Riportiamo qui una famosa ricetta personale, che ebbe, durante il periodo della guerra, una diffusione enorme nelle famiglie, e che ancora adesso viene eseguita. Con esso si ottiene un brodo aromatico e non privo di elementi nutritivi, realizzando un risultato notevole con una spesa insignificante.
Riportiamo qui una famosa ricetta personale, che ebbe, durante il periodo della guerra, una diffusione enorme nelle famiglie, e che ancora adesso
Creato in Roma, or è molti anni, da un valentissimo cuoco, questo risotto ebbe una rapida e durevole rinomanza tra i buongustai, e — perchè no ? — contribuì, certo in parte, alla fortuna del suo autore, il quale, oltre che apprezzato artista nel campo gastronomico, fu anche un amabile e cordiale proprietario di trattoria. Egli non era un inventore fegatoso, di quelli che si trincerano dietro l'inviolabilità di un impenetrabile segreto; ma conscio anzi di aver contribuito al bene di questa povera umanità sofferente, non fu avaro della famosa ricetta, che comunicò per la gioia di tutti i ghiottoni.
conscio anzi di aver contribuito al bene di questa povera umanità sofferente, non fu avaro della famosa ricetta, che comunicò per la gioia di tutti i
È questa la famosa Soupe à l'oignon, una delle istituzioni della Paris qui s'amuse. Ciò non vuol dire che invece di degustarla nei varii restaurants notturni parigini non la si possa mangiare tranquillamente in casa propria, e senza attendere il pallido sorriso dell'alba. È una zuppa squisita, sana e nutriente. Si sbucciano e si tagliano in fette sottili due cipolle di media grandezza, si mettono in una casseruola con mezzo panino abbondante di burro, e quando la cipolla incomincia ad imbiondirsi leggermente si aggiunge un cucchiaino da caffè di farina. Si fa cuocere un minuto o due, e si bagna con un litro di acqua. Si condisce con sale, una presina di pepe bianco e si fa bollire adagio per mezz'ora. Intanto si taglia in fette un filoncino di pane, si abbrustoliscono le fette sul fuoco, e si grattano un po' di gruyère e un po' di parmigiano. Si prende una zuppiera, si fa uno strato di fette di pane, si cospargono di formaggio grattato, e si continua a fare degli strati di pane e formaggio, a seconda del numero dei commensali. Fatto questo, e trascorsa la mezz'ora di bollore regolare, si versa piano piano il brodo di cipolle nella zuppiera facendolo passare da un colabrodo, si copre e si lascia stufare per una diecina di minuti prima di mangiare. Con le dosi da noi date, e con un filoncino di pane, si possono avere tre buone zuppe.
È questa la famosa Soupe à l'oignon, una delle istituzioni della Paris qui s'amuse. Ciò non vuol dire che invece di degustarla nei varii restaurants
Le grosses pièces, cioè i piatti forti di carne, sono quelli che, naturalmente in un pranzo, preoccupano la massaia, poichè in generale non ci si sa liberare da quel tradizionale pezzo di bue in umido, che, sia detto fra noi, è piuttosto antipatico. Assai preferibile è il fare un bel pezzo di bue braciato, il quale, oltre a fornire un piatto forte elegante, permette di ottenere un ottimo sugo di carne, col quale si possono condire maccheroni, risotti, agnolotti, ecc. Il taglio da preferirsi per questa preparazione è il «girello» o il così detto «piccione». Meglio però adoperare un pezzo di carne piuttosto voluminosa, che, se ne resta, non va certo sprecata. La carne va lardellata, come è stato detto più avanti. Mettete in una casseruola di rame una cucchiaiata di strutto, qualche fettina di grasso e magro di prosciutto, qualche cotenna di maiale, abbondanti legumi tagliuzzati — come cipolla, sedano, carota gialla, prezzemolo — e un pugno di funghi secchi, che avrete fatto rinvenire per una mezz'ora in acqua fredda. Su questi legumi ponete la carne, bagnate con un bicchiere di vino rosso, coprite la casseruola e mettete sul fuoco. Quando il vino si sarà asciugato mettetene un altro poco, condite la carne con sale e pepe a sufficienza e lasciatela ben rosolare. Quando vedrete che la carne e i legumi avranno preso una tinta piuttosto scura, coprite la carne con acqua o meglio