Il brodo è una delle preparazioni fondamentali della cucina. È il brodo che forma la base indispensabile di ogni specie di minestra, il brodo che con nuove addizioni di carne fornirà il «consommè», o servirà per salse, o verrà usato in un'altra quantità di casi. Occorre dunque avere il brodo nelle migliori condizioni, ciò che si ottiene con una oculata scelta degli elementi che lo compongono e più ancora con una cura continua e attenta. Buoni tagli di carne da brodo sono la copertina, il fianchetto, la spalla, la falsa costa, il petto ecc. Anche meglio sono la punta della culatta, e il «piccione» o nasello che hanno il pregio di offrire anche un bollito gustoso. In quanto alle ossa non bisogna prestar fede alla leggenda accreditata dai macellai, che cioè siano necessarie per ottenere un buon brodo. Checchè se ne dica, le ossa non servono che ad ingombrare la pentola. È tollerabile un osso col midollo. Per ogni chilogrammo di carne occorrono due litri di acqua fredda. Si pone la carne in una pentola, con l'acqua fredda, e si mette su fuoco moderato. L'acqua riscaldandosi a grado a grado, agisce sulle fibre della carne e dissolve le materie albuminose che esse contengono, e che salgono alla superficie sotto forma di schiuma, che deve essere subito tolta. È buona regola, mentre l'acqua si avvia all'ebollizione di versare, di quando in quando, qualche cucchiaiata di acqua fredda nella pentola, ciò che aiuta a liberare la carne da tutte le sue impurità. Più la schiumatura sarà stata fatta con cura, maggiore sarà la limpidità del brodo. Dopo schiumata la pentola, si sala, e vi si aggiungono cipolla, sedano, radica gialla, pomodoro ecc., che hanno lo scopo di comunicare al brodo il tono aromatico. E finalmente si tira sull'angolo del fornello e si lascia bollire dolcissimamente per qualche ora. È necessario che dal momento in cui si verifica l'ebollizione, il fuoco abbia sempre la stessa moderata intensità: un fornello a gas con la «veilleuse» serve ottimamente allo scopo. Quando la carne sarà giunta a perfetta cottura, si mette in una pentola più piccola, si copre con un po' di brodo e si tiene in caldo. Il brodo della pentola grande si sgrassa accuratamente, si passa attraverso una salvietta o un colobrodo, e si adopera.
migliori condizioni, ciò che si ottiene con una oculata scelta degli elementi che lo compongono e più ancora con una cura continua e attenta. Buoni
Dovendo friggere col burro è necessario fargli subire un trattamento che gl'impedisca di diventar nero e di comunicare quindi un brutto aspetto alla frittura. Quest'operazione si chiama «chiarificare il burro», cioè privarlo della parte lattiginosa, che durante la cottura va in fondo alla padella e annerisce. Prendete dunque, secondo la quantità di frittura da fare, uno o più ettogrammi di burro. Mettete questo burro in una casseruolina o in una padellina, e fatelo fondere su fuoco leggero. Quando sarà fuso tirate la casseruolina sull'angolo del fornello e lasciatelo cuocere per una diecina di minuti, ma piano, in modo che non si colorisca. Vedrete che il burro si decomporrà in due elementi: una parte liquida limpidissima, e una parte formata di piccoli flocchi grassi. Passate il burro chiarificato da un setaccino finissimo, o meglio a traverso una salviettina, e usatalo per friggere. Il burro così preparato si conserva molto più lungamente del burro fresco.
di minuti, ma piano, in modo che non si colorisca. Vedrete che il burro si decomporrà in due elementi: una parte liquida limpidissima, e una parte
Aggiungete allora il burro e finalmente, uno alla volta i gialli d'uovo. Quando anche i nuovi elementi saranno amalgamati passate la farcia ottenuta dal setaccio. Per non esporsi a degli insuccessi è sempre buona regola di assicurarsi del grado di consistenza della farcia.
Aggiungete allora il burro e finalmente, uno alla volta i gialli d'uovo. Quando anche i nuovi elementi saranno amalgamati passate la farcia ottenuta
I fegati di pollame pesano 100 gr., dovrete usare 150 gr. soli di fegato di vitello per arrivare al peso stabilito di gr. 250, quanti ne occorrono per la confezione della farcia, come è stato detto più sopra. Rimettete nella padella anche i dadi di lardo, e condite il tutto con 15 gr. di sale, una forte pizzicata di pepe e una punta di coltello di spezie. Aggiungete anche o dei funghi secchi tritati (già rinvenuti in acqua fredda) o meglio qualche pezzetto di fungo fresco, una mezza cipolla finemente tritata, un pezzettino di foglia di lauro e un pizzico di timo, mescolate, aggiungete un dito di marsala, coprite la padella e lasciate sobollire sull'angolo del fornello per cinque minuti. Rovesciate il tutto su una scolamaccheroni o su un passino, raccogliendo in una scodella il grasso che colerà e subito dopo, un po' alla volta, pestate carne, grasso e fegato, operando il più sollecitamente possibile, poichè l'operazione riesce assai più speditamente quando i vari elementi sono caldi. Quando il tutto sarà ridotto in una pasta fine, aggiungete 50 gr. di burro, due rossi d'uovo e poi, a cucchiaiate, il grasso tenuto in disparte. Perchè l'operazione riesca bene, è necessario di mescolare sempre con un cucchiaio di legno allo scopo di unire bene i vari ingredienti.
sollecitamente possibile, poichè l'operazione riesce assai più speditamente quando i vari elementi sono caldi. Quando il tutto sarà ridotto in una pasta fine
Riportiamo qui una famosa ricetta personale, che ebbe, durante il periodo della guerra, una diffusione enorme nelle famiglie, e che ancora adesso viene eseguita. Con esso si ottiene un brodo aromatico e non privo di elementi nutritivi, realizzando un risultato notevole con una spesa insignificante.
viene eseguita. Con esso si ottiene un brodo aromatico e non privo di elementi nutritivi, realizzando un risultato notevole con una spesa insignificante.
