Molte di Voi, Signore e Signorine, sanno suonare bene il pianoforte o cantare con grazia squisita, molte altre hanno ambitissimi titoli di studi superiori, conoscono le lingue moderne, sono piacevoli letterate o fini pittrici, ed altre ancora sono esperte nel «tennis» o nel «golf», o guidano con salda mano il volante di una lussuosa automobile. Ma, ahimè, non certo tutte, facendo un piccolo esame di coscienza, potreste affermare di saper cuocere alla perfezione due uova alla «coque». Avete mai pensato che, non ostante le molte virtù di cui siete adorne, vi trovereste in un imbarazzo piuttosto serio, se per un caso fortuito foste costrette ad assumervi l'incarico di preparare la più modesta delle colazioni? Le Signore che ci leggono ne avranno certo fatta la non piacevole esperienza; ed anche Voi, gentili e graziose Signorine, che vi avviate a realizzare il vostro sogno d'amore, avrete, credete a noi, delle non lievi contrarietà se insieme alle doti della mente e del cuore non porterete al vostro compagno anche una perfetta conoscenza dell'arte della cucina. Pensate che non vi può essere una vera felicità là dove viene trascurata una parte così essenziale della nostra vita di tutti i giorni: l'alimentazione. Voi risponderete che è molto facile trovare una cuoca e trarsi rapidamente d'imbarazzo. Ebbene no. Ciò poteva accadere molti anni addietro; ma adesso, credete, questi tempi felici son passati, e le cuoche si fanno sempre più rare. E in ogni caso, anche quando voi per una fortunata combinazione foste riuscite a pescare questa perla rara, vi trovereste necessariamente costrette ad abdicare ad ogni vostra autorità, a rinunziare a qualsiasi controllo e lasciare che una persona mercenaria faccia e disfaccia a suo talento, imponendovi le sue opinioni, il più delle volte interessate o illogiche, spendendo il vostro danaro senza menomamente preoccuparsi di realizzare la più piccola economia. Di più le cuoche hanno i loro piatti di battaglia dai quali non ci si libera, e che, ripetuti alla sazietà, anche se ottimi, finiscono con lo stancare. Generalmente non si può chiedere alle cuoche più di quello che esse possono o vogliono dare. Inutile pensare dunque a preparazioni minuziose e pazienti. Tutto ciò che necessita un lavoro troppo lunga viene escluso e si ha il trionfo della cosidetta cucina volante: qualche frittura, molte frittate, dell'umido, carne al forno o in padella, il solito brodo o la non men solita pasta asciutta invariabilmente condita con burro e formaggio o con un po' di salsa di pomodoro, e l'eterna, malinconica verdura all' agro o in padella. Ed è tutto. Ma è questa la cucina? La cucina, la più gaia delle arti e insieme la più piacevole delle scienze, è qualche cosa di ben diverso; e solo conoscendone profondamente i segreti si può riuscire con semplicità di mezzi a preparare giorno per giorno una serie sempre variata di pietanze, spendendo il puro necessario e arrecando un senso di benessere nella propria famiglia. Con piena coscienza noi vi diciamo: Signore, perfezionate sempre più le vostre cognizioni di cucina; Signorine, imparate a ben cucinare. Un «menu» semplice e ben eseguito è la pace della famiglia, ed è anche la certezza di veder apparire a casa il vostro compagno non appena i suoi affari o il suo impiego lo lasceranno libero. La mensa famigliare, sulla quale a ora fissa faranno la loro gioconda apparizione due o tre pietanzine sapientemente preparate da manine care, sarà per lo sposo una immancabile attrazione.
Molte di Voi, Signore e Signorine, sanno suonare bene il pianoforte o cantare con grazia squisita, molte altre hanno ambitissimi titoli di studi
E sopratutto non temete di degradarvi cingendo il bianco grembiule di cuoca, nè di menomare le vostre grazie manipolando degli intingoli. A vostra consolazione e a vostro incoraggiamento potremmo citarvi migliaia di nomi di sovrani, di artisti, di poeti o di dame elettissime il cui ricordo è legato a bellezza incantevole o a severe opere dell'ingegno, che non solo non sdegnarono di coltivare l'arte gastronomica, ma che questa loro conoscenza a buon diritto vantarono. Il volume che vi presentiamo è tale da spronarvi nella via che vi indichiamo. Per la insolita ricchezza dell'edizione e per la forma chiara e signorile della trattazione, Voi potrete accogliere liberamente il presente libro nella vostra biblioteca e nei giorni di ricevimento mostrarlo senza dovere arrossire a tutte le vostre amiche, siano esse, come Voi, dame di fine eleganza e di impeccabile buon gusto. Il volume è edito sotto gli auspici della rivista «Preziosa», quella rivista che da quattordici anni si è imposta in tutte le famiglie per la praticità dei suoi insegnamenti e per il modo veramente unico con cui le varie ricette vengono esposte, modo che permette anche alla persona che non ha mai messo piede in cucina di portare a termine con pieno onore i manicaretti più complicati. Accade sovente anche nelle pubblicazioni fatte con una certa cura che a un dato momento l'autore o per incapacità tecnica o perchè non riesce a farsi comprendere lascia nel dubbio il lettore, il quale non sapendo come procedere nel suo lavoro chiude il libro e rinunzia alla progettata preparazione gastronomica. Tutto questo non avverrà consultando il nostro volume, che in esso portammo gli stessi intendimenti che ci guidarono sempre nella compilazione della nostra rivista, e che hanno avuto — perchè non dirlo?
portammo gli stessi intendimenti che ci guidarono sempre nella compilazione della nostra rivista, e che hanno avuto — perchè non dirlo?
Grande consumo viene invece fatto, specie nel Lazio, dell'agnello da latte, il famoso «abbacchio» romanesco. Montoni, capretti, agnelli, castrati hanno tutti uno speciale segno di riconoscimento: carni sostenute e grasse. Naturalmente le carni dell'agnello e del capretto dovranno essere molto bianche, quelle del castrato e del montone d'un bel rosso porpureo. Il montone vecchio avrà invece carne oscura e granulosa, scarso grasso e d'un colore giallognolo accentuato. Del resto anche l'odorato distinguerà facilmente, a traverso il caratteristico odore acre e piccante, il montone che abbia varcato quei limiti d'età che gli consentano di apparire decentemente su una tavola.
hanno tutti uno speciale segno di riconoscimento: carni sostenute e grasse. Naturalmente le carni dell'agnello e del capretto dovranno essere molto
Anche il polipo, alimento non finissimo ma molto appetitoso, presenta allo stato di prima freschezza dei caratteri che vanno ricordati; e cioè: tentacoli contratti, sacco turgido, occhi lucidi. Il colore, secondo le varietà di polipi, potrà essere bianco sporco o grigio e sempre cosparso di riflessi azzurrognoli. Ci sono poi i polipi di scoglio, i così detti polipi veraci, i quali hanno due file di ventose anzichè una ed un mantello che tende al bruno caldo. Sono questi i polipi da impiegarsi per quella preparazione così detta «alla Luciana» e per la quale debbono preferirsi i grossi soggetti. La rilassatezza del sacco e dei tentacoli, il calo del peso e il diffondersi di una tinta rossastra, sono sintomi di decomposizione. I calamari e i calamaretti partecipano degli stessi caratteri esposti per le seppie ed i polipi.
riflessi azzurrognoli. Ci sono poi i polipi di scoglio, i così detti polipi veraci, i quali hanno due file di ventose anzichè una ed un mantello che tende al
Il brodo è una delle preparazioni fondamentali della cucina. È il brodo che forma la base indispensabile di ogni specie di minestra, il brodo che con nuove addizioni di carne fornirà il «consommè», o servirà per salse, o verrà usato in un'altra quantità di casi. Occorre dunque avere il brodo nelle migliori condizioni, ciò che si ottiene con una oculata scelta degli elementi che lo compongono e più ancora con una cura continua e attenta. Buoni tagli di carne da brodo sono la copertina, il fianchetto, la spalla, la falsa costa, il petto ecc. Anche meglio sono la punta della culatta, e il «piccione» o nasello che hanno il pregio di offrire anche un bollito gustoso. In quanto alle ossa non bisogna prestar fede alla leggenda accreditata dai macellai, che cioè siano necessarie per ottenere un buon brodo. Checchè se ne dica, le ossa non servono che ad ingombrare la pentola. È tollerabile un osso col midollo. Per ogni chilogrammo di carne occorrono due litri di acqua fredda. Si pone la carne in una pentola, con l'acqua fredda, e si mette su fuoco moderato. L'acqua riscaldandosi a grado a grado, agisce sulle fibre della carne e dissolve le materie albuminose che esse contengono, e che salgono alla superficie sotto forma di schiuma, che deve essere subito tolta. È buona regola, mentre l'acqua si avvia all'ebollizione di versare, di quando in quando, qualche cucchiaiata di acqua fredda nella pentola, ciò che aiuta a liberare la carne da tutte le sue impurità. Più la schiumatura sarà stata fatta con cura, maggiore sarà la limpidità del brodo. Dopo schiumata la pentola, si sala, e vi si aggiungono cipolla, sedano, radica gialla, pomodoro ecc., che hanno lo scopo di comunicare al brodo il tono aromatico. E finalmente si tira sull'angolo del fornello e si lascia bollire dolcissimamente per qualche ora. È necessario che dal momento in cui si verifica l'ebollizione, il fuoco abbia sempre la stessa moderata intensità: un fornello a gas con la «veilleuse» serve ottimamente allo scopo. Quando la carne sarà giunta a perfetta cottura, si mette in una pentola più piccola, si copre con un po' di brodo e si tiene in caldo. Il brodo della pentola grande si sgrassa accuratamente, si passa attraverso una salvietta o un colobrodo, e si adopera.
