dell'episperma del niello, o procurandosi una bollitura della farina sospetta: se il niello vi esiste anche ad 1/50, la decozione avrà proprietà acri e capaci di destare irritazione e calore sulla pelle.
dell'episperma del niello, o procurandosi una bollitura della farina sospetta: se il niello vi esiste anche ad 1/50, la decozione avrà proprietà acri
1° Il brodo così preparato può ritenersi come una decozione di carne tenente in soluzione creatina, creatinina, sarcina, acido inosico, acido lattico, inosite (sostanze estrattive), gelatina formatasi a spese delle parti bianche della carne, principii minerali che variano molto in quantità secondo che fu preparata senza o con sale. Del grasso, in maggiore o minore quantità a seconda della grassezza della carne adoprata, nuota sulla superfìcie del brodo in forma di stelle da ognuno conosciute. Infine il brodo contiene una sostanza odorosa, detta da Berzelius osmazzoma, che gli imparte un'aroma particolare, ed ha reazione leggermente acida dovuta ai fosfati della carne muscolare.
1° Il brodo così preparato può ritenersi come una decozione di carne tenente in soluzione creatina, creatinina, sarcina, acido inosico, acido lattico
Si fa il calcolo che, tolte le ossa ad un kilogrammo di carne quale si distribuisce secondo è detto nei Capitoli d'oneri per la fornitura dei viveri alle RR. Truppe, non ne rimangono, in media, più che 800 grammi. Messi questi a bollire in una sufficiente quantità di acqua e condotta la decozione lentamente per 5 o 6 ore, si ottiene un brodo abbastanza gustoso ed aromatico, ma la carne bollita alibile non pesa più che 400 grammi. Di conseguenza, mentre la carne senz' ossa con la bollitura perde metà del suo peso, la carne con l'osso, quale è distribuita alla truppa, una volta bollita e disossata sarà ridotta a 2/5 circa del suo peso primitivo. Così i 220 grammi di carne con osso della razione di guarnigione, diverranno 88 di carne lessa alibile; i 240 della razione di accantonamento, 96; i 300 della razione di marcia, 120.
alle RR. Truppe, non ne rimangono, in media, più che 800 grammi. Messi questi a bollire in una sufficiente quantità di acqua e condotta la decozione
3° Si prepara il caffè per decozione, ossia per vera e propria cottura, nella stessa guisa che gli orientali apprestano il loro ottimo caffè forte e gradevole. Si ottiene bollendo per qualche minuto la polvere con acqua e lasciando quindi chiarificare il decotto col riposo. Il caffè in questa guisa preparato, se scapita alquanto in aroma, acquista in ricchezza di caffeina.
3° Si prepara il caffè per decozione, ossia per vera e propria cottura, nella stessa guisa che gli orientali apprestano il loro ottimo caffè forte e
4° Per avere un caffè forte ed aromatico ad un tempo, si può adoperare infine il seguente sistema misto di decozione e di infuso. Si divide in due parti la polvere e se ne mette la prima a bollire con la voluta quantità di acqua. Dopo 8 o 10 minuti di bollitura, si aggiunge la seconda parte di polvere, si ritira il vaso dal fuoco e, copertolo, si lascia in riposo per 5 o, 6 minuti. Il caffè per la truppa dovrebbe esser preparato in questa guisa.
4° Per avere un caffè forte ed aromatico ad un tempo, si può adoperare infine il seguente sistema misto di decozione e di infuso. Si divide in due
Nelle nostre cucine militari la preparazione del caffè, fino a poco tempo indietro, veniva fatta per decozione, in modo assai primitivo, colle marmitte comuni per la confezione del rancio. Però, dal maggio del 1884 in poi, per la confezione del caffè per la truppa fu adottata la caffettiera modello De-Sperati, rappresentata dalla fig. 39. Essa ne permette la preparazione secondo il sistema misto dello infuso e dello spostamento, per 50 razioni di 25 centilitri ognuna, con gr. 10 di caffè tostato, e gr. 15 di zucchero.