Lasciate bollire per circa un quarto d'ora finchè la zuppa sia ben ristretta e bene insaporita. Guardate allora se c'è bisogno di mettere un po' di sale, in quanto che la carne in scatola è di già per sè sufficientemente salata. Aggiungete un bel pezzetto di burro e mescolate ancora affinchè il burro si amalgami bene al pane. Tirate indietro la casseruola e condite la zuppa con due o tre cucchiaiate di parmigiano grattato, e se credete, completatela con un uovo intiero sbattuto leggermente, aggiunta che è utilissima ma non strettamente necessaria. Mescolate di nuovo affinchè tutti gli elementi si fondano in un'unica nota profumata e promettente, e scodellate la vostra zuppa. Come vedete si tratta di una cosa sbrigativa, gustosa, nutriente, che, per sopra mercato, costa molto ma molto meno della solita minestra in brodo, la quale spesso è talmente insipida da far rimpiangere i molti quattrini che costa.
elementi si fondano in un'unica nota profumata e promettente, e scodellate la vostra zuppa. Come vedete si tratta di una cosa sbrigativa, gustosa, nutriente
I veri vermicelli con le vongole sono facilissimi, ma non tutti, specie i non napolitani, li sanno cucinare a perfetta regola d'arte. Questi vermicelli non tollerano elementi estranei di nessun genere: non debbono esser fatti che con olio, un po' d'aglio, vongole e pomodoro; e soprattutto niente alici, che taluni erroneamente aggiungono. Per riuscire bene, bisogna che i vermicelli abbondino in sugo e in vongole. Per quattro persone noi vi consiglieremmo quindi un chilogrammo di questi saporitissimi frutti di mare. Un nemico capitale da evitare a qualunque costo è la rena; quindi prima di ogni altra cosa mettete le vongole in una catinella piena d'acqua e lavatele energicamente; cambiando, se occorre, l'acqua. Fatto ciò passatele in una padella piuttosto grande con una cucchiaiata d'olio, copritele e mettetele sul fuoco. Fate saltellare le vongole affinchè possano sentire tutte ugualmente il calore. Vedrete che in due o tre minuti saranno aperte. Levate allora la padella dal fuoco e aiutandovi con un cucchiaino staccate a una a una le vongole dal guscio. I gusci li getterete, le vongole le raccoglierete in una scodella. Se vi accorgeste che le vongole contenessero ancora molta rena, potrete lavarle un'altra volta con un ramaiolo d'acqua appena tiepida, poi tirarle su, e passarle in un'altra scodella pulita. Quando avrete sgusciato tutte le vongole, vedrete che nella padella sarà rimasto un abbondante liquido dall'aspetto torbido. Guardate di non gettarlo via perchè è appunto quello che darà il profumo alla pietanza. Prima di adoperarlo però voi dovrete aspettare un pochino, per dar modo alla rena di posarsi sul fondo della padella. Soltanto allora inclinate leggermente questa e decantate il sugo in una tazza, avvertendo che il fondo terroso rimanga nella padella. Dopo questa operazione principale, prendete un tegame di terracotta o una padella o anche una casseruola di rame, ove metterete mezzo bicchiere d'olio e uno spicchio d'aglio. Portate sul fuoco, e appena l'aglio incomincia a soffriggere toglietelo, e aggiungete tre o quattro cucchiaiate di salsa di pomodoro in scatola o un chilogrammo abbondante di pomodori freschi passati dal setaccio. Condite con sale e pepe, aggiungete il sugo delle vongole, un pochino di acqua, se ce n'è bisogno, e fate cuocere la salsa. Quando questa sarà addensata aggiungete le vongole, e lasciatele bollire per due o tre minuti, affinchè non induriscano troppo. Avrete messo intanto a cuocere la quantità di vermicelli necessaria — per quattro persone circa mezzo chilogrammo. — Teneteli piuttosto duri di cottura, scolateli, conditeli con la salsa preparata, finiteli con un pizzico di pepe e una cucchiaiata o due di prezzemolo trito ben verde.
vermicelli non tollerano elementi estranei di nessun genere: non debbono esser fatti che con olio, un po' d'aglio, vongole e pomodoro; e soprattutto niente
Come sapete, gli agnolotti sono costituiti da due elementi principali, un ripieno di carne pesta e un involucro di pasta all'uovo, di forma quadrangolare, rettangolare o romboidale, che lo racchiude.
Come sapete, gli agnolotti sono costituiti da due elementi principali, un ripieno di carne pesta e un involucro di pasta all'uovo, di forma
La pasta con le sarde è uno dei famosi piatti della cucina siciliana, ed è una preparazione caratteristica che non trova riscontri in nessun'altra cucina regionale. I siciliani sono orgogliosi di questa loro specialità, e non hanno torto, poichè un tegame di pasta con le sarde ben fatta è veramente una cosa squisita. Chi non è addentro nei segreti di questa pietanza, leggendone la ricetta può trovare che l'insieme di elementi così disparati possa condurre ad una dissonanza culinaria; ma è proprio il caso di ripetere che, come nei più acclamati poemi sinfonici moderni, queste apparenti dissonanze vengono a creare un insieme armonico di prim'ordine. La pasta con le sarde è una specie di mosaico in cui ogni pezzetto ha la sua ragion d'essere nel risultato finale. Errerebbe dunque chi volesse portarvi delle modificazioni personali per quel gusto di variare, semplificare, che molte persone hanno, senza aver prima esperimentato la ricetta vera. La pasta con le sarde, essendo diffusissima, ha nella stessa Sicilia parecchie ricette, le quali variano però soltanto in qualche accessorio; ed è logico che la ricetta preparata dai grandi cuochi siciliani, che, fin dall'antichità furono i più grandi cuochi del mondo, potrà essere un pochino più dispendiosa di quella eseguita nelle modeste case e nelle taverne, ma, ripetiamo, è questione di nuances.
una cosa squisita. Chi non è addentro nei segreti di questa pietanza, leggendone la ricetta può trovare che l'insieme di elementi così disparati
Uno degli elementi indispensabili per la pasta con le sarde è la finocchiella selvatica, che si raccoglie sui prati, e che talvolta si trova anche da qualche erbivendolo. In mancanza di finocchiella selvatica si può supplire con la finocchiella d'orto; ma la preparazione perde un poco del suo carattere venendo ad assumere un sapore più dolciastro. Per sei persone fissiamo queste proporzioni: dagli 800 ai 900 grammi di maccheroncini, mezzo chilogrammo di sarde fresche, un paio di cipolle grandette, un ettogrammo di pinoli, un ettogrammo di passerina, cinque o sei alici salate, un bel mazzo di finocchiella, o una diecina di piccoli finocchi d'orto, e un bicchiere d olio. Si monda bene la finocchiella lasciando solamente la parte più tenera e si lessa in acqua. Se invece della finocchiella selvatica si adopera la finocchiella d'orto si netta bene e si lessa avvertendo di non gettar via i ciuffi verdi, che sono appunto quelli che debbono sostituire la finocchiella selvatica. L'acqua nella quale la finocchiella è stata cotta non va gettata via. Mettete un bicchiere d'olio in una casseruola, tritate bene le cipolle e fatele soffriggere fino a che abbiano preso un bel colore senza tuttavia lasciarle bruciacchiare. Scolate la finocchiella, tritatela e gettatela nella casseruola nella quale aggiugerete anche la metà delle sarde fresche che avrete accuratamente nettato e spinato. Mescolate energicamente con un cucchiaio di legno schiacciando con forza le sarde, in modo da ridurle in poltiglia, e dopo le sarde aggiungete anche le acciughe salate che avrete lavato, spinato e liquefatto in un tegamino con qualche goccia d'olio. Finite questa salsa — tenendo sempre la casseruola sul fuoco — con un pizzico di zafferano, sale, pepe, i pinoli e la passerina. Se vi fosse riuscita troppo densa diluitela con un pochino dell'acqua in cui hanno cotto i finocchi. Ultimata la salsa coprite la casseruola e lasciatela in caldo sull'angolo del fornello. Prendete allora l'altra metà rimasta delle sarde fresche, apritele accuratamente per togliere la spina senza staccare però le due parti del pesce. Risciacquatele, asciugatele in uno strofinaccio e scottatele in una teglia con un pochino d'olio e sale, da ambo le parti. Compiuti tutti i preparativi mettete sul fuoco una grossa pentola con acqua, alla quale aggiungerete l'acqua in cui è stata cotta la finocchiella. Quando quest'acqua bollirà mettete giù i maccheroni ed appena cotti scolateli bene e conditeli in una insalatiera con la metà della salsa preparata. Prendete poi un tegame o una teglia, ma il tegame è preferibile, e disponete nel fondo di esso uno strato di maccheroni sul quale metterete uno strato di sarde cotte e un po' di salsa, e così di seguito fino a ricoprire i maccheroni con la salsa che vi sarà rimasta. Coprite il tegame, mettetelo su un po' di brace, mettete un po' di brace anche sul coperchio e lasciate stufare la pasta per una ventina di minuti. Questi maccheroni si possono mangiare tanto caldi che freddi e sono sempre squisiti. Questa è una delle migliori ricette e siciliana puro sangue.
