E sopratutto non temete di degradarvi cingendo il bianco grembiule di cuoca, nè di menomare le vostre grazie manipolando degli intingoli. A vostra consolazione e a vostro incoraggiamento potremmo citarvi migliaia di nomi di sovrani, di artisti, di poeti o di dame elettissime il cui ricordo è legato a bellezza incantevole o a severe opere dell'ingegno, che non solo non sdegnarono di coltivare l'arte gastronomica, ma che questa loro conoscenza a buon diritto vantarono. Il volume che vi presentiamo è tale da spronarvi nella via che vi indichiamo. Per la insolita ricchezza dell'edizione e per la forma chiara e signorile della trattazione, Voi potrete accogliere liberamente il presente libro nella vostra biblioteca e nei giorni di ricevimento mostrarlo senza dovere arrossire a tutte le vostre amiche, siano esse, come Voi, dame di fine eleganza e di impeccabile buon gusto. Il volume è edito sotto gli auspici della rivista «Preziosa», quella rivista che da quattordici anni si è imposta in tutte le famiglie per la praticità dei suoi insegnamenti e per il modo veramente unico con cui le varie ricette vengono esposte, modo che permette anche alla persona che non ha mai messo piede in cucina di portare a termine con pieno onore i manicaretti più complicati. Accade sovente anche nelle pubblicazioni fatte con una certa cura che a un dato momento l'autore o per incapacità tecnica o perchè non riesce a farsi comprendere lascia nel dubbio il lettore, il quale non sapendo come procedere nel suo lavoro chiude il libro e rinunzia alla progettata preparazione gastronomica. Tutto questo non avverrà consultando il nostro volume, che in esso portammo gli stessi intendimenti che ci guidarono sempre nella compilazione della nostra rivista, e che hanno avuto — perchè non dirlo?
momento l'autore o per incapacità tecnica o perchè non riesce a farsi comprendere lascia nel dubbio il lettore, il quale non sapendo come procedere nel
Il brodo è una delle preparazioni fondamentali della cucina. È il brodo che forma la base indispensabile di ogni specie di minestra, il brodo che con nuove addizioni di carne fornirà il «consommè», o servirà per salse, o verrà usato in un'altra quantità di casi. Occorre dunque avere il brodo nelle migliori condizioni, ciò che si ottiene con una oculata scelta degli elementi che lo compongono e più ancora con una cura continua e attenta. Buoni tagli di carne da brodo sono la copertina, il fianchetto, la spalla, la falsa costa, il petto ecc. Anche meglio sono la punta della culatta, e il «piccione» o nasello che hanno il pregio di offrire anche un bollito gustoso. In quanto alle ossa non bisogna prestar fede alla leggenda accreditata dai macellai, che cioè siano necessarie per ottenere un buon brodo. Checchè se ne dica, le ossa non servono che ad ingombrare la pentola. È tollerabile un osso col midollo. Per ogni chilogrammo di carne occorrono due litri di acqua fredda. Si pone la carne in una pentola, con l'acqua fredda, e si mette su fuoco moderato. L'acqua riscaldandosi a grado a grado, agisce sulle fibre della carne e dissolve le materie albuminose che esse contengono, e che salgono alla superficie sotto forma di schiuma, che deve essere subito tolta. È buona regola, mentre l'acqua si avvia all'ebollizione di versare, di quando in quando, qualche cucchiaiata di acqua fredda nella pentola, ciò che aiuta a liberare la carne da tutte le sue impurità. Più la schiumatura sarà stata fatta con cura, maggiore sarà la limpidità del brodo. Dopo schiumata la pentola, si sala, e vi si aggiungono cipolla, sedano, radica gialla, pomodoro ecc., che hanno lo scopo di comunicare al brodo il tono aromatico. E finalmente si tira sull'angolo del fornello e si lascia bollire dolcissimamente per qualche ora. È necessario che dal momento in cui si verifica l'ebollizione, il fuoco abbia sempre la stessa moderata intensità: un fornello a gas con la «veilleuse» serve ottimamente allo scopo. Quando la carne sarà giunta a perfetta cottura, si mette in una pentola più piccola, si copre con un po' di brodo e si tiene in caldo. Il brodo della pentola grande si sgrassa accuratamente, si passa attraverso una salvietta o un colobrodo, e si adopera.
