I libri di cucina pubblicati fino ad oggi ammontano, senza dubbio, ad alcune centinaia. Ma chi volesse tra questa sovrabbondanza di pubblicazioni cercare il «vero» libro di cucina forse non lo troverebbe. Una sola grande eccezione: la «Guide culinaire», di Augusto Escoffier. Il Maestro ha edificato con questa opera un insigne monumento all'arte gastronomica, raccogliendone le più pure tradizioni e coordinandole con grandiosità di linee, demolendo inesorabilmente tutto il vecchiume per gettare le basi di una tecnica moderna perfetta, armoniosa e rispondente alla evoluzione del tempo e alle conquiste che, anche nel vastissimo campo avente con la cucina immediati o mediati riferimenti, si sono verificate. Questa mirabile opera è in lingua francese; ma se la questione della lingua può essere cosa trascurabile, un'altra e più seria difficoltà è presentata dal fatto che la «Guide culinaire» è scritta esclusivamente per i professionisti; e quindi in forma sintetica e con la speciale terminologia tecnica dell'alta cucina. Cosicchè questo trattato, di una preziosa utilità per chi è iniziato alla grande scuola non potrebbe essere consultato con eguale profitto ai fini della cucina domestica. Tra i libri italiani moderni sarebbe vano ricercare qualcosa di simile — un tentativo in grande stile fatto anni addietro dal dott. Cougnet con la collaborazione di professionisti ebbe esito infelicissimo — e d'altra parte è risaputo che i trattati professionali hanno sempre un interesse assai relativo per la limitata cerchia di persone alle quali necessariamente si rivolgono. Una vera pletora c'è invece in quel che riguarda la letteratura gastronomica ad uso delle famiglie. Se volessimo semplicemente enumerare i libri italiani di cucina antichi e moderni del genere, potremmo comporre un interminabile indice bibliografico. Non lo faremo, che è nostra consuetudine non perdere del tempo nè farlo perdere ad altri. Dai librai di lusso alle più modeste cartolerie, dai chioschi delle stazioni ferroviarie ai banchetti volanti che nelle strade o nelle piazze offrono libri d'occasione, troverete volumetti e volumi di cucina dai titoli più promettenti: Re dei cuochi, vero Re dei cuochi, Re dei Re dei cuochi, ecc.: una tale dovizia di cuochi coronati da permettere di estendere il regime monarchico su tutta la superficie di questo nostro vecchio pianeta. Ebbene, in così lussureggiante fiorire di pubblicazioni, non una che insegni a cucinare, perchè o compilate a scopo di bassa speculazione da empirici, che si sono accontentati di ritagliare con le forbici delle ricette senza avere la capacità di esercitare su esse il minimo controllo — vediamo infatti che questo genere di libri non porta quasi mai il nome dell'autore — o, nella migliore delle ipotesi, dovute a professionisti, i quali però avendo non solamente poca pratica con la grammatica e la sintassi, ma nessuna comunicativa, non sono riusciti a farsi comprendere e hanno avvolto le loro ricette in una fitta rete di spropositata nebulosità. Facendo un'accurata selezione di tutta la letteratura gastronomica italiana, rimangono quattro autori degni di considerazione: due antichi e due più vicini ai nostri tempi. I grandi trattati che portano ancora attorno la loro decrepita fastosità sono quelli del Vialardi, cuoco di Carlo Alberto e di Vittorio Emanuele II, e l'altro, di cui fu principale collaboratore il Nelli. Ambedue di ampia mole e dovuti a persone di indiscutibile competenza, poterono forse rappresentare al loro tempo una notevole affermazione. Ma purtroppo essi non rispondono più sia alla evoluzione della cucina, sia a quei principi di economia e di semplicità che, per forza di cose, si sono imposti alla mensa famigliare. Scorrendo le vecchie pagine, dove si parla di petti di fagiani o di pernici, di salse a base di tartufi, di