«piccione» o nasello che hanno il pregio di offrire anche un bollito gustoso. In quanto alle ossa non bisogna prestar fede alla leggenda accreditata dai
La gelatina eseguita nel modo descritto più sopra è senza dubbio una preparazione squisita e adatta specialmente quando si debba somministrare a un ammalato o a un convalescente. Ma quando si tratti di decorazioni di piatti freddi il molto tempo che questa gelatina esige può sembrare sciupato. Eccovi dunque in queste caso un'ottima ricetta di gelatina sbrigativa, che, tutto sommato non vi costerà che pochi minuti di lavoro. E otterrete un risultato eccellente che non vi farà certo rimpiangere quell'indefinibile composizione che molti salsamentari vendono per gelatina, che non sa di niente, e, in compenso, costa un occhio della testa. Per mezzo litro di gelatina, sufficiente a guarnire una pietanza fredda per sei parsone, mettete in bagno in una terrinetta con acqua fredda orto fogli di gelatina marca oro (pari a 20 gr.) e lasciate così per una diecina di minuti, fino a che la gelatina sia ben rammollita, spremetela un po' tra le mani e mettetela nella casseruola. Aggiungete un pezzettino di cipolla, tre o quattro granellini di pepe, una chiara d'ovo e un cucchiaino di estratto di carne. Molte persone sono un po' scettiche quando si parla loro di estratti di carne. Dobbiamo dire che queste persone hanno torto, perchè un vasetto di estratto di carne può essere qualche volta in cucina una piccola provvidenza. Si può essere d'accordo nel non abusarne, ma l'usarne ci toglierà spesso, e con una spesa insignificante, da qualche preoccupazione, quando, ad esempio, il brodo non sarà riuscito abbastanza sapido, o i sughi non abbiano raggiunto quel gusto che ci prefiggevamo, ecc. ecc. In questi, e in tanti altri casi consimili, un mezzo cucchiaino di estratto di carne salva magnificamente la situazione.
che queste persone hanno torto, perchè un vasetto di estratto di carne può essere qualche volta in cucina una piccola provvidenza. Si può essere d
Friggere bene non è da tutti, e spesso, anzi, è proprio qui che vengono miseramente a naufragare così la pretensiosa prosopopea di tante cuoche, come i facili entusiasmi di qualche dilettante di cucina. Generalmente si frigge male perchè non si ha un'idea esatta dell'operazione della frittura, la quale è essenzialmente operazione di «concentrazione». Per lo più si frigge a tre gradi principali: a padella moderata, a padella ben calda, a padella caldissima; stadi, codesti, che si riconoscono assai facilmente. Nondimeno chi non fosse molto pratico potrà regolarsi così. La frittura è moderatamente calda quando gettandovi dentro un pezzetto di pane, questo provoca l'azione del grasso o dell'olio, che incominciano il loro ufficio: è ben calda quando lasciandovi cadere una goccia d'acqua si sente un crepitio secco; e finalmente è caldissima allorchè dalla padella si sprigiona un leggero fumo biancastro. Naturalmente ad ogni preparazione sottoposta all'operazione della frittura deve adattarsi uno di questi tre gradi. Così si frigge a padella moderata tutto ciò che contiene acqua di vegetazione, come patate o altri legumi, o frutta; oppure pesce e carni piuttosto voluminosi, che debbono cuocere interamente nella frittura, e nei quali la cottura completa deve arrivare insieme con il croccante e il color d'oro dell'involucro esterno. Si friggono invece a padella ben calda quelle cose le quali hanno già subito un principio di cottura o una cottura completa. Si tratta in questo caso di formare subito intorno agli oggetti immersi nella frittura uno strato solido affinchè l'interno rimanga compresso e non vada a passeggiare per la padella. Si friggono così le costolette e qualunque altra preparazione alla Villeroy, le supplì, le crocchette di diverse specie, le creme fritte, ecc. Il terzo grado, cioè la frittura a padella caldissima, si usa per piccoli pesci, per provature, e in genere per tutte le cose di limitate proporzioni di cui il calore deve subito impossessarsi. La quantità della frittura deve essere sempre proporzionata all'importanza e al volume delle cose da friggere. In ogni caso questi oggetti devono essere completamente immersi. La pretesa economia di coloro che friggono con pochissimo liquido si risolve in loro danno, poichè prima di tutto il fritto vien male: molle o carbonizzato, e poi il poco liquido adoperato brucia facilmente e deve essere gettato via, mentre se si dispone di abbondante grasso o olio, alla fine si passa attraverso un setaccino e si tiene in serbo per un'altra volta. Qual'è la miglior frittura? II burro, intanto, no, poichè non ha forza nè resistenza. Nelle trattorie e negli alberghi dove c'è molto lavoro si adopera il grasso di rognone di bue, ciò che rappresenta la frittura classica di grande resistenza. Ma il grasso di bue si fredda troppo facilmente e lascia subito una patina sulle cose fritte, la quale a sua volta insega la bocca di chi mangia. Per famiglia è meglio dunque non pensare al grasso di bue e adoperare lo strutto o meglio ancora l'olio, mediante il quale si ottiene una frittura croccante e dorata. L'olio infatti senza considerare che dal lato igienico è infinitamente superiore allo strutto, dove non si mai quel che ci sia — può raggiungere fino i 290 gradi di calore, ciò che non si ottiene con nessuna altra frittura. Molti hanno una ingiustificata avversione per friggere con l'olio. Prendano dell'olio di qualità buona e provino. Ne saranno soddisfatti. L'olio fine non comunica nessun sapore sgradevole alle cose fritte. Molte volte si tratta di pregiudizi e nulla più.
friggono invece a padella ben calda quelle cose le quali hanno già subito un principio di cottura o una cottura completa. Si tratta in questo caso di
Ogni lingua è un organismo vivo e in continua evoluzione ed è semplicemente ridicolo fermarsi pensosi a ogni pie sospinto per indagare se il Rigutini direbbe o non direbbe così o se la Crusca consentirebbe l'impiego di una data parola. Abbiamo visto in questi ultimi anni che parole esotiche riguardante gli sports, i giuochi, le arti, i mestieri e recentemente la radiofonia hanno acquistato diritto di cittadinanza italiana anche perchè nella nostra lingua non c'era l'equivalente. E così sia pure per l'arte della cucina. Per conto nostro, che pure abbiamo uno stato di servizio letterario non assolutamente indegno, e professiamo il più geloso amore per la nostra Patria e per quanto ad essa possa riferirsi, abbiamo accolto senz'altro «menu», italianizzandolo con un accento, «purè», e tanti altri vocaboli, piuttosto che ricorrere alle ridicole volgarizzazioni di «lista», «passato», ecc. per non parlare di quel tale «sgonfiotto» col quale l'Artusi pretendeva di tradurre il soufflé francese. Così per le chenelle. La parola francese è «quenelles», e ricordiamo che parecchi anni addietro alcuni cuochi morsi dalla tarantola letteraria si accanirono in una rivista su queste povere chenelle per trovar loro un nome italiano fino a che, incredibile ma vero, le battezzarono per «morbidelle». Ombra di Pellegrino Artusi sei vendicata! Dinanzi a tanto inutile scempio accontentiamoci di quel che c'è senza farci ridere appresso per la smania di italianizzare a qualunque costo, e diciamo pure chenelle, scrivendo la parola come si pronunzia. Chiediamo venia a chi soffre il solletico del purismo, e passiamo senz'altro alla ricetta fondamentale della farcia di pollo, da cui derivano tutte o quasi tutte le altre.
riguardante gli sports, i giuochi, le arti, i mestieri e recentemente la radiofonia hanno acquistato diritto di cittadinanza italiana anche perchè nella
La cucina classica riconosceva quattro grandi salse di base: la spagnola, la vellutata, l'alemanna e la besciamella; ed erano dette appunto salse di base perchè da esse traevano origine tutte o quasi tutte le altre. Se queste salse possono avere ancora il loro impiego nelle grandi cucine, non hanno alcuna utilità nella cucina domestica, dove più efficacemente si supplisce, a seconda dei bisogni, con le piccole salse, di confezione più semplice e sbrigativa. La salsa spagnola è nelle sue linee essenziali un composto di legumi e farina bagnati con sugo di carne o brodo, che a traverso una ebollizione lenta e regolare di circa dieci ore viene a dare origine ad una salsa bruna, della quale i cuochi fanno uso ed abuso, così da giustificare la critica mossa dai buongustai alla grande cucina sulla uniformità di sapore, dovuta appunto alla spagnola. Nelle famiglie la salsa spagnola viene rimpiazzata, e niente si perde al confronto, col sugo ottenuto del bue braciato, e che le lettrici troveranno esaurientemente descritto nelle pagine in cui si parla di questa preparazione.
