Il Melagrano è un alberetto originario dall'Africa, a foglia caduca, indigeno in Italia. Viene in piena terra, ma meglio adossato ai muri, ama esposizione soleggiata, calda, difesa dai venti. Teme l'umidità ed il gelo. Si propaga per seme, margotte, talloni. Se ne annoverano dal sapore dei frutti tre varietà, dolce, acido, ed agro dolce. Si coltiva molto in Spagna dove i frutti vengono grossissimi ed aromatici. Fiorisce in Giugno e Luglio, si raccolgono i frutti immaturi alla fine di Settembre, perchè aspettando più tardi la corteccia si apre per eccessiva umidità. Il vocabolo punica è da punicus, rosso scarlatto, il colore de' suoi fiori — e granatum dalla quantità dei grani. Onde da noi è detto melagranata e à dato pure il nome al rosso-violetto che si chiama pure granato. Nel linguaggio delle piante significa: Fatuità. Il pomo granato si conserva fresco e sano sino a metà inverno, cogliendolo in giornata serena, ed esponendolo al sole per due giorni. Poi si colloca, involto con carta, in qualche recipiente i cui vani si riempiono con sabbia ben asciutta e se ne tura l'orifizio con bon coperchio. Così conservato aquista anche maggior grado di maturanza. Questo frutto sferoideo, bellicato, è rivestito di scorza coriacea prima verde, poi rosso scuro che raccoglie in segmenti divisionali semi numerosi, involti in una polpa rosea, pelucida, succosa, gradevole, pochissimo nutriente, ma rinfrescante e salubre. Punica sub lento cortice grana rubent, dice Ovidio (Egl. 15). È frutto cercato ghiottamente, dalle signorine e dei ragazzi. Serve al dessert. I grani somigliante ai rubini, nettano i denti e movono l'appetito. Dal succo, espresso e fermentato, se ne fà una specie di vino che una volta si chiamava: vino del Palladio. Se ne compongono più comunemente sciroppi e conserve deliziose, confetture delicatissime, ghiotti giulebbi e gelati. I fiori del melagrano si usavano come astringenti in polvere e decotto — oggi macerati con allume nell'aqua danno un bell'inchiostro rosso, come la buccia, macerata con allume pure lo dà nero. La buccia o pericarpio detta malicorion, ricca di principio amaro, contiene moltissimo tannino e viene utilmente impiegata nella concia delle pelli. A Tunisi serve a tingere in giallo i così detti marocchini. In medicina viene somministrata per uso sì interno che esterno, come astringente e dei più energici. Arago, nella sua Promenade autour du monde, dice, che a Timor si usa nella dissenteria. In Persia al Thibet, nella China, fra gli Arabi ed anche in Russia al dire del Rehmann viene adoperata come succedaneo al chinino. Il seme risulta d'una buccia cartilaginea e di un mandorlo bianco, dolce da cui si può spremere olio. La radice, e precisamente la corteccia della radice, gialla all'interno, bigio-cenericcia all'esterno, à sempre goduto dall'antichità fino a' giorni nostri fama di tenifuga quando è fresca e caccia pure le ascaridi.
raccolgono i frutti immaturi alla fine di Settembre, perchè aspettando più tardi la corteccia si apre per eccessiva umidità. Il vocabolo punica è da
Questa salsa, giustamente, considerata come la regina delle salse fredde, è di indiscutibile provenienza francese, e viene, negli antichi trattati di cucina, designata, volta a volta, sotto i nomi di: «magnonnaise» «mahonnaise», o «bayonnaise». Alcuni pretendono infatti che essa sia originaria del villaggio di Magnon, altri sostengono che fu ideata dal duca di Richelieu dopo la presa di Port-Mahon, altri ancora affermano — non sappiamo con quanto fondamento — che abbia avuto i suoi natali a Bayonne. Il Gilbert dà un'altra spiegazione secondo la quale essa sarebbe stata creata durante la giornata d'Arques. Il duca di Mayenne era al campo, ed amava alternare lo studio dei piani di guerra, con quello non meno importante dei suoi «menus». Aveva, quel giorno, ordinato, d'accordo col cuoco, una salsa composta d'uovo, olio, aceto ed erbe aromatiche, la quale avrebbe dovuto accompagnare una superba gallina fredda; e si era appunto seduto a mensa, quando le ostilità furono riprese. Intento a discutere col cuoco su alcune modificazioni da portare alla salsa, il duca non si accorse che il tempo volava. Cosicchè quando finalmente si decise ad entrare in combattimento trovò che la cavalleria nemica aveva già sbaragliato i suoi. Non tutti i mali vengono per nuocere!... Il duca di Mayenne aveva perduto la battaglia di Arques, ma aveva creato la regina delle salse fredde: la quale dovrebbe quindi logicamente chiamarsi «Mayennaise». I libri di cucina, scritti per lo più da solennissimi ignoranti, hanno contribuito