leccornie d'ogni specie presentate su zoccoli monumentali o con difficoltose e dispendiosissime decorazioni, non si può a meno di sorridere, pensando che una sola di queste pietanze assorbirebbe tutto ciò che una famiglia di media fortuna spende in una settimana ed anche più. Rimangono dunque, questi trattati, semplice documentazione di un ciclo culinario esageratamente fastoso, ma oramai conchiuso per sempre. In tempi più recenti, gli autori che si sono divisi principalmente il favore del pubblico sono: Adolfo Giaquinto e Pellegrino Artusi. Il Giaquinto, reputato gastronomo, ha portato con le sue varie pubblicazioni un salutare risveglio nella pratica culinaria, ed è stato un fecondo volgarizzatore della gaia scienza nelle famiglie. Queste pubblicazioni però non sono recentissime, e risalgono ad epoche se non troppo lontane certo più fortunate, quando le famiglie non erano assillate dal problema del caro viveri; ed anche allora, dagli stessi suoi ammiratori, fu rimproverato all'autore una sensibile ed evidente tendenza alla ricchezza di preparazioni che caratterizzava appunto quella cucina di cui il Giaquinto è stato, senza dubbio, apprezzato campione. L'autore che riuscì invece a vendere stracci e orpelli per sete rare e oro fu Pellegrino Artusi, nume custode di tutte le famiglie dove non si sa cucinare. Per taluni tutto ciò che dice l'Artusi è vangelo, anche quando questo ineffabile autore scrive con olimpica indifferenza le sciocchezze più madornali. Anzitutto egli dichiara di essere un dilettante e di aver provato le sue ricette alla sazietà, fino a che gli riuscirono bene, o meglio sembrò a lui che riuscissero tali. Egli fa un edificante preambolo che suona presso a poco così: Guardate, io non so cucinare, tanto vero che i cuochi preparano le ricette che io insegno in un modo completamente diverso. Però dopo una serie di tentativi sono riuscito ad ottenere qualche risultato, ed anche voi, un po' con la mia guida (!), un po' con la vostra pazienza, può darsi che riusciate «ad annaspar qualche cosa». Ed allora vien voglia di chiedere a questo signor Artusi perchè mai, stan[...]
trattato, di una preziosa utilità per chi è iniziato alla grande scuola non potrebbe essere consultato con eguale profitto ai fini della cucina domestica
Trattandosi di una minestra in brodo crediamo che una quindicina di tortellini per scodella potranno bastare. Preparare anzitutto il ripieno. Si prende un bel pezzo di midollo di bue, si trita e si scalda un pochino per averlo ben morbido. A questo midollo si aggiunge, in una terrinetta, una eguale quantità di parmigiano grattato, un pezzetto di burro, un paio di fette di prosciutto e mortadella di Bologna, tritati fini, due rossi d'uovo, un pizzico di sale e un nonnulla di noce moscata. Con un cucchiaio di legno s'impasta bene il tutto e si procede alla confezione della pasta all'uovo. Con una sfoglia di un uovo vengono una cinquantina di tortellini; quindi per 150 tortellini impasterete tre uova con 300 grammi di farina. Procurate che la sfoglia non riesca dura e stendetela piuttosto sottile. Con un tagliapaste del diametro di 4 centimetri o, in mancanza di questo, con la bocca di un bicchierino di marsala tagliate tanti dischetti in ognuno dei quali metterete una puntina del composto preparato. Ripiegate il dischetto in due, una metà sull'altra, spingete con le dita l'orlo affinchè le due parti si chiudano bene, poi rialzate l'orlo stesso e portate le due estremità una sull' altra ottenendo così la tradizionale forma del tortellino. Il quale è più piccolo del cappelletto romano e, quando è chiuso, ha quasi la forma di un anellino. Fatti tutti i tortellini — sarà meglio confezionarli il giorno prima — metteteli allineati su una tavola con un tovagliolo leggermente infarinato sotto e lasciate che si asciughino.