base perchè da esse traevano origine tutte o quasi tutte le altre. Se queste salse possono avere ancora il loro impiego nelle grandi cucine, non hanno
Comprenderete benissimo che vi sarà facile preparare sollecitamente una «vellutata» con burro e farina operando come per una besciamella, e sostituendo al latte un po' di brodo; e che aggiungendo a questa salsa uno o due rossi d'uovo e una cucchiaiata di crema avrete ottenuto in pochi minuti la alemanna. Ci si potrà obiettare che la estrema finezza delle salse classiche non sarà raggiunta; e su questo possiamo anche essere d'accordo; ma il risultato che si otterrà senza eccessiva perdita di tempo sarà ugualmente buono, in ispecie ove si tenga presente che la preparazione classica di queste salse deve essere fatta molto in grande, ciò che esorbita dai bisogni limitatissimi di una piccola cucina. Dunque delle quattro grandi salse fondamentali, la sola che dal nostro punto di vista ha una reale importante è la salsa besciamella, che troverete più appresso. Le stesse ragioni, di praticità ci hanno consigliato a non includere nel presente capitolo un elenco interminabile di salse, le quali differiscono per particolari insignificanti. Abbiamo solamente notato le più utili, e ne abbiamo inserite altre man mano che una data ricetta richiedeva una speciale salsa.
ci hanno consigliato a non includere nel presente capitolo un elenco interminabile di salse, le quali differiscono per particolari insignificanti
Le tartelette e le barchette sono piccoli involucri di pasta cotta al forno in stampine speciali e poi riempite con preparazioni varie, come filettini di alici, uova sode tritate, dadini di tonno, insalata russa minutissima, ecc. Si chiamano tartelette o barchette a seconda della loro forma: tartelette se hanno forma rotonda, barchette se ovale, dipendono la forma dal genere di stampina che si adopera. Si prepara una pasta con un ettogrammo di farina, 65 grammi di burro, un pizzico di sale e tre cucchiaiate d'acqua. Si riuniscono i vari ingredienti senza troppo lavorare, si arrotola la pasta in una palla e si lascia riposare un quarto d'ora. Poi si stende piuttosto sottile e con questa pasta si foderano una dozzina di stampine da tartelette o da barchette, previamente imburrate. Si riempiono le stampine foderate con dei fagiuoli secchi allo scopo di impedire che la pasta cuocendo abbia a distaccarsi dalle pareti della stampina. S'infornano, e dopo pochi minuti, quando la pasta sarà rassodata, si estraggono dal forno, si lasciano raffreddare un poco, delicatamente si tolgono via i fagiuoli e si fa uscire l'involucro di pasta dalla stampina. Come abbiamo fatto osservare per i «canapés», anche i modi di guarnire questi involucri di pasta sono numerosissimi e preferiamo lasciare al vostro buon gusto il modo di trarvi facilmente d'imbarazzo. Invece che della pasta descritta più sopra, potrete servirvi per foderare le stampine di ritagli di pasta sfogliata.
: tartelette se hanno forma rotonda, barchette se ovale, dipendono la forma dal genere di stampina che si adopera. Si prepara una pasta con un ettogrammo di
Per sei persone misurate otto scodelle colme di acqua che raccoglierete in una pentola. Sbucciate nove patate di media grandezza e mettele a cuocere nella pentola preparata. Quando saranno cotte tiratele su con una cucchiaia bucata e mettetele da parte. Queste patate vi serviranno per contorno e potrete confezionarle in uno dei tanti modi che troverete nel presente volume. Nell'acqua in cui hanno cotto le patate mettete adesso tre cipolle, un paio di carote gialle e un piccolo sedano, il tutto grossolanamente tagliato, quattro pomodori fatti in pezzi e un chiodo di garofano. Potrete aggiungere anche una fettina di lardo e una corteccia ben raschiata di parmigiano. Ma queste ultime addizioni sono facoltative. Salate la pentola, copritela e lasciatela bollire dolcemente per almeno due ore. Trascorso questo tempo, passate il brodo raccogliendo i legumi nel colabrodo e pigiando energicamente con cucchiaio di legno per farne uscire tutto il sugo. Avrete ottenuto così un brodo aromatico nel quale potrete cuocere la consueta dose di minestra che finirete al momento di andare in tavola con qualche cucchiaiata di parmigiano.
potrete confezionarle in uno dei tanti modi che troverete nel presente volume. Nell'acqua in cui hanno cotto le patate mettete adesso tre cipolle, un
Tra la minestra in brodo e i maccheroni, di cui taluni fanno un uso eccessivo, c'è tutta una varietà di minestre e di minestroni generalmente a base d'erbe, i quali costituiscono un cibo raccomandabilissimo anche dal lato igienico, tenuto conto che il tanto decantato brodo, a meno che si tratti di «consommés» ristrettissimi, ha un valore nutritivo quasi nullo. Tutte le città, si può dire, hanno un loro particolare minestrone, i quali su per giù si rassomigliano. Esamineremo i minestroni più tipici come quello genovese, quello milanese, quello toscano, per chiudere con qualche ricetta di minestre romane e napoletane: un breve, ma interessante viaggio gastronomico a traverso il fumo e il profumo delle zuppiere di qualcuna delle principali regioni italiane.
«consommés» ristrettissimi, ha un valore nutritivo quasi nullo. Tutte le città, si può dire, hanno un loro particolare minestrone, i quali su per giù
Il minestrone alla genovese è caratterizzato dal cosidetto pesto, squisita e sapiente amalgama di ingredienti diversi. Come nelle varie minestre di erbe anche in questo minestrone si possono mettere tutti quegli erbaggi e legumi che si hanno a disposizione: fagioli sgranati, fagiolini, zucchine, patate, cavoli, qualche pomodoro, ecc. Adoperando i fagioli — che riescono piuttosto duri alla cottura — sarà bene prelessarli a parte, come pure sarà bene sbollentare il cavolo per togliere alle foglie quell'acredine caratteristica. Fatto questo, si tagliano in pezzi gli altri erbaggi e legumi e si mettono a bollire in una casseruola o in un tegame con sufficiente acqua, si aggiungono i cavoli tagliati a fettuccie, i fagioli, due o tre cucchiaiate di olio, sale e pepe, e si fa cuocere il tutto dolcemente. Quando i legumi saranno quasi cotti, si aggiunge — secondo il numero delle persone qualche pugno di piccoli cannolicchi o di altra pasta a piacere. Bisogna
erbe anche in questo minestrone si possono mettere tutti quegli erbaggi e legumi che si hanno a disposizione: fagioli sgranati, fagiolini, zucchine
Per sei persone sbucciate e fate in pezzi un chilogrammo di patate, mettetele in una pentola, copritele abbondantemente d'acqua e fatele cuocere. Quando saranno cotte passatele dal setaccio per rimetterle poi nella stessa acqua in cui hanno bollito. Intanto si sarà preparato un battutino con mezza cipolla, un pezzetto d'aglio, prezzemolo, un po' di sedano e un po' di carota gialla. Si insaporiscono i legumi con burro (la terza parte di un ettogrammo) sale e pepe, e quando sono appassiti si uniscono alla purè di patate. Verificate la densità e la sapidità della purè, la quale dovrà essere sufficientemente legata, ma non troppo. Nel caso fosse troppo densa si diluisca con acqua o meglio ancora con latte. Il latte è facoltativo, ma sarebbe bene aggiungerne sempre un mezzo bicchiere. In mancanza di burro si può adoperare olio o strutto, ma col burro si ottiene un risultato più fine e una minestra più profumata, la quale è anche adattatissima per i bambini. Al momento di andare in tavola si uniscono alla purè dei dadini di pane fritto.
. Quando saranno cotte passatele dal setaccio per rimetterle poi nella stessa acqua in cui hanno bollito. Intanto si sarà preparato un battutino con mezza
Dopo una diecina di minuti aggiungete, sempre un po' alla volta, un dito d'acqua e una pizzicata di sale, e continuate a lavorare il semolino tra le palme, senza mai smettere, fino ad ottenerlo completamente sciolto e leggermente gonfiato. Non devono esserci grumi, ma deve risultare fluido come della rena grossolana. Questa operazione preliminare richiede almeno una mezz'ora, e, se bene eseguita, costituirà uno dei coefficienti per la riuscita della pietanza. Preparato il semolino prendete una grossa pentola. In talune città, dove l'elemento ebraico predomina, si trovano delle speciali pentole per preparare il cuscussù, dette appunto cuscussiere; e diciamo subito la ragione per la quale si richiede uno speciale utensile. Il semolino del cuscussù, infatti, non deve cuocere nell'acqua o nel brodo, ma in una pentola ermeticamente chiusa al di sopra dell'acqua o del brodo in ebollizione in modo che la cottura si faccia solo col vapore. Appunto per questo ci sono delle speciali pentole piuttosto alte, le quali nella parte superiore hanno una specie di colabrodo nel quale si mette il semolino, che poi si ricopre col coperchio della pignatta.
modo che la cottura si faccia solo col vapore. Appunto per questo ci sono delle speciali pentole piuttosto alte, le quali nella parte superiore hanno
È una piccola ricetta pratica che, confidiamo, sarà utile a tante mammine, che, non hanno sempre tempo disponibile per lunghe preparazioni di cucina. I maccheroni eseguiti così sono molto igienici e gustosi, e per il loro valore nutritivo possono venire somministrati con profitto anche ai bambini ai quali spesso può nuocere l'abituale sugo a base di pomodoro e di grassi. Nè la ricetta è molto costosa. Quando si pensi al costo di un vasetto di estratto di carne, che basta per parecchie volte, e a quello di un sugo ben fatto, si troverà che l'estratto di carne è molto più conveniente. Lessate dunque i maccheroni come al solito, scolateli e conditeli con un po' di burro e parmigiano. Prendete poi, per quattro persone, un cucchiaino di estratto di carne e stemperatelo in un tegamino con poche gocce di acqua bollente. Versate l'estratto di carne sui maccheroni, mescolate e mandate in tavola. Sarete piacevolmente sorprese dello squisito gusto acquistato dai vostri maccheroni e acquistato con una perdita di tempo così insignificante.