, pomodoro ecc., che hanno lo scopo di comunicare al brodo il tono aromatico. E finalmente si tira sull'angolo del fornello e si lascia bollire
A proposito di «consommé» potrà forse tornare utile alle nostre lettrici la preparazione del cosidetto «tea di bue», assai adatto per ammalati o convalescenti, e in tutti quei casi in cui si ha bisogno di un valido corroborante. Il tea di bue si può fare in due modi: o con l'acqua o a secco. Il primo procedimento è assai usato dagli inglesi. Si prende mezzo chilogrammo di carne di buona qualità, senza grasso, nè pelli e la si trita minutamente. Si mette in una casseruola con una presina di sale e si scioglie con mezzo litro d'acqua fredda. Si fa bollire tre minuti, si passa a traverso una salvietta e si adopera. Il metodo a secco è più lungo, ma dà un risultato migliore. In genere per codesto tea di bue a secco ci sono in vendita degli speciali recipienti a chiusura ermetica, ma si possono adoperare anche delle bottiglie di vetro pesante, tipo bottiglie da champagne. Si trita finemente mezzo chilogrammo di carne magra di manzo e si mette nella bottiglia speciale o in una bottiglia da champagne, aggiungendo qualche granellino di sale. Se si adopera lo speciale recipiente da beeftea, si chiude col suo coperchio; se si tratta invece di una bottiglia da champagne, si chiude con un buon tappo di sughero, al quale si fa una legatura in croce. Si mette poi la bottiglia in una pentola nella quale possa stare ritta, si versa acqua fredda fino al collo della bottiglia, si porta lentamente all'ebollizione e si fa bollire per quattro ore circa. Si terrà pronta dell'acqua calda per sostituire quella della pentola man mano che, bollendo, evapora. È anche buona norma avvolgere la bottiglia con uno strofinaccio o con una salvietta. Dopo quattro ore di ebollizione si tira indietro la pentola e si aspetta che la bottiglia si raffreddi un poco, perchè se si estraesse subito dall'acqua bollente si correrebbe il rischio di creparla per il brusco contatto dell'aria. Si stura poi la bottiglia, e si passa il poco brodo ottenuto attraverso una salvietta, spremendo un poco la carne per estrarre tutto il prezioso liquido, che si lascia raffreddare. Quando sarà freddo si passa di nuovo a traverso una salviettina bagnata allo scopo di togliere ogni più piccola traccia di grasso e si somministra poi a piccole dosi.
una salvietta, spremendo un poco la carne per estrarre tutto il prezioso liquido, che si lascia raffreddare. Quando sarà freddo si passa di nuovo a
Friggere bene non è da tutti, e spesso, anzi, è proprio qui che vengono miseramente a naufragare così la pretensiosa prosopopea di tante cuoche, come i facili entusiasmi di qualche dilettante di cucina. Generalmente si frigge male perchè non si ha un'idea esatta dell'operazione della frittura, la quale è essenzialmente operazione di «concentrazione». Per lo più si frigge a tre gradi principali: a padella moderata, a padella ben calda, a padella caldissima; stadi, codesti, che si riconoscono assai facilmente. Nondimeno chi non fosse molto pratico potrà regolarsi così. La frittura è moderatamente calda quando gettandovi dentro un pezzetto di pane, questo provoca l'azione del grasso o dell'olio, che incominciano il loro ufficio: è ben calda quando lasciandovi cadere una goccia d'acqua si sente un crepitio secco; e finalmente è caldissima allorchè dalla padella si sprigiona un leggero fumo biancastro. Naturalmente ad ogni preparazione sottoposta all'operazione della frittura deve adattarsi uno di questi tre gradi. Così si frigge a padella moderata tutto ciò che contiene acqua di vegetazione, come patate o altri legumi, o frutta; oppure pesce e carni piuttosto voluminosi, che debbono cuocere interamente nella frittura, e nei quali la cottura completa deve arrivare insieme con il croccante e il color d'oro dell'involucro esterno. Si friggono invece a padella ben calda quelle cose le quali hanno già subito un principio di cottura o una cottura completa. Si tratta in questo caso di formare subito intorno agli oggetti immersi nella frittura uno strato solido affinchè l'interno rimanga compresso e non vada a passeggiare per la padella. Si friggono così le costolette e qualunque