Uno degli elementi indispensabili per la pasta con le sarde è la finocchiella selvatica, che si raccoglie sui prati, e che talvolta si trova anche da
I gnocchi di semolino si servono generalmente come primo piatto in una colazione, e costituiscono una vivanda nutriente, sana e piuttosto elegante. La loro esecuzione non presenta nessuna difficoltà. Mettete sul fuoco in una casseruola un litro di latte, e quando bollirà versateci adagio adagio, a pioggia, dieci cucchiaiate (250 grammi) di semolino, girando continuamente con un mestolo di legno affinchè non si formino grumi. Ben presto latte e semolino si addenseranno assai. Lavorate con energia il composto, staccandolo continuamente dal fondo e dalle pareti della casseruola e fatelo cuocere per una diecina di minuti. Levate dal fuoco la casseruola e condite il semolino con un buon pizzico di sale, due rossi d'uovo, un pugno di parmigiano grattato, e un po' meno di mezzo panino di burro da un ettogrammo. Mescolate ancora perchè tutti questi elementi possano ben amalgamarsi, e versate poi il semolino sulla tavola di marmo della cucina, leggermente bagnata d'acqua, o in un piatto grande, ugualmente bagnato d'acqua. Bagnate nell'acqua anche una grossa lama di coltello e con questa spianate il semolino all'altezza di un centimetro. Lasciate così per un paio d'ore, e quando il semolino sarà freddo e rappreso tagliatelo a quadratini o a mostaccioletti di circa quattro centimetri di lato. Prendete una teglia bassa o un piatto di porcellana resistente al fuoco, spalmatelo con un pezzo di burro grosso come una noce e disponetevi con garbo i pezzi di semolino. Quando ne avrete fatto uno strato seminatevi su un po' di parmigiano grattato e fatene un altro strato, e così via per due o tre volte, procurando di mettere il secondo strato un po' più indietro del primo e il terzo un po' più indietro del secondo, cosicché gli strati risultino a scalini e formino una specie di piccola cupola. Quando avrete accomodato tutti i gnocchi spolverizzateli abbondantemente di parmigiano grattato e innaffiateli col burro che vi è rimasto dal panino di un ettogrammo, e che avrete fatto appena fondere in un tegamino. Mettete la teglia o il piatto in forno piuttosto caldo per un quarto d'ora e quando i gnocchi avranno acquistato un leggero color d'oro, fateli servire nello stesso recipiente in cui vennero infornati. Le dosi date sono per sei persone.
grattato, e un po' meno di mezzo panino di burro da un ettogrammo. Mescolate ancora perchè tutti questi elementi possano ben amalgamarsi, e versate
Il vero risotto alla milanese è semplicissimo e molto buono, ma pochi, fuori di Milano, lo sanno fare, poichè quasi tutti vi gabellano per risotto alla milanese le più strane fantasie e i più strani miscugli, che non hanno proprio niente a vedere col tradizionale risotto di Milano. Tagliate in fette sottili una mezzo cipolla, racchiudetela in un angolo di un tovagliolo bagnato e strizzatela per toglierle il sapore troppo forte. Mettetela poi in una casseruola con una cucchiaiata di burro e un pezzo di midollo di bue, grosso come un uovo, ben tritato sul tagliere. Fate cuocere adagio la cipolla senza che prenda colore, e poi mettete giù mezzo chilogrammo di riso accuratamente mondato. Mescolate con un cucchiaio di legno affinchè il riso non s'attacchi, e poi bagnatelo man mano con brodo bollente, senza pomodoro, o con acqua se non avete brodo disponibile. Condite con sale e un pizzico di pepe e conducete la cottura piuttosto con vivacità, rinfondendo sempre acqua bollente man mano che il riso si gonfia. A metà cottura, versate nella casseruola il contenuto di una di quelle scatoline di zafferano, che si trovano in vendita da tutti i pizzicagnoli e salsamentari, o meglio una leggera pizzicata di fili di zafferano. Se adoperate lo zafferano in fili, regolatevi, perchè ha un aroma intenso, e una piccolissima quantità è più che sufficiente per aromatizzare il risotto. Lasciate che il riso finisca di cuocere e poi conditelo con dell'altro burro — circa mezzo panino — e mezzo ettogrammo di parmigiano grattato. Tra il burro da adoperarsi per il principio della cottura e quello che si adopera per condire in fine, non si deve impiegarne più di un panino. Versate il riso in un piatto e mangiatelo subito affinchè non si scuocia. Alcuni cuochi milanesi vi diranno che per fare il vero risotto ci vuole la cervellata, che è una specie di salsiccia giallastra racchiusa in budella tenui di vitello. Ma prima di tutto la cervellata non si trova sempre, e poi essa non è altro che un composto di grasso di bue e grasso di maiale aromatizzato con zafferano, spezie e parmigiano, composto dove il cervello non entra menomamente. Quindi poichè tutti gli elementi della cervellata entrano lo stesso nel risotto, è inutile questo duplicato, tanto più che quella specie di pomata racchiusa negl'intestini del vitello può non presentare efficaci condizioni di freschezza e d'igiene.
dove il cervello non entra menomamente. Quindi poichè tutti gli elementi della cervellata entrano lo stesso nel risotto, è inutile questo duplicato
Nel fritto scelto si fa invece un'accurata selezione dei vari elementi, limitandosi generalmente ad animelle, cervelli, schienali e carciofi, il tutto infarinato e poi passato nell'uovo sbattuto. Il fritto alla romana dovrebbe friggersi, per tradizione, nello strutto, ma, come abbiamo detto nel capitolo delle nozioni fondamentali, è assai preferibile friggere nell'olio, che permette di ottenere una frittura più croccante e meno grassa.
