Grande consumo viene invece fatto, specie nel Lazio, dell'agnello da latte, il famoso «abbacchio» romanesco. Montoni, capretti, agnelli, castrati hanno tutti uno speciale segno di riconoscimento: carni sostenute e grasse. Naturalmente le carni dell'agnello e del capretto dovranno essere molto bianche, quelle del castrato e del montone d'un bel rosso porpureo. Il montone vecchio avrà invece carne oscura e granulosa, scarso grasso e d'un colore giallognolo accentuato. Del resto anche l'odorato distinguerà facilmente, a traverso il caratteristico odore acre e piccante, il montone che abbia varcato quei limiti d'età che gli consentano di apparire decentemente su una tavola.
giallognolo accentuato. Del resto anche l'odorato distinguerà facilmente, a traverso il caratteristico odore acre e piccante, il montone che abbia
Il tonno, il pesce spada, la palamida, questi grossi pesci che vengono generalmente pescati nell'Italia Meridionale, debbono essere di una freschezza addirittura esagerata, poiché passano facilissimamente, e possono arrecare allora i più gravi inconvenienti. Del resto questi pesci a carne rossa sono non facilmente digeribili e possono piuttosto rappresentare l'eccezione nell'alimentazione quotidiana che la regola. Anche le alici e le sarde, benchè molto appetitose non costituiscono certo un cibo raccomandabile a stomachi delicati o a convalescenti. Le sarde e le alici quando sono fresche debbono sembrare assolutamente vive, debbono essere lucentissime e sode e non debbono avere segni rossi intorno agli occhi o alle branchie.
sono non facilmente digeribili e possono piuttosto rappresentare l'eccezione nell'alimentazione quotidiana che la regola. Anche le alici e le sarde
Le seppie, le quali pur non essendo un cibo molto ricercato sono invece ottime e molto nutrienti, si riconoscono dal loro aspetto lucido, dalla durezza della carne e sopratutto da certi riflessi verdastri che facilmente conservano quando vengono nettate dal nero che generalmente le ricopre. Quando le seppie passano di freschezza perdono il loro aspetto brillante e diventano opache, mentre pian piano appaiono qua e là delle sfumature rosse.
durezza della carne e sopratutto da certi riflessi verdastri che facilmente conservano quando vengono nettate dal nero che generalmente le ricopre. Quando
Avendo una carcassa di pollo, o dei colli, o delle ali, si spezzeranno col coltello e si aggiungeranno alla carne di manzo. Anche dei residui di pollo arrostito sono eccellenti per aromatizzare il «consommé». La carne che rimane potrà essere utilizzata per polpette, o per riempire, con opportuni condimenti, zucchine, cavoli, ecc. Se il «consommé» serve per ammalati, si diminuiscono o si eliminano del tutto i legumi. Volendo preparare del «consommé» di pollo, si fa prima un brodo, servendosi di una gallina, si chiarifica e si rinforza come abbiamo detto più sopra, avvertendo di unire alla carne magra di manzo qualche pezzo di pollo, per accentuare il gusto del «consommé». Abbiamo detto che il «consommé» deve avere una bella tinta color d'oro. Questa colorazione si ottiene generalmente con qualche goccia di caramello liquido, che preparerete facilmente nel modo che esponiamo qui appresso.
'oro. Questa colorazione si ottiene generalmente con qualche goccia di caramello liquido, che preparerete facilmente nel modo che esponiamo qui appresso.
Friggere bene non è da tutti, e spesso, anzi, è proprio qui che vengono miseramente a naufragare così la pretensiosa prosopopea di tante cuoche, come i facili entusiasmi di qualche dilettante di cucina. Generalmente si frigge male perchè non si ha un'idea esatta dell'operazione della frittura, la quale è essenzialmente operazione di «concentrazione». Per lo più si frigge a tre gradi principali: a padella moderata, a padella ben calda, a padella caldissima; stadi, codesti, che si riconoscono assai facilmente. Nondimeno chi non fosse molto pratico potrà regolarsi così. La frittura è moderatamente calda quando gettandovi dentro un pezzetto di pane, questo provoca l'azione del grasso o dell'olio, che incominciano il loro ufficio: è ben calda quando lasciandovi cadere una goccia d'acqua si sente un crepitio secco; e finalmente è caldissima allorchè dalla padella si sprigiona un leggero fumo biancastro. Naturalmente ad ogni preparazione sottoposta all'operazione della frittura deve adattarsi uno di questi tre gradi. Così si frigge a padella moderata tutto ciò che contiene acqua di vegetazione, come patate o altri legumi, o frutta; oppure pesce e carni piuttosto voluminosi, che debbono cuocere interamente nella frittura, e nei quali la cottura completa deve arrivare insieme con il croccante e il color d'oro dell'involucro esterno. Si friggono invece a padella ben calda quelle cose le quali hanno già subito un principio di cottura o una cottura completa. Si tratta in questo caso di formare subito intorno agli oggetti immersi nella frittura uno strato solido affinchè l'interno rimanga compresso e non vada a passeggiare per la padella. Si friggono così le costolette e qualunque altra preparazione alla Villeroy, le supplì, le crocchette di diverse specie, le creme fritte, ecc. Il terzo grado, cioè la frittura a padella caldissima, si usa per piccoli pesci, per provature, e in genere per tutte le cose di limitate proporzioni di cui il calore deve subito impossessarsi. La quantità della frittura deve essere sempre proporzionata all'importanza e al volume delle cose da friggere. In ogni caso questi oggetti devono essere completamente immersi. La pretesa economia di coloro che friggono con pochissimo liquido si risolve in loro danno, poichè prima di tutto il fritto vien male: molle o carbonizzato, e poi il poco liquido adoperato brucia facilmente e deve essere gettato via, mentre se si dispone di abbondante grasso o olio, alla fine si passa attraverso un setaccino e si tiene in serbo per un'altra volta. Qual'è la miglior frittura? II burro, intanto, no, poichè non ha forza nè resistenza. Nelle trattorie e negli alberghi dove c'è molto lavoro si adopera il grasso di rognone di bue, ciò che rappresenta la frittura classica di grande resistenza. Ma il grasso di bue si fredda troppo facilmente e lascia subito una patina sulle cose fritte, la quale a sua volta insega la bocca di chi mangia. Per famiglia è meglio dunque non pensare al grasso di bue e adoperare lo strutto o meglio ancora l'olio, mediante il quale si ottiene una frittura croccante e dorata. L'olio infatti senza considerare che dal lato igienico è infinitamente superiore allo strutto, dove non si mai quel che ci sia — può raggiungere fino i 290 gradi di calore, ciò che non si ottiene con nessuna altra frittura. Molti hanno una ingiustificata avversione per friggere con l'olio. Prendano dell'olio di qualità buona e provino. Ne saranno soddisfatti. L'olio fine non comunica nessun sapore sgradevole alle cose fritte. Molte volte si tratta di pregiudizi e nulla più.
caldissima; stadi, codesti, che si riconoscono assai facilmente. Nondimeno chi non fosse molto pratico potrà regolarsi così. La frittura è
E non in fondo alla padella solo, ma in fondo alla teglia e in fondo alla casseruola. E che ci si trova dunque? Un piccolo tesoro che generalmente viene gettato via. Dopo aver cotto delle fettine in padella o delle «escaloppes» in teglia o anche dopo aver fatto dell'arrosto in casseruola, generalmente si ha la cattiva abitudine di rovesciare la carne sul piatto con tutto il grasso della cottura, il quale grasso il più delle volte è eccessivo e condisce in modo nauseabondo la carne preparata. Avrete osservato che nel fondo della padella o della teglia o della casseruola restano come dei piccoli grumi nerastri ai quali nessuno fa caso e che la donna di cucina lava e spreca. Ora proprio quei piccoli grumi nerastri rappresentano la parte veramente saporosa, con la quale voi potrete preparare una magnifica salsetta. Procedete dunque così: Cotta la carne, scolate via tutto il grasso e questo grasso non mandatelo in tavola, ma raccoglietelo in un tegamino, per utilizzarlo poi in qualche altra preparazione e versate nella padella o teglia o casseruola qualche cucchiaiata di brodo o d'acqua. Rimettete il recipiente sul fuoco, e con un cucchiaio di legno staccate bene i piccoli grumi. Vedrete che si scioglieranno facilmente e vi daranno un liquido nerastro che è appunto formato da una parte dei succhi della carne che si sono solidificati nel fondo durante la cottura. Se volete migliorare questo sugo potrete aggiungerci un piccolissimo pezzo di burro e un nonnulla di marsala. Ma, comunque, avrete arricchito la carne di una salsetta saporita, la quale non è certo da paragonarsi a quel lago di grasso, fatale allo stomaco, con cui molti portano in tavola la carne. Sono piccole cose, ma utili a sapersi: dei nonnulla che non vanno trascurati.
. Vedrete che si scioglieranno facilmente e vi daranno un liquido nerastro che è appunto formato da una parte dei succhi della carne che si sono solidificati
Per questi «canapés» come per tutti gli antipasti freddi ci si deve specialmente preoccupare di presentare delle cosine molto eleganti e rifinite con gusto. Senza descrivere un lungo elenco di «canapés», v'insegneremo il modo di procedere, indicandovi un paio di esempi, e lasciando a voi libertà di creare facilmente degli altri tipi, utilizzando ciò che avrete a vostra disposizione.
creare facilmente degli altri tipi, utilizzando ciò che avrete a vostra disposizione.