con brodo e lasciate bollire insensibilmente sull'angolo del fornello per qualche ora, fino a che la carne sia ben cotta e la salsa sufficientemente ristretta. Quando, introducendo la punta di un coltellino o un grosso ago da cucina nella carne, constaterete che entra facilmente, il bue sarà cotto. Se cucinate col carbone, potrete mettere qualche po' di brace sul coperchio della casseruola. Quando la carne sarà cotta mettetela sul tagliere, togliete lo spago e affettatela in fette regolari, contornandola di erbaggi o legumi a vostra scelta, e innaffiandola di qualche cucchiaiata di sugo. Questo sugo va ultimato nel modo seguente. Anzitutto, inclinando la casseruola e servendosi di un cucchiaio, si porta via il grasso che nuota alla superficie: grasso che non va gettato ma conservato per condire altre preparazioni di cucina, e poi va passato a traverso un colabrodo a buchi larghi o un setaccio, forzando con un cucchiaio di legno per estrarre tutto il sugo contenuto nei legumi e ottenere una salsa liscia e senza materie estranee. Questa salsa, come vi abbiamo detto in principio, è ottima per condire paste o riso, ed essendo formata di sola essenza di carne riesce assai più igienica del solito sugo fatto col pomodoro, il quale non si confà a tutti gli stomachi. Se poi vorrete la carne con l'accompagnamento di una salsa, da servire nell'apposita salsiera, farete così: Mettete in una casseruolina un pezzo di burro come una grossa noce e quando sarà liquefatto aggiungete una cucchiaiata scarsa di farina. Fate cuocere pian piano mescolando sempre, e poi mettete nella casseruolina un ramaiolo di sugo di carne. Mescolate affinchè la farina si unisca bene al sugo e gli comunichi alcunchè di vellutato. Lasciate bollire qualche minuto e quando vedrete che la salsa è sufficientemente «legata», cioè ha assunto lieve consistenza, toglietela via dal fuoco e mischiateci un bicchierino di Madera o di buon Marsala. Intanto mettete in un tegamino un altro pezzo di burro come una noce e fatelo soffriggere fino a che avrà preso un colore biondo piuttosto scuro. Versatelo allora nella salsa, mescolate e travasate la salsa nella salsiera. Questa è la famosa «Salsa Madera» di tutti i grandi alberghi, nella quale il Madera è quasi sempre sostituito dal nostro Marsala, centomila volte più profumato e buono. Con lo stesso sistema potrete allestire un filetto di bue.
biondo piuttosto scuro. Versatelo allora nella salsa, mescolate e travasate la salsa nella salsiera. Questa è la famosa «Salsa Madera» di tutti i
La cima è una famosa specialità della cucina genovese e costituisce un ottimo piatto di carne il quale non solo può tornare utilissimo nei pasti quotidiani, ma, per l'eleganza della sua confezione può servire anche come pietanza raffinata in occasione di qualche pranzo d'impegno. La sua esecuzione non presenta alcuna difficoltà. Bisogna provvedersi di uno speciale taglio di carne, cioè un pezzo di ventre di bue scelto vicino al petto, o anche di un pezzo di petto sottile. Notiamo qui che la vera cima genovese si fa col ventre, che però non offre altro che della pelle. Adoperando il petto si può utilizzare anche un po' di carne. Comunque, in possesso del pezzo di carne (ce ne vorrà circa mezzo chilogrammo) stendetelo sulla tavola e con un coltello ben tagliente apritelo in due senza però intaccare gli orli che dovranno rimanere di circa due centimetri. Per intenderci meglio, voi dovrete ottenere una specie di tasca aperta da un solo lato. Questo forma l'involucro destinato ad accogliere il ripieno. Il quale ripieno si fa così: prendete una animella di vitello, scottatela un istante in acqua bollente, liberatela da qualche pellicola e poi mettetela in una padellina con un pochino d'olio e di burro, un pezzettino d'aglio e poca cipolla. Fate cuocere piano per pochi minuti senza far rosolare l'animella, e poi toglietela dal fuoco e ritagliatela in dadini assai piccoli. Mettete in bagno 100 grammi di mollica di pane, spremetela e mettetela sul tagliere con 200 grammi di magro di maiale e 50 grammi di lardo. Tritate tutto assai fino, condite con