È una piccola ricetta pratica che, confidiamo, sarà utile a tante mammine, che, non hanno sempre tempo disponibile per lunghe preparazioni di cucina
La pasta con le sarde è uno dei famosi piatti della cucina siciliana, ed è una preparazione caratteristica che non trova riscontri in nessun'altra cucina regionale. I siciliani sono orgogliosi di questa loro specialità, e non hanno torto, poichè un tegame di pasta con le sarde ben fatta è veramente una cosa squisita. Chi non è addentro nei segreti di questa pietanza, leggendone la ricetta può trovare che l'insieme di elementi così disparati possa condurre ad una dissonanza culinaria; ma è proprio il caso di ripetere che, come nei più acclamati poemi sinfonici moderni, queste apparenti dissonanze vengono a creare un insieme armonico di prim'ordine. La pasta con le sarde è una specie di mosaico in cui ogni pezzetto ha la sua ragion d'essere nel risultato finale. Errerebbe dunque chi volesse portarvi delle modificazioni personali per quel gusto di variare, semplificare, che molte persone hanno, senza aver prima esperimentato la ricetta vera. La pasta con le sarde, essendo diffusissima, ha nella stessa Sicilia parecchie ricette, le quali variano però soltanto in qualche accessorio; ed è logico che la ricetta preparata dai grandi cuochi siciliani, che, fin dall'antichità furono i più grandi cuochi del mondo, potrà essere un pochino più dispendiosa di quella eseguita nelle modeste case e nelle taverne, ma, ripetiamo, è questione di nuances.
cucina regionale. I siciliani sono orgogliosi di questa loro specialità, e non hanno torto, poichè un tegame di pasta con le sarde ben fatta è veramente
Come sapete, la zuppa alla marinara viene nell'Adriatico chiamata col nome di brodetto, e si può dire che ogni città, ogni cittadina del litorale hanno un loro modo caratteristico di preparare questa zuppa. Il brodetto all'anconitana si distingue dagli altri per una piccola aggiunta d'aceto, che comunica alla pietanza uno speciale sapore. Sono da preferirsi per questa preparazione i pesci di scoglio, ai quali si aggiungono spigolette, triglie e calamari. Generalmente i pesci si lasciano intieri. Si mette in un tegame della cipolla tagliuzzata e quando questa sarà imbiondita si mettono giù i calamaretti e dopo un poco gli altri pesci. Si condisce con sale, pepe, prezzemolo tristo e pomodoro, e finalmente si aggiungono due dita di aceto. Si copre il tegame, si fa levare il bollore e dopo un minuto o due di ebollizione si tira indietro il recipiente lasciandolo così fuori del fuoco qualche tempo per fare evaporare un poco l'odore dell'aceto. Dopo qualche minuto si ricopre il tegame e si mette su della brace leggera facendo stufare il pesce per circa mezz'ora. Il brodetto deve risultare assai denso, e si accompagna con delle fette di pane non abbrustolito.
hanno un loro modo caratteristico di preparare questa zuppa. Il brodetto all'anconitana si distingue dagli altri per una piccola aggiunta d'aceto, che
Per sei persone prendete un chilogrammo di polipi piuttosto piccoli, fateli nettare accuratamente togliendo via la tinta che hanno nell'interno, la pelle, gli occhi, ecc. e divideteli in pezzi. Risciacquate questi pezzi, finchè divengano bianchissimi, e lasciateli sgocciolare. Mettete in una casseruola mezzo bicchiere d'olio, e quando questo sarà caldo, gettateci la salsetta seguente. Lavate e spinate due acciughe salate, pestatele con un piccolissimo pezzo d'aglio e un po' di prezzemolo, e diluite il tutto con due dita di vino, bianco o rosso. Fate cuocere un momento, aggiungete una buona cucchiaiata di salsa di pomodoro, e poco dopo i polipi in pezzi, che condirete con poco sale e un buon pizzico di pepe. Bagnate con un pochino d'acqua, coprite la casseruola e fate cuocere dolcemente. Avrete già messo in bagno nell'acqua fredda un paio di pugni di funghi secchi, e quando saranno ben rinvenuti nettateli, risciacquateli e uniteli ai polipi. In meno di un'ora polipi e funghi saranno cotti. Verificate se c'è bisogno di sale, e fate bene addensare la salsa, che dev'essere scura e profumata. Rovesciate in un piatto e contornate di crostini di pane fritto. Così si fanno anche le seppie.
Per sei persone prendete un chilogrammo di polipi piuttosto piccoli, fateli nettare accuratamente togliendo via la tinta che hanno nell'interno, la
Molti hanno una ingiustificata avversione per il baccalà, che è invece un elemento prezioso nell'alimentazione. La poca simpatia di taluni dipende dal fatto che non si portano al baccalà tutte le cure necessarie: da cui l'odore poco simpatico, l'eccessivo gusto salato, e la carne spesso stoppacciosa. Il baccalà va bagnato in casa un paio di giorni prima di cucinarlo, e gli va tolta la pelle prima di metterlo in bagno. Mettetelo in un recipiente con abbondante acqua e cambiategliela spesso, oppure tenetelo sotto la fontanella dell'acquaio ad acqua corrente. Levategli poi le spine principali, le pinne, dividetelo in pezzi, e vedrete che questo cibo merita tutta la considerazione. Quando dovrete scegliere una qualità di baccalà preferite il Labrador perchè più fine. Anche eccellente è il francese, ma non si trova sempre sul mercato. Il così detto S. Giovanni, di carne più scura, ha il torto di tramandare un odore forte; e l'Islanda, che è il più diffuso e il più a buon mercato, riesce troppo spesso insipido e sfilaccioso. Per otto persone sarà sufficiente un chilo di baccalà secco. Quando sarà bene bagnato, levategli quante più spine potrete e poi dividetelo in piccoli pezzi quadrati o rettangolari che metterete ad asciugare in un tovagliolo. Infarinate questi pezzi e friggeteli nell'olio, nel quale avrete fatto soffriggere uno spicchio di aglio. Friggete il baccalà di bel color d'oro e ben croccante. Accomodatelo in un piatto e ricopritelo con una salsa densa fatta con aglio, olio e pomodoro, e ultimata con una cucchiaiata di prezzemolo trito.
Molti hanno una ingiustificata avversione per il baccalà, che è invece un elemento prezioso nell'alimentazione. La poca simpatia di taluni dipende
Come le nostre lettrici sanno, vengono dette «ciriole» delle piccole anguille del Tevere, le quali hanno in Roma ammiratori fanatici. Le abbonate non romane potranno eseguire la ricetta con qualsiasi altra qualità di anguille, ma certo non otterranno il caratteristico piatto caro a molti buongustai romani.
Come le nostre lettrici sanno, vengono dette «ciriole» delle piccole anguille del Tevere, le quali hanno in Roma ammiratori fanatici. Le abbonate non
Le ciriole del Tevere hanno la pelle molto delicata e quindi non vanno spellate. Si privano della testa, si nettano accuratamente e si ta-gliano in pezzi di circa cinque centimetri. Per un chilogrammo di ciriole mettete in una casseruola un pochino d'olio, mezzo spicchio d'aglio tritato e quattro o cinque cipolline novelle finemente tritate. Quando la cipolla avrà preso una bella colorazione bionda, mettete giù le ciriole accuratamente risciacquate, conditele con sale e pepe e lasciatele insaporire. Quando ogni traccia di umidità sarà scomparsa, bagnatele con mezzo bicchiere di vino bianco e una cucchiaiata di salsa di pomodoro. Mescolate e quasi subito dopo aggiungete mezzo chilogrammo di pisellini sgranati. Mescolate, coprite la casseruola e lasciate cuocere, aggiungendo, se il bagno si asciugasse troppo, qualche cucchiaiata d'acqua. A cottura completa fate servire ben caldo.
Le ciriole del Tevere hanno la pelle molto delicata e quindi non vanno spellate. Si privano della testa, si nettano accuratamente e si ta-gliano in
Molti hanno la consuetudine di cuocere le seppie in un soffritto fatto di aglio pesto, prezzemolo, un'acciuga e mezzo bicchiere di vino rosso, e di aggiungere poi della conserva di pomodoro. Il sistema non è disprezzabile. Ma nel modo da noi descritto il risultato è assai più fine.
Molti hanno la consuetudine di cuocere le seppie in un soffritto fatto di aglio pesto, prezzemolo, un'acciuga e mezzo bicchiere di vino rosso, e di
Non tutti hanno in casa una rosticciera completa composta del girarrosto, della leccarda e del piccolo camino in ghisa dove si mette la legna o al carbone per arrostire la carne. Noi non sapremmo troppo raccomandare questi semplici apparecchi, poichè un pezzo d'arrosto, un pollo, un coscetto di capretto cotti allo spiedo con una piccola rosticciera completa sono deliziosi, non solo, ma permettono di ottenere un risultato meraviglioso, senza perdita di tempo e senza avere in cucina la più piccola traccia di fumo o di cattivo odore. Prendete un pezzo di filetto di bue e tenetelo prima per un paio d'ore in una marinata composta di olio, pepe e un po' di sugo di limone; infilatelo allo spiede e fatelo cuocere per circa tre quarti d'ora raccogliendo nella leccarda il sugo che sgocciolerà, e ungendo la carne di quando in quando con un pochino di olio. Quando il filetto sarà quasi cotto, salatelo e ultimate la cottura.