Da un pane a cassetta o da altro pane che abbia la mollica senza buchi, tagliate dei rettangoli, grandi circa come una carta da giuoco — meglio meno che più — e abbrustoliteli leggermente. Prendete adesso, ad esempio, un panino di burro e con una lama di coltello impastatelo in un piatto con quattro o cinque alici, lavate, spinate e fatte a pezzetti. Per avere un risultato anche migliore, potreste passare il burro e le alici dal setaccio. Spalmate di burro tutti i «canapés», e poi con dei filettini di acciuga fateci sopra un largo reticolato. Avrete intanto lessato un uovo. Sgusciatelo e tritate separatamente il rosso e la chiara. Mettete in ogni quadratino del reticolato una piccola pizzicata di bianco tritato e di rosso tritato, alternando i colori. Il burro che vi sarà rimasto lo metterete in un piccolo cartoccio di carta pesante, chiuderete il cartoccio e ne spunterete leggermente l'estremità inferiore in modo da lasciare un'apertura di pochi millimetri. Premendo sul cartoccio, fate intorno ai «canapés» un sottile cordoncino di burro, che li completerà con molta eleganza. Oppure, preparate del burro di Montpellier, raccoglietelo, in una terrinetta, copritelo con un foglio di carta pergamena e tenetelo sul ghiaccio. Preparate anche dei crostini di forma ovale o rettangolare, dello spessore di mezzo centimetro, e leggermente abbrustoliti sul fuoco o — se credete meglio — fritti nel burro, nell'olio o nello strutto. I crostini vanno preparati prima affinchè abbiano il tempo di freddarsi; altrimenti adoperandoli caldi il burro si liquefarebbe. Spalmate su ogni crostino uno strato abbondante del burro preparato, disponete intorno intorno un cordoncino di torlo d'uovo sodo tritato, e finite i «canapés» mettendo in mezzo ad ognuno qualche fogliettina di crescione. Come facilmente comprenderete potrete utilizzare olive farcite, capperi, cetriolini, gamberetti, ecc., purché ricordiate l'avvertimento di montare i «canapés» con ogni cura.
facilmente comprenderete potrete utilizzare olive farcite, capperi, cetriolini, gamberetti, ecc., purché ricordiate l'avvertimento di montare i «canapés
Le tartelette e le barchette sono piccoli involucri di pasta cotta al forno in stampine speciali e poi riempite con preparazioni varie, come filettini di alici, uova sode tritate, dadini di tonno, insalata russa minutissima, ecc. Si chiamano tartelette o barchette a seconda della loro forma: tartelette se hanno forma rotonda, barchette se ovale, dipendono la forma dal genere di stampina che si adopera. Si prepara una pasta con un ettogrammo di farina, 65 grammi di burro, un pizzico di sale e tre cucchiaiate d'acqua. Si riuniscono i vari ingredienti senza troppo lavorare, si arrotola la pasta in una palla e si lascia riposare un quarto d'ora. Poi si stende piuttosto sottile e con questa pasta si foderano una dozzina di stampine da tartelette o da barchette, previamente imburrate. Si riempiono le stampine foderate con dei fagiuoli secchi allo scopo di impedire che la pasta cuocendo abbia a distaccarsi dalle pareti della stampina. S'infornano, e dopo pochi minuti, quando la pasta sarà rassodata, si estraggono dal forno, si lasciano raffreddare un poco, delicatamente si tolgono via i fagiuoli e si fa uscire l'involucro di pasta dalla stampina. Come abbiamo fatto osservare per i «canapés», anche i modi di guarnire questi involucri di pasta sono numerosissimi e preferiamo lasciare al vostro buon gusto il modo di trarvi facilmente d'imbarazzo. Invece che della pasta descritta più sopra, potrete servirvi per foderare le stampine di ritagli di pasta sfogliata.
«canapés», anche i modi di guarnire questi involucri di pasta sono numerosissimi e preferiamo lasciare al vostro buon gusto il modo di trarvi facilmente d
Per quattro persone mettete a liquefare in un tegamino mezzo ettogrammo di burro. Fate l'operazione in un angolo del fornello affinchè il burro non abbia a soffriggere. Appena disciolto travasatelo in una piccola insalatiera rotonda e con un cucchiaio di legno incominciate a mescolarlo. Man mano il burro si rassoderà e nello stesso tempo monterà. Quando lo avrete ridotto come una bella crema morbida, aggiungeteci un uovo intiero e poi, quando il primo sarà almagamato, un secondo uovo. Aggiungete ancora, poco alla volta, tre cucchiaiate di farina e quando anche questa sarà bene unita mettete nell'impasto un paio di cucchiaiate di formaggio grattato, un pizzico di sale e un nonnulla di noce moscata. Mescolate ancora per unire tutti gli ingredienti e poi versate questa pasta, che deve risultare non eccessivamente dura, sopra un coperchio di casseruola piuttosto largo. Avrete intanto messo a bollire dell'acqua leggermente salata in un recipiente più largo che alto — una teglia serve benissimo al caso e quando l'acqua bollirà tirate la teglia sull'angolo del fornello in modo che l'acqua continui a bollire insensibilmente e poi, tenendo nella mano sinistra il manico del coperchio della casseruola, lasciate cadere nell'acqua dei pezzettini di pasta grossi come nocciole servendovi di un coltello e procurando di dare alla pasta una forma possibilmente sferica. Questo si ottiene facilmente prendendo un pezzetto di pasta e rimpastandolo sollecitamente sull'orlo del coperchio, adoperando la lama del coltello. È un lavoro molto facile che si fa anche presto. Fate cadere i pezzetti di pasta procurando di non gettarli uno sull'altro e quando avrete esaurito il composto coprite la teglia e lasciate bollire pian piano ancora per un paio di minuti. Nell'acqua le pallottoline si rassodano e gonfiano. Avrete intanto passato il brodo occorrente per la colazione e quando sarà ben caldo tirate su le pallottoline dall'acqua servendovi di una larga cucchiaia bucata, lasciatele sgocciolare bene e passatele nel brodo. Tenetele in caldo ancora per un minuto o due, e poi fate servire la minestra.
forma possibilmente sferica. Questo si ottiene facilmente prendendo un pezzetto di pasta e rimpastandolo sollecitamente sull'orlo del coperchio
Per sei persone potrete basarvi su un litro e mezzo d'acqua e 500 grammi di farina gialla. Regolatevi che la polenta riesca piuttosto densa, e ben cotta. Si giudica generalmente del grado di cottura quando mescolando, la polenta si stacca facilmente dalle pareti del caldaio. Su per giù ci vorrà una mezz'ora abbondante. Inumidite d'acqua il marmo della tavola di cucina o dei larghi piatti, e quando la polenta sarà cotta versatela, stendendola con una larga lama di coltello bagnata d'acqua, all'altezza di un centimetro, o poco più, e lasciate che si freddi completamente. Mentre la polenta si fredda, preparate un buon sugo, così detto finto, con grasso di prosciutto, un pochino di cipolla, sedano, carota gialla, strutto o burro se più vi piace. Coloriti i legumi, aggiungete due buone cucchiaiate di salsa di pomodoro ristretta, sale e pepe, bagnate con brodo o acqua e lasciate cuocere piuttosto dolcemente. In questo sugo potrete aggiungere dei funghi secchi, tenuti a rinvenire in acqua fresca, qualche cotenna di maiale in dadini, qualche salciccia e magari un po' di carne pesta. Quando la polenta sarà ben fredda tagliatela in mostaccioli di due dita di lato. Prendete una teglia, di una trentina di centimetri di diametro, spalmatela di burro e disponete in essa con garbo uno strato di gnocchetti. Condite questo strato con un po' di sugo e parmigiano grattato, fate un altro strato, e poi un altro, e via di seguito, incominciando ogni nuovo strato di gnocchetti un po' più indietro del precedente in modo da avere una specie di cupola. Versate su questa cupola, dell'altro sugo e dell'altro parmigiano e disponete qua e là dei pezzettini di burro. Mettete la teglia in forno piuttosto forte per un buon quarto d'ora, fino a che i gnocchetti abbiano fatto la crosticina croccante. Fateli servire così, nella stessa teglia. Questi gnocchetti debbono riuscire ben conditi. Non è male riservare una parte dell'intingolo per versarla bollente sulla polenta quando questa esce dal forno.
cotta. Si giudica generalmente del grado di cottura quando mescolando, la polenta si stacca facilmente dalle pareti del caldaio. Su per giù ci vorrà una
Con un litro e mezzo circa di acqua, cinque ettogrammi di farina gialla e sale a sufficienza fate una polenta, e quando sarà ben soda e si staccherà facilmente dalle pareti del caldaio o della casseruola, travasatela o in una casseruola più piccola o in una insalatiera, o in un altro recipiente qualsiasi a vostra scelta purché abbia una certa profondità. Ricordatevi, qualunque sia il recipiente che sceglierete, di bagnarlo abbondantemente d'acqua. Lasciate la polenta in riposo aspettando che diventi completamente fredda. Poi capovolgetela sulla tavola di cucina e con un coltello dividetela in fette larghe ma sottili dello spessore di appena mezzo centimetro. È appunto allo scopo di avere delle belle fette di polenta che consigliamo di farla freddare in un recipiente profondo, poiché se lasciaste freddare la polenta sul marmo di cucina, o su un piatto largo, non avreste che delle fettine assai basse. Ungete adesso abbondantemente di burro una teglia a bordi piuttosto alti, avente circa una ventina di centimetri di diametro; fate uno strato regolare di fette di polenta, e su questa mettete delle fettine di fontina piemontese, o in mancanza di fontina, di qualunque altro formaggio fresco. Condite il formaggio con un pizzico di pepe e continuate ad alternare strati di polenta e fettine di formaggio, regolandovi che l'ultimo strato sia di polenta. Mettete qua e là qualche pezzettino di burro e ponete la teglia in forno piuttosto vivace per una ventina di minuti, fino a che la polenta avrà fatto una bella crosticina dorata. Togliete la teglia dal forno, capovolgete la torta su un piatto e fatela servire calda e filante. Quando penserete al costo di un piatto di polenta col sugo e salsiccie, vi accorgerete che questa torta, nonostante la lieve spesa occorrente per il formaggio — per le proporzioni da noi date, ne saranno sufficienti un ettogrammo e mezzo — è veramente da tenersi in considerazione.