altra preparazione alla Villeroy, le supplì, le crocchette di diverse specie, le creme fritte, ecc. Il terzo grado, cioè la frittura a padella caldissima, si usa per piccoli pesci, per provature, e in genere per tutte le cose di limitate proporzioni di cui il calore deve subito impossessarsi. La quantità della frittura deve essere sempre proporzionata all'importanza e al volume delle cose da friggere. In ogni caso questi oggetti devono essere completamente immersi. La pretesa economia di coloro che friggono con pochissimo liquido si risolve in loro danno, poichè prima di tutto il fritto vien male: molle o carbonizzato, e poi il poco liquido adoperato brucia facilmente e deve essere gettato via, mentre se si dispone di abbondante grasso o olio, alla fine si passa attraverso un setaccino e si tiene in serbo per un'altra volta. Qual'è la miglior frittura? II burro, intanto, no, poichè non ha forza nè resistenza. Nelle trattorie e negli alberghi dove c'è molto lavoro si adopera il grasso di rognone di bue, ciò che rappresenta la frittura classica di grande resistenza. Ma il grasso di bue si fredda troppo facilmente e lascia subito una patina sulle cose fritte, la quale a sua volta insega la bocca di chi mangia. Per famiglia è meglio dunque non pensare al grasso di bue e adoperare lo strutto o meglio ancora l'olio, mediante il quale si ottiene una frittura croccante e dorata. L'olio infatti senza considerare che dal lato igienico è infinitamente superiore allo strutto, dove non si mai quel che ci sia — può raggiungere fino i 290 gradi di calore, ciò che non si ottiene con nessuna altra frittura. Molti hanno una ingiustificata avversione per friggere con l'olio. Prendano dell'olio di qualità buona e provino. Ne saranno soddisfatti. L'olio fine non comunica nessun sapore sgradevole alle cose fritte. Molte volte si tratta di pregiudizi e nulla più.
rognone di bue, ciò che rappresenta la frittura classica di grande resistenza. Ma il grasso di bue si fredda troppo facilmente e lascia subito una
E dopo aver fatto questo magnifico ragionamento qualcuno mette a cuocere la povera bestia, la estrae dal forno e la lascia inseccolire nella credenza. E i convitati avranno un pollo duro e senza alcun profumo. Ma allora voi direte: «Non si deve mai mangiare il pollo freddo?» Certo tra un vaso di fiori che vi piova sulla testa dal quarto piano e un pollo freddo è preferibile quest'ultimo; ma il pollo freddo dovrà soltanto essere servito occasionalmente, come ad esempio in un buffet di ballo, in una cena fredda, in un pique-nique, in una gita in mare. Però tutte le volte che si potrà servire caldo e cotto a regola d'arte non si dovrà avere la più piccola esitazione.
E dopo aver fatto questo magnifico ragionamento qualcuno mette a cuocere la povera bestia, la estrae dal forno e la lascia inseccolire nella credenza
La salsa di pomodoro che, specie nella cucina dell'Italia meridionale rappresenta un elemento diremo quasi fondamentale, è stata un poco detronizzata dal diffondersi in commercio di ottime salse in scatola, quasi pronte per l'uso. Ad ogni modo non crediamo inopportuno ricordare il semplicissimo procedimento per ottenere la vera salsa di pomodoro. Daremo due ricette. La prima è l'autentico procedimento napoletano. Si lavano i pomodori, si spezzano e si mettono in un tegame con dei legumi grossolanamente tagliuzzati come cipolla, sedano, carota gialla, basilico, ecc. Si fa bollire il tutto su fuoco moderato, e a lungo e si passa la salsa dal setaccio. Si condisce con un po' di sale e, se è necessario, si lascia finire di addensare. Generalmente a Napoli la salsa si completa con un pochino di strutto.
fuoco moderato, e a lungo e si passa la salsa dal setaccio. Si condisce con un po' di sale e, se è necessario, si lascia finire di addensare
Si condisce con sale e pepe e si lascia cuocere mescolando di quando in quando. Se si adopera pomodoro fresco non occorre bagnarlo con acqua, se si tratta invece di salsa in scatola converrà aggiungere un bicchiere di brodo o d'acqua. Lasciate cuocere piuttosto lungamente poichè il pomodoro più cuoce e più è buono. Se il pomodoro fosse di gusto un po' acidulo potrete correggerlo con l'aggiunta di un nonnulla di zucchero.
