'altra persona, torca fortemente lo strofinaccio alle sue due estremità, in modo da estrarre tutto il sugo. È necessario, in questo caso, di adoperare uno strofinaccio vecchio perchè difficilmente la macchia prodotta dalle more andrà via, anche col bucato. Pesate il sugo ottenuto, e per ogni chilo di esso calcolate 800 grammi di zucchero. Mettete zucchero e sugo nel caldaio non stagnato o nel recipiente di terraglia e fate bollire, schiumando accuratamente la conserva. Quando questa, dopo pochi minuti di bollore, si sarà addensata così da velare il cucchiaio e da ricadere in goccie lente e pesanti, la conserva sarà fatta. Lasciate che perda un po' del suo calore e poi colatela nei vasetti di vetro lasciandola raffreddare completamente. L'indomani mettete su ogni vasetto, a contatto con la conserva, un disco di carta bagnato d'alcool di buona qualità, e poi chiudete i vasi col loro coperchio e con carta pergamena legata solidamente.
Anche per questa conserva non bisogna, adoperare recipienti stagnati poichè le more, come tutti i frutti rossi, anneriscono a contatto dello stagno
È noto che i succhi di frutti, contenendo una parte mucilaginosa, non possono venire adoperati per sciroppi senza prima aver subito la fermentazione, la quale ha appunto lo scopo di separare il succo dalle sostanze estranee. Se voi infatti passaste dal setaccio del ribes, dei lamponi, delle more, ecc., e ne metteste a cuocere il succo con lo zucchero non otterreste uno sciroppo ma una gelatina. Bisogna dunque fare un piccolo lavoro preliminare, che vi permetterà di ottenere un succo limpidissimo e depurato col quale potrete confezionare uno squisito sciroppo. Prendete delle more molto mature, mondatele accuratamente, e gettatele man mano su uno staccio di crine. Spremetele fortemente con le mani e forzatele sullo staccio, raccogliendo tutto il succo in una ter rinetta, che metterete in un luogo fresco e all'oscuro per un paio di giorni e più. Il succo entra in fermentazione, bolle, e fa il cappello, offrendo una parte chiara e liquida, ben separata dal coagulo gelatinoso. Questo succo va passato a traverso un filtro, e deve risultare limpidissimo. Pesatelo, e per ogni chilogrammo di succo preparate chilogrammi 1500 di zucchero. Guardatevi dal mettere il succo di more in un recipiente stagnato, che annerirebbe. Va messo in un recipiente di rame non stagnato, o di terraglia, purchè non sia grasso. Lasciate sciogliere lo zucchero nel succo, e poi mettete il recipiente sul fuoco, aggiungendo anche un buon pizzico di acido citrico. Portate adagio adagio il liquido all'ebollizione, schiumandolo accuratamente, e quando avrà bollito qualche minuto e velerà leggermente il cucchiaio, toglietelo dal fuoco, lasciatelo freddare e poi imbottigliatelo. Si aggiunge l'acido citrico per impedire allo zucchero di cristallizzare o di granire. Lo sciroppo così preparato si conserva lungamente. Allo stesso modo si preparano gli sciroppi di lamponi, fragole, ribes, ecc.
, ecc., e ne metteste a cuocere il succo con lo zucchero non otterreste uno sciroppo ma una gelatina. Bisogna dunque fare un piccolo lavoro preliminare
Un altro sistema adottato per la conservazione dei piselli è il metodo «a secco» che dà anche risultati soddisfacenti. Bisogna però che i piselli siano freschissimi, e colti in una giornata di sole per eliminare ogni traccia di umidità. Si preparano delle bottiglie da champagne, si nettano bene e si lasciano sgocciolare e asciugare. Sarebbe buona regola lasciarle asciugare al sole, che, come sapete, è il più a buon mercato dei disinfettanti. Introducete nelle bottiglie i piselli sgranati, riempiendole fino al collo, aggiungete un cucchiaio di sale in polvere, chiudete con un tappo messo con la macchinetta, e fate una legatura in croce sul collo della bottiglia. Cuocete le bottiglie a bagno-maria come si è detto più sopra.
Un altro sistema adottato per la conservazione dei piselli è il metodo «a secco» che dà anche risultati soddisfacenti. Bisogna però che i piselli
Qualunque sia il processo di conservazione, bisogna tener presente: 1° le uova di galline sane e ben nutrite, si manterranno meglio di quelle di una gallina malaticcia e tenuta in cattive condizioni igieniche; 2° la conservazione riuscirà tanto meglio quanto più fresche saranno state le uova; 3° le uova fecondate si mantengono meno bene delle non fecondate. Il principio su cui si basa la conservazione delle uova è quello di impedire quanto più si può l'evaporazione interna, evitare l'accesso dell'aria con relativa introduzione di microrganismi, evitare l'umidità, e, infine, tenerle in luogo asciutto e fresco, poichè la temperatura elevata favorisce l'evaporazione e la decomposizione degli albuminoidi. Il problema della conservazione delle uova è uno di quelli che maggiormente ha preoccupato gl'industriali, cosicchè i metodi sono innumerevoli. Essi si possono raggruppare in quattro categorie: 1° conservazione per via secca; 2° conservazione per via umida; 3° conservazione per riscaldamento e raffreddamento; 4° conservazione pneumatica. Esamineremo brevemente i principali di questi metodi, fermandoci specialmente su quelli che possono avere una reale applicazione pratica nelle famiglie.