facilmente dalle pareti del caldaio o della casseruola, travasatela o in una casseruola più piccola o in una insalatiera, o in un altro recipiente
Per sei persone mettete sul fuoco una casseruola con un bicchiere di latte, un pizzico di sale, un nonnulla di noce moscata, e cinquanta grammi di burro. Appena il latte leverà il bollore tirate indietro la casseruola, e gettateci d'un colpo 125 grammi di farina (quattro cucchiaiate molto colme). Mescolate con un cucchiaio di legno, rimettete a fuoco sempre mescolando, e lavorate la pasta per due o tre minuti fino a che si staccherà dal cucchiaio e dalle pareti del recipiente. Togliete dal fuoco e lasciate freddare. Quando il composto sarà freddo uniteci tre uova, avvertendo di mettere un uovo alla volta e di non aggiungerne un altro se il precedente non si è bene amalgamato alla massa. Lavorate energicamente la pasta — come si trattase di fare delle bignè — e quando vedrete che è diventata liscia e vellutata, e fa qua e là delle bolle, copritela e lasciatela riposare un pochino. Preparate intanto una salsa besciamella con un bicchiere e mezzo di latte, un pezzo di burro come una grossa noce e un cucchiaio scarso di farina. Conditela con sale e noce moscata, e quando sarà cotta — deve essere piuttosto liquida — finitela fuori del fuoco con un paio di cucchiaiate di parmigiano grattato. Mettete sul fuoco una grande casseruola con acqua e sale, e allorchè l'acqua bollirà prendete dei pezzi di pasta grossi come una noce e lasciateli cadere nell'acqua. L'operazione si fa assai facilmente prendendo la pasta con un cucchiaino e spingendola via col dito. Tirate la casseruola sull'angolo del fornello e fate sobollire dolcemente i gnocchi. Man mano che saliranno alla superficie e diventeranno elastici al tatto, tirateli su e metteteli a sgocciolare su una salvietta o uno strofinaccio. Spalmate con un po' di salsa un piatto resistente al forno o una teglia, accomodateci i gnocchi, ricopriteli di salsa, spolverizzateli di formaggio, innaffiateli con un altro po' di burro e metteteli in forno fino a che avranno fatto una leggera crosticina dorata
lasciateli cadere nell'acqua. L'operazione si fa assai facilmente prendendo la pasta con un cucchiaino e spingendola via col dito. Tirate la casseruola sull
Cuocete la polenta piuttosto densa e ottenutala di notevole consistenza versatela sulla tavola di marmo di cucina, che avrete leggermente bagnata d'acqua. Con una larga lama di coltello bagnata o, meglio ancora, con le mani bagnate, spianate la polenta allo spessore di un dito e lasciatela raffreddare completamente. Quando sarà fredda tagliatela a piccoli mostaccioli che staccherete e solleverete facilmente con la lama del coltello. Prendete un pezzo alla volta, passatelo nella farina di polenta e friggete questi mostaccioli nell'olio bollente fino a che abbiano preso un bel colore e siano diventati croccanti all'esterno.
raffreddare completamente. Quando sarà fredda tagliatela a piccoli mostaccioli che staccherete e solleverete facilmente con la lama del coltello. Prendete un
Vengono anche detti «Uccellini di campagna». «Uccellini matti», ecc. Per sei persone prendete quattro ettogrammi di fettine di manzo. Il manzo dovrà essere di buona qualità, e il taglio da preferirsi «la pezza». Dividete le fettine in una ventina di striscie regolari, alte un po' più di due dita e lunghe dai sei agli otto centimetri, battetele leggermente per renderle sottili e sopra ognuna mettete una fettina di prosciutto grasso e magro, una foglia di salvia e un nonnulla di pepe, arrotolando poi ogni fettina su sè stessa in modo da avere dei piccoli salsicciotti. Preparate tante piccole fette di pane per quanti sono gli involtini, e un numero doppio di sottilissime fettine di lardo. Prendete uno spiede, infilzate una fetta di pane, un pezzettino di lardo, un involtino, un altro pezzettino di lardo, una fetta di pane, e via di seguito procedendo sempre con lo stesso ordine. Quando avrete infilzato ogni cosa, mettete a liquefare vicino al fuoco, in un tegamino, una cucchiaiata di strutto, e con un pennello ungete generosamente così la carne come il pane; spolverizzate con un po' di sale e un po' di pepe e mettete ad arrostire sopra un fuoco piuttosto gaio. Il sistema più semplice, per chi non possiede un girarrosto, è quello di disporre delle palettate di carbone bene acceso in fondo al camino, al di là dei fornelli. Il carbone va messo sopra un piccolo strato di cenere e diviso in due linee parallele con un piccolo spazio in mezzo, affinchè il grasso scolando non produca soverchio fumo. La spiede va messo sopra due ferri da stiro posati verticalmente, e girato di quando in quando con la mano. Siccome il fuoco tende facilmente ad indebolirsi, è bene tenerlo desto con qualche colpo di ventola, come pure è opportuno ungere di quando in quando l'arrosto. Il quale, per cuocere avrà bisogno di mezz'ora di tempo. Disponete gli uccellini coi loro crostini croccanti bene allineati in un piatto e mandateli in tavola così, o dopo aver sgocciolato su essi un pochino di burro fuso.
facilmente ad indebolirsi, è bene tenerlo desto con qualche colpo di ventola, come pure è opportuno ungere di quando in quando l'arrosto. Il quale, per
Taglio preferibile, la noce o la contronoce. Fate con la punta di un coltellino qualche incisione nel mezzo della carne e in essa introducete dei lardelli di grasso di prosciutto che rotolerete prima nel sale e pepe, e dei pezzi di tartufo nero. Legate poi la carne perchè prenda una forma regolare e fatela cuocere in forno per più di un'ora in una teglietta in cui non stia troppo grande, con abbondante strutto o olio, avendo cura, di tempo in tempo, di rivoltare il vitello e di bagnarlo con qualche cucchiaiata d'acqua se vedrete che tende a colorirsi troppo. Per assicurarvi della cottura introducete nella carne un grosso ago da cucina: l'ago dovrà penetrare facilmente e il sugo che uscirà del forellino, dovrà essere bianco, senza traccia di sangue.
introducete nella carne un grosso ago da cucina: l'ago dovrà penetrare facilmente e il sugo che uscirà del forellino, dovrà essere bianco, senza traccia
Uno degli scogli sul quale vanno spesso ad infrangersi il buon volere e le ambizioni di chi deve preparare una colazione o un pranzo elegante è il piatto di carne. Ci si trae facilmente d'imbarazzo per un piatto di mezzo o per un dolce, riuscendo a presentare ai nostri ospiti qualche cosa di nuovo e di fine, ma per il piatto di carne si ricade assai spesso nelle preparazioni consuete. Ecco perchè v'insegnamo questa, noce di vitello, la quale, se rifinita a dovere, non solamente riuscirà una pietanza eccellente dal punto di vista del gusto, ma costituirà anche una preparazione molto elegante e tale da permettervi di conseguire un immancabile successo. Secondo il numero delle persone prendete una intiera noce di vitello o soltanto una parte di essa calcolandone un centinaio di grammi a persona. Lardellate la carne, e, se fosse possibile, picchettatela internamente oltre che con qualche asticciola di lardo, con dei pezzi di grasso di prosciutto, e, potendo, con dei dadi di tartufo nero. Compiuta questa prima operazione, legate la carne per mantenerla in forma. Prendete una casseruola di rame a fondo spesso e di forma possibilmente rettangolare, metteteci una cipolla tritata sottilmente, un po' di prezzemolo, del sedano e qualche fettina di carota gialla, il tutto tritato. Su questo letto di legumi mettete la carne, salatela, aggiungete una grossa cucchiaiata di burro o di strutto e fate cuocere con attenzione affinchè la carne e le verdure possano rosolarsi senza tuttavia bruciacchiarsi. Quando la carne sarà colorita e i legumi saranno diventati una poltiglia bionda, bagnate la carne con mezzo bicchiere di marsala o di vin bianco, e quando l'umidità del vino sarà evaporata bagnate ancora con del brodo o dell'acqua, tanto da ricoprir quasi la carne, che continuerà a cuocere pian piano fino a completa cottura.