Nel fritto scelto si fa invece un'accurata selezione dei vari elementi, limitandosi generalmente ad animelle, cervelli, schienali e carciofi, il
Per sei persone prendete 600 grammi di carne magra di bue. Noi consigliamo senz'altro il filetto perchè meglio rispondente allo scopo. Tritate la carne e poi pestatela nel mortaio. Quando la carne sarà ben pestata aggiungete 200 grammi di mollica di pane bagnata nell'acqua e spremuta, 60 grammi di burro, sale e un pizzico di pepe. Pestate ancora piuttosto a lungo fino a che i vari elementi siano amalgamati in modo perfetto e ne risulti una pasta finissima. Per completare la preparazione passate questa pasta dal setaccio. Fate un rotolo del passato di carne e dividetelo in dodici pezzi i quali avranno su per giù la grossezza di un uovo. Con le mani leggermente bagnate d'acqua impastate delicatamente i dodici pezzi e allineateli davanti a voi. Prendete ora una salvietta, bagnatela nell'acqua e strizzatela. Poi stendetela sul tavolo. Mettete un pezzo di carne sulla salvietta ricopritela con un'altra parte della salvietta stessa e con le mani pigiate in modo da spianare il pezzo di carne, che dovrà risultare dello spessore di circa mezzo centimetro e del diametro di una diecina di centimetri. Avrete già preparato un piccolo risotto fatto con una sessantina di grammi di riso, risotto che potrà essere o al burro e parmigiano, o al sugo di carne. In caso di una colazione elegante potrete aggiungere al risotto qualche dadino di tartufo. Questo riso dopo ultimato e condito dovrà essere lasciato freddare in un piatto prima di essere usato. Nel mezzo della rotellina di carne mettete dunque una palletta di riso, grossa come una noce, quindi aiutandovi con la salvietta arrotolate su sè stessa la carne racchiudendovi dentro il riso. Ottenuto una specie di salamino sollevatelo dalla salvietta, prendetelo nella mano sinistra e operando delicatamente ripiegate con la mano destra le due estremità del rotoletto in modo da chiudere perfettamente il riso anche dai lati e dare all'involtino la forma di una supplì. Fatto il primo involtino mettetelo da parte e continuate a fare gli altri, sino ad esaurimento. Prendete una teglia a bordi piuttosto alti, metteteci circa un ettogrammo di burro e fatelo liquefare. Togliete la teglia dal fuoco, allineateci in un solo strato gli involtini di carne preparati; prendete un foglio di carta bianca resistente, e imburratela abbondantemente da una sola parte. Coprite con questo foglio di carta la teglia, avvertendo che la parte imburrata risulti a contatto degli involtini di carne e mettete finalmente la teglia così coperta in forno di moderato calore lasciandovela per una ventina di minuti. Trascorso questo tempo togliete la teglia dal forno e troverete che gli involtini sono rassodati e cotti. Prendete ora un piatto grande rotondo. Metteteci in mezzo, a piramide, una guarnizione di legumi o erbaggi a vostra scelta: come pisellini al prosciutto, spinaci al burro, cavoletti di Bruxelles ecc. Intorno alla guarnizione disponete le supplì di carne e su ogni supplì sgocciolate un po' di burro della cottura.
burro, sale e un pizzico di pepe. Pestate ancora piuttosto a lungo fino a che i vari elementi siano amalgamati in modo perfetto e ne risulti una pasta
Il pollo alla Marengo appartiene alla cucina classica ed ha tutta una storia curiosissima, facendosi risalire la sua origine alla battaglia che Napoleone vinse a Marengo. Ed ecco come, secondo la leggenda, andarono le cose. Dopo la disfatta dell'esercito austriaco, Napoleone, adunati intorno a sè i generali vittoriosi, li invitò alla sua tavola, dando l'ordine di servire immediatamente. Per disgrazia i furgoni delle provviste erano andati a finire chi sa dove e Dunan, il cuoco di Napoleone, aveva a sua disposizione un bel nulla. Il povero uomo, non sapendo a che santo votarsi, inviò due uomini con l'ordine di portare tutto quello che avessero potuto trovare. Gli uomini partirono ed ebbero l'insperata fortuna di trovare nel recinto smantellato di una fattoria tre pollastrini, male in carne, i quali niente affatto preoccupati della lotta che si era svolta sul piano, andavano tranquillamente beccando vermi e sassolini. Per Dunan fu la salvezza. I tre polli catturati vennero immediatamente uccisi, spennati, tagliati in pezzi, e gettati in padella con un avanzo d'olio. Qualche goccia di cognac tolto da una borraccia serve per bagnarli, pochi pomodori raccolti a gran fatica e dell'aglio offrono il condimento. Ed ecco che pochi minuti appresso, Dunan, poteva far servire al suo impaziente padrone, il «pollo alla Marengo» che fu trovato squisito da Bonaparte e dai suoi convitati. Questa la leggenda. Adesso la ricetta, la quale, pur conservando gli antichi elementi caratteristici, è stata man mano riveduta e corretta. Fate in pezzi un pollo giovine e tenero. La regola vuole che si divida così: coscie ed avancoscie, ali, i due filetti, la parte superiore del petto, e la groppa divisa in due o tre pezzi, secondo la grandezza del pollo. Lavate questi pezzi, asciugateli in una salvietta, e metteteli in padella contenente dell'olio caldissimo. Qualunque altro grasso è escluso, essendo l'olio la caratteristica del pollo alla Marengo. Fate rosolare a fuoco forte, e appena i pezzi del petto saranno biondi, toglieteli, continuando a cuocere il resto dei pezzi. Quando il pollo sarà quasi cotto, scolate l'olio e aggiungete qualche pomodoro spellato, fatto a pezzi e privato dei semi, un bicchiere di vino bianco e due spicchi d'aglio schiacciati. Fate ridurre la salsa, aggiungendo, se ne avete disponibile, un po' di sugo di carne. In caso contrario fatene a meno. Rimettete nella padella i pezzi del petto, fate cuocere ancora un paio di minuti, e poi aggiustate il pollo in un piatto contornandolo con crostini di pane fritti e in forma di cuore, con qualche gambero cotto nel vino bianco e con delle uova fritte. Seminate sul pollo del prezzemolo trito e fatelo servire. È in facoltà di chi cucina arricchire il pollo alla Marengo con dei piccoli funghi e con delle fettine di tartufo, che si aggiungono al pollo a metà cottura.