prende un bel pezzo di midollo di bue, si trita e si scalda un pochino per averlo ben morbido. A questo midollo si aggiunge, in una terrinetta, una eguale
La pizza alla Campofranco è una squisita specialità della cucina napolitana e se fino a un certo punto rientra nel campo delle famose «pizze» di questo genere, si distanzia per una maggiore finezza, la quale deriva dall'abbondanza del condimento e dall'essere fatta con una specie di pasta da brioche, anzichè con la consueta pasta lievitata da pane. Preparate anzitutto la pasta speciale che confezionerete nel modo seguente: Mettete sulla tavola di marmo di cucina 250 grammi di farina stacciata. Disponetela a fontana e metteteci in mezzo 150 grammi di burro, 2 uova intiere, un buon pizzico di sale e da 15 a 20 grammi di lievito di birra sciolto in un dito di latte o di acqua. L'acqua o il latte debbono essere appena tiepidi altrimenti il lievito si brucerebbe e non potrebbe più compiere il suo ufficio. Con la mano incominciate ad impastare il burro e le uova raccogliendo man mano la farina. Quando tutti gli ingredienti saranno amalgamati aggiungete altre due uova intere e incominciate a lavorare con forza la pasta sollevandola con la mano e sbattendola contro il tavolo finchè questa pasta sarà diventata ben sostenuta ed elastica e si staccherà in un sol pezzo dalla tavola. A questo punto unite alla pasta una mezza cucchiaiata scarsa di zucchero, impastate un altro pochino, e poi deponete la pasta ultimata in una insalatiera che avrete precedentemente spolverizzato di farina. La pasta non dovrà occupare che un terzo del recipiente. Coprite con una salvietta ripiegata e mettetela in luogo tiepido per farla lievitare. In un paio d'ore o poco più la pasta avrà raggiunto gli orli della terrinetta. Mentre la pasta lievita preparate il ripieno della pizza. Prendete tre ettogrammi di mozzarella napolitana o, in mancanza di questa, un eguale peso di formaggio fresco. Ritagliate questa mozzarella in fettine sottili che raccoglierete in una scodella. Prendete anche un ettogrammo e mezzo di prosciutto che ritaglierete in listerelle. Da ultimo provvedetevi di mezzo chilogrammo di pomodori lisci e carnosi, immergeteli per un minuto o due in acqua bollente, privateli della pelle, e ritagliateli in spicchi, togliendo via i semi. Mettete sul fuoco una padella con un poco d'olio e quando la padella sarà fumante, gettateci i pomodori e fateli scottare a fuoco fortissimo affinchè possano cuocere senza disfarsi. Debbono stare pochissimo al fuoco e non debbono essere troppo mescolati, altrimenti si sfasciano e invece di filetti di pomodoro si ottiene una poltiglia.
preparate il ripieno della pizza. Prendete tre ettogrammi di mozzarella napolitana o, in mancanza di questa, un eguale peso di formaggio fresco. Ritagliate
Potrete usare o del vitello, se si tratterà di stomachi delicati, o del maiale. Prendete dunque la carne, che sarà una fettina di circa un ettogrammo, spianatela un poco e cuocetela con un pochino di burro e un pizzico di sale. Lasciatela freddare e tagliatela in tanti quadratini di un centimetro e mezzo di lato. Preparate poi un eguale numero di quadratini di gruyère o di formaggio fresco, di mortadella di Bologna tenuta un po' più spessa dell'ordinario, e di mollica di pane. Prendete degli stecchini di legno piuttosto lunghetti e infilzate, alternandoli, i quadratini di carne, di formaggio, mortadella e pane avvertendo di lasciare sporgere lo stecchino alle due estremità per circa un centimetro. Otterete su per giù una dozzina di stecchini. Immergeteli uno alla volta in un pochino di latte tiepido, passateli poi nella farina, nell'uovo sbattuto e da ultimo nel pane grattato. Panate accuratamente aiutandovi con la lama di un coltello affinchè gli stecchini prendano una forma corretta, e quando saranno tutti pronti friggeteli nell'olio o nello strutto a padella molto calda, fino a che abbiano preso un bel colore d'oro.
mezzo di lato. Preparate poi un eguale numero di quadratini di gruyère o di formaggio fresco, di mortadella di Bologna tenuta un po' più spessa dell
Per sei persone prendete dodici pomodori non troppo maturi e di eguale grandezza, e togliete ad essi superiormente una piccola calotta. Vuotate con un cucchiaino i pomodori togliendone i semi e l'acqua. Allineateli in una teglia, spruzzateli di sale, conditeli con un filo d'olio e metteteli per cinque o sei minuti in forno forte affinchè possano cuocere senza deformarsi. Preparate anche dodici crostini rotondi di pane fritto, grandi circa come i pomodori, e in ultimo fate sei od otto uova bruillées. Mettete ogni pomodoro su un crostino e riempite i pomodori con una cucchiaiata di uova bruillées. Disponete i pomodori così montati in un piatto rotondo e mandateli prontamente in tavola. Potrete anche, invece delle uova bruillées, mettere su ogni pomodoro un uovo affogato o un uovo fritto.