piatto di carne. Ci si trae facilmente d'imbarazzo per un piatto di mezzo o per un dolce, riuscendo a presentare ai nostri ospiti qualche cosa di nuovo
Mettete in una terrinetta un ettogrammo di burro e con un mestolo di legno lavoratelo a lungo finchè sarà diventato soffice. A questo punto aggiungeteci un uovo intero e quando quest'uovo sarà amalgamato aggiungete ancora un rosso. Tritate sul tagliere 100 gr. di prosciutto cotto, solo magro. Finalmente mettete sul setaccio di fil di ferro 100 gr. di mollica di pane fresca, già grattata alla grattugia e forzando con le mani, passatela. È una operazione che si fa facilmente. Mettete il prosciutto e la mollica grattata nel composto di burro e uova, aggiungete un cucchiaio colmo di farina e mescolate ancora per incorporare ogni cosa. Prendete un recipiente più largo che alto, ad esempio una teglia, riempitela d'acqua e mettetela sul fuoco. Quando l'acqua bollirà tirate il recipiente sull'angolo del fornello e provate un pezzettino di composto formandone una pallina e facendola cadere nell'acqua bollente. Se questo composto fosse troppo molle e non si rassodasse perfettamente aggiungeteci ancora un po' di farina mescolandola con delicatezza; se invece la pallottolina risultasse troppo dura dovreste aggiungere un altro pochino di mollica di pane grattata. Quando avrete verificato la consistenza del composto, con un cucchiaino bagnato nell'acqua calda prendetene una quantità come una grossa noce, e con un altro cucchiaino anche bagnato in acqua calda o con una lama di coltello date bella forma alla chenella in modo che prenda la forma di un piccolo uovo, e poi immergete il cucchiaino nell'acqua che dovrà essere caldissima ma non bollire. Vedrete che la chenella si staccherà subito dal cucchiaio. Procedete così fino ad esaurire il composto e quando avrete fatto tutte le chenelle, lasciatele ancora qualche minuto nell'acqua bollente (cinque o sei minuti) poi estraetele con una cucchiaia bucata, lasciatele ben sgocciolare e accomodatele nel piatto di servizio. Al momento di mandarle in tavola innaffiatele con un po' di burro che avrete fatto friggere a color nocciola in una padellina.
operazione che si fa facilmente. Mettete il prosciutto e la mollica grattata nel composto di burro e uova, aggiungete un cucchiaio colmo di farina e
Calcolate una costoletta a persona. Togliete un po' di grasso intorno intorno — grasso che potrete utilizzare per condimento in minestre d'erbe o minestroni — e poi con un coltello tagliente aprite in due la costoletta. L'operazione riesce facilmente appoggiando la mano sinistra sulla costoletta e tagliando con attenzione nel mezzo dello spessore, tenendo il coltello bene orizzontale. Estendete il taglio fin quasi all'osso, in modo da ottenere come un libriccino. Per sei costolette avrete intanto tagliato in fette sottili mezzo ettogrammo di formaggio fresco, come fontina, provatura, mozzarella, marzolina, ecc. e qualche fettina di prosciutto, o di mortadella di Bologna — meno di mezzo ettogrammo in tutto. Aprite le costolette, mettete bene nell'interno una fettina di formaggio e una di prosciutto o di mortadella, un nonnulla di noce moscata, poco sale e poco pepe. Richiudete le costolette in modo che le due parti tagliate combacino perfettamente, e poi con il batticarne o un grosso coltello battete leggermente la costoletta così da spianare un poco la carne e riunire ancor meglio il tutto. Passate poi con attenzione le costolette nell'uovo sbattuto, avendo cura di bagnare bene anche il bordo tagliato, e poi impanatele. Appoggiate bene l'impanatura con una lama di coltello, e non trascurate di passare la lama anche intorno intorno per evitare che friggendo le costolette abbiano ad aprirsi. Friggetele nell'olio o nello strutto a fuoco moderato, affinchè le costolette abbiano il tempo di cuocersi bene nell'interno e di colorirsi.
minestroni — e poi con un coltello tagliente aprite in due la costoletta. L'operazione riesce facilmente appoggiando la mano sinistra sulla costoletta e
Qualunque sia il modo di cucinare i filetti di tacchino, bisogna anzitutto privarli del nervo, operazione che si fa facilmente intaccando con un coltellino e mettendo a nudo il principio del nervo stesso, e poi tirandolo via. Levato il nervo si spiana un po' il filetto con un largo coltello leggermente bagnato di acqua, e si fa cuocere in una piccola teglia con un pochino di burro e un pizzico di sale. I filetti si possono anche infarinare, dorare, panare e friggere nell'olio o nello strutto, o meglio ancora nel burro.
Qualunque sia il modo di cucinare i filetti di tacchino, bisogna anzitutto privarli del nervo, operazione che si fa facilmente intaccando con un
Il tacchino, il cappone, il fagiano tartufati si preparano tutti nello stesso modo, solo varia la quantità di tartufi, a seconda del peso dell'animale. Infatti un tacchino arriva facilmente al rispettabile peso di circa tre chilogrammi, ciò che non può venire raggiunto da un cappone o tanto meno da un fagiano. Per un grosso tacchino occorreranno circa tre ettogrammi di grasso di maiale e circa mezzo chilogrammo di tartufi neri. Incominciate col togliere tutte le pellicole alla sugna fresca di maiale, tagliatela in pezzi e mettetela in un mortaio. Risciacquate accuratamente i tartufi spazzolandoli con uno scopettino duro e acqua allo scopo di portar via ogni traccia di terra. Dopo averli ben nettati con un coltellino portate via, sottilmente, le buccie che unirete al grasso di maiale, nel mortaio. I tartufi sbucciati li ritaglierete in grossi spicchi e li metterete in una insalatierina con sale, pepe, un pizzico di spezie, un po' di cognac, un po' di marsala e un po' d'olio, lasciandoli in questa marinata per un'ora. Intanto pestate energicamente nel mortaio le corteccie dei tartufi e la sugna in modo da averne un impasto perfetto che si può rendere ancor più fine e delicato passandolo da un setaccio in fil di ferro Quando i tartufi saranno stati in marinaggio per un'ora travasateli con tutto il loro condimento nel grasso passato e impastate il tutto con le mani in modo da ottenere un perfetto miscuglio di ogni cosa. Con questo composto di grasso aromatizzato e tartufi riempite il tacchino, cucitelo e mettetelo ad arrostire in forno o allo spiedo, ungendolo naturalmente come si fa in tutti gli altri casi.
'animale. Infatti un tacchino arriva facilmente al rispettabile peso di circa tre chilogrammi, ciò che non può venire raggiunto da un cappone o tanto meno da
Uno dei principali guai della milza è la pelle, che bisogna levare completamente, sotto pena di ottenere una pietanza immangiabile da gettar via senz'altro. La pelle si leva facilmente con un coltello; ad ogni modo chi non avesse pratica con questa operazione o non volesse sporcarsi le mani, la faccia fare dallo stesso macellaio.
'altro. La pelle si leva facilmente con un coltello; ad ogni modo chi non avesse pratica con questa operazione o non volesse sporcarsi le mani, la
1. Ali 2. e 6. Dorso diviso in due parti. 3. Filetti 4. Parte centrale del petto. 5. Cosce 7. Zampe. – ] Trattandosi di polli grandi la parte centrale del petto e le cosce si suddividono in due parti bagno in acqua fresca, affinchè possa bene ammollarsi. Poi si estrae dall'acqua, si mette in un tegamino e si fa sciogliere su fuoco debole. Si aggiunge poi alla gelatina e si procede alla chiarificazione come si è detto più innanzi. Abbiamo accennato a questa colla desiderando non tralasciare nulla affinchè la nostra ricetta potesse dirsi veramente completa. Però crediamo che facendo ben restringere il brodo e facendo cuocere moltissimo i piedi di vitello, l'aggiunta della «gelatina marca oro» non sia necessaria, tanto più che una buona gelatina di carne non deve essere dura ed elastica come un pezzo di caucciù, ma essere rappresa quel tanto che basta, e fondere facilmente in bocca. Solo a queste condizioni si può gustarne tutta la finezza e tutto il profumo.
gelatina di carne non deve essere dura ed elastica come un pezzo di caucciù, ma essere rappresa quel tanto che basta, e fondere facilmente in bocca. Solo a
Elemento indispensabile per la galantina di pollo è la pelle del pollo medesimo che serve a racchiudere l'impasto. Trattandosi di una galantina senza pollo si ricorre alla rete di vitello. Avrete infatti veduto più volte nelle vetrine dei grandi salsamentari, delle galantine involte in una specie di pelle bianca. Questo involucro non è altro che la rete che regge le viscere del vitello. Per avere questa rete dovrete rivolgervi o al vostro macellaio, che ve la procurerà facilmente al mattatoio, o da quei venditori di trippe, teste e piedi di vitello, fegati ecc.
macellaio, che ve la procurerà facilmente al mattatoio, o da quei venditori di trippe, teste e piedi di vitello, fegati ecc.
Il costo di questa rete è minimo. Generalmente la rete viene stesa e lasciata asciugare, di modo che quando si acquista ha l'aspetto di un foglio di pergamena. In genere con una rete si possono fare un paio di galantine. Il pezzo avanzato si arrotola, si lega con uno spago e si sospende all'aria: si conserva così lungamente. Per fare una bella galantina per dodici e più persone prendete un filetto di maiale (lombello) tagliatelo in dadi di un paio di centimetri di lato, e mettete questi dadi in una terrinetta. Comperate un ettogrammo di prosciutto magro, tagliato in una sola fetta, un ettogrammo di lingua salata e ritagliate lingua e prosciutto in grossi dadi che unirete al filetto di maiale nella terrinetta. Tagliate poi in dadi un ettogrammo di lardo, mettetelo in una casseruola, ricopritelo di acqua bollente e lasciatelo così sull'angolo del fornello per una mezz'ora, poi versate questi dadi nell'acqua fredda; e quindi scolateli e aggiungeteli agli ingredienti della terrinetta. In questa terrinetta avremo dunque il filetto di maiale crudo, il prosciutto, la lingua, il lardo, il tutto a dadi. Aggiungete ancora, se credete, un pizzico di pistacchi, i quali vanno messi un pochino in acqua bollente per poterne facilmente levare la buccia, e, se lo stimerete opportuno, un tartufo nero tagliato anch'esso in dadi.
in acqua bollente per poterne facilmente levare la buccia, e, se lo stimerete opportuno, un tartufo nero tagliato anch'esso in dadi.