squisito da Bonaparte e dai suoi convitati. Questa la leggenda. Adesso la ricetta, la quale, pur conservando gli antichi elementi caratteristici, è
Nella galantina, come in tutte le vivande molto lavorate, entra un coefficiente non trascurabile: quello che potrebbe definirsi la questione della fede. Infatti, in gran parte delle galantine che si vendono sotto il titolo pomposo di galantine di pollo, il pollo — povera bestia calunniata — entra soltanto nominalmente. Eseguendo la galantina in casa, non solamente sarete sicuri di quello che mangerete, ma spenderete la metà di quello che dovreste spendere dal salsamentario o al restaurant, col vantaggio di avere un prodotto sceltissimo e di gusto infinitamente superiore. Praticamente la galantina consta di tre elementi principali: il mosaico, ossia quell'insieme di dadi di petto di pollo, tartufi, prosciutto, lingua, ecc., che danno alla galantina il suo caratteristico aspetto; il pesto o, come si dice in linguaggio di cucina, la farcia, che serve a cementare i vari pezzi del mosaico, e finalmente la pelle del pollo, che racchiude tutta la preparazione. Prendete un pollo o una gallina non troppo vecchia, badando che non abbia lacerazioni sulla pelle, fiammeggiatela per liberarla dalla peluria e poi collocatela sul tagliere col petto in giù. Tagliate il collo a due dita dalla attaccatura e spuntate le ali e le zampe. Poi con un coltellino a punta fate una lunga incisione sul mezzo del dorso, dal collo fino alla estremità opposta. Sollevate la pelle e aiutandovi con le dita e col coltellino, staccatela pian piano dalla cassa, prima da un lato e poi dall'altro. Arrivate che sarete alle ali rovesciate la pelle e cercate di farla uscire nè più nè meno si trattasse di un corpetto a maglia, e ugualmente fate per le cosce. Per far ciò facilmente, aiutatevi col coltellino, staccando man mano i piccoli nervi che trattengono la pelle. Continuate il vostro lavoro fino a che avrete tolto per intero la pelle. Prendete allora una terrinetta, arrotolate la pelle e mettetela dentro, bagnandola con un bicchierino di marsala e in questa terrinetta col marsala metterete anche i seguenti ingredienti che comporranno il mosaico interno della galantina: 1° Tutto il petto del pollo, staccato dalla cassa e tagliato in dadi. 2° Un ettogrammo di prosciutto — solo magro — tagliato in una sola fetta spessa e ritagliato in dadi. 3° Un ettogrammo di lingua allo scarlatto, anche tagliata in dadi; 4° Un pizzico di pistacchi, che terrete in bagno in un po' d'acqua tiepida, sbuccerete e lascerete interi. 5° Due o tre tartufi neri di buona qualità. Se adopererete tartufi in scatola basterà tagliarli in pezzi secondo la loro grossezza. Se invece adopererete tartufi freschi, dovrete prima spazzolarli accuratamente con un spazzolino e dell'acqua tiepida per poterli liberare bene dalla terra e poi toglier via anche qualche po' di corteccia dove la terra non si fosse potuta snidare perfettamente. 6° Un ettogrammo di lardo imbianchito. Per imbianchire il lardo farete così. Ne prenderete una fetta spessa del peso di un ettogrammo e la metterete sull'angolo del fornello in acqua bollente per una ventina di minuti. Trascorso questo tempo, l'estrarrete, la passerete in acqua fresca, l'asciugherete e la taglierete in dadi come il prosciutto e la lingua. Il lardo così preparato perde il suo sapore grasso e fa inoltre migliore effetto nel mosaico. Preparata tutta questa roba, conditela con pochissimo sale, un pizzico di pepe e un nonnulla di noce moscata e poi mescolate ogni cosa affinchè tutti gli ingredienti possano essere bagnati dal marsala. Coprite la terrinetta e lasciatela da parte. Ottenuto così il mosaico, passiamo alla confezione della farcia, ossia, come abbiamo già detto, al pesto che deve riunire i vari pezzi del mosaico. Prendete 400 grammi di vitello magro e tritatelo minutamente sul tagliere insieme con 400 grammi di lardo di buona qualità, e sopratutto non rancido. A questo pesto unirete tutta la carne rimasta attaccata al pollo e che staccherete accuratamente, privandola dei nervi e dei tendini, che abbondano specialmente nelle cosce. Pestate il più fino possibile e impastate col coltello in modo che carne e lardo non formino che un tutto unico, perfettamente amalgamato. Per maggiore economia od opportunità, potrete mettere nel trito metà carne di vitello e metà carne magra di maiale. Ma in questo caso, essendo la carne di maiale un poco più grassa, converrà fare quattro parti di carne mista e tre parti di lardo: ossia, nel nostro caso, duecento grammi di vitello, duecento di maiale e trecento di lardo. La farcia ben tritata sul tagliere può essere sufficientemente adatta per la galantina. Chi però volesse eseguire la preparazione a perfetta regola d'arte, dovrebbe dopo il tritamento sul tagliere, prendere un po' di farcia alla volta, pestarla in un mortaio di pietra, e dopo averla tutta pestata, passarla dal setaccio. È un supplemento di lavoro non assolutamente necessario in una cucina di famiglia, ma che permette di ottenere una lavorazione finissima e perfetta. Ultimata anche la farcia, estraete dalla terrinetta la pelle del pollo e tenetela da parte. Mettete allora nella terrinetta la farcia e impastando con le mani fate che i dadi di petto di pollo, lingua, prosciutto, ecc., vadano a distribuirsi nella carne trita. Non vi preoccupate del marsala rimasto nella terrinetta, perchè verrà assorbito nell'impasto. Svolgete sul tavolo la pelle del pollo, allargatela e su essa ponete l'impasto, al quale cercherete di dare una forma leggermente allungata come un polpettone. Tirate su i lembi della pelle, racchiudete l'impasto, e poi con un ago e del filo cucite intorno intorno la pelle sempre cercando di dare alla galantina una forma corretta. Se qualche pezzetto di pelle si fosse lacerata riprendetela con un punto. Per ultimo date coll'ago cinque o sei punzecchiature alla pelle, qua e là. Prendete adesso un tovagliolo e avvolgete in esso la galantina. Attorcigliate le due estremità del tovagliolo, come se doveste incartare una grossa caramella, e nei due punti di torsione fate due legature con lo spago, una di qua e una di là. Finalmente, fate un altro paio di legature nel mezzo della galantina. La parte più difficile del lavoro è fatta.