Si condisce con sale e pepe e si lascia cuocere mescolando di quando in quando. Se si adopera pomodoro fresco non occorre bagnarlo con acqua, se si
Le tartelette e le barchette sono piccoli involucri di pasta cotta al forno in stampine speciali e poi riempite con preparazioni varie, come filettini di alici, uova sode tritate, dadini di tonno, insalata russa minutissima, ecc. Si chiamano tartelette o barchette a seconda della loro forma: tartelette se hanno forma rotonda, barchette se ovale, dipendono la forma dal genere di stampina che si adopera. Si prepara una pasta con un ettogrammo di farina, 65 grammi di burro, un pizzico di sale e tre cucchiaiate d'acqua. Si riuniscono i vari ingredienti senza troppo lavorare, si arrotola la pasta in una palla e si lascia riposare un quarto d'ora. Poi si stende piuttosto sottile e con questa pasta si foderano una dozzina di stampine da tartelette o da barchette, previamente imburrate. Si riempiono le stampine foderate con dei fagiuoli secchi allo scopo di impedire che la pasta cuocendo abbia a distaccarsi dalle pareti della stampina. S'infornano, e dopo pochi minuti, quando la pasta sarà rassodata, si estraggono dal forno, si lasciano raffreddare un poco, delicatamente si tolgono via i fagiuoli e si fa uscire l'involucro di pasta dalla stampina. Come abbiamo fatto osservare per i «canapés», anche i modi di guarnire questi involucri di pasta sono numerosissimi e preferiamo lasciare al vostro buon gusto il modo di trarvi facilmente d'imbarazzo. Invece che della pasta descritta più sopra, potrete servirvi per foderare le stampine di ritagli di pasta sfogliata.
in una palla e si lascia riposare un quarto d'ora. Poi si stende piuttosto sottile e con questa pasta si foderano una dozzina di stampine da
Invece di presentare in tavola il burro in panini è assai più elegante foggiarlo a piccole conchiglie. La preparazione è facilissima. Ci sono in vendita degli utensili semplicissimi del valore di poche lire, che servono allo scopo. Si impasta il burro dandogli una forma stretta e piuttosto allungata e si lascia ben raffreddare. Si immerge un momento nell'acqua calda l'apposito ferro, si asciuga e si appoggia, dalla parte dentata, alla estremità del pane di burro, tirando con moderata pressione verso sè. Facendo così verrà a distaccarsi una lamina di burro che sotto la pressione del ferro scanalato, si arrotolerà su se stessa assumendo la forma di un ricciolo o di una piccola conchiglia. Man mano disporrete le conchigliette in un piattino da antipasti, avvertendo ogni volta di immergere il ferro nell'acqua calda e di asciugarlo. Resta inteso che queste conchigline potranno essere fatte anche con i burri composti.
allungata e si lascia ben raffreddare. Si immerge un momento nell'acqua calda l'apposito ferro, si asciuga e si appoggia, dalla parte dentata, alla estremità
Sono tutte minestre leggere, adatte a stomachi delicati. Per il semolino se ne calcola un cucchiaio a persona e si lascia cuocere una diecina di minuti.
Sono tutte minestre leggere, adatte a stomachi delicati. Per il semolino se ne calcola un cucchiaio a persona e si lascia cuocere una diecina di
L'arrow-root è una fecola, gradevole e digestiva. Se ne calcola circa un cucchiaio a persona. Si stempera nel brodo freddo, che si porta all'ebolizione, sempre mescolando. Quando l'ebollizione sarà raggiunta si mette il recipiente sull'angolo del fornello e si lascia bollire pian piano per un quarto d'ora.
'ebolizione, sempre mescolando. Quando l'ebollizione sarà raggiunta si mette il recipiente sull'angolo del fornello e si lascia bollire pian piano per un
È questa la famosa Soupe à l'oignon, una delle istituzioni della Paris qui s'amuse. Ciò non vuol dire che invece di degustarla nei varii restaurants notturni parigini non la si possa mangiare tranquillamente in casa propria, e senza attendere il pallido sorriso dell'alba. È una zuppa squisita, sana e nutriente. Si sbucciano e si tagliano in fette sottili due cipolle di media grandezza, si mettono in una casseruola con mezzo panino abbondante di burro, e quando la cipolla incomincia ad imbiondirsi leggermente si aggiunge un cucchiaino da caffè di farina. Si fa cuocere un minuto o due, e si bagna con un litro di acqua. Si condisce con sale, una presina di pepe bianco e si fa bollire adagio per mezz'ora. Intanto si taglia in fette un filoncino di pane, si abbrustoliscono le fette sul fuoco, e si grattano un po' di gruyère e un po' di parmigiano. Si prende una zuppiera, si fa uno strato di fette di pane, si cospargono di formaggio grattato, e si continua a fare degli strati di pane e formaggio, a seconda del numero dei commensali. Fatto questo, e trascorsa la mezz'ora di bollore regolare, si versa piano piano il brodo di cipolle nella zuppiera facendolo passare da un colabrodo, si copre e si lascia stufare per una diecina di minuti prima di mangiare. Con le dosi da noi date, e con un filoncino di pane, si possono avere tre buone zuppe.