Nelle nostre cucine militari la preparazione del caffè, fino a poco tempo indietro, veniva fatta per decozione, in modo assai primitivo, colle
Il Carciofo della famiglia dei cardoni è un caule di 5 o 6 piedi indigeno. Vuole esposizione meridionale, essere difeso dai freddi, terreno lavorato, asciutto, ricco. Ama molt' acqua, il gelo l'uccide. Si propaga per semi, getti, o meglio per polloni dei vecchi carciofi, in Marzo ed Aprile ed anche in Maggio, in luna vecchia. È una verdura delle più delicate, sana, saporita e ghiotta. Quello che si mangia è il fiore immaturo, che è fatto a scaglie ed à la figura d'una pigna. Sono rinomati quelli di Genova e come migliori quelli di Sardegna. Si mangiano tenerelli crudi coll'olio d'olivo sale e pepe - e cotti all'olio ed al burro. Si digeriscono meglio cotti che crudi, sono più saporiti al burro che all'olio. Dai ricettacoli del carciofo cavasi amido. Dumas nel suo Dizionario di Cucina insegna sedici maniere di cucinare i carciofi. Galeno li calunniava come cibo bilioso: pravi succi est edulium, e Brillant-Savarin, come afrodisiaco. Il sugo del carciofo, fù tenuto da Guitteau e Copermann come succedaneo all'aloe e drastico ad alta dose. Fu usato contro i reumatismi, le sciatiche, l'itterizia e come diuretico nelle idropi. Charrier, Otterbourg, Homolle ed altri lo consigliano nella cura della diarea cronica, e suggeriscono di mangiarne crudi con olio, sale e pepe quattro o sei al giorno. Giova la decozione del carciofo a coloro che patiscono fetore sotto le ascelle, lavandosi con esso. Le foglie del carciofo fresco allontanano le cimici. Varrone insegna che a macerare la semente in sugo di rose, gigli, alloro si à carciofi del sapore di questi. Un cronista napoletano ci tramanda che celebre per cucinare i carciofi fu Cleope da Varafro. Vogliono che il nome di CINARA fosse quello di una bellissima ragazza che Giove quand'era lui al potere mutò in articiocco e cardone, nome che ancor rimase a questi.
cura della diarea cronica, e suggeriscono di mangiarne crudi con olio, sale e pepe quattro o sei al giorno. Giova la decozione del carciofo a coloro
La pimpinella (da bipennula, per le foglie bipennate) detta anche salvastrella, è originaria della Germania. Ve ne ànno 5 specie. E pianticella erbacea perenne, si moltiplica per seme, ma meglio per radici in autunno, si adatta a qualunque terreno, ma lo predilige umido e fresco, à fiori a spira rossastra, nasce naturalmente nelle montagne e nei prati, resiste al freddo. Nel linguaggio dei fiori: noncuranza. Si coltiva negli orti per uso di cucina, le sue foglie servono per condimento e per guarnizione d'insalata. Si raccomanda per il suo odore di melone. I suoi fiori messi in decozione con certa quantità d' allume sviluppano un bellissimo color grigio che serve a tingere la lana, la seta ed il cotone. Gli antichi ne usavano per guarire dalla tabe. È leggermente astringente.
cucina, le sue foglie servono per condimento e per guarnizione d'insalata. Si raccomanda per il suo odore di melone. I suoi fiori messi in decozione con
Satureja, santoreggia, savoreggia, caniella, peverella, erba acciuga è la medesima pianticella annuale, originaria della Spagna, vaga per la sua fioritura bianco porporina. Si risemina da sè abbondantemente, e nasce facilmente dovunque. Nel linguaggio dei fiori: ingenuità. Ve ne sono 8 varietà , tutta la pianta è aromatica. I cuochi la ricercano per rendere più grato il sapore delle fave, delle lenti, dei piselli secchi, e degli altri legumi, ai quali si unisce assai bene, come in tutte le salse I Tedeschi la mettono nel loro Sauer-Kraut. Fu chiamata la salsa dei poveri. È utile in medicina, come stomachica, la sua decozione è buona per gargarismi e spruzzata nelle orecchie per le otiti, da qui forse il suo nome popolare di santoreggia, giova nelle affezioni vaporose. Colla satureja se ne profumano le abitazioni in tempo di epidemia e le stalle quando regnano le epizoozie. Il suo nome satureja dall'antico satyreja perchè di questa erba se ne cibavano volentieri i satiri, certi uomini, che c'erano una volta e che avevano le corna e i piedi di capra. Era detta dai Romani cunila e conyza, (da qui l'altro nome popolare di coniella) che il volgo chiamava anche pulicaria perchè serviva a scacciare le pulci, virtù che conserva anche oggidì, emula della maggiorana. I fiori della satureja, sono cibo graditissimo delle api.
, come stomachica, la sua decozione è buona per gargarismi e spruzzata nelle orecchie per le otiti, da qui forse il suo nome popolare di santoreggia