Per sei persone prendete due ettogrammi di tonno sott'olio, di qualità buona, quattro alici salate, lavate e spinate, un ettogrammo e mezzo di burro, un limone e un pizzico di pepe. Mettete tutta questa roba, eccetto il limone e il pepe, in un mortaio e pestatela, così da ridurla in una pasta fine e omogenea: ciò che avverrà facilmente e senza fatica, data la qualità degli elementi da pestare. Per eccesso di scrupolosità, dopo pestato nel mortaio, si potrebbe passare il composto dal setaccio, ma questa operazione non è necessaria. Quando avrete ben pestato tutto spremeteci su il sugo di mezzo limone e condite col pepe. Di sale è inutile parlarne essendo il tonno e le alici sufficientemente salati. Prendete una piccola stampa liscia e rotonda, del diametro di una dozzina di centimetri, o, in mancanza di questa, una piccola casseruola di uguale misura. Foderatela sul fondo e in giro con della carta unta d'olio, e versateci il composto di tonno, pigiandolo bene con un cucchiaio affinchè non rimangano vuoti. Pareggiate la superficie con una lama di coltello e mettete la stampa sul ghiaccio per una oretta, trascorsa la quale la vostra schiuma di tonno, rovesciata in un piatto e liberata dalla carta oleata, sarà pronta per essere servita.
e omogenea: ciò che avverrà facilmente e senza fatica, data la qualità degli elementi da pestare. Per eccesso di scrupolosità, dopo pestato nel
Tagliate in dadi piccoli quattrocento grammi di vitello magro di qualità tenera, cento grammi di lingua e cento di prosciutto. Tanto la lingua che il prosciutto dovranno essere in una sola fetta spessa, in modo da poterne ricavare facilmente dei dadini. Insieme a queste carni potrete mettere, se ne avete, qualche pistacchio e qualche dadino di tartufo nero. Mettete adesso sul tagliere duecento grammi di vitello magro, duecento grammi di magro di maiale, cento grammi di acciughe lavate e spinate, e tre cucchiaiate di salsa besciamella, preparata in antecedenza, fredda e molto densa. Tritate tutto il più fino possibile, e se credete, ripassate ogni cosa nel mortaio per avere un impasto perfettamente amalgamato. A questa farcia unite i dadini di carne, lingua, prosciutto ecc. Condite con sale, pepe e noce moscata e impastando con le mani fate che i dadini vadano a ripartirsi uniformemente nell'impasto. Ungete ora di burro un tegame di porcellana, proporzionato alla quantità del composto e pigiatevi questo composto in modo da riempire bene il recipiente senza lasciare vuoti. Su tutto sgocciolate abbondante olio, coprite le carni con un foglio di carta bianca, anche oleata, mettete il coperchio e passate la terrina a forno di moderatissimo calore per circa un'ora e mezzo. Se vi accorgeste che la superficie della carne si dissecca aggiungete un altro pochino di olio, e così fino a cottura completa.
prosciutto dovranno essere in una sola fetta spessa, in modo da poterne ricavare facilmente dei dadini. Insieme a queste carni potrete mettere, se ne
Una variante assai graziosa si può ottenere dando al composto, invece della forma di crocchetta, quella di una piccola pera, forma che si ottiene assai facilmente modellando con le mani la pasta. In questo caso mentre si foggia la pera si introduce nella sommità di essa un pezzo di gambo di prezzemolo di tre o quattro centimetri, naturalmente senza foglia. Si spinge dentro con le dita in modo che ne esca fuori dalla pera appena un pezzetto di due o tre millimetri. S'infarinano e si dorano le pere e quando saranno cotte e ben colorite si tira su delicatamente il gambetto nascosto nell'interno, il quale sarà rimasto verde e formerà il picciolo di questa pera di patate, completando in modo elegante e simpatico questa semplicissima preparazione.
assai facilmente modellando con le mani la pasta. In questo caso mentre si foggia la pera si introduce nella sommità di essa un pezzo di gambo di
Abbrustolite sulla brace dei bei peperoni gialli onde poterli spellare più facilmente. Apriteli, liberateli dai semi, tagliateli in liste e conditeli con olio, capperi, olive nere di Gaeta — alle quali avrete tolto il nocciolo — un pugno di pane grattato, qualche acciuga in pezzetti, sale e pepe. Ungete adesso con olio una teglia di rame stagnata, e in essa accomodate i peperoni preparati, con tutto il loro condimento. Su essi seminate ancora del pane grattato, aggiungendo qualche altra oliva, e finalmente fate cadere sul pane un filo d'olio. Ponete la teglia su fuoco leggerissimo, copritela con un coperchio, e su esso mettete un po' di brace. Fate cuocere lentamente. Ottimi anche se mangiati freddi.
Abbrustolite sulla brace dei bei peperoni gialli onde poterli spellare più facilmente. Apriteli, liberateli dai semi, tagliateli in liste e conditeli
Per sei persone prendete tre cipolle, di quelle dette napolitane, le quali sono le più dolci. Calcoleremo mezza cipolla a persona, considerando questo piatto come piatto di mezzo. Chi invece volesse servirlo come primo piatto o come piatto forte, non avrà che a raddoppiare le dosi, calcolando invece una cipolla a persona. Spellate le cipolle, spuntatele leggermente alle estremità e poi tagliatele in due con un taglio orizzontale. Mettete una casseruola con acqua sul fuoco e quando l'acqua bollirà gettatevi dentro le mezze cipolle che farete bollire per una diecina di minuti. Dopo di che le passerete nell'acqua fresca, le sgocciolerete e le metterete ad asciugare su un tovagliolo. Togliete dal centro di ogni mezza cipolla tre o quattro sfoglie in modo da far restare tante scodelline, sulle quali spruzzerete un po' di sale. La metà delle sfoglie levate le triterete, le passerete in una casseruolina con un po' di burro e le farete cuocere sull'angolo del fornello senza far prendere colore. Poi le metterete da parte. Prendete poi un bel pezzo di mollica di pane, tanta che possa stare in un pugno. Mettetela in una casseruolina, bagnatela con due dita d'acqua e lasciatela da parte. Quando dopo qualche minuto, la mollica avrà assorbito tutta l'acqua, mettete la casseruolina sul fuoco e con un cucchiaio di legno lavorate energicamente la mollica, finchè diventerà una pasta elastica e si staccherà facilmente dal cucchiaio. Rovesciate questa mollica su un piatto, stendetela, spianatela un po' e lasciatela raffreddare. Questa preparazione della mollica di pane, si chiama nell'arte della cucina «panata». Quando dovrete fare polpette di carne o di pesce, o qualsiasi altro ripieno, ricordatevi di adoperare sempre la mollica preparata così, ciò che vi permetterà di ottenere i più fini risultati. La panata va adoperata completamente fredda. Prendete adesso un ettogrammo di carne magra di manzo o di vitello, tritatela sul tagliere e poi pestatela nel mortaio aggiungendo man mano un pezzo di burro come una grossa noce, la panata, un buon pizzico di sale, un pizzico di pepe e un rosso d'uovo. Aggiungete questi ingredienti a poco a poco, sempre pestando, in modo da ottenere una pasta molto fine. A regola d'arte, questa pasta, che, come vi abbiamo detto più volte, si chiama farcia, dovrebbe poi essere passata dal setaccio, ma in questo caso non è necessario. Quando gli ingredienti saranno bene amalgamati, raccogliete la pasta in una scodella unendole una buona cucchiaiata di prezzemolo trito e la cipolla trita che avete già fatto cuocere nel burro. Con un cucchiaio distribuite il ripieno di carne in ogni cipolla e poi lisciatelo con la lama di un coltello. Ungete una teglia con del burro versandoci poi anche un paio di cucchiaiate di olio. Allineate nella teglia le cipolle, una vicina all'altra, seminate su ognuna un po' di pane grattato finissimo, e su ognuna sgocciolate un pochino di burro liquefatto. Mettete la teglia in forno di moderato calore e lasciate cuocere le cipolle a lungo, per circa un'ora. Il fuoco non deve essere molto violento, perchè le cipolle dovranno appassire lentamente nel forno. Possiamo assicurare che le cipolle preparate così sono digerite facilmente anche dagli stomachi più delicati, e non lasciano nell'alito traccie poco simpatiche.
la mollica, finchè diventerà una pasta elastica e si staccherà facilmente dal cucchiaio. Rovesciate questa mollica su un piatto, stendetela
Sbucciate una quarantina di castagne, e mettetele qualche minuto in forno leggero o nella caldarrostiera per poter togliere più facilmente la seconda pellicola. In un modo o nell'altro, procurate che le castagne non prendano colore. Quando le avrete tutte nettate, ponetele in una teglia, in un solo strato, copritele di acqua fredda e conditele con un pizzico di zucchero, sale e una costola di sedano. Al primo bollore aggiungete nella teglia un pezzo di burro come una noce e un cucchiaino da caffè di estratto di carne. Coprite la teglia e lasciate cuocere dolcemente le castagne che dovranno riuscire lucide e saporite. Le castagne così preparate costituiscono un contorno ricco e assai gustoso. Abbiamo detto di servirvi dell'estratto di carne, per semplificare la cosa. Ma se avete del buon sugo di vitello, o di carne, senza pomodoro, servitevene invece dell'acqua, e sarà tanto meglio.