Non tutti hanno in casa una rosticciera completa composta del girarrosto, della leccarda e del piccolo camino in ghisa dove si mette la legna o al
Prendete la metà di una testina di vitello, risciacquatela generosamente, passatela sulla fiamma per toglier via qualche residuo di peli, e risciacquatela ancora. Poi mettetela a cuocere, aromatizzando l'acqua con del sedano, una cipolla, un pezzo di carota gialla, uno o due chiodi di garofano e del prezzemolo. Schiumate e lasciate bollire pian piano. Dopo un'oretta di ebollizione prendete la testina e portatela sul tagliere; e, aiutandovi con un coltello, togliete via pian piano tutte le ossa, procurando di non rompere nè deformare la testina, che dovrà rimanere in un solo pezzo. Arrotolate su sè stessa la carne rimasta, lasciando la parte gelatinosa al di fuori; date qualche passata di spago per mantenere in forma il rotolo, e rimettetelo nella pentola, facendo bollire adagio adagio fino a cottura completa. Delle ossa potrete fare a meno, visto che disgraziatamente le ossa non solamente non son buone da mangiare, ma non hanno altro ufficio che quello di ingombrare la pentola e di intorbidare il brodo. La testina di vitello ha un accompagnamento quasi di prammatica: la salsa verde.
solamente non son buone da mangiare, ma non hanno altro ufficio che quello di ingombrare la pentola e di intorbidare il brodo. La testina di vitello ha un
Eccezione fatta per qualche albergo, il montone viene raramente usato, perchè per questo come per tanti altri alimenti ci sono non poche prevenzioni. Molti, infatti, lo ritengono coriaceo, disgustoso, nauseabondo, indigesto e chi più ne ha ne metta: e al solito sono calunnie, che il mansueto animale non merita davvero... Le più importanti razze e varietà di ovini esteri sono: la Razza Leicester, detta Razza Dishley, la Razza New Kent, la Razza Southdown, la Razza Cottswold, la Razza Francese, la Razza Savojarda, la Razza Danese, la Razza Cheviot, la Razza del bacino della Loira, la Razza dei Pirenei, la Razza Merinos, la Razza della Barberia o Barbaresca e la Razza del Sudan. Gli ovini italiani hanno pure grande rinomanza. Le principali razze nazionali sono: la Razza Piemontese, ottima, la Razza Biellese, la Razza Canavese, la Razza di Pinerolo, la Razza Bergamasca, la Razza Siciliana, la Razza gentile delle Puglie, la Tuscolana, oltre importanti varietà come quella di Ormea e della Valle d'Aosta, della Lomellina, Padovana e Romagnola, Romana e Napolitana. Il montone di buona qualità ha la carne di un rosso leggermente biancastro, grasso bianco e duro che forma degli strati più o meno spessi alla superficie e nei principali interstizi muscolari. I migliori tagli del montone sono: il coscetto (gigot), la sella, e le oostolette. I tagli più scadenti: la spalla, il petto e il collo.
Pirenei, la Razza Merinos, la Razza della Barberia o Barbaresca e la Razza del Sudan. Gli ovini italiani hanno pure grande rinomanza. Le principali
I pollivendoli romani hanno spesso in mostra monticelli di budelline di pollame e generalmente queste budelline sono già aperte e nettate. Se così non fosse converrà aprirle e nettarle accuratamente. Giova tenere presente che siccome queste budelline si riducono assai cuocendo, bisogna prenderne in abbondanza calcolandone dai tre ai quattrocento grammi a persona. Dopo aver ben nettato le budelline lavatele in più acque, stropicciandole bene tra le mani in modo che risultino bianchissime. Lasciatele sgocciolare e poi mettetele in una casseruola ricoprendole di acqua. L'acqua deve sopravanzare di circa un centimetro. Condite con sale, un pochino di cipolla, un pezzettino di sedano e di carota gialla e un po' di prezzemolo. Coprite la casseruola e lasciate bollire pian piano fino a che l'acqua sia quasi del tutto evaporata. Mettete adesso in un'altra casseruola un pezzo di burro con delle fettine di prosciutto grasso e magro tagliate in listelline e un pochino di cipolla tritata finissima. Fate rosolare la cipolla a color d'oro e poi, dopo aver tolto i legumi alle budelline lessate, travasatele nella nuova casseruola mettendo anche quel po' di brodo che sarà rimasto dalla cottura. Fate insaporire, aggiungete qualche cucchiaiata di salsa di pomodoro o meglio di sugo d'umido e lasciate finir di cuocere fino a completa cottura, aggiungendo, se fosse necessario, qualche altra cucchiaiata d'acqua. Ultimatele con un pizzico di pepe e mandatele in tavola facendo servire insieme del parmigiano grattato.
I pollivendoli romani hanno spesso in mostra monticelli di budelline di pollame e generalmente queste budelline sono già aperte e nettate. Se così
Ci sono delle pietanze che potrebbero dirsi gaie, poichè, accolte generalmente con simpatia da tutti, portano sulla tavola quel non so che di piacevole che altre pietanze, magari più costose e raffinate, non hanno. Una di queste pietanze privilegiate — il cui prototipo è rappresentato dai maccheroni — è la maionese. La cosa è difficile a spiegarsi: sarà forse l'effetto dei varii colori armonizzanti col manto giallastro della salsa, sarà il caratteristico e appetitoso sapore che risulta dalla fusione di tutti gli ingredienti, sarà qualche altra causa; ma certo si è che l'arrivo in tavola di una maionese ben «montata» e, sopra tutto, ben fatta, non manca di produrre il migliore effetto. Di più: se la maionese è sempre gradita ai commensali, costituisce, per la padrona di casa, un pensiero di meno, poichè può essere preparata con comodo qualche tempo prima, e messa via; di modo che essendo il lavoro della cuoca, al momento del pranzo, alquanto diminuito, c'è una probabilità di più che il servizio proceda meglio. Nella peggiore delle ipotesi il fritto potrà venire in tavola molle, o l'arrosto bruciato, ma la signora è almeno sicura che la maionese, la quale è stata eseguita in antecedenza, sotto la sua sorveglianza diretta, incontrerà quell'approvazione che meritano tutte le cose ben fatte, e, in caso di una «débacle» servirà a salvar la situazione. Voi sapete che la maionese si può fare di magro o di grasso, cioè col pesce o col pollo. Incominciamo da quella di pesce, che si fa più frequentemente, ed è senza dubbio la più gustosa.
piacevole che altre pietanze, magari più costose e raffinate, non hanno. Una di queste pietanze privilegiate — il cui prototipo è rappresentato dai
I funghi sono certo un alimento squisito e si prestano ad un'infinità di preparazioni, una migliore dell'altra; ma, come in tutte le cose del mondo ogni medaglia ha il suo rovescio, anche per i funghi c'è un rovescio non indifferente: quello della loro tossicità, che consiglia a molti di astenersene. È vero che quasi tutte le qualità di funghi mangerecci hanno disgraziatamente un equivalente venefico; ma limitandosi alle qualità più conosciute, come gli ovoli e i porcini, e acquistando i funghi in città, dove hanno subito una verifica, si può essere tranquilli e allietare la propria mensa di un piattino di funghi, che riesce sempre tanto gradito.
astenersene. È vero che quasi tutte le qualità di funghi mangerecci hanno disgraziatamente un equivalente venefico; ma limitandosi alle qualità più conosciute
I pomodori ripieni di riso hanno molto buone qualità: tra le quali quelle di costar poco, di essere appetitosi e di potersi preparare qualche ora prima, poichè son migliori freddi che caldi. Scegliete dei pomodori piuttosto grossi, tagliateli orizzontalmente in due parti, di cui la superiore, il coperchio, dovrà essere molto minore della inferiore. Servendovi di un cucchiaino, liberate i fondi dai semi e dal sugo che raccoglierete in una scodella, e ponete questi fondi in una teglia, uno vicino all'altro. Condite queste specie di scatole con sale, pepe, un pizzico di zucchero e un nonnulla di cannella in polvere, e metteteci poi il riso in modo da riempire i vuoti. Sul riso sgocciolate un po' d'olio, e mettete un pizzico di prezzemolo trito. Se credete potrete aggiungere anche qualche pezzetto di aglio tritato finissimo. Rimettete ad ogni pomodoro preparato il suo coperchio, spolverizzate un altro po' di sale, innaffiate con altro olio, e sopra a tutto versate il sugo dei pomodori raccolto nella scodella, facendolo passare a traverso un setaccio o un colabrodo. Si cuociono a forno di moderato calore, oppure sul fornello con poca brace sotto e fuoco piuttosto abbondante sul coperchio. Quando saranno cotti si prendono su con una cucchiaia bucata e si accomodano nel piatto. Invece della cannella, si possono aromatizzare i pomodori con un po' d'origano.
I pomodori ripieni di riso hanno molto buone qualità: tra le quali quelle di costar poco, di essere appetitosi e di potersi preparare qualche ora
Per i vari lavori di pasticceria ha infinite applicazioni lo zucchero cotto. Durante la sua cottura lo zucchero passa a traverso vari stati che un po' di pratica permette facilmente di riconoscere. I principali di questi stati, quelli che hanno per noi un maggiore impiego sono: il piccolo filo, il filo forte, la bolla e la caramella.