ad accreditare presso taluni le più strampalate leggende intorno a questa popolare salsa. C'è, ad esempio, chi consiglia di lavorarla sul ghiaccio; chi mette in campo il solito ritornello di girarla sempre da una parte — guai a obliarsi anche un momento solo! — chi raccomanda con grande serietà di non lasciarsi vincere dalla tentazione di aggiungere il sale al principio; chi ammonisce di tener pronti mezzo limone e dell'aceto, e, a guisa di valvole di sicurezza, servirsene per addensare o diluire la salsa, ecc. ecc. Niente di tutto questo. Bisogna tener presente: che il freddo è il più grande nemico della maionese perchè tende a gelare l'olio e a decomporre quindi la salsa; che il girare da una parte o dall'altra non ha nessuna importanza, nè in questo nè in altri casi; che il sale, aggiunto fin del principio, regge anzi le molecole dell'uovo e comunica loro una maggior forza di assimilazione; che limone o aceto hanno l' identico ufficio: quello di diluire la salsa, ma l'aceto è preferibile. L'unico punto capitale da osservare scrupolosamente è di andare pianissimo al principio: niente altro. Nell'inverno, se l'olio fosse gelato, converrà farlo stiepidire vicino al fuoco. In generale le proporzioni sono: un giallo d'uovo, mezzo bicchiere d'olio, un pizzico di sale e un cucchiaino circa d'aceto. Certo non bisogna esagerare nella quantità d'olio, poichè oltre un certo limite l'uovo non ha più forza coesiva e la salsa si decompone. Mettete dunque un torlo d'uovo in una terrinetta, aggiungete un pizzico di sale, e con un, cucchiaio di legno, o una forchetta, o meglio ancora, con una piccola frusta di ferro stagnato — questa è quasi indispensabile — rompete l'uovo e incominciate a girarlo, procurando di mantenerlo nel centro della terrinetta, senza spanderlo troppo. Goccia a goccia, lentissimamente, incominciate a far cadere l'olio sul rosso d'uovo, girando sempre. Ripetiamo: andate adagio adagio in principio, che il segreto è tutto qui. Quando la salsa avrà assorbito un paio di cucchiaiate d'olio, vedrete che tende ad addensarsi troppo. Aggiungete subito qualche goccia d'aceto per riportarla a una densità non eccessiva ed impedirle di decomporsi, ciò che certamente avverrebbe se la salsa continuasse ad addensarsi. Avviata così, continuate a versare l'olio, con un po' di franchezza, ma senza tuttavia eccedere, e avvertendo di diluire la maionese con un po' d'aceto, appena vi sembrerà che diventi troppo spessa. Dovendo fare una maionese di più uova è buona norma unire a queste un torlo d'uovo sodo passato al setaccio, ciò che dà una maggiore forza alla salsa. Se nonostante le nostre avvertenze vi accadesse qualche volta che la salsa si decomponesse mettete in una terrinetta un altro rosso d'uovo, e su questo, goccia a goccia, versate la salsa decomposta, operando come per una nuova maionese. Spesso la salsa decomposta si riprende anche benissimo, lasciando cadere qualche goccia d'acqua sulle pareti della terrinetta, e girando energicamente con la frustina o col mestolo. E finalmente se anche questo tentativo di riprendere la salsa fallisse e voi non aveste tempo nè voglia di ricominciare da capo, eccovi il segreto infallibile per il quale la maionese la più stracciata e decomposta torna in pochi secondi unita e liscia come se niente fosse accaduto. Supponiamo che abbiate fatto una maionese di due uova e che l'operazione bene avviata sia stata arrestata a meta da un' improvvisa decomposizione della salsa. Prendete allora una casseruolina, [immagine e didascalia: Frusta in ferro stagnato] metteteci una cucchiaiata scarsa di farina e sciogliete a freddo questa farina con mezzo bicchiere scarso di aceto. Quando il tutto sarà ben sciolto mettete la casseruolina sul fuoco e, mescolando continuamente col cucchiaio o meglio con una piccola frusta di ferro, fate cuocere per qualche minuto fino a che aceto e farina abbiano formato un tutto elastico e densissimo, quasi una colla ristretta. Togliete via dal fuoco, travasate in una terrinetta e lasciate freddare completamente. Su questa farina preparata incominciate allora a gittare una mezza cucchiata della salsa maionese decomposta, girando energicamente con la frusta. Amalgamata la prima mezza cucchiaiata aggiungetene un'altra, e così di seguito fino ad avere esaurita tutta la salsa inservibile. Vedrete che questa volta la maionese... ristabilita in salute non ammalerà più, e voi potrete continuare ad aggiungere liberamente l'olio necessario per portarla alla voluta quantità. Non dimenticate questo piccolo infallibile segreto e ve ne troverete contente.