Per sei persone prendete dodici pomodori non troppo maturi e di eguale grandezza, e togliete ad essi superiormente una piccola calotta. Vuotate con
Questa schiuma di pesce è quanto di più fine si possa immaginare, nè necessita un lavoro di grande difficoltà. Per sei persone occorre mezzo chilogrammo netto di carne di merluzzo freschissimo. Diciamo peso netto perchè il mezzo chilogrammo va pesato con la sola carne, senza più traccia di pelle o di spine. Sfilettate dei bei merluzzi freschi, togliete la pelle ai filetti, e pesate la carne ottenuta che, ripetiamo, deve essere mezzo chilogrammo. Mettete questa carne nel mortaio e pestatela finemente dopo averla condita con un buon pizzico di sale e una pizzicata di pepe bianco. Avrete preparato anche due bianchi d'uovo che romperete appena con una forchetta per scioglierli, ma senza montarli affatto. Mentre pestate la carne di merluzzo bagnatela con un cucchiaino alla volta di bianco d'uovo, non mettendo un altro cucchiaino se il precedente non si è unito alla carne. Esaurite così i due bianchi d'uovo e poi passate la farcia ottenuta dal setaccio, raccogliendola in una terrinetta che circonderete di ghiaccio, lasciandola stare così per un paio di ore. Vi sarete intanto provvedute di un mezzo litro abbondante di crema di latte. Questa crema di latte deve essere stata passata al setaccio per togliere i grumi più grandi e i lattai la preparano così per poi montarla e farne della Chantilly. Quindi voi ordinandola dovrete chiedere della crema passata ma non montata, e il lattaio stesso provvederà a fornir vela quale voi la desiderate. Trascorse le due ore durante le quali avrete tenuto la terrinetta col pesce nel ghiaccio, prendete un cucchiaio di legno e procedendo con molta delicatezza, e sempre lasciando la terrinetta sul ghiaccio, incominciate a versare a cucchiaiate la crema di latte sul pesce, mescolando adagio adagio per fargliela assorbire. Mettete poca crema alla volta e non dimenticate di procedere sempre con leggerezza, fino a che il pesce avrà assorbito tutta la quantità di crema prescritta. Prendete adesso una stampa da budino col buco in mezzo, possibilmente a pareti liscie, imburratela abbondantemente e in questa stampa mettete la farcia di pesce ultimata, regolandovi di lasciare un dito libero alla sommità della stampa. Mettete la stampa riempita a bagno maria, mettendo anche, se cucinate col carbone, qualche pezzettino di brace sul coperchio col quale coprirete la stampa. La schiuma deve cuocere a bagno-maria per un tempo che varia dai quaranta minuti a tre quarti d'ora. Ad ogni modo toccandola col dito potrete constatare se si è rassodata. Quando la schiuma sarà cotta, tirate via il recipiente dal fuoco e lasciate riposare per quattro o cinque minuti senza però togliere la stampa dall'acqua. Allora sformatela e fatela servire. Questa schiuma può essere servita così semplicemente o accompagnata da una salsa calda, ad esempio la salsa aromatica al burro d'acciuga (vedi Salse). Oltre che con la carne di merluzzo si può confezionare, con eguale procedimento, con carne di trota, sogliola, aragosta, ecc.
con la carne di merluzzo si può confezionare, con eguale procedimento, con carne di trota, sogliola, aragosta, ecc.