Sbucciate una quarantina di castagne, e mettetele qualche minuto in forno leggero o nella caldarrostiera per poter togliere più facilmente la seconda
Per i vari lavori di pasticceria ha infinite applicazioni lo zucchero cotto. Durante la sua cottura lo zucchero passa a traverso vari stati che un po' di pratica permette facilmente di riconoscere. I principali di questi stati, quelli che hanno per noi un maggiore impiego sono: il piccolo filo, il filo forte, la bolla e la caramella.
' di pratica permette facilmente di riconoscere. I principali di questi stati, quelli che hanno per noi un maggiore impiego sono: il piccolo filo, il
Abbiamo parlato più sopra della gelatina di albicocca per preparare i dolci da rivestirsi di ghiaccia all'acqua. Questa gelatina che serve anche per decorare le usuali torte con guarnizioni di frutta candite, si ottiene facilmente prendendo un po' della solita marmellata e aggiungendoci due o tre cucchiaiate di zucchero, mettendo sul fuoco e facendo cuocere un pochino, al «filo forte». Questa marmellata, contenendo un eccesso di zucchero resta più compatta e lucida e comunica al dolce un aspetto più elegante.
decorare le usuali torte con guarnizioni di frutta candite, si ottiene facilmente prendendo un po' della solita marmellata e aggiungendoci due o tre
Le dosi: Un panino di burro da un ettogrammo — due cucchiaiate colme di farina — Due cucchiaiate colme di farina gialla finissima — Due cucchiaiate di zucchero in polvere — Un uovo intero — La raschiatura di un limone. — Si lavora prima sul tavolo, lo zucchero, il burro e l'uovo, facendone un impasto. In inverno converrà tenere prima il burro in un luogo un po' tiepido, per ammorbidirlo, senza tuttavia esagerare. Fatto l'impasto aggiungerete la raschiatura del limone, ottenuta con un pezzetto di vetro, e in ultimo le farine mescolate insieme. Non lavorate troppo con le mani, ma cercate d'impastare servendovi piuttosto di una larga lama di coltello. Le pastine di meliga che si vendono dai pasticceri hanno forma di ciambelline rigate e si ottengono facendo uscire la pasta da una speciale siringa con un disco a stella. La siringa è un utensile di latta a forma cilindrica con due grandi manici e una specie di stantuffo di legno che entra perfettamente nel vuoto della siringa stessa. Ognuno di questi utensili viene venduto con un piccolo corredo di dischi anche di latta, in mezzo ai quali è un intaglio a forme differenti: cuori, stelle, rettangolini, tondini, ecc. Il disco si applica facilmente alla bocca della siringa. Si arrotola la pasta in modo da farne un grosso cannello, che s'introduce nella siringa. Si mette a posto lo stantuffo di legno è tenendo la siringa con ambedue le mani e pei due manici, si appoggia l'estremità superiore dello stantuffo sul braccio e propriamente sul muscolo bicipite, spingendo col braccio stesso la pasta, la quale compressa fra lo stantuffo e il disco forato, è costretta ad uscire dal foro del disco prendendone la forma. Si fanno uscire così delle strisce lunghe sul tavolo leggermente infarinato, si ritagliano col coltellino in pezzi di una dozzina di centimetri e si chiudono in forma di ciambelline.
facilmente alla bocca della siringa. Si arrotola la pasta in modo da farne un grosso cannello, che s'introduce nella siringa. Si mette a posto lo
Fate delle lingue di gatto, come precedentemente, ma lunghe una quindicina di centimetri, e infornatele. Appena cotte prendetene sollecitamente una alla volta e, così bollenti come sono, avvoltolatele a spirale attorno a un bastoncino un po' più grosso di un dito. I biscotti prendono facilmente la forma e possono subito essere tolti dal bastone per venire rimpiazzati da altri. Operate sollecitamente perchè se i biscotti si freddano, con tutta probabilità vi si spezzeranno.
alla volta e, così bollenti come sono, avvoltolatele a spirale attorno a un bastoncino un po' più grosso di un dito. I biscotti prendono facilmente la
Per ottenere facilmente questa granella, utilissima per decorare torte e bonbons, prendete una tavoletta di cioccolata e rompetela in pezzi, che metterete vicino al fuoco sopra un setaccio di fili di ferro. Quando la cioccolata sarà ben rammollita, portatela sul tavolo di marmo, impastatela con le mani, allungandola e ripiegandola più volte fino ad ottenere una massa omogenea. Mettetene un po' alla volta sul setaccio e con un cucchiaio di legno forzate energicamente. Battete allora il setaccio sul tavolo; e la granella che si sarà raccolta nella parte inferiore del setaccio cadrà in forma di tanti vermetti che separarete con un coltello. Quando la granellina sarà ben secca conservatela in un vaso di vetro per servirvene all'occorrenza.
Per ottenere facilmente questa granella, utilissima per decorare torte e bonbons, prendete una tavoletta di cioccolata e rompetela in pezzi, che
Mettete in una terrinetta un ettogrammo di burro. Nella stagione fredda, converrà prima mettere un paio di ramaioli di acqua bollente nel recipiente, allo scopo di riscaldarlo, poi gettare via l'acqua ed asciugarlo. Così il burro si ammorbidirà più facilmente. Con un cucchiaio di legno lavorate bene questo burro in modo che diventi soffice e cremoso. A questo punto aggiungete 100 grammi di zucchero in polvere. Lavorate sempre col cucchiaio di legno per montare bene il composto e poi, sempre lavorando, aggiungete uno alla volta quattro rossi di uovo e poi 100 grammi di pane che avrete ritagliato in fette, tostato nel forno, poi pestato nel mortaio e finalmente passato dal setaccio in modo che questo pane risulti una granellina leggerissima. Aggiungete ancora due cucchiaiate colme di cioccolata grattata e un pizzico di cannella. Continuate a lavorare il composto e quando sarà ben rigonfio ultimatelo con quattro bianchi d'uovo montati in neve. Mescolate con leggerezza per unire bene le chiare e poi ungete di burro una stampa da budino liscia e senza buco in mezzo. In questa stampa versate il composto facendo attenzione che esso arrivi ai tre quarti della stampa. Mettete il budino a bagnomaria, copritelo con un coperchio e sul coperchio mettete anche qualche pezzettino di brace. Lasciatelo cuocere per un tempo che varierà dai tre quarti d'ora ad un'ora e quando sentirete che il budino sarà bene rassodato, toglietelo dal bagnomaria. Lasciatelo riposare quattro o cinque minuti al caldo, poi sformatelo sul piatto di servizio e fatelo portare subito in tavola, facendolo accompagnare con una salsiera di zabaione.
, allo scopo di riscaldarlo, poi gettare via l'acqua ed asciugarlo. Così il burro si ammorbidirà più facilmente. Con un cucchiaio di legno lavorate
Mettete in una piccola casseruola quattro cucchiaiate abbastanza colme di farina (100 grammi) e un uovo intero. Servendovi di un cucchiaio di legno stemperate tutto ciò con un bicchiere di latte che verserete a poco a poco affinchè non si formino grumi. Quando latte, farina e uova si saranno perfettamente amalgamati, mettete la casseruola sul fuoco e, sempre mescolando, fate cuocere la crema per qualche minuto fino a che si sarà bene addensata, e abbia perduto il sapore di farina. Uniteci allora, fuori del fuoco, una cucchiaiata colma di zucchero in polvere, un rosso d'uovo e la buccia raschiata di un limone. Vi raccomandiamo di non dimenticare questa aggiunta del limone, perchè comunica alla crema un particolare profumo. Versate il composto sul marmo di cucina o in un piatto grande, distendetelo all'altezza di circa mezzo centimetro e lasciatelo freddare. Così il marmo come il piatto dovranno essere leggermente bagnati d'acqua; il composto va steso con un coltello a lama larga. Quando la crema sarà fredda dividetela in tanti quadratini o rombi di circa cinque centimetri di lato che solleverete delicatamente con una lama di coltello, passerete nella farina, nell'uovo sbattuto e poi nel pane grattato. Non vi spaventate se andando a tagliare il composto, esso vi sembrerà un po' molle. Se i pezzi fossero così duri da staccarsi facilmente senza perdere nulla della loro forma geometrica, la crema non avrebbe la sua morbidezza caratteristica. Voi dunque solleverete pian piano i quadratini di crema senza preoccuparvi troppo se perdono la loro forma, e dopo che li avrete passati nell'uovo e nel pane, darete loro una forma corretta accomodandoli con una lama di coltello che appoggerete successivamente sui quattro lati e sulla superficie del quadratino. Pochi minuti prima di mangiare friggete queste piccole creme nello strutto o nell'olio, procurando che la padella sia piuttosto calda. Quando avranno preso un bel colore biondo accomodatele in un piatto con salvietta, spolverizzatele di zucchero e fatele servire. Con questa dose otterrete una quindicina di piccole creme.
facilmente senza perdere nulla della loro forma geometrica, la crema non avrebbe la sua morbidezza caratteristica. Voi dunque solleverete pian piano i
Mettete il budino in forno di giusto calore e lasciatevelo per circa un'ora, finchè sia diventato di un bel color d'oro. Allora estraetelo dal forno, aspettate che si riposi per una diecina di minuti, poi rovesciatelo su un piatto, e quando sarà freddo inzuccheratelo con zucchero vainigliato. Si consiglia di attendere un poco prima di sformarlo, perchè altrimenti si corre il rischio di romperlo. Questo budino si può mangiare anche tiepido; ma è molto più buono completamente freddo. L'aggiunta di una parte di semolino oltre a renderlo più leggero e digeribile, corregge efficacemente il sapore grasso della ricotta che facilmente stufa.