copre e si lascia stufare per una diecina di minuti prima di mangiare. Con le dosi da noi date, e con un filoncino di pane, si possono avere tre buone
Queste crocchette si possono fare tanto con gli usuali capellini quanto con della pasta all'uovo tagliata molto fine. Si cuociono i capellini in acqua e sale, avvertendo di tenere la cottura relativamente breve; si scolano, si candiscono con un po' di burro e parmigiano e si allargano in un piatto piuttosto largo. Quando sono quasi tiepidi se ne prende un po' nel cavo della mano, ci si mette in mezzo un piccolo ripieno che può essere fatto sia con pezzetti di prosciutto, sia con formaggio fresco, sia con prosciutto e formaggio fresco insieme, sia con regaglie di pollo, pezzettini di carne cotta, ecc. Si chiude dando la forma di una usuale crocchetta e si mette in un piatto lungo dove si lascia freddare completamente. Si continua così fino ad esaurire tutti i capellini disponendo man mamo le crocchette ultimate una vicina all'altra nel piatto l'ungo. Pochi momenti prima dell'ora di colazione si prendono ad una ad una le crocchette, si passano nella farina, poi nell'uovo sbattuto e quindi nel pane pesto procurando di dar loro una buona forma. Si friggono poche alla volta in padella molto calda e appena di bel color d'oro si levano dalla padella e si lasciano sgocciolare. Si accomodano a piramide in un piatto con salviettina.
cotta, ecc. Si chiude dando la forma di una usuale crocchetta e si mette in un piatto lungo dove si lascia freddare completamente. Si continua così fino
Per sei persone si lessano, si sbucciano e si dividono in due sei uova. Si estraggono i torli senza rompere le chiare e si tritano sul tagliere. Si mette al fuoco una casseruola con 20 gr. di burro, e quando il burro è liquefatto si aggiunge una cucchiaiata di farina, si mescola un momento con un cucchiaio di legno e poi si bagna il composto con mezzo bicchiere abbondante di latte. Si fa cuocere, sempre mescolando, fino ad avere una salsa molto densa, che si condisce con sale, pepe e un po' di noce moscata. Si saranno intanto lessati un po' di spinaci, tanti, da ottenerne, dopo cotti e ben strizzati, una palla come un piccolo arancio. Anche questi spinaci si tritano minutamente sul tagliere. Si mettono allora gli spinaci e i rossi d'uovo nella salsa preparata, si mescola bene, si verifica il condimento e si finisce il composto con una cucchiaiata di formaggio grattato. Si rovescia il tutto in un piatto e si lascia freddare. Poco prima dell'ora di pranzo si prendono delle cucchiaiate del composto e se ne riempiono le mezze chiare. Si accomoda bene il ripieno nelle chiare, dandogli forma bombata, in modo da ottenere la forma di un uovo intiero. Si dà a queste uova una bella forma, pareggiandole con una lama di coltello; si passano delicatamente nella farina, nell'uovo sbattuto, nel pane pesto, e si friggono nell'olio o nello strutto ben caldo, fino a che prendano un bel color d'oro.