' di pratica permette facilmente di riconoscere. I principali di questi stati, quelli che hanno per noi un maggiore impiego sono: il piccolo filo, il
Le dosi: Un panino di burro da un ettogrammo — due cucchiaiate colme di farina — Due cucchiaiate colme di farina gialla finissima — Due cucchiaiate di zucchero in polvere — Un uovo intero — La raschiatura di un limone. — Si lavora prima sul tavolo, lo zucchero, il burro e l'uovo, facendone un impasto. In inverno converrà tenere prima il burro in un luogo un po' tiepido, per ammorbidirlo, senza tuttavia esagerare. Fatto l'impasto aggiungerete la raschiatura del limone, ottenuta con un pezzetto di vetro, e in ultimo le farine mescolate insieme. Non lavorate troppo con le mani, ma cercate d'impastare servendovi piuttosto di una larga lama di coltello. Le pastine di meliga che si vendono dai pasticceri hanno forma di ciambelline rigate e si ottengono facendo uscire la pasta da una speciale siringa con un disco a stella. La siringa è un utensile di latta a forma cilindrica con due grandi manici e una specie di stantuffo di legno che entra perfettamente nel vuoto della siringa stessa. Ognuno di questi utensili viene venduto con un piccolo corredo di dischi anche di latta, in mezzo ai quali è un intaglio a forme differenti: cuori, stelle, rettangolini, tondini, ecc. Il disco si applica facilmente alla bocca della siringa. Si arrotola la pasta in modo da farne un grosso cannello, che s'introduce nella siringa. Si mette a posto lo stantuffo di legno è tenendo la siringa con ambedue le mani e pei due manici, si appoggia l'estremità superiore dello stantuffo sul braccio e propriamente sul muscolo bicipite, spingendo col braccio stesso la pasta, la quale compressa fra lo stantuffo e il disco forato, è costretta ad uscire dal foro del disco prendendone la forma. Si fanno uscire così delle strisce lunghe sul tavolo leggermente infarinato, si ritagliano col coltellino in pezzi di una dozzina di centimetri e si chiudono in forma di ciambelline.
'impastare servendovi piuttosto di una larga lama di coltello. Le pastine di meliga che si vendono dai pasticceri hanno forma di ciambelline rigate e si
Questi biscotti, che hanno nella pasticceria tante utili applicazioni, sono in particolar modo adatti per i bambini. Per una quindicina di savoiardi occorrono le seguenti proporzioni: zucchero in polvere gr. 40, farina gr. 20, farina di patate gr. 20, uova n. 2, un pizzico di sale. E per chi non avesse la bilancia: un paio di cucchiaiate di zucchero, un cucchiaio di farina, uno di fecola, avvertendo che queste cucchiaiate non siano troppo colme. Separate i bianchi dai rossi. I bianchi li metterete da parte, i rossi li passerete in una terrinetta con lo zucchero in polvere. Non occorre lavorarli molto, basteranno tre o quattro minuti: il tempo cioè di ben mescolare zucchero ed uova. Unite allora al composto le due farine, e lasciate riposare. Fatto ciò, montate le chiare in neve, servendovi di una frusta in ferro stagnato; ma guardate che le chiare sieno sostenutissime, perchè è da questo che dipende la buona riuscita dei biscotti. Quindi non vi stancate di sbattere. Quando le chiare saranno montate unitele delicatamente ai rossi, servendovi di un cucchiaio di legno e sollevando il composto affinchè i bianchi non si sciupino troppo. Prendete due fogli di carta spessa; ungete leggermente di burro l'uno, e fate un cartoccio con l'altro. Mettete il composto nel cartoccio, chiudete questo e spuntatene l'estremità in modo da lasciare un'apertura di un centimetro di diametro. Premendo delicatamente sulla sommità del cartoccio, fate uscire sul foglio di carta unto, tanti bastoncini grossi come un dito e lunghi una diecina di centimetri, facendo attenzione di non farli troppo vicini uno all'altro. Quando avrete esaurito la pasta mettete il foglio di carta sopra una teglia e spolverizzate i biscotti con zucchero al velo. Lo zucchero dovrà essere messo sui biscotti o con uno spolverizzatore, o facendolo cadere da un setaccino.
Questi biscotti, che hanno nella pasticceria tante utili applicazioni, sono in particolar modo adatti per i bambini. Per una quindicina di savoiardi
Per sei persone mettete a cuocere in una casseruola 150 grammi di riso con un litro di latte. La dose di un litro non è naturalmente rigorosissima, poichè alcune qualità di riso assorbono di più, altre meno. Aggiungete un nonnulla di sale, cinque cucchiaiate di zucchero, un pezzo di burro come una grossa noce e, se l'avete, una mezza stecca di vainiglia. Intanto sbucciate e tagliate a spicchi tre o quattro pesche, qualche pera, qualche mela, ecc., e poichè queste frutta non hanno tutte lo stesso punto di cottura, cuocete ogni varietà a parte in un tegamino con poca acqua e zucchero.
., e poichè queste frutta non hanno tutte lo stesso punto di cottura, cuocete ogni varietà a parte in un tegamino con poca acqua e zucchero.
Quando saranno cotte, ma non troppo, sgocciolatele e riunite in una casseruola i leggeri sciroppi in cui hanno cotto le frutta, aggiungete qualche altra cucchiaiata di zucchero, fate addensare sul fuoco, poi tirate la casseruola sull'angolo del fornello, e unite allo sciroppo un bicchierino di rhum e un cucchiaio di marmellata di albicocca. Rimettete in questo sciroppo caldo e denso la frutta cotta, aggiungete un pugno di uvetta secca che avrete tenuto per mezz'ora a rinvenire nell'acqua tiepida, qualche dadino di scorzetta d'arancio, qualche ciliegia candita e qualche bel chicco di uva fresca da tavola; coprite e lasciate vicino al fuoco. II riso sarà intanto arrivato a giusta cottura. Togliete la mezza stecca di vainiglia, e, fuori del fuoco, mischiate nel riso un paio di rossi d'uovo. Imburrate poi una stampa liscia da bordura, della capacità di circa tre quarti di litro, metteteci il riso a cucchiaiate, battete un po' la stampa su uno strofinaccio affinchè non rimangano vuoti, pareggiate il riso e pressatelo con un cucchiaio. Coprite la stampa e lasciatela una diecina di minuti sul camino non troppo lontano dal fuoco, affinchè il riso possa prender bene la forma della stampa e mantenersi caldo. Rovesciate la bordura su un piatto rotondo, disponete nel vuoto le frutta a piramide, e gettate su tutto lo sciroppo, che, ripetiamo, deve essere molto denso, per fare sulle frutta come un mantello lucente.
Quando saranno cotte, ma non troppo, sgocciolatele e riunite in una casseruola i leggeri sciroppi in cui hanno cotto le frutta, aggiungete qualche
Pestate grossolanamente in un mortaio tutte queste droghe e poi mettetele in un boccioncino della capacità di oltre tre litri, versandoci sopra alcool fino a 90° grammi 2500. Lasciate macerare per dieci giorni agitando almeno due volte al giorno il boccioncino, che avrete ermeticamente chiuso, con un tappo nuovo di sughero. Dopo dieci giorni preparate uno sciroppo, con zucchero grammi 1300 e acqua distillata grammi 1500. Ottenuto lo sciroppo, mischiate in esso l'infusione alcoolica, travasate in un recipiente più grande e lasciate in riposo un paio di giorni. Dopo di che filtrate il liquore servendovi del solito imbuto di vetro e di una buona carta da filtro e imbottigliate. I liquori, come sapete, più invecchiano e più diventano buoni. Motivo per cui se eseguirete la ricetta così come è non avrete certo a pentirvene, poichè avrete arricchito la vostra dispensa di un prodotto finissimo, che col tempo non potrà che diventare sempre migliore. Ed ora alcune piccole spiegazioni che forse potranno tornare utili. Crediamo inutile parlarvi dei coriandoli, dei chiodi di garofani, dei semi d'anaci, della cannella, dello zafferano e dei semi di finocchio, che voi tutti conoscete perchè di uso quotidiano. L'issopo è una pianta aromatica di cui si adoperano le sommità fiorite. La radice di angelica è una radice aromatica, come aromatici sono la melissa ed il serpillo che è una varietà del timo. Tutte queste erbe e droghe potrete facilmente procurarvele da un erborista, o, come si dice in Roma, semplicista, cioè da quei negozianti specializzati che vendono appunto droghe ed erbe aromatiche per usi di liquoreria o di farmacia. Le bacche di abete sono delle pallottoline grosse come nocciuole che germogliano sugli abeti. Hanno odore aromatico resinoso, e anche esse vanno frantumate nel mortaio. Potrete ottenerle facilmente da qualche giardiniere. Di queste pallottoline, come abbiamo detto, se ne impiegano due o tre. Invece dell'acqua distillata, potrete usare dell'acqua comune. Ma la prima è preferibile.