Mettete a dissanguare in acqua fredda 600 grammi di tonno fresco. Dopo averlo tenuto in bagno circa un'ora, cambiando più volte l'acqua, estraete il tonno, asciugatelo in una salvietta e tagliatelo in fette di circa tre dita di lato, e spesse un dito. Tagliate anche delle fettine di pane — tante quante sono le fette di tonno — di eguale dimensione. Prendete poi uno spiede lungo di ferro, o in mancanza di questo degli spiedini fatti economicamente, ritagliandoli da un pezzo di canna, e incominciate a infilzare una fetta di pane, una foglia di salvia, una fetta di tonno, una foglia di salvia, una fetta di pane, e via di seguito, fino ad avere esaurito tutto il pesce. La salvia comunica al tonno un gradevole sapore. Se non piacesse la salvia si potrà sostituire con delle mezze foglie di alloro. Ultimato lo spiede o gli spiedini, vi si spolvera su un po' di sale e pepe, e si unge pane e pesce con olio. Se avrete fatto degli spiedini li disporrete su una gratella esponendoli a fuoco moderato. Se invece avrete adoperato lo spiede lungo di ferro non ci sarà bisogno della gratella e arrostirete il tonno su della brace messa sul camino su uno strato di cenere, appoggiando lo spiede su due ferri da stiro. Voltate il pesce di quando in quando, ungendolo con poco olio se vi sembrasse troppo secco. Dopo una mezz'ora di cottura lenta i crostini saranno pronti. Sfilateli su un piatto facendo attenzione di non separarli, e prima di portarli in tavola spremeteci su un po' di sugo di limone. Sono sufficienti a sei persone.
quante sono le fette di tonno — di eguale dimensione. Prendete poi uno spiede lungo di ferro, o in mancanza di questo degli spiedini fatti
Mettete il filetto in una terrinetta, conditelo con una cipolla e una carota gialla tagliata a pezzetti, un bel ciuffo di prezzemolo, un ramoscello di timo, una foglia di alloro, una forte pizzicata di pepe in granelli, uno spicchio d'aglio, un bicchiere di vino bianco e un dito d'aceto. Lasciate stare così la carne almeno per una giornata, voltandola di quando in quando affinchè non si asciughi e possa bene impregnarsi della marinata. Una mezz'ora prima del pranzo estraete la carne dal bagno, asciugatela, passateci intorno qualche po' di spago per mantenerla in forma, mettetela in una teglia imburrata, conditela con sale e fatela cuocere in forno piuttosto caldo. Mentre la carne è in forno preparate la salsa. Mettete in una casseruola un pezzo di burro come una grossa noce, e quando sarà liquefatto aggiungete un cucchiaio di farina. Fate cuocere un pochino, mescolando, e poi bagnate con la metà della marinata avanzata e un'eguale quantità di brodo. Aggiungete un nonnulla di zucchero e lasciate cuocere pian piano sull'angolo del fornello. Quando il filetto sarà cotto, scioglietelo dallo spago, affettatelo e innaffiatelo con qualche cucchiaiata della salsa, alla quale avrete aggiunto all'ultimo momento e fuori del fuoco dei pezzettini di burro. Questo burro va aggiunto in piccole quantità, mescolando sempre, ciò che dà alla salsa del corpo e alcunchè di vellutato, gradevolissimo. Volendo, potrete aggiungere anche una puntina di pepe rosso, detto pepe di Caienna e mezzo cucchiaino di estratto di carne. La salsa rimasta la verserete in una salsiera, che accompagnerà in tavola il filetto di bue.
con la metà della marinata avanzata e un'eguale quantità di brodo. Aggiungete un nonnulla di zucchero e lasciate cuocere pian piano sull'angolo del
Procuratevi delle fettine di vitello tenere e bianche e di eguale grandezza e preparate anche tanti crostini di pane fritti nel burro della stessa grandezza delle fettine e alte circa un centimetro. Poco prima di andare in tavola mettete un pezzo di burro in una teglia e quando il burro sarà liquefatto infarinate le fette di vitello e mettetele a cuocere. Conditele con sale e pepe e man mano che arrivano di cottura appoggiatele sui crostini, che avrete già disposto in bell'ordine nel piatto di servizio. Con un paio di cucchiaiate di acqua e mezzo bicchiere di marsala staccate bene il fondo della cottura in modo che la teglia rimanga ben netta e travasate il liquido in un polsonetto. Lasciate freddare un pochino, aggiungete tre rossi di uovo, sciogliete le uova con una piccola frusta di ferro, e poi portate il polsonetto su fuoco debolissimo, sbattendo sempre e montando il composto come un comune zabaione. Quando questo composto sarà ben legato e soffice, versatelo sul vitello e mandatelo subito in tavola.