galantina consta di tre elementi principali: il mosaico, ossia quell'insieme di dadi di petto di pollo, tartufi, prosciutto, lingua, ecc., che danno alla
Per sei persone prendete due ettogrammi di tonno sott'olio, di qualità buona, quattro alici salate, lavate e spinate, un ettogrammo e mezzo di burro, un limone e un pizzico di pepe. Mettete tutta questa roba, eccetto il limone e il pepe, in un mortaio e pestatela, così da ridurla in una pasta fine e omogenea: ciò che avverrà facilmente e senza fatica, data la qualità degli elementi da pestare. Per eccesso di scrupolosità, dopo pestato nel mortaio, si potrebbe passare il composto dal setaccio, ma questa operazione non è necessaria. Quando avrete ben pestato tutto spremeteci su il sugo di mezzo limone e condite col pepe. Di sale è inutile parlarne essendo il tonno e le alici sufficientemente salati. Prendete una piccola stampa liscia e rotonda, del diametro di una dozzina di centimetri, o, in mancanza di questa, una piccola casseruola di uguale misura. Foderatela sul fondo e in giro con della carta unta d'olio, e versateci il composto di tonno, pigiandolo bene con un cucchiaio affinchè non rimangano vuoti. Pareggiate la superficie con una lama di coltello e mettete la stampa sul ghiaccio per una oretta, trascorsa la quale la vostra schiuma di tonno, rovesciata in un piatto e liberata dalla carta oleata, sarà pronta per essere servita.
e omogenea: ciò che avverrà facilmente e senza fatica, data la qualità degli elementi da pestare. Per eccesso di scrupolosità, dopo pestato nel
Conducete la cottura a fuoco moderato e con la casseruola coperta. Quando il pollo sarà cotto estraetelo, staccate tutto il petto che metterete da parte e poi con un coltellino tagliente staccate tutta la polpa della cassa e delle coscie, che pesterete nel mortaio e passerete dal setaccio in modo da ottenere una purè. Mettete adesso in una casseruolina una noce di burro, e quando il burro sarà liquefatto aggiungete una cucchiaiata scarsa di farina. Mescolate e poi bagnate con mezzo ramaiolo di brodo o di latte. Fate addensare un pochino questa salsa e poi uniteci il sugo rimasto dalla cottura del pollo, al quale sugo avrete, con un cucchiaio, portato via tutta la parte grassa rimasta alla superficie. Passate anche questa salsa dal setaccio, rimettetela nella casseruolina e fatela bollire, mescolando, fino a che sarà diventata ben ristretta e vellutata. A questo punto tirate indietro la casseruolina e versate nella salsa un torlo d'uovo sciolto con una cucchiaiata di latte. In questa salsa stemperate la purè di pollo e mettete da parte. Intanto preparerete una salsa maionese fatta con un uovo e preparate anche circa mezzo litro della nostra gelatina sbrigativa. Da ultimo preparate un po' di legumi e ortaggi di stagione come patate, carote gialle, fagiolini, zucchine, punte d'asparagi, ecc. ecc., il tutto lessato e tagliato a dadini come per l'insalata russa e condito con un pochino d'olio, sale, pepe e sugo di limone. Preparati tutti gli elementi necessari passiamo alla confezione del pane di pollo. Prendete una stampa liscia senza buco in mezzo, mettetela sul piatto e poi colateci due o tre cucchiaiate di gelatina, fredda ma non ancora rappresa. Girate la stampa sul ghiaccio in tutti i versi e vedrete che pian piano la gelatina velerà la parete interna della stampa. Quando la gelatina si sarà solidificata, se ci fosse qualche punto non coperto aggiungete dell'altra gelatina, in modo da ottenere una velatura completa e abbondante di tutto l'interno della stampa. Condite i legumi preparati con la salsa maionese nella quale avrete aggiunto due o tre cucchiaiate di gelatina fredda ma non rappresa. E un altro paio di cucchiaiate di gelatina metterete anche nella salsa con la purè di pollo. Disponete adesso un primo strato di legumi in maionese in fondo della stampa velata di gelatina e su questo strato mettete dei pezzi di petto di pollo che avrete ritagliato in fettine regolari. Sui pezzi di pollo stendete un po' di purè di pollo legata con la sua salsa gelatinata e continuate così fino ad aver riempito tutta la stampa, la quale, naturalmente, deve essere di capacità proporzionata al volume del pane da eseguirsi. Se avete dell'altra gelatina avanzata mettetela a freddare a parte. Preparate del ghiaccio pesto e in esso incastrate la stampa contenente il pane di pollo, che lascerete a congelare per qualche ora. Al momento di servire estraete la stampa dal ghiaccio, passateci intorno rapidamente un panno bagnato in acqua bollente e poi, senza troppo aspettare, capovolgete la stampa sul piatto di servizio — meglio se sarà un piatto rotondo in metallo argentato o in argento e contornate il pane di pollo con qualche crostone di gelatina e dei piccoli gruppi alternati di carciofini e funghi all'olio.
dadini come per l'insalata russa e condito con un pochino d'olio, sale, pepe e sugo di limone. Preparati tutti gli elementi necessari passiamo alla
In linea sommaria la maionese è composta di due elementi principali: una insalata cotta di legumi ben condita e legata con qualche cucchiaiata di salsa maionese, e del pesce o del pollo. Preparate dunque prima di ogni altra cosa la cosidetta «insalata russa» e che può anche essere servita da sola, senza il pesce. Questa potrà essere fatta, a seconda dei casi e della stagione, più o meno ricca. Vi potrete mettere, ad esempio, cavolfiori, broccoli, fagiolini, carote gialle, patate, piselli, carciofi, zucchine: insomma tutto quanto potrete avere; ma generalmente tre o quattro qualità di legumi sono sufficienti. In inverno cavolfiori, patate, carote gialle; in estate patate, carote gialle, un po' di fagiolini e qualche zucchina. Ogni varietà di questi legumi va lessata a parte. I broccoli e i cavolfiori si fanno a pezzi piccoli e si lessano, le patate, dopo lessate, si sbucciano, si lasciano freddare un poco e poi si tagliano a dadini; le carote gialle si lessano, si nettano, si spaccano, si liberano della parte dura che è in mezzo e si fanno anche a dadini; i carciofi si spaccano in due, si lessano e si ritagliano in spicchi; i fagiolini si lessano e si tagliano in due pezzi; le zucchine, dopo lessate, ma non troppo, si fanno a dadini, ecc.
In linea sommaria la maionese è composta di due elementi principali: una insalata cotta di legumi ben condita e legata con qualche cucchiaiata di
Nettate bene degli spinaci, non stancandovi di passarli in più acque per portar via ogni più piccola traccia di terriccio. Per la nostra pietanza, sufficiente a quattro persone, dovrete calcolare due pugni al spinaci lessati e spremuti, cioè due palle della grandezza approssimativa di un arancio. Cotti dunque gli spinaci e ben spremuti, tritateli sul tagliere. Mettete in una terrinetta trecento grammi di ricotta e lavoratela con un cucchiaio di legno per scioglierla bene. Unite alla ricotta gli spinaci, un pizzico di sale, due cucchiaiate di parmigiano grattato e due torli d'uovo. Mescolate bene tutto ciò in modo che i vari elementi rimangano perfettamente amalgamati. Mettete sul fuoco una teglia o un tegame piuttosto largo e con abbondante acqua. Quando l'acqua bollirà tirate la teglia o il tegame sull'angolo del fornello in modo che l'ebollizione sia appena sensibile. Prendete una alla volta delle mezze cucchiaiate del composto preparato e appoggiatele sulla tavola infarinata. Rotolate queste polpettine nella farina cercando, con tutta delicatezza, di dar loro con le mani una forma regolare simile a quella di un uovo di piccione. Man mano che saranno pronte, immergetele nell'acqua bollente. Vedrete che ben presto queste polpettine verranno a galla. Lasciatele stare così per tre o quattro minuti, poi tiratele su con una cucchiaia bucata, lasciatele sgocciolare bene e accomodatele in un piatto. Quando saranno tutte pronte, mettete a friggere in un tegamino un po' di burro — la terza parte di un panino da un ettogrammo — e quando sarà diventato biondo sgocciolatelo sulle polpettine. Cospargetele ancora con poco parmigiano grattato e fatele servire ben calde.