sale e pepe, una buona pizzicata di foglie di maggiorana un uovo e un pugno di parmigiano grattato e in questo trito amalgamate l'animella in dadini e 100 grammi di pisellini sgranati. Nella stagione in cui non ci sono i piselli freschi si supplisce efficacemente e in modo assai sbrigativo con piselli in scatola. Ottenuto questo impasto, mettetelo dentro la tasca preparata, pigiate bene affinchè non restino vuoti e procurate di dare all'insieme una forma rotonda. Con un ago grosso e del filo forte cucite l'apertura della tasca, cucendo anche qualche eventuale strappo che si fosse fatto durante l'operazione. Fate due o tre legature con dello spago per mantenere in forma la cima e poi mettetela a cuocere in acqua, preferibilmente calda, nella quale aggiungerete una mezza cipolla, una costolina di sedano, un pezzo di carota gialla e un pezzetto di foglia di lauro. Trascorse un paio d'ore estraete la cima, mettetela in un piatto, copritela con una tavoletta e sulla tavoletta appoggiate un paio di ferri da stiro, affinchè l'interno possa ben pressarsi. Questa squisita pietanza si può mangiare calda o fredda. Se volete mangiarla calda tenetela a riposare vicino al fuoco. In questo caso, giunta l'ora del pranzo, l'affetterete con un coltello ben tagliente e la servirete con un piatto di verdura cotta, a vostra scelta. Se volete invece mangiarla fredda, lasciatela riposare più a lungo in un ambiente fresco, poi affettatela e servitela con accompagnamento di gelatina o di insalata russa o anche di verdura all'agro. Il brodo che avrete ottenuto dalla cottura della cima, è ottimo e potrà essere utilizzato per delle eccellenti minestre. La vera ricetta, quella che abbiamo descritta, vuole l'impiego di una animella di vitello. Volendo fare le cose in via più economica, potrete sopprimerla ed otterrete ugualmente un piatto di carne squisito e raccomandabilissimo per famiglia.
La cima è una famosa specialità della cucina genovese e costituisce un ottimo piatto di carne il quale non solo può tornare utilissimo nei pasti
La trippa alla romana si può fare in due modi: uno, il più costoso, è quello veramente tradizionale, l'altro il più economico, è quello generalmente adottato nelle famiglie, ed è ugualmente buono e raccomandabile In sostanza i due metodi differiscono soltanto in questo: nel primo s'insaporisce la trippa in un buon sugo d'umido di manzo, mentre nel secondo ci si accontenta d'insaporirla in un «sugo così detto «finto». Si scelga il primo o il secondo sistema, l'operazione fondamentale rimane sempre la stessa. Per sei persone si prende un chilogrammo di trippa, si netta bene, si risciacqua abbondantemente, poi si taglia in pezzi piuttosto grandi e si mette a cuocere, in acqua fredda, in una pentola con sale, una mezza cipolla, un po' di sedano e una carota gialla. Si schiuma diligentemente la pentola e si lascia bollire su fuoco moderato fino a cottura, ciò che avverrà in circa cinque ore. Quando la trippa è cotta si taglia in fettuccie larghe circa un dito e s'insaporisce. Se avete del buon sugo d'umido denso non avrete che passare la trippa tagliata in una casseruola per farla sobbollire una mezz'ora nel sugo d'umido. Altrimenti farete così: mettete in una casseruola un po' di cipolla finemente tagliata e un pesto di lardo, prezzemolo e una puntina d'aglio. Aggiungete anche qualche fettina di prosciutto grasso e magro e quando la cipolla sarà imbiondita mettete ancora un paio di cucchiaiate colme di salsa di pomodoro, e un pochino di acqua. Quando il pomodoro sarà cotto e la salsa ristretta mettete giù la trippa tagliata come si disse sopra, lasciatela sobbollire lentissimamente sull'angolo del fornello per una mezz'ora, per darle il tempo d'insaporirsi perfettamente. Verificate se sta bene di sale e mandatela in tavola ben calda, facendo servire insieme del parmigiano grattato, nel quale si saranno poste delle foglioline tagliuzzate di menta romana. L'accompagnamento di parmigiano e menta è obbligatorio, e costituisce una caratteristica di questa famosa pietanza.
costituisce una caratteristica di questa famosa pietanza.