Procuratevi delle fettine di vitello tenere e bianche e di eguale grandezza e preparate anche tanti crostini di pane fritti nel burro della stessa
È un'insalata molto graziosa a vedersi e molto semplice a prepararsi Dovrete provvedervi di una bella pianta di scarola di cui utilizzerete le foglie più bianche. Risciacquatela accuratamente e poi trinciatela grossolanamente col coltello. Provvedetevi anche di un'eguale quantità di radicchio rosso che risciacquerete e taglierete come la scarola. Mescolate le due verdure, accomodatele in un'insalatiera di cristallo e conditele con sale, olio e pochissimo aceto. Prendete ora un arancio, sbucciatelo e ritagliatelo in fette orizzontali. Con la punta di un coltello portate via accuratamente tutti i semi e poi fate sulla insalata una corona di queste fette d'arancio. Il sugo dell'arancio comunica a questa insalata uno speciale, caratteristico sapore.
più bianche. Risciacquatela accuratamente e poi trinciatela grossolanamente col coltello. Provvedetevi anche di un'eguale quantità di radicchio rosso
Provvedetevi di qualche buccia d'arancio, più o meno secondo il numero di dolcetti che vorrete fare. Mettete queste buccie in bagno per due giorni in acqua fredda che rinnoverete spesso; o meglio ancora in acqua corrente, affinchè possano perdere il sapore amarognolo. Dopo due giorni lessatele in modo da averle ben tenere. Strizzatele leggermente per estrar via l'acqua e passatele al setaccio. Pesate la polpa ottenuta ed aggiungete un eguale peso di zucchero. Mettete la polpa passata e lo zucchero in una casseruolina ben netta, e mescolando sempre con un cucchiaio di legno, fate cuocere su fuoco moderato fino ad ottenere una marmellata molto densa. Travasatela in un piatto e lasciatela freddare. Quando la marmellata sarà fredda foggiatene delle pallottoline della grandezza di una piccola noce, rotolate queste pallottoline nello zucchero e poi accomodatele nei cestellini di carta pieghettata.
modo da averle ben tenere. Strizzatele leggermente per estrar via l'acqua e passatele al setaccio. Pesate la polpa ottenuta ed aggiungete un eguale
Passate al setaccio quattro o cinque cucchiaiate di fragole piccoline e profumate ed unite alla purè un'eguale quantità di panna montata («Chantilly») condita con zucchero vainigliato. Da un pane rettangolare di quelli detti a cassetta, ritagliate tante fettine spesse un mezzo centimetro e della grandezza di un «sandwich» ordinario, cioè tre centimetri per sette. Ottenute queste fettine, contatele e lasciatene una metà da parte, mentre sulle altre stenderete il composto di fragola e crema. Ricoprite le fette spalmate con le altre tenute in disparte ed avrete ottenuto tanti cuscinetti ripieni. Sbattete uno o due uova con una cucchiaiata di rhum, intingete un cuscinetto alla volta nell'uovo, passatelo nel pane finissimo, pareggiando la panatura con la lama di un coltello, e friggete questi «sandwichs» dolci nell'olio o nello strutto, pochi alla volta ed a padella caldissima. Appena diventati di un bel color d'oro estraeteli dalla frittura, lasciateli sgocciolare, accomodateli in un piatto con salvietta, cospargeteli abbondantemente di zucchero vainigliato e mangiateli subito.
Passate al setaccio quattro o cinque cucchiaiate di fragole piccoline e profumate ed unite alla purè un'eguale quantità di panna montata («Chantilly
Questo gelato si fa di preferenza con le fragole, le albicocche e le pesche. Si scelgono delle frutta ben mature e si passano dal setaccio; si misura il volume di questa purè e le si aggiunge un eguale volume di sciroppo di zucchero e il doppio del volume di panna montata. Lo sciroppo si fa sciogliendo sul fuoco due parti in peso di zucchero e una parte d'acqua, ossia, ad esempio, un kg. di zucchero e mezzo litro di acqua. Si diluisce la purè di frutta con lo sciroppo freddo, si aggiunge il sugo di un limone e si aggiunge da ultimo la panna montata. Il resto delle operazioni è un tutto simile a quanto si è detto più sopra per la schiuma alla vainiglia. Per riassumere con un esempio pratico, dovrete dunque impiegare un bicchiere di purè di frutta, un bicchiere di sciroppo e due bicchieri di panna montata. Naturalmente potrete modificare le proporzioni a vostro piacere, a seconda del numero delle persone che mangeranno il gelato e della capacità della stampa di cui disponete.