bene tutto ciò in modo che i vari elementi rimangano perfettamente amalgamati. Mettete sul fuoco una teglia o un tegame piuttosto largo e con
Il Plum-cake (gateau di uva) è un famoso dolce inglese, diffusosi da per tutto, e ricercato in special modo nei five o' clock eleganti. Infatti non c'è forse un genere di pasticceria che sia più gradito, offerto insieme ad una buona tazza di tè. La sua preparazione è facilissima. Il Plum-cake consta dei seguenti elementi, adoperati generalmente in parti uguali: burro, zucchero, farina, uvette secche, canditi, ed un certo numero di uova. Di questo dolce esistono una infinità di formule, le quali non differiscono che in particolari insignificanti. Ma qualunque sia la formula adottata, il procedimento resta sempre il medesimo. Siccome il Plum-cake è un dolce piuttosto compatto, alcuni autori consigliano l'aggiunta di chiare in neve, altri di un pizzico di carbonato d'ammoniaca, che è un sale largamente usato in pasticceria per dare leggerezza ad alcuni generi di paste, altri, infine, vorrebbero si unisse al composto un pochino di lievito di birra sciolto in un dito d'acqua. Ripetiamo: sono piccole differenze insignificanti, che non mutano sostanzialmente il risultato finale. Offriremo dunque alle nostre lettrici non una, ma più formule, dovute ai migliori artisti del genere; e le nostre lettrici potranno sceglierne una, o provarle tutte, una alla volta. Una ottima formula è la seguente:
consta dei seguenti elementi, adoperati generalmente in parti uguali: burro, zucchero, farina, uvette secche, canditi, ed un certo numero di uova. Di
Le basi di questi notissimi petits-fours sono assai semplici, poichè gli elementi principali che li costituiscono sono rappresentati da chiara d'uovo e zucchero, in ragione di 50 gr. di chiara d'uovo per ogni ettogrammo di zucchero. Praticamente potrete calcolare due chiare d'uovo per ogni ettogrammo di zucchero, però se vorrete eseguire parecchi richelieux sarà opportuno pesare le chiare, ciò che, sempre riferendosi a grandi quantità, dà un risultato più certo. Mettete dunque in un polsonetto o in un piccolo caldaio due chiare d'uovo con 100 grammi di zucchero in polvere, e con una frusta in fil di ferro incominciate a montare. Quando chiare e zucchero saranno sufficientemente montati, mettete il polsonetto o il piccolo caldaio in un recipiente più grande posto sul fuoco e contenente acqua bollente. Continuate a montare così a bagno-maria, fino à che il composto sia tanto caldo da poterci tenere agevolmente un dito. Badate di non eccedere nel calore altrimenti sciupereste tutto. Togliete allora dal bagno-maria il polsonetto e continuate a montare fuori del fuoco, fino ad ottenere una meringa soffice, rigonfia e ben sostenuta. Questa meringa potrete lasciarla così com'è o profumarla e colorirla a piacere. Naturalmente il colore e il profumo debbono avere una certa relazione. Trattandosi però di pasticceria da farsi in casa, dove per lo più mancano sia le essenze, sia i colori speciali da pasticceria, potrete attenervi a metodi semplicissimi. Potrete, ad esempio, mettere nella meringa qualche goccia di cognac e avere dei richeleux bianchi, o qualche goccia di caffè forte, e avere dei richelieux color avana, o finalmente profumarli con un po' di liquore dolce come rosolio di vainiglia, curaçao, alckermes, ecc. In questo ultimo caso sarebbe opportuno rafforzare il colore dei richelieux con una o due gocce di carminio che si vende in flaconi per usi di pasticceria e liquoreria. Questo carminio è dotato di forte potere colorante, e bisogna metterne soltanto una piccolissima quantità. È assolutamente innocuo. Fatta la meringa, profumata e colorita, si prende una tasca di tela con una bocchetta di latta spizzata e vi si introduce la meringa. Si unge leggerissimamente di burro — appena un sottile velo — una teglia grande o una placca da forno, e premendo sulla sommità della tasca di tela, si fanno uscire tanti bastoncini rigati della lunghezza di 6 centimetri circa, avvertendo di non metterli troppo vicini uno all'altro. S'infornano a fuoco leggerissimo per una ventina di minuti, affinchè abbiano modo di gonfiarsi e di rassodarsi Poi si lasciano freddare e con delicatezza si staccano dalla teglia, accomodandoli in un vassoio. Se la meringa è stata bene montata i richelieux dovranno risultare ben gonfi, croccanti all'esterno, quasi vuoti e liquorosi nell'interno. Un'ultima raccomandazione: l'essenza, cioè quella parte di caffè o di liquore che adopererete per profumare il composto, deve essere messa con molta parsimonia, e pian piano; abbondando, verreste a diluire troppo la meringa che, naturalmente, perderebbe la sua consistenza.
Le basi di questi notissimi petits-fours sono assai semplici, poichè gli elementi principali che li costituiscono sono rappresentati da chiara d'uovo
Questo eccellente liquore è del tipo di quello che è in commercio e che va sotto il nome di Vov. È buonissimo, nutriente e formerà la delizia vostra e delle vostre amiche. Come avviene anche per quello del commercio, questo liquore ha bisogno di essere agitato prima di essere servito, avendo i vari elementi tendenza a dissociarsi. Sarà quindi opportuno tenerlo in anforette di terraglia di quelle generalmente usate per il curacao, e di servirlo anche in bicchierini di porcellana colorata, proprio come fa la casa produttrice del Vov. Un'altra raccomandazione. Il liquore si conserva bene; però se volete gustarlo in tutto il suo profumo non prolungate enormemente la conservazione. Preparate magari una minore quantità per volta, ma usate la preparazione fresca. Ed ora veniamo alla ricetta facilissima con la quale otterrete un litro di liquore. Rompete quattro tuorli d'uovo in una terrinetta e sbatteteli con due ettogrammi di zucchero in polvere. Fate intanto bollire due bicchieri di latte con due ettogrammi di zucchero. Appena il latte bollirà versatelo pian piano, così bollente, sulle uova sbattute, mescolando energicamente con un cucchiaio o meglio con una piccola frusta di ferro. Sciolta bene tutta la massa, lasciatela raffreddare. Aggiungete allora mezzo bicchiere di marsala (100 gr.) di prima qualità e un bicchiere scarso di alcool puro (100 gr.) nel quale avrete sciolto mezzo grammo di vainiglina. Il liquore è ultimato, e non resta che metterlo in una bottiglia ben tappata. Come abbiamo detto, è necessario prima di servirlo di agitare un po' la bottiglia.