Qualunque sia il processo di conservazione, bisogna tener presente: 1° le uova di galline sane e ben nutrite, si manterranno meglio di quelle di una
La mostarda di Cremona, è una preparazione speciale che si distacca dalle consuete mostarde. Bisogna provvedersi di una discreta quantità di frutta, come pere, mele, ciliegie, fichi immaturi, zucca, corteccia d'arancio, ecc., e cuocere separatamente ogni qualità di frutta in un po' di acqua e zucchero. La cottura dev'essere portata in modo da non far spappolare la frutta, che deve invece rimanere piuttosto dura. Cotta tutta la frutta si riuniscono i vari sciroppi che hanno servito a cuocere ogni qualità, si aggiunge dell'altro zucchero e si fa restringere sul fuoco in modo da ottenere uno sciroppo piuttosto denso nel quale si aggiunge della farina di senape sciolta in un pochino d'acqua. Si riunisce tutta la frutta in un recipiente, si ricopre con lo sciroppo preparato e si lascia qualche giorno in riposo prima dell'uso.
La mostarda di Cremona, è una preparazione speciale che si distacca dalle consuete mostarde. Bisogna provvedersi di una discreta quantità di frutta
Vediamo ora la composizione del «menu» per colazione e per cena. Il «dejeuner» differisce dal «diner» anzitutto per la quantità delle pietanze che si servono, e, — elemento non trascurabile — per la qualità delle pietanze stesse. In una colazione sono adattatissimi gli antipasti freddi assortiti, poichè non essendoci minestra non si corre il rischio di sciuparsi il palato con i vari cibi piccanti che compongono generalmente l'antipasto, e che, secondo alcuni impediscono di apprezzare la finezza del brodo o della zuppa. Troverà qui la migliore applicazione tutto quel complesso di ghiottonerie che va sotto il nome di «Antipasti alla russa». Dopo gli antipasti si serve generalmente un piatto d'uova — caratteristica della colazione. — Ma si possono servire anche risotto, maccheroni, gnocchi di semolino, ecc. C'è poi un piatto forte, un altro piatto con accompagno di verdura o di legumi, dolce, formaggio e frutta. Questo per una colazione fine, di tipo classico. Volendo un «dejeuner» ancora più ricco si potranno introdurre nel «menu» due piatti di carne e uno di pesce. Ma è bene mantenere la colazione su queste basi: Antipasto freddo — uova o farinacei — due piatti di carne oppure uno di carne e uno di pesce — verdura o legumi — dolce — formaggio e frutta. Essendoci due piatti di carne, il secondo piatto potrà essere freddo; vitello, roast-beef, pasticci, galantine, ecc. Anche nella colazione bisogna evitare di ripetersi. Quindi se uno dei due piatti sarà di manzo, o vitello, o agnello, o montone, l'altro sarà di pollame, o di caccia e viceversa. Per dolce si servono di preferenza composte di frutta accompagnate da pasticceria leggera. Il «menu» per una cena è uguale per quantità e disposizione di piatti a quello di una colazione. Soltanto si sostituisce alle uova una tazza di buon brodo ristretto, caldo o freddo. Il «consommé» freddo per una cena deve essere leggermente gelatinoso. Così per i cibi come per la preparazione si procurerà che il «menu» offra un insieme di finezza e di leggerezza, come ad un pasto serale si conviene, Ecco qualche tipo di «menu»:
, roast-beef, pasticci, galantine, ecc. Anche nella colazione bisogna evitare di ripetersi. Quindi se uno dei due piatti sarà di manzo, o vitello, o
Tartelette al formaggio. — Per la loro confezione si richiedono delle stampine da tartelette. Per dodici tartelette bisogna anzitutto fare una pasta che otterrete impastando sulla tavola 65 grammi di burro, un ettogrammo di farina, tre cucchiaiate d'acqua e un pizzico di sale. Riunite tutti questi ingredienti senza lavorare troppo la pasta, che lascerete poi riposare per una diecina di minuti, e finalmente stenderete col rullo di legno all'altezza di una moneta da due soldi. Da questa pasta ritagliate dodici dischi un po' più grandi della circonferenza superiore della stampina e con essi foderate l'interno delle tartelette, che avrete prima spalmato di burro. Avrete intanto fatto bollire un bicchiere di latte e l'avrete fatto freddare completamente. Ponete in una terrinetta un uovo intero e un rosso, mezzo cucchiaio di parmigiano grattato, un pizzico di sale, e sbattendo con una forchetta, aggiungete poco per volta il latte in modo da avere una crema liquida. Mettete in ogni stampina foderata qualche dadino di fontina del Piemonte (mezzo ettogrammo è sufficiente per dodici tartelette) e con un cucchiaio riempitele con la crema preparata. Disponetele sopra una placca da forno o su una teglia di ferro e fatele cuocere a forno ben caldo per un quarto d'ora, finchè la crema si sia rappresa e le tartelette abbiano acquistato un bel color d'oro. Con attenzione, aiutandovi con la punta di un coltellino, togliete questi pasticcini dalle stampe, disponeteli su un piatto con salvietta e mangiateli caldi.