bacche di abete sono delle pallottoline grosse come nocciuole che germogliano sugli abeti. Hanno odore aromatico resinoso, e anche esse vanno frantumate
Prendete dei cetriolini, metteteli sopra uno strofinaccio ruvido di cucina cospargeteli di sale, ripiegate lo strofinaccio e stropicciate in esso i cetriolini, che mediante questo sfregamento perderanno un po' della ruvidità della loro buccia. Distendeteli allora su uno strofinaccio pulito e lasciateli asciugare per qualche ora all'aria aperta. Mettete a bollire dell'aceto, distribuite i cetriolini in una terrina e quando l'aceto avrà levato il bollore, versatelo sopra i cetriolini. Non c'è bisogno di dire che l'aceto deve essere in proporzioni tali da poter ricoprire completamente i cetriolini. Lasciate stare così fino al giorno appresso. Troverete che i cetriolini sono divenuti di un colore giallo verdastro piuttosto antipatico. Non ve ne preoccupate; scolate l'aceto e mettetelo a bollire di nuovo. Appena l'aceto starà per bollire gettate in esso i cetriolini, i quali, come potrete constatare, riprenderanno subito il loro colore verde. Pronunciatasi l'ebollizione tirate indietro il recipiente, tirate su i cetriolini e accomodateli secondo la quantità che ne avrete fatta, in uno o più vasi di terraglia. Aggiungete in ogni vaso qualche granello di pepe, qualche spicchio d'aglio, se credete, e qualche fogliolina di dragoncello, ricopriteli con l'aceto e poi quando i vasi saranno ben freddi, turateli con della carta pergamena e portateli in dispensa. Aspettate almeno una settimana prima di incominciare a consumarli. È vero che i cetriolini così trattati non hanno il colore verde smeraldo di quelli che si vendono nelle salsamenterie. Ma in fatto di conserve all'aceto è meglio andar cauti e rinunziare un po' ai colori troppo vivaci, i quali si ottengono facendo bollire e freddare i cetriolini in recipienti di rame non stagnati. Sicchè quelle incrostazioni di verde vivace rappresentano in ultima analisi una piccola dose di veleno che si immette nell'organismo, il quale, poveretto, ne fa tanto volentieri a meno.
portateli in dispensa. Aspettate almeno una settimana prima di incominciare a consumarli. È vero che i cetriolini così trattati non hanno il colore
In luglio si raccoglie un'erba aromatica: il dragoncello (Arthemisia Dracunculus) detta anche serpentaria, che serve a preparare un aceto profumato, per insalate, maionesi, salse piccanti, ecc. ecc. Alcune Ditte inglesi hanno messo in commercio questo aceto (Taragon Vinegar). Ma non c'è ragione, per una mammina amante dell'economia, di spendere parecchie lire per delle piccole bottiglie di aceto, mentre si può fare senza nessuna fatica in casa. Il modo più semplice — e che poi è anche il migliore — di preparare l'aceto al dragoncello, consiste nell'introdurre una abbondante quantità di foglie fresche di quest'erba in una bottiglia d'aceto, tapparla e metterla in dispensa per servirsene dopo qualche mese. L'altro metodo, un po' più complicato, consiste invece nel mettere in infusione nell'aceto, insieme col dragoncello, qualche spicchio d'aglio, foglie di salvia, basilico, limo, rosmarino, lauro, qualche chiodo di garofano, ecc. La bottiglia va tenuta per una diecina di giorni al sole, dopo di che si filtra l'aceto e si conserva. Noi però preferiamo il primo metodo che dà un prodotto di un profumo più deciso. Mettendo una cucchiaiata di questo aceto in un'insalata o in una maionese si comunica ad esse un gusto gradevolissimo, il dragoncello si può acquistare da tutti i buoni erbivendoli. Fate attenzione che c'è una qualità di erba simile al dragoncello, ma senza aroma. Le foglie del vero dragoncello, stropicciate fra le dita esalano un odore aromatico che ricorda un poco quello dell'anaci e del comino.
, per insalate, maionesi, salse piccanti, ecc. ecc. Alcune Ditte inglesi hanno messo in commercio questo aceto (Taragon Vinegar). Ma non c'è ragione
I tartufi si trovano nelle selve, nei campi, presso le rive dei fiumi, nei prati, fra le zolle e fra gli scogli. Sono di tre specie: Tuber magnatum, Tuber albidum, Tuber nigrum. Il Tuber magnatum si trova generalmente dalla fine di agosto alla metà di gennaio e viene chiamato anche Tartufo bianco. La sua forma varia col variare della terra in cui si trova e la sua superficie esterna molto sinuosa e di un colore giallognolo grigio, molte volte porta dei segni che attestano il lavoro dei topi. L'interno ha delle venature bianche, il suo volume varia e il suo peso da pochi grammi può arrivare qualche volta agli 800 grammi. Il Tuber magnatum si trova in maggior quantità e se ne fa quindi il maggior commercio; ha una sapore squisitissimo ed una fraganza straordinaria. Il Tuber albidum si trova dai primi di gennaio alla fine di aprile. Vien chiamato comunemente Bianchetto o Mazzola; non è troppo voluminoso e non raggiunge certamente il peso dei magnatum. La sua superficie è di un bianco giallognolo e internamente ha delle venature biancastre. I Bianchetti hanno uno discreta fragranza ma — ils ont un petit goût d'ail — che li rende poco piacevoli. Il Tuber nigrum si trova da settembre ad aprile. La sua superficie esterna è pressochè sagrinata e nera. Generalmente la sua forma è tondeggiante e neanche il suo volume arriva a quello dei magnatum. Internamente è marmorizzato da venature bianche e nere, il suo profumo è intenso, ma il sapore è certamente meno gustoso di quello dei tartufi bianchi, Il tartufo trova infinite applicazioni nella gastronomia. Quindi sarebbe buona regola prepararne in casa qualche scatola nella stagione propizia.
biancastre. I Bianchetti hanno uno discreta fragranza ma — ils ont un petit goût d'ail — che li rende poco piacevoli. Il Tuber nigrum si trova da settembre ad
Conservazione al silicato. — Un metodo che dà ottimi risultati è quello del silicato di sodio o potassio. Consiste nell'immergere le uova in una soluzione al decimo: formata cioè con 100 grammi di silicato e un litro d'acqua, mettendole poi ad asciugare su un foglio di carta. Il silicato o vetro solubile, vetrifica la superficie e impedisce il passaggio dell'aria nell'interno. Le uova così conservate hanno però l'inconveniente di scoppiare se immerse nell'acqua bollente.
solubile, vetrifica la superficie e impedisce il passaggio dell'aria nell'interno. Le uova così conservate hanno però l'inconveniente di scoppiare se
Conservazione all'allume e all'acido salicilico. — Altri hanno consigliato di immergere le uova per una quarantina di minuti in una soluzione in parti uguali di allume ed acqua, passarle poi in una soluzione satura di acido salicilico e dopo qualche ora lasciarle asciugare e conservarle nella segatura.
Conservazione all'allume e all'acido salicilico. — Altri hanno consigliato di immergere le uova per una quarantina di minuti in una soluzione in
Conservazione col freddo. — Il sistema che più generalmente si diffonde per conservazioni su vasta scala è quello del frigorifero, mantenendo cioè le uova in apposite celle fredde in una temperatura tra + 1° e — 1° e con un grado igrometrico del 70 — 75 per cento. Ma anche questo sistema, che ha trovato specialmente in America, la più grande applicazione, non ha per le nostre lettrici che un interesse di curiosità, abbisognando di impianti vasti e costosi. I professori Venturoli e Franceschi hanno raccolto in una loro pregevole pubblicazione alcuni dati sui risultati ottenuti con i diversi sistemi di conservazione. Risulta da questo specchio che i metodi migliori sono: quello alla vaselina, quello al silicato e quello all'acqua di calce, al quale noi aggiungiamo quello all'olio perchè più pratico per piccole quantità. Del resto le nostre lettrici potranno, in base a questa nostra esposizione, fare qualche piccolo esperimento che permetterà loro di constatare, con poca spesa, quale metodo risponda più perfettamente ad una buona conservazione casalinga ed economica.
e costosi. I professori Venturoli e Franceschi hanno raccolto in una loro pregevole pubblicazione alcuni dati sui risultati ottenuti con i diversi
La mostarda di Cremona, è una preparazione speciale che si distacca dalle consuete mostarde. Bisogna provvedersi di una discreta quantità di frutta, come pere, mele, ciliegie, fichi immaturi, zucca, corteccia d'arancio, ecc., e cuocere separatamente ogni qualità di frutta in un po' di acqua e zucchero. La cottura dev'essere portata in modo da non far spappolare la frutta, che deve invece rimanere piuttosto dura. Cotta tutta la frutta si riuniscono i vari sciroppi che hanno servito a cuocere ogni qualità, si aggiunge dell'altro zucchero e si fa restringere sul fuoco in modo da ottenere uno sciroppo piuttosto denso nel quale si aggiunge della farina di senape sciolta in un pochino d'acqua. Si riunisce tutta la frutta in un recipiente, si ricopre con lo sciroppo preparato e si lascia qualche giorno in riposo prima dell'uso.