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È un piatto di famiglia sano e gustoso, della cucina siciliana. Si potranno calcolare a seconda dell'appetito dei commensali, mezzo, uno o due piedi di porco a persona; ma noi crediamo che un piede a persona sia più che sufficiente. Si nettano bene i piedi e dopo averli raschiati e fiammeggiati, si mettono a cuocere in acqua con un po' di sale e qualche legume, come se si trattasse di preparare il brodo. Si lasciano bollire pian piano e a lungo fino a completa cottura. Mentre i piedi cuociono mondate un brocclo, dividetene la parte centrale in tante cimette, e lessatele, ma non troppo. Quando i piedi di porco saranno cotti, divideteli in due, e, se credete, portate via qualcuna delle ossa principali. Preparate anche delle salsiccie, facendole cuocere pian piano con un pochino di strutto o di olio in una padella, e bagnandole con qualche cucchiaiata di acqua per impedir loro di spaccarsi. Di queste salsiccie ne calcolerete una o due a persona. Quando le salsiccie saranno cotte, levatele dalla padella e tagliatele in fettine non troppo sottili. Prendete ora un tegame di terraglia, sul fondo di esso versate un ramaiolo o due di brodo in cui cossero i piedi di porco e fate un primo strato di piedi di porco. Su questo strato disponetene uno di broccoli, condite con abbondante pepe, un po' di formaggio grattato e qualche fettina di salsiccia cotta, e terminate con uno strato di fettine di formaggio fresco come mozzarella o provatura. Continuate a disporre a strati piedi, broccoli, salsiccie e formaggio fresco fino ad esaurimento, terminando con uno strato di broccoli. Versate su tutto un altro pochino di brodo e poi, a seconda del volume della pietanza, rompete in una scodella uno o due uova intiere, sbattetele come per frittata e poi versate queste uova sbattute, a cucchiaiate, sopra lo strato ultimo di broccoli. Mettete il tegame su un po' di brace, copritelo con un largo coperchio e su questo coperchio mettete anche della brace. Lasciate stufare così per una buona mezz'ora, e poi mandate in tavola senza travasare. L'uovo sbattuto avrà fatto alla superficie una appetitosa crosta dorata e i vari ingredienti avranno avuto modo di fondere armoniosamente i loro caratteristici sapori e profumi. C'è chi ama aggiungere una maggiore quantità di brodo per poter poi intingervi del pane, ma questa eccessiva diluizione nuoce, secondo noi, al risultato finale, sicchè crediamo sia meglio mettere soltanto quella quantità di brodo necessaria, affinchè quando il tegame verrà esposto al fuoco la pietanza non abbia ad attaccarsi, ma nello stesso tempo possa risultare, a cottura completa quasi asciutta.
una maggiore quantità di brodo per poter poi intingervi del pane, ma questa eccessiva diluizione nuoce, secondo noi, al risultato finale, sicchè
Si può fare con la marmellata di frutta o con la crema. Per sei persone fate una pasta sfogliata con 250 grammi di burro e 250 grammi di farina, una forte pizzicata di sale, e circa mezzo bicchiere d'acqua (dalle sette alle otto cucchiaiate). Quando avrete ultimato il sesto giro stendete la pasta in ampio rettangolo dello spessore di mezzo centimetro scarso, avente una ventina di centimetri nel lato più corto e circa 80 nel lato più lungo. Prendete un coperchio, o un piatto da dessert che abbiano un diametro di una ventina di centimetri, appoggiate il piatto o il coperchio che sia — se sceglierete il piatto dovrete usarlo capovolto — sulla pasta e servendovi di esso come modello incidete intorno intorno la pasta con la punta di un coltellino, tagliando, uno dopo l'altro, quattro dischi di pasta, uno accanto all'altro. Liberate i dischi incisi dai ritagli, sovrapponete tutti i ritagli ottenuti, e invece d'impastarli con le mani, batteteli, a piccoli colpi, col rullo di legno affinchè possano rimpastarsi, ripiegateli in due e batteteli ancora. Con questa operazione tutti i ritagli formeranno un pezzo di pasta unico. Stendete questo pezzo di pasta in rettangolo e ripiegatelo in tre, nè più nè meno doveste dare un giro alla pasta sfoglia. Fatto questo, spianate la pasta in rotondo, fino a che potrete tagliarne un quinto ed ultimo disco. Vi consigliamo di fare questo quinto disco con i ritagli per non farvi fare una