Tartelette al formaggio. — Per la loro confezione si richiedono delle stampine da tartelette. Per dodici tartelette bisogna anzitutto fare una pasta
Per i sandwichs bisogna provvedersi di uno speciale pane rettangolare, detto pane a stampa o a cassetta. È bene che il pane non sia freschissimo, ma sia raffermo almeno di un giorno. Questo per facilitare l'operazione del taglio. Si toglie via tutta la crosta al pane e s'incomincia a spalmare la prima fetta con burro precedentemente impastato con una puntina di senape sciolta in un nonnulla d'acqua; spalmata la fetta, con un coltello largo e ben tagliente, si taglia via dal pane conservandole lo spessore di mezzo centimetro; si ripete l'operazione per la seconda fetta, e così di seguito fino ad esaurire tutto il pane. Contate il numero delle fette ottenute e sulla metà di esse ponete del condimento a vostro piacere che può esser lingua allo scarlatto, prosciutto crudo o cotto, alici, petto di pollo, ecc. Ricoprite ogni fetta guarnita con un'altra fetta semplicemente imburrata, pigiate leggermente con la mano per riunire le due fette e poi con un coltello molto affilato dividete queste grandi fette accoppiate in tanti rettangoletti: i sandwicks. Prendete una salvietta, bagnatela, strizzatela e riapritela e con essa foderate l'interno di una casseruola piuttosto grande, in modo che i lembi della salvietta ricadano al di fuori. Incominciate a disporre i sandwichs bene allineati e a strati regolari nell'interno della casseruola e quando li avrete tutti sistemati ripiegate verso il centro le quattro cocche della salvietta così da chiudere perfettamente i sandwichs. Su questi appoggiate un leggero peso e lasciate così sino al momento di servirli. Con questo sistema i sadwichs acquistano il loro particolare carattere di morbidezza che li differenzia dalla solita fetta di pane e prosciutto.
Per i sandwichs bisogna provvedersi di uno speciale pane rettangolare, detto pane a stampa o a cassetta. È bene che il pane non sia freschissimo, ma
La «Chantilly» si può ottenere in casa con discreta facilità. L'importante è procurarsi del fiore di latte. Avendo del latte munto di fresco, lo si versa in un recipiente largo e basso, e lo si lascia in riposo per qualche ora, al fresco ed all'oscuro. Meglio sarebbe far mungere il latte la sera e lasciarlo tutta la notte in riposo. Al mattino si troveranno alla superficie dei grumi cremosi che costituiscono appunto il fiore di latte o panna di latte. Facendo passare un cucchiaio alla superficie del latte si raccoglie completamente la crema, cioè si screma il latte. Questa panna, così com'è, sarebbe ottima per il burro, ma non altrettanto adatta per la «Chantilly» a causa della sua granulosità. Bisogna quindi passare la panna da un setaccino possibilmente di seta, e poi diluire questa crema passata con qualche cucchiaiata di latte in modo da averla liscia e piuttosto liquida. Si mette allora un caldaino sul ghiaccio con la crema dentro e quando questa crema è ben fredda s'incomincia a sbatterla adagio adagio con una frusta in fil di ferro, senza mai smettere fino a che la crema avrà raggiunto quel grado di sofficità che caratterizza la «Chantilly». L'operazione è di sicuro esito. Conviene tuttavia non oltrepassare il giusto limite altrimenti la crema si straccerebbe, ingiallirebbe e si convertirebbe in burro. A facilitare l'operazione si usa talvolta mettere nella crema che si sta montando un pizzico di gomma adragante in polvere. La «Chantilly» così ottenuta si dolcifica coll'aggiunta di zucchero al velo (qualche cucchiaiata) che si fa piovere da un setaccino, mescolando pian piano per non sciupare la crema. Volendo si può anche aromatizzare con qualche goccia di rhum, di cognac, di maraschino, ecc. ecc.
, sarebbe ottima per il burro, ma non altrettanto adatta per la «Chantilly» a causa della sua granulosità. Bisogna quindi passare la panna da un