riuniscono i vari sciroppi che hanno servito a cuocere ogni qualità, si aggiunge dell'altro zucchero e si fa restringere sul fuoco in modo da ottenere uno
Per un chilogrammo di salsiccie, tritate o passate grossolanamente a macchina 850 grammi di carne di maiale e 150 grammi di lardo non salato. Naturalmente facendo le salsiccie per uso proprio è bene adoperare carne di prima scelta, senza troppi nervi nè tendini. Condite l'impasto con una trentina di grammi di sale, abbondante pepe nero in polvere e un mezzo cucchiaino di salnitro in polvere. Maneggiate accuratamente la pasta, affinchè tutti i vari ingredienti si amalgamino perfettamente. Fornitevi di qualche metro di budellino in salamoia, che potrete acquistare presso i negozianti che lavorano carni di maiale, risciacquatelo accuratamente in acqua fresca e poi immergetelo in acqua tiepida per fargli acquistare una maggiore morbidezza. Coloro che lavorano carni suine hanno una speciale macchinetta per insaccare. Ma in famiglia si può raggiungere ugualmente lo scopo usando un imbuto a largo collo. Introducete dunque il collo dell'imbuto nel budello, e facendo una operazione simile a quella di calzare un guanto, aggrinzite man mano il budello, raccogliendolo tutto sul collo stesso dell'imbuto. Legate l'estremità del budello e poi tenendo verticalmente l'imbuto per il collo, in modo che il budello non debba scivolar via, mettete nel cavo dell'imbuto un po' di carne alla volta spingendola con un bastoncino per farla passare nell'intestino del maiale. È un'operazione facilissima. Man mano che la carne scende l'accompagnerete con una breve pressione della mano in modo che non rimangano vuoti, e nello stesso tempo lascerete scivolare a poco a poco dalla mano che tiene l'imbuto, un altro po' di budello. Se pi fosse qualche pezzetto rotto vi affretterete a fare una legatura per potere andare innanzi. Quando avrete insaccato tutta la carne, fate ad intervalli regolari di quattro dita delle legature sul lungo salcicciotto, e avrete così ottenuto una ventina di salsiccie, che lascerete asciugare per qualche giorno in un luogo tiepido.
. Coloro che lavorano carni suine hanno una speciale macchinetta per insaccare. Ma in famiglia si può raggiungere ugualmente lo scopo usando un imbuto a
Dove si cucina molto con lo strutto — ad esempio nel Lazio e nel Napoletano — questa provvista casalinga è quasi un dovere. La chimica applicata alle sostanze alimentari ha fatto enormi progressi, e se sapeste che razza di pasticci si manipolano in alcune fabbriche al di là... e al di qua dei mari, non vi lascereste vincere dall'indolenza, la quale, specie nei riguardi dell'alimentazione, è quanto mai biasimevole. Conviene acquistare della sugna di prima qualità, tagliarla in piccoli pezzi e metterla a struggere a fuoco moderato in un caldaio di rame stagnato, o, trattandosi di piccole quantità in una grande padella. Alcuni aggiungono alla sugna una piccola quantità d'acqua che avrebbe per effetto di rendere lo strutto più bianco, ma è cosa controversa, e di cui noi abbiamo sempre fatto a meno. Preparate dei vasi cilindrici di terraglia che immergerete in una catinella piena d'acqua fresca. Quando vedrete che i siccioli hanno preso un bel color biondo, toglieteli, con una cucchiaia bucata, aspettate che lo strutto perda un po' del suo calore, e poi, con un ramaiuolo, versatelo adagio adagio nei vasi preparati. Si mette l'acqua nella catinella per sottrarre un po' di calore ai vasi, e per poter ricuperare il grasso se per un disgraziato accidente il vaso si rompesse. Lasciate che lo strutto si solidifichi tenendolo per una notte all'aria fredda, poi chiudete i vasi con della carta pergamena e riponeteli in dispensa. Dei siccioli avanzati potrete servirvi per fare delle pizze rustiche, adoperandoli come elemento ausiliario nel condimento di minestroni, zuppe d'erbe, ecc.
fresca. Quando vedrete che i siccioli hanno preso un bel color biondo, toglieteli, con una cucchiaia bucata, aspettate che lo strutto perda un po' del
La seguente ricetta è stata da noi studiata per offrire alle lettrici il modo di confezionare in casa, facilmente ed economicamente, le alici piccanti che si vendono in scatoline, e che hanno l'inconveniente di un prezzo un po' alto. Le dosi sono per dodici acciughe. Scegliete delle acciughe di qualità soda e di dimensioni piuttosto grandi. Apritele, togliete loro la spina e risciacquatele. Avrete ottenuto ventiquattro filetti che arrotolerete su sè stessi e disporrete in un piattino da antipasti o in altro recipiente adatto. Occorre ora preparare la salsa la quale viene tenuta come un grande segreto dalle varie case fabbricanti. Prendete una casseruolina, metteteci una cucchiaiata d'olio, un paio di cucchiaiate d'acqua, un po' meno di mezzo cipolla di media grandezza, un pezzo di cuore di sedano, cioè la parte centrale bianca e tenera, la metà di una carota gialla, un ciuffo di prezzemolo, mezza foglia di lauro, una forte pizzicata di pepe e un pezzetto di peperoncino rosso piccante (più o meno secondo vorrete ottenere un prodotto più o meno rilevato di gusto). Mettete la casseruolina sul fuoco e lasciate cuocere su fuoco debolissimo rinfondendo di quando in quando un po' d'acqua in modo che i legumi non abbiano mai a soffriggere. Converrà tenerli sul fuoco per circa mezz'ora, e debbono risultare sfatti. A questo punto ravvivate un po' il fuoco e mescolando fate perdere a questi legumi un po' di umidità così da ottenere una poltiglia piuttosto asciutta. Rovesciate questa poltiglia sul setaccio dove metterete anche altre tre acciughe lavate spinate e fatte a pezzi. Passate il tutto raccogliendo la purè di alici e legumi in una scodella. Sciogliete questa purè, che deve essere molto densa, con tre o quattro cucchiaiate d'olio, mescolando bene per amalgamare ogni cosa. Versate questa specie di salsa sui filetti di alici già preparati e lasciateli insaporire per qualche ora. Volendo, si può aromatizzare la salsa con poche goccie di buonissimo aceto.
piccanti che si vendono in scatoline, e che hanno l'inconveniente di un prezzo un po' alto. Le dosi sono per dodici acciughe. Scegliete delle acciughe di
Per le famiglie sono consigliabili gli utensili di alluminio e più ancora quelli in porcellana resistente al fuoco i quali, oltre ai pregi tecnici e costruttivi, hanno anche una speciale eleganza che consente di presentarli in tavola. Sono poi indispensabili una scolamaccheroni, un ramaiolo, una cucchiaia bucata e un forchettone.
costruttivi, hanno anche una speciale eleganza che consente di presentarli in tavola. Sono poi indispensabili una scolamaccheroni, un ramaiolo, una
La questione dei funghi commestibili e dei funghi velenosi è quella che più deve preoccupare chi è a capo di una famiglia, poichè l'esperienza insegna quanto sia difficile poter giudicare se un fungo è o non è velenoso. Gli avvelenamenti con funghi non sono purtroppo infrequenti e la storia ci dice che anche personaggi illustri trovarono la fine cibandosi di funghi. Nelle grandi città si procede ad una verifica che può dare sufficienti elementi di garanzia; ma il pericolo maggiore è nei piccoli centri e nelle campagne dove i funghi vengono venduti senza controllo, quando non sono addirittura raccolti per uso proprio. In genere vengono cucinate una cinquantina di specie di funghi, tra le quali ve ne sono circa venti velenose, difficilissime a conoscersi dalle commestibili, presentando lo stesso aspetto e gli stessi caratteri. Si dice, ad esempio, della infallibile sicurezza dell'ovolo vero (amanita caesarea) e del cocco od ovolo bianco, ma anche in questa famiglia c'è l'ovolo falso o malefico e il cocco bastardo, ambedue velenosi. Nel gruppo degli agarici sono anche funghi commestibili e velenosi, come, ad esempio, il prataiolo, l'agarico grigiastro, ecc., facilmente confondibili con la rossola velenosa, il fungo peperone, l'agarico dissenterico, ecc. Nè maggiore sicurezza offre il fungo porcino, potendo essere facilmente confuso col porcino malefico. È risaputo che le prove empiriche dell'aglio, della cipolla o quelle del cucchiaio d'argento o della lama di coltello sono assolutamente da escludersi. Meglio attenersi in genere ai seguenti consigli, per i quali sono da schivarsi: Quei funghi che quantunque abbiano, come il prataiolo, il cappello bianco ed emisferico hanno la base del gambo bulbosa. — Quelli che con gambo grande e gibboso o squamoso, sostengono un cappello cosparso di verruche, oppure hanno la pelle coperta di pustole. — Quelli che infranti o screpolati fra le dita emanano un odore narcotico disgustoso. — Quelli che esalano un odore d'aglio, o che hanno sapore bruciante. — Tutti quei funghi che hanno il cappello tinto di rosso, azzurro o verde. — Quelli che spezzati o tagliati con un coltello assumono, al contatto dell'aria colorazioni diverse. — Quelli che tagliati si trovano pieni di succo lattiginoso. — Quelli che hanno la carne cordacea o sugherosa. — Quelli che non sono in nessun modo toccati dagli insetti, e, finalmente, quelli che si ritrovano su tronchi di albero dotati di proprietà deleterie. Ad ogni modo, e per concludere, bisogna usare solo di quei funghi che in ciascun paese l'esperienza secolare ha dimostrato essere veramente commestibili. In caso di sintomi di avvelenamento per funghi ricorrere immediatamente in attesa del medico a un vomitivo (acqua calda saponata) e subito dopo somministrare un energico purgante di olio di ricino. Evitare qualsiasi bevanda acida, o acque purgative in cui entri il sal di cucina.
prataiolo, il cappello bianco ed emisferico hanno la base del gambo bulbosa. — Quelli che con gambo grande e gibboso o squamoso, sostengono un