dose eccessiva di pasta, tanto più che il risultato non subirà nessuna variazione. Se aveste ancora qualche po' di ritagli non li gettate via, ma riuniteli battendoli col rullo come vi è stato detto più sopra e teneteli da parte per farne qualche nastrino da friggere, qualche fagottino, ecc. Ottenuti i cinque dischi, bisogna cuocerli in forno molto caldo, anzi rovente. Se il forno è grande potrete cuocere tutti e cinque i dischi insieme, altrimenti un po' alla volta. Prendete una teglia o una lastra da forno leggerissimamente imburrati. Con garbo, senza farli deformare, deponeteci uno o più dischi, e prima di infornarli, con le punte di una forchetta, pungete dappertutto la pasta. Pungete forte fino a sentire con la forchetta la teglia o la placca. Il disco dovrà assumere l'aspetto di una galletta. Si fa questa operazione per impedire che la pasta cresca troppo e irregolarmente. Punzecchiata la pasta infornate i dischi. Vi abbiamo già detto che il forno deve essere rovente. I dischi devono stare in forno una diecina di minuti e debbono risultare asciutti, leggeri, e appena appena biondi. Se operate in un piccolo forno domestico, dove bisogna supplire con espedienti alla irregolarità del calore, potrete dopo sei o sette minuti, voltare con attenzione il disco se la parte di sotto del forno cuoce più di quella di sopra come generalmente accade. Man mano che i dischi saranno cotti, levateli dal forno e appoggiateli sulla tavola o sul marmo. Se la cottura sarà stata portata a fuoco vivo i dischi avranno conservato la loro perfetta forma rotonda, cosa che non accadrebbe se il forno fosse imperfettamente riscaldato, perchè allora la pasta tenderebbe a liquefarsi e ad allargarsi. Mentre i dischi si freddano preparate una crema pasticcera con tre torli d'uovo, tre cucchiaiate colme di zucchero in polvere, tre cucchiaiate non troppo abbondanti di farina e mezzo litro di latte.
disco. Vi consigliamo di fare questo quinto disco con i ritagli per non farvi fare una dose eccessiva di pasta, tanto più che il risultato non subirà
Le gelatine al liquore rappresentano un dolce della cucina classica; e ancora adesso, in occasione di qualche grande buffet, è frequente il caso di vedere far bella mostra di sè codesti dolci, nei più svariati colori. Diremo subito che l'oblìo in cui queste gelatine sono un po' cadute è affatto ingiustificato, in quanto che alla loro preparazione non concorrono difficoltà di procedimenti, nè spesa eccessiva, mentre il risultato è attraentissimo alla vista e molto accetto al palato. Si tratta di fare una gelatina dolce, ben chiarificata, alla quale si aggiunge un profumo a piacere o un liquore. Si potranno dunque confezionare gelatine al limone o all'arancio, o alla vainiglia, oppure alla chartreuse, all'alckermes al rhum o, come più comunemente si fa, al maraschino. Scegliamo dunque un liquore a piacere, ad esempio del rhum, e vediamo quale è il procedimento per la confezione del dolce. Basandosi sul procedimento che descriveremo, le nostre lettrici potranno poi a loro piacere variare il liquore o l'essenza, e quindi anche il colore della gelatina. Premettiamo che le gelatine dolci vanno confezionate in stampe col buco in mezzo e piuttosto lavorate, ciò che le rende assai eleganti. Le dosi di base sono queste: acqua litri uno; zucchero grammi 400; 50 grammi di gelatina «marca oro»; 3 bianchi d'uovo; 4 bicchierini di liquore. Le dosi di base che noi abbiamo dato sono sufficienti per fare una grandissima gelatina dolce. Se vorrete fare una gelatina più piccina, sufficiente a sei persone, ridurrete le dosi nel modo seguente: Due bicchieri d'acqua; 5 cucchiaiate e mezzo di zucchero; 17 grammi di gelatina; un bianco d'uovo; un bicchierino e mezzo di liquore. Come vedete si tratta della formula base ridotta su per giù ad un terzo. Mettete i fogli di gelatina in bagno in una casseruola con acqua fredda e lasciate così almeno per un quarto d'ora. A parte, in una terrinetta, mettete lo zucchero con i due bicchieri d'acqua tiepida e lasciate che lo zucchero si sciolga bene. Prendete adesso una casseruola piuttosto grande, ben netta, e in questa mettete la chiara d'uovo che sbatterete un poco con la frusta di fil di ferro affinchè rimanga ben sciolta e spumosa, ma non montata in