Per fare la Charlotte alla russa si mette prima di tutto un disco di carta bianca nel fondo della stampa, e si dispone una striscia di carta intorno intorno alla parete interna della stampa stessa. In una parola si fodera di carta la stampa: e ciò per poter poi sformare più facilmente il dolce. Si tagliano a metà in larghezza quattro o cinque biscotti savoiardi, e si rifilano col coltello in modo da formare di ogni pezzo un triangolo con la base arrotondata. Mettendo questi triangoletti uno vicino all'altro si ricopre tutto il fondo della stampa. Si prendono poi altri biscotti, si spuntano leggermente alle estremità e si collocano intorno intorno nell'interno della stampa, fissandoli, per maggior precauzione, con un nonnulla di marmellata calda, che si farà addensare un pochino sul fuoco. Fatta la scatola di biscotti vi si versa un composto di bavarese alla vainiglia e si fa rapprendere per un paio d'ore sul ghiaccio.
intorno alla parete interna della stampa stessa. In una parola si fodera di carta la stampa: e ciò per poter poi sformare più facilmente il dolce. Si
Ecco dunque come bisogna procedere per candire le scorze d'arancio. Si tagliano le bucce in quattro spicchi, si staccano dagli aranci e si mettono per due o tre giorni in una catinella ad acqua corrente, allo scopo di far perdere alle bucce tutto l'amaro. Si mette poi sul fuoco un grande recipiente con acqua, e quando l'acqua bollirà vi si gettano le bucce, che dovranno cuocere per circa un quarto d'ora, cioè fino a quando si possono attraversare facilmente con uno stecchino. È bene però non eccedere nella cottura. Si rimettono le bucce cotte in acqua fresca, si scolano bene e poi si accomodano in un tegame. Intanto si preparerà uno sciroppo con mezzo chilogrammo di zucchero e un litro d'acqua, sciroppo che risulterà a circa 20 gradi. Si fa bollire e così bollente si versa sulle scorze d'arancio. Si copre il recipiente e si ripone fino al giorno dopo. Il giorno dopo scolate lo sciroppo e siccome misurandone i gradi troverete che la densità è molto scesa, dovrete aggiungere dello zucchero affinchè lo sciroppo torni verso i 22 gradi. Fatelo bollire e versatelo così bollente sulle scorze. Ripetete ogni giorno l'operazione portando lo sciroppo con l'aggiunta di zucchero prima a 27, poi a 30 e finalmente a 34 gradi. Arrivati ai 30 gradi sarà bene unire allo sciroppo un po' di glucosio, che impedisce allo zucchero di granire. L'ultimo giorno portate lo sciroppo a 36 gradi facendo scaldare in esso anche le bucce. I vostri canditi sono pronti. Se vorrete adoperarli subito mettete le scorze in un vaso di vetro, se poi vorrete conservarli provvedetevi di scatole di latta da un litro, accomodateci le bucce, ricopritele di sciroppo; aggiungete un altro po' di glucosio, fate saldare le scatole dallo stagnaio e cuocetele per un'ora a bagno-maria.
attraversare facilmente con uno stecchino. È bene però non eccedere nella cottura. Si rimettono le bucce cotte in acqua fresca, si scolano bene e poi si
(Procedimento semplificato). Il procedimento esposto più sopra è quello che potrebbe dirsi classico. Ma per chi desiderasse di semplificare le cose, ecco un piccolo segreto per ottenere rapidamente e facilissimamente le scorzette d'arancio candite. Tagliate la corteccia degli aranci in spicchi, mettete questi spicchi in un recipiente piuttosto capace e teneteli per almeno due giorni in acqua corrente, oppure rinnovate l'acqua il più spesso che vi sarà possibile. Questo bagno serve per far perdere alle cortecce il loro gusto amarognolo. Compiuta questa prima operazione, gettate le cortecce in una pentola o in una casseruola con abbondante acqua in ebollizione, e lasciate cuocere per un quarto d'ora abbondante, fino a quando, cioè, le cortecce potranno essere facilmente trapassate da uno stecchino. Estraetele allora dall'acqua, lasciatele freddare, e poi con un coltellino tagliente dividete ogni spicchio in tante listelline di circa mezzo centimetro. Pesate queste listelline a prendete un eguale peso di zucchero. Mettete lo zucchero in un polsonetto, bagnatelo con un dito d'acqua — tanto da inumidirlo e renderlo una pasta appena colante — aggiungete le scorzette ritagliate e mettete sul fuoco. Lasciate cuocere mescolando piuttosto spesso e quando lo zucchero sarà quasi tutto assorbito e ridotto a poco sciroppo molto denso rovesciate le scorzette sul marmo, staccatele delicatamente l'una dall'altra e lasciatele freddare. Queste scorzette candite sono una cosa veramente buona, e non solo potranno venire usate per tutti gli usi di pasticceria, ma potranno anche essere servite come petits-fours, completando assai simpaticamente un vassoio di pasticceria leggera da tè. È bene non spingere la cottura fino a completo assorbimento dello zucchero, che in questo caso le scorzette raffreddandosi diventano piuttosto dure. Tenete conto di questa raccomandazione specialmente se dovrete servirvi delle scorzette candite per usi di pasticceria. In questo caso le scorzette subiscono una seconda cottura nel forno e, se già cotte troppo, perderebbero necessariamente quella morbidezza che è caratteristica delle frutta candite.
cortecce potranno essere facilmente trapassate da uno stecchino. Estraetele allora dall'acqua, lasciatele freddare, e poi con un coltellino tagliente
Questo metodo di preparare la gelatina d'uva, esperimentato numerose volte con vero successo, differisce dai consueti metodi in quanto non si adopera punto zucchero. Per ottenere questa gelatina è necessaria una grande quantità di uva, che durante la cottura, la gelatina diminuisce assai. L'operazione è facilissima. Si lavano molto accuratamente i grappoli di uva — è bene adoperare uva bianca — si sgranano e si mettono in un caldaio nel quale, con le mani, si dà ai chicchi una prima pigiata sommaria. Fatto questo, si mette il recipiente sul fuoco e si fa bollire l'uva per una diecina di minuti, dopo di che si rovescia su un largo setaccio e si spreme energicamente, raccogliendo il sugo in una terrina o in una insalatiera. Quando sul setaccio non saranno rimaste che le buccie ben spremute e i semi, si travasa nuovamente il sugo nel caldaio e si mette a bollire su fuoco moderato. Questa seconda bollitura dalla quale dipende la buona riuscita della gelatina, dovrà prolungarsi per un tempo che varia dalle due alle tre ore. Bisogna di quando in quando mescolare con un cucchiaio di legno, specie verso la fine dell'operazione. Quando vedrete che la gelatina vela abbondantemente il cucchiaio e che lasciandone cadere qualche goccia su un piatto, queste goccie si rapprendono facilmente, l'operazione sarà terminata. Bisogna fare attenzione di sorvegliare la cottura e di non passarne il limite, altri menti la gelatina prenderebbe uno sgradevole sapore di bruciato. Aspettate che la gelatina perda gran parte del suo calore, e poi colatela in piccoli barattoli di vetro. Il giorno dopo mettete su ogni vasetto a contatto con la gelatina un dischetto di carta bagnato d'alcool, e poi chiudete i vasi col loro coperchio o con carta pergamena, e diponeteli in dispensa.
cucchiaio e che lasciandone cadere qualche goccia su un piatto, queste goccie si rapprendono facilmente, l'operazione sarà terminata. Bisogna fare
Prendete una dozzina di aranci, preferendo quelli a buccia sottile che sono i più sugosi, tagliateli in due e spremetene il sugo in una terrinetta. Per ogni bicchiere di sugo calcolerete sei cucchiaiate di zucchero. Passate il sugo da un colabrodo o a traverso un velo, e raccoglietelo in una casseruola, o, meglio, in un polsonetto. Badate che il colabrodo e la casseruola non abbiano la più piccola traccia di grasso che comunicherebbe alla preparazione un detestabile sapore. Aggiungete nel sugo lo zucchero preparato e mettete il recipiente sul fuoco mescolando con un cucchiaio di legno per facilitare la fusione dello zucchero. È buona norma tenere un cucchiaio di legno esclusivamente per i composti dolci, per evitare l'inconveniente al quale abbiamo accennato più sopra: che cioè le creme o le marmellate acquistino sapore di grasso. Togliete accuratamente la schiuma giallastra che si formerà non appena la gelatina avrà raggiunto l'ebollizione: schiuma che nuocerebbe alla limpidità della gelatina stessa. Fate cuocere a fuoco brillante. Il sugo d'arancio contiene una buona parte acquosa che deve evaporare per giungere alla necessaria condensazione. Vi raccomandiamo di sorvegliare la casseruola e di tenervi pronte ad alzarla od a toglierla momentaneamente dal fuoco perchè il sugo d'arancio, bollendo, tenta spesso di traboccare dal recipiente e andare a passeggio per il camino. Pian piano l'ebollizione si farà più calma e la cottura si avvicinerà al punto preciso. Questo punto si riconosce facilmente quando la gelatina non scorrerà più come se fosse acqua, ma avrà acquistato un po' di consistenza e lascerà sul cucchiaio un leggero velo. Potrete anche lasciarne cadere qualche goccia su un piatto e osservare se queste goccie freddandosi si rapprendono. Cotta a punto, togliete la casseruola dal fuoco e versate con attenzione la gelatina nei vasetti di vetro. Lasciatela freddare così, e il giorno dopo mettete sulla bocca di ogni vasetto un disco di carta bagnata d'alcool e poi chiudete i vasetti col loro coperchio o con carta pergamenata e spago.