elementi tendenza a dissociarsi. Sarà quindi opportuno tenerlo in anforette di terraglia di quelle generalmente usate per il curacao, e di servirlo
Punch è parola derivante dall'indiano «panch», ossia cinque, per allusione ai cinque elementi che compongono questa bevanda: tè, zucchero, cannella, limone, rhum. Il punch è presentemente una bevanda nella quale entra un po' di tutto: rhum, alchermes, cognac, arac, cannella, garofani, coriandoli, limone, arancio, tè e chi più ne ha ne metta. C'è il punch forte dove predominano il rhum o l'arac, e il punch dolce in cui invece si abbonda in alchermes. Generalmente al punch si aggiunge del tè, e questa consuetudine ci pare apprezzabile, tenuto conto anche dell'origine della bevanda, in cui il tè figura tra gli elementi costitutivi. Per preparare il punch si mettono in una tazza di metallo o in una terrinetta tante cucchiaiate di rhum per quanti sono gli ospiti; s'inzucchera il rhum, secondo si desidera più o meno dolce, e si unisce la buccia sottilmente tagliata di un limone o di un arancio. Questa infusione si distribuisce poi nei bicchieri speciali, completando la bevanda con tè o acqua bollente. Molti amano dar fuoco al punch, nel qual caso si rende necessaria la tazza di metallo. Non volendo dar fuoco al punch si può preparare direttamente nei bicchieri, aggiungendo, secondo i casi, qualche pezzettino di cannella dell'alchermes, ecc.
Punch è parola derivante dall'indiano «panch», ossia cinque, per allusione ai cinque elementi che compongono questa bevanda: tè, zucchero, cannella
— Formaggio e frutta. Quello che si deve evitare con ogni cura sono le ripetizioni. Molti, invitandovi a pranzo, vi offrono ad esempio: polli lessati e polli arrostiti, o filetto di bue in casseruola e bistecche. E questo non va. Nella composizione di un «menu», anche il più semplice, si deve ricercare la maggior varietà, evitando di ripetersi non solo nelle qualità delle pietanze, ma nelle salse, nel loro colore, nel modo di presentare i piatti ecc. Se dunque il piatto forte è di carne di bue, fate che quello di mezzo sia di caccia, e l'arrosto di pollame, e viceversa. Evitate così due pietanze preparate allo stesso modo — ad esempio polli spezzati col sugo e budino con finanziera e sugo — come pure due contorni composti degli stessi elementi, siano pure cotti in modo diverso. I soli tartufi fanno eccezione alla regola e possono essere presentati parecchie volte in tavola.
elementi, siano pure cotti in modo diverso. I soli tartufi fanno eccezione alla regola e possono essere presentati parecchie volte in tavola.
Da qualche tempo è invalso l'uso di servire, al posto del solito formaggio, qualche ghiottoneria, in cui il formaggio entra insieme con altri elementi. I principali tipi di questi formaggi, che potremmo chiamare moderni, sono rappresentati: dalle tartelette, dai piccoli soufflè e dalle così dette pagliette.
elementi. I principali tipi di questi formaggi, che potremmo chiamare moderni, sono rappresentati: dalle tartelette, dai piccoli soufflè e dalle così dette
La questione dei funghi commestibili e dei funghi velenosi è quella che più deve preoccupare chi è a capo di una famiglia, poichè l'esperienza insegna quanto sia difficile poter giudicare se un fungo è o non è velenoso. Gli avvelenamenti con funghi non sono purtroppo infrequenti e la storia ci dice che anche personaggi illustri trovarono la fine cibandosi di funghi. Nelle grandi città si procede ad una verifica che può dare sufficienti elementi di garanzia; ma il pericolo maggiore è nei piccoli centri e nelle campagne dove i funghi vengono venduti senza controllo, quando non sono addirittura raccolti per uso proprio. In genere vengono cucinate una cinquantina di specie di funghi, tra le quali ve ne sono circa venti velenose, difficilissime a conoscersi dalle commestibili, presentando lo stesso aspetto e gli stessi caratteri. Si dice, ad esempio, della infallibile sicurezza dell'ovolo vero (amanita caesarea) e del cocco od ovolo bianco, ma anche in questa famiglia c'è l'ovolo falso o malefico e il cocco bastardo, ambedue velenosi. Nel gruppo degli agarici sono anche funghi commestibili e velenosi, come, ad esempio, il prataiolo, l'agarico grigiastro, ecc., facilmente confondibili con la rossola velenosa, il fungo peperone, l'agarico dissenterico, ecc. Nè maggiore sicurezza offre il fungo porcino, potendo essere facilmente confuso col porcino malefico. È risaputo che le prove empiriche dell'aglio, della cipolla o quelle del cucchiaio d'argento o della lama di coltello sono assolutamente da escludersi. Meglio attenersi in genere ai seguenti consigli, per i quali sono da schivarsi: Quei funghi che quantunque abbiano, come il prataiolo, il cappello bianco ed emisferico hanno la base del gambo bulbosa. — Quelli che con gambo grande e gibboso o squamoso, sostengono un cappello cosparso di verruche, oppure hanno la pelle coperta di pustole. — Quelli che infranti o screpolati fra le dita emanano un odore narcotico disgustoso. — Quelli che esalano un odore d'aglio, o che hanno sapore bruciante. — Tutti quei funghi che hanno il cappello tinto di rosso, azzurro o verde. — Quelli che spezzati o tagliati con un coltello assumono, al contatto dell'aria colorazioni diverse. — Quelli che tagliati si trovano pieni di succo lattiginoso. — Quelli che hanno la carne cordacea o sugherosa. — Quelli che non sono in nessun modo toccati dagli insetti, e, finalmente, quelli che si ritrovano su tronchi di albero dotati di proprietà deleterie. Ad ogni modo, e per concludere, bisogna usare solo di quei funghi che in ciascun paese l'esperienza secolare ha dimostrato essere veramente commestibili. In caso di sintomi di avvelenamento per funghi ricorrere immediatamente in attesa del medico a un vomitivo (acqua calda saponata) e subito dopo somministrare un energico purgante di olio di ricino. Evitare qualsiasi bevanda acida, o acque purgative in cui entri il sal di cucina.
che anche personaggi illustri trovarono la fine cibandosi di funghi. Nelle grandi città si procede ad una verifica che può dare sufficienti elementi