neve. Versate allora a cucchiaiate sulla chiara l'acqua zuccherata, continuando sempre a sbattere per unire bene il composto. Quando avrete versato tutto lo sciroppo di zucchero prendete la gelatina che era nell'acqua fredda e che intanto si sarà ben rammollita, strizzatela un po' tra le mani e aggiungetela nella casseruola. Mettete tutto su fuoco moderato e, sempre sbattendo con la frusta, portate il liquido all'ebollizione. Appena questa si sarà verificata tirate la casseruola sull'angolo del fornello, quasi fuori del fuoco, coprite il recipiente, mettendo qualche pezzettino di brace sul coperchio e lasciate riposare la gelatina per una ventina di minuti. La chiara d'uovo portata all'ebollizione, si sarà coagulata assorbendo tutte le impurità del liquido, che apparirà negli interstizi limpidissimo. Mentre la gelatina riposa vicino al fuoco, prendete una seggiola di cucina, appoggiatela capovolta sul tavolo, e sulle quattro zampe distendete una salvietta che assicurerete con quattro legature di spago, una per ogni zampa della seggiola. Questo sistema di improvvisare un filtro, per quanto possa sembrare strano a chi non lo conosce è il più comodo e il più sicuro, e viene praticato da tempo immemorabile in ogni cucina. Preparata così la salvietta, mettete sotto ad essa una insalatiera grande, versate sulla salvietta la gelatina e lasciate che filtri. Otterrete così un liquido limpidissimo. Se non vi sembrasse tale ripetete l'operazione del filtramento un paio di volte. Quando avrete raccolta tutta la gelatina filtrata, lasciatela freddare un pochino, uniteci il rhum o il maraschino, mescolate con un cucchiaio, e poi versate nella stampa, la quale non va unta, ma adoperata asciutta. Quando la gelatina sarà fredda mettetela con la stampa in una catinella e circondatela di ghiaccio lasciandola così per due o tre ore. Al momento di mandare in tavola estraete la stampa dal ghiaccio ed immergetela per due o tre secondi in una casseruola grande contenente acqua calda, ritirate subito la stampa, asciugatela alla svelta e poi capovolgete la gelatina su un piatto, preferibilmente di cristallo. S'immerge la stampa nell'acqua calda per liquefare un piccolissimo strato di gelatina e sformare il dolce con facilità. Regolatevi dunque che la permanenza nell'acqua calda sia per il tempo strettamente necessario, altrimenti correreste il rischio di liquefare tutto e di ricominciare l'operazione da capo. La gelatina al maraschino è bianca limpida. Se invece adoperate del rhum l'avrete bruna, e se il liquore scelto sarà invece l'alckermes otterrete una gelatina rossa di bellissimo effetto. Potrete anche fare una gelatina a due colori, dividendo a metà la gelatina appena filtrata e profumandone una parte col maraschino e una parte con alckermes. Metterete allora nella stampa prima la gelatina bianca col maraschino, farete congelare in ghiaccio e soltanto allora aggiungerete l'altra gelatina rossa, fredda ma non ghiacciata. Batterete leggermente la stampa affinchè la seconda gelatina non lasci spazi vuoti, e poi rimetterete tutto in ghiaccio fino a completo congelamento. Sono piccoli lavori supplementari che costano poca fatica e che danno un risultato più grazioso. È questione di un po' di pazienza e di un po' di diligenza. Se vorrete invece fare una gelatina al limone o all'arancio, unirete fin dal primo momento allo zucchero, gelatina e bianco d'uovo, anche il sugo di quattro limoni (quattro [immagine e didascalia: Coltellino speciale per togliere sottilmente la buccia dagli aranci e dai limoni] limoni bastano per la dose grande di un litro d'acqua). Se sarà invece all'arancio mettere il sugo di tre aranci e quello di un limone. Insieme col sugo metterete a bollire anche le cortecce dei frutti tagliate finemente con un coltellino, in modo da non lasciare nessuna traccia della parte bianca della corteccia. Come sapete la corteccia dell'arancio e del limone contengono un olio essenziale, che è quello che comunica il maggior profumo. Per toglier via sottilmente le cortecce c'è uno speciale coltellino comodissimo, col quale si lavora assai speditamente e bene.
ingiustificato, in quanto che alla loro preparazione non concorrono difficoltà di procedimenti, nè spesa eccessiva, mentre il risultato è attraentissimo