il volume di questa purè e le si aggiunge un eguale volume di sciroppo di zucchero e il doppio del volume di panna montata. Lo sciroppo si fa
(Procedimento semplificato). Il procedimento esposto più sopra è quello che potrebbe dirsi classico. Ma per chi desiderasse di semplificare le cose, ecco un piccolo segreto per ottenere rapidamente e facilissimamente le scorzette d'arancio candite. Tagliate la corteccia degli aranci in spicchi, mettete questi spicchi in un recipiente piuttosto capace e teneteli per almeno due giorni in acqua corrente, oppure rinnovate l'acqua il più spesso che vi sarà possibile. Questo bagno serve per far perdere alle cortecce il loro gusto amarognolo. Compiuta questa prima operazione, gettate le cortecce in una pentola o in una casseruola con abbondante acqua in ebollizione, e lasciate cuocere per un quarto d'ora abbondante, fino a quando, cioè, le cortecce potranno essere facilmente trapassate da uno stecchino. Estraetele allora dall'acqua, lasciatele freddare, e poi con un coltellino tagliente dividete ogni spicchio in tante listelline di circa mezzo centimetro. Pesate queste listelline a prendete un eguale peso di zucchero. Mettete lo zucchero in un polsonetto, bagnatelo con un dito d'acqua — tanto da inumidirlo e renderlo una pasta appena colante — aggiungete le scorzette ritagliate e mettete sul fuoco. Lasciate cuocere mescolando piuttosto spesso e quando lo zucchero sarà quasi tutto assorbito e ridotto a poco sciroppo molto denso rovesciate le scorzette sul marmo, staccatele delicatamente l'una dall'altra e lasciatele freddare. Queste scorzette candite sono una cosa veramente buona, e non solo potranno venire usate per tutti gli usi di pasticceria, ma potranno anche essere servite come petits-fours, completando assai simpaticamente un vassoio di pasticceria leggera da tè. È bene non spingere la cottura fino a completo assorbimento dello zucchero, che in questo caso le scorzette raffreddandosi diventano piuttosto dure. Tenete conto di questa raccomandazione specialmente se dovrete servirvi delle scorzette candite per usi di pasticceria. In questo caso le scorzette subiscono una seconda cottura nel forno e, se già cotte troppo, perderebbero necessariamente quella morbidezza che è caratteristica delle frutta candite.
dividete ogni spicchio in tante listelline di circa mezzo centimetro. Pesate queste listelline a prendete un eguale peso di zucchero. Mettete lo zucchero in
Se a mensa sono invitati solamente degli ospiti di sesso maschile, chi serve a tavola presenterà per tutta la durata del pranzo sempre per primo il piatto alla padrona di casa, servendo man mano gli altri ospiti, incominciando dal più ragguardevole, che siederà alla destra della padrona di casa, e lasciando per ultimo il padrone di casa. Maggiore oculatezza occorre quando insieme agli uomini siedono a mensa delle signore. In questo caso se tra queste signore ce n'è una che per condizione sociale, o nobiltà o età avanzata sia nettamente al di sopra delle altre, sarà sempre da costei che incomincerà il servizio, il quale passerà poi alla padrona di casa e alle altre signore, per seguitare cogli uomini e finire al padrone di casa. Se però le signore sono, come generalmente accade, tutte di eguale condizione sociale, la cameriera incomincerà ogni volta da una signora differente, servirà subito dopo la padrona di casa e passerà quindi a servire le altre signore. Ultimi verranno gli uomini e quindi il padrone di casa. Rammentiamo che una volta serviti si deve incominciare subito a mangiare, senza attendere che siano serviti gli altri. La regola dell'antico galateo è stata dunque completamente abolita dal galateo moderno, e questo sistema, che potrà sembrare discutibile, è stato invece accettato affinchè gli ospiti possano gustare le vivande calde e quindi nel miglior modo che possa mettere in rilievo i loro pregi.
signore sono, come generalmente accade, tutte di eguale condizione sociale, la cameriera incomincerà ogni volta da una signora differente, servirà