Questa operazione dovrà durare per circa una mezz'ora, fino a che vedrete che i rossi d'uovo saranno ben montati, faranno qua e là delle bollicine e la massa spumosa, lasciata cadere dal cucchiaio, verrà giù morbidamente a nastro, senza spezzarsi. Montate allora in neve, con una frusta di ferro stagnato, le quattro chiare che avrete messo in una insalatiera. Sbattetele bene: esse dovranno divenire bianchissime e sostenute. A questo punto aggiungete nei rossi d'uovo un ettogrammo di fecola, mischiate bene, e in ultimo aggiungete le chiare montate. Fate attenzione di non mischiare il composto con molta forza, perchè sciupereste le chiare e la torta perderebbe molto della sua morbidezza. Dovrete unire le chiare leggermente, adoperando un cucchiaio di legno. Imburrate e infarinate con la fecola una teglia di rame del diametro di circa venti centimetri e dell'altezza di cinque o più centimetri, rovesciatela per farne uscire il di più della farina e metteteci il composto. Appena questo sarà nella teglia ponetelo subito in forno di giusto calore e lasciate cuocere la torta per una trentina di minuti. Sfornatela, toglietela dalla teglia, ponetela su un setaccio per farla asciugare e freddare, poi inzuccheratela. Questa torta può mantenersi per parecchi giorni. Conviene allora avvolgerla nella stagnuola. Come vedete è una delle tante imitazioni della famosa torta precedentemente descritta, che però non ha nulla a che vedere con la vera torta del paradiso.
imitazioni della famosa torta precedentemente descritta, che però non ha nulla a che vedere con la vera torta del paradiso.
Questa squisita torta si conserva piuttosto a lungo, specie se si avrà l'avvertenza di avvolgerla nella stagnola, e rassomiglia alla pasta Margherita, o meglio ancora, alla famosa torta del Paradiso. Le dosi sono le seguenti: burro gr. 200, zucchero in polvere gr. 200, due cucchiaiate colme di farina (gr. 65), due cucchiaiate di farina di patate (gr. 50), quattro torli d'uovo, tre uova intiere e la corteccia raschiata di un limone. Mettete il burro in una casseruolina su fuoco debolissimo e fatelo liquefare. Il burro non deve soffriggere ma soltanto scaldarsi. Dopo qualche minuto vedrete che la parte caseosa si separerà dal burro, il quale apparirà limpidissimo. Passate questo burro liquefatto attraverso un pezzettino di velato, raccogliendolo in una terrina. Lasciate freddare un poco e poi con un cucchiaio di legno, che non abbia sapori di grasso o di sughi, incominciate a montare il burro in modo da ottenere una crema liscia e vellutata. Aggiungete allora pian piano lo zucchero e, sempre montando, mettete un torlo d'uovo alla volta, e da ultimo le tre uova intere anche uno alla volta. Non vi stancate di lavorare l'impasto, perchè è da questo che dipende la buona riuscita e la delicatezza del dolce. Aggiungete da ultimo, a cucchiaiate, la farina e la fecola di patate. Mescolate ancora e versate l'impasto in una teglia unta di burro ed infarinata. Fate cuocere a forno moderato per un tempo che varierà dalla mezz'ora ai tre quarti. Sformate la torta, fatela asciugare su un setaccio grande, e da ultimo inzuccheratela con zucchero vainigliato. È preferibile mangiare la torta non subito ma attendere il giorno dopo.
, o meglio ancora, alla famosa torta del Paradiso. Le dosi sono le seguenti: burro gr. 200, zucchero in polvere gr. 200, due cucchiaiate colme di