riconosce facilmente quando la gelatina non scorrerà più come se fosse acqua, ma avrà acquistato un po' di consistenza e lascerà sul cucchiaio un
Pestate grossolanamente in un mortaio tutte queste droghe e poi mettetele in un boccioncino della capacità di oltre tre litri, versandoci sopra alcool fino a 90° grammi 2500. Lasciate macerare per dieci giorni agitando almeno due volte al giorno il boccioncino, che avrete ermeticamente chiuso, con un tappo nuovo di sughero. Dopo dieci giorni preparate uno sciroppo, con zucchero grammi 1300 e acqua distillata grammi 1500. Ottenuto lo sciroppo, mischiate in esso l'infusione alcoolica, travasate in un recipiente più grande e lasciate in riposo un paio di giorni. Dopo di che filtrate il liquore servendovi del solito imbuto di vetro e di una buona carta da filtro e imbottigliate. I liquori, come sapete, più invecchiano e più diventano buoni. Motivo per cui se eseguirete la ricetta così come è non avrete certo a pentirvene, poichè avrete arricchito la vostra dispensa di un prodotto finissimo, che col tempo non potrà che diventare sempre migliore. Ed ora alcune piccole spiegazioni che forse potranno tornare utili. Crediamo inutile parlarvi dei coriandoli, dei chiodi di garofani, dei semi d'anaci, della cannella, dello zafferano e dei semi di finocchio, che voi tutti conoscete perchè di uso quotidiano. L'issopo è una pianta aromatica di cui si adoperano le sommità fiorite. La radice di angelica è una radice aromatica, come aromatici sono la melissa ed il serpillo che è una varietà del timo. Tutte queste erbe e droghe potrete facilmente procurarvele da un erborista, o, come si dice in Roma, semplicista, cioè da quei negozianti specializzati che vendono appunto droghe ed erbe aromatiche per usi di liquoreria o di farmacia. Le bacche di abete sono delle pallottoline grosse come nocciuole che germogliano sugli abeti. Hanno odore aromatico resinoso, e anche esse vanno frantumate nel mortaio. Potrete ottenerle facilmente da qualche giardiniere. Di queste pallottoline, come abbiamo detto, se ne impiegano due o tre. Invece dell'acqua distillata, potrete usare dell'acqua comune. Ma la prima è preferibile.
sono la melissa ed il serpillo che è una varietà del timo. Tutte queste erbe e droghe potrete facilmente procurarvele da un erborista, o, come si dice
Prendete mezza testa di maiale, raschiatela, nettatela bene con acqua bollente, uniteci uno zampetto e un ginocchietto, e mettete tutto in una pentola con abbondante acqua in ebollizione; condite con un po' di sale, una cipolla steccata di un paio di chiodi di garofani, una carota gialla, una costola di sedano e un ciuffo di prezzemolo. Lasciate cuocere dolcemente per qualche ora, finchè le ossa si separino facilmente dalla carne. Estraete allora i vari pezzi dalla pentola, togliete via tutte le ossa, e tagliate la carne in pezzetti raccogliendoli in una insalatiera. Condite questi pezzetti con altro sale, abbondante pepe, un pizzico di spezie e la buccia di un limone grattata o fatta in minuscoli quadratini, un pizzico di pistacchi e un pugno di pinoli. Mescolate affinchè il condimento si spanda egualmente e rovesciate questi pezzi ancora caldi nel mezzo di una salvietta grande e forte. Date allora alla coppa una forma allungata e arrotolatela strettamente nella salvietta facendo due legature, una ad ogni estremità, e un paio di altre legature ben strette in mezzo, di modo che la coppa prenda la forma di un grosso coteghino. Fatto questo mettete la coppa sul marmo di cucina, appoggiateci sopra un piatto ovale, o un coperchio, o meglio ancora una tavoletta di legno, ponete su questa un paio di ferri da stiro e lasciate così una mezza giornata, trascorsa la quale potrete togliere le legature e la salvietta.
costola di sedano e un ciuffo di prezzemolo. Lasciate cuocere dolcemente per qualche ora, finchè le ossa si separino facilmente dalla carne. Estraete
La seguente ricetta è stata da noi studiata per offrire alle lettrici il modo di confezionare in casa, facilmente ed economicamente, le alici piccanti che si vendono in scatoline, e che hanno l'inconveniente di un prezzo un po' alto. Le dosi sono per dodici acciughe. Scegliete delle acciughe di qualità soda e di dimensioni piuttosto grandi. Apritele, togliete loro la spina e risciacquatele. Avrete ottenuto ventiquattro filetti che arrotolerete su sè stessi e disporrete in un piattino da antipasti o in altro recipiente adatto. Occorre ora preparare la salsa la quale viene tenuta come un grande segreto dalle varie case fabbricanti. Prendete una casseruolina, metteteci una cucchiaiata d'olio, un paio di cucchiaiate d'acqua, un po' meno di mezzo cipolla di media grandezza, un pezzo di cuore di sedano, cioè la parte centrale bianca e tenera, la metà di una carota gialla, un ciuffo di prezzemolo, mezza foglia di lauro, una forte pizzicata di pepe e un pezzetto di peperoncino rosso piccante (più o meno secondo vorrete ottenere un prodotto più o meno rilevato di gusto). Mettete la casseruolina sul fuoco e lasciate cuocere su fuoco debolissimo rinfondendo di quando in quando un po' d'acqua in modo che i legumi non abbiano mai a soffriggere. Converrà tenerli sul fuoco per circa mezz'ora, e debbono risultare sfatti. A questo punto ravvivate un po' il fuoco e mescolando fate perdere a questi legumi un po' di umidità così da ottenere una poltiglia piuttosto asciutta. Rovesciate questa poltiglia sul setaccio dove metterete anche altre tre acciughe lavate spinate e fatte a pezzi. Passate il tutto raccogliendo la purè di alici e legumi in una scodella. Sciogliete questa purè, che deve essere molto densa, con tre o quattro cucchiaiate d'olio, mescolando bene per amalgamare ogni cosa. Versate questa specie di salsa sui filetti di alici già preparati e lasciateli insaporire per qualche ora. Volendo, si può aromatizzare la salsa con poche goccie di buonissimo aceto.
La seguente ricetta è stata da noi studiata per offrire alle lettrici il modo di confezionare in casa, facilmente ed economicamente, le alici
Consigliamo di usare il meno possibile il ferro smaltato specialmente per quegli utensili che vanno al fuoco. Lo smalto facilmente si screpola e può arrecare anche dei disturbi.
Consigliamo di usare il meno possibile il ferro smaltato specialmente per quegli utensili che vanno al fuoco. Lo smalto facilmente si screpola e può
La questione dei funghi commestibili e dei funghi velenosi è quella che più deve preoccupare chi è a capo di una famiglia, poichè l'esperienza insegna quanto sia difficile poter giudicare se un fungo è o non è velenoso. Gli avvelenamenti con funghi non sono purtroppo infrequenti e la storia ci dice che anche personaggi illustri trovarono la fine cibandosi di funghi. Nelle grandi città si procede ad una verifica che può dare sufficienti elementi di garanzia; ma il pericolo maggiore è nei piccoli centri e nelle campagne dove i funghi vengono venduti senza controllo, quando non sono addirittura raccolti per uso proprio. In genere vengono cucinate una cinquantina di specie di funghi, tra le quali ve ne sono circa venti velenose, difficilissime a conoscersi dalle commestibili, presentando lo stesso aspetto e gli stessi caratteri. Si dice, ad esempio, della infallibile sicurezza dell'ovolo vero (amanita caesarea) e del cocco od ovolo bianco, ma anche in questa famiglia c'è l'ovolo falso o malefico e il cocco bastardo, ambedue velenosi. Nel gruppo degli agarici sono anche funghi commestibili e velenosi, come, ad esempio, il prataiolo, l'agarico grigiastro, ecc., facilmente confondibili con la rossola velenosa, il fungo peperone, l'agarico dissenterico, ecc. Nè maggiore sicurezza offre il fungo porcino, potendo essere facilmente confuso col porcino malefico. È risaputo che le prove empiriche dell'aglio, della cipolla o quelle del cucchiaio d'argento o della lama di coltello sono assolutamente da escludersi. Meglio attenersi in genere ai seguenti consigli, per i quali sono da schivarsi: Quei funghi che quantunque abbiano, come il prataiolo, il cappello bianco ed emisferico hanno la base del gambo bulbosa. — Quelli che con gambo grande e gibboso o squamoso, sostengono un cappello cosparso di verruche, oppure hanno la pelle coperta di pustole. — Quelli che infranti o screpolati fra le dita emanano un odore narcotico disgustoso. — Quelli che esalano un odore d'aglio, o che hanno sapore bruciante. — Tutti quei funghi che hanno il cappello tinto di rosso, azzurro o verde. — Quelli che spezzati o tagliati con un coltello assumono, al contatto dell'aria colorazioni diverse. — Quelli che tagliati si trovano pieni di succo lattiginoso. — Quelli che hanno la carne cordacea o sugherosa. — Quelli che non sono in nessun modo toccati dagli insetti, e, finalmente, quelli che si ritrovano su tronchi di albero dotati di proprietà deleterie. Ad ogni modo, e per concludere, bisogna usare solo di quei funghi che in ciascun paese l'esperienza secolare ha dimostrato essere veramente commestibili. In caso di sintomi di avvelenamento per funghi ricorrere immediatamente in attesa del medico a un vomitivo (acqua calda saponata) e subito dopo somministrare un energico purgante di olio di ricino. Evitare qualsiasi bevanda acida, o acque purgative in cui entri il sal di cucina.
gruppo degli agarici sono anche funghi commestibili e velenosi, come, ad esempio, il prataiolo, l'agarico grigiastro, ecc., facilmente confondibili