tutto in un piatto e si lascia freddare. Poco prima dell'ora di pranzo si prendono delle cucchiaiate del composto e se ne riempiono le mezze chiare. Si
Si taglia un rognone di maiale in fettoline sottili e si mette in una padellina con un nonnulla di olio su fuoco forte in modo da riscaldarlo subito con pochi colpi di fuoco. Il rognone va rosolato leggermente. Fatto questo si versa il rognone in un colabrodo e si lascia scolare per qualche minuto. Il rognone perde così tutto il sangue e la parte acquosa, senza indurirsi come accadrebbe inevitabilmente se si seguisse il metodo empirico usato da molte cuoche, cioè quello di fargli cavare dell'acqua a fuoco lento e di fargliela poi riassorbire, lavoro, questo, perfettamente inutile e che dà un risultato pessimo. Mentre il rognone sta scolando sbattete quattro uova e fate la frittata, che ripiegherete in forma di omelette, ricordando di mettere un pezzetto di burro nell'interno della frittata prima di ripiegarla, ciò che ha per iscopo di far gonfiare bene l'omelette e di comunicarle un maggior sapore. Appena fatta la frittata prendete una padellina pulita con un pochino di burro e a fuoco vivace passate nella padella il rognone scolato. Fate cuocere pochi minuti, condite con sale e pepe e ultimate con un nonnulla di marsala. Disponete l'omelette su un piatto ovale e alle due estremità dell'omelette ponete in due piccole piramidi il rognone.
con pochi colpi di fuoco. Il rognone va rosolato leggermente. Fatto questo si versa il rognone in un colabrodo e si lascia scolare per qualche minuto
Conoscete il pesce S. Pietro? Certo nella famiglia dei pesci non brilla per soverchia bellezza: scuro di aspetto, con un muso piuttosto imbronciato e delle ispide spine sulla groppa. Ma il S. Pietro può infischiarsene della sua poca venustà, e per due ragioni: la prima perchè è un pesce storico, la seconda perchè possiede una carne deliziosa. Si dice infatti che questo pesce fu toccato dalle mani dell'Apostolo pescatore, che non solo gli lasciò il suo nome, ma gli lasciò anche due segni visibili delle sante dita, segni che si riscontrano, uno di qua e uno di là, nel bel mezzo del dorso. Quanto alla squisitezza della sua carne, non è un mistero per i buongustai. Bollito o fritto il S. Pietro è buono, molto buono. E poichè della gente buona in questo tristo mondo ci si approfitta sempre, molti trattori e molti albergatori costruiscono coi filetti di S. Pietro, che costa meno, dei magnifici filetti di sogliole, che costano di più. È un ramo d'industria non troppo onesto, per quanto assai rimunerativo; e il S. Pietro, forse in omaggio al nome del grande Apostolo, cristianamente si rassegna, e lascia che la sua carne venga gabellata per filetti di sogliola alla Walenska. Réjane, Saint-Germain, Pompadour, Orly, Otéro, Mogador, ecc. Noi rifuggiamo dalle mistificazioni. Vi daremo dunque la ricetta per una squisita zuppa di pesce S. Pietro, zuppa che ha anche il pregio di uscire un po' dalla noia del consueto. Per otto persone acquistate un bel S. Pietro che pesi da un chilogrammo e mezzo a due. Nettatelo bene e risciacquatelo abbondantemente, e poi con un coltellino affilato sfilettatelo, staccando cioè dalla spina principale tutta la parte carnosa. L'operazione è facile e si eseguisce molto bene incominciando col fare un'incisione lunga e profonda su tutto il dorso e staccando poi con la lama del coltello tutta la carne dalla spina, prima da una parte e poi dall'altra. Se poi crederete che l'operazione sia troppo lunga, affidatela al negoziante che vi venderà il pesce, il quale vi caverà rapidamente d'impaccio. Mettete da parte la carne e tagliate in pezzi la testa e i cascami. Ponete una casseruola sul fuoco e in essa mettete un po' d'olio, una noce di burro, qualche aroma, come cipolla, carota gialla, prezzemolo, sedano, ecc., il tutto tritato, aggiungendo anche, se ne avete, un pizzico di funghi secchi. Appena i legumi saranno imbionditi mettete nella casseruola i cascami del pesce, e dopo che anche questi saranno rosolati bagnate ogni cosa con un litro e mezzo d'acqua ai quali aggiungerete un bicchiere di vino bianco. Condite con sale e pepe e lasciate bollire moderatamente. Dopo una mezz'ora prendete un'altra casseruola, metteteci una buona cucchiaiata di burro, e quando il burro sarà liquefatto aggiungete due cucchiaiate di farina, mescolate e lasciate cuocere pian piano per quattro o cinque minuti, sempre mescolando. Allora, per mezzo di, un colabrodo, passate il brodo del pesce nell'altra casseruola dove è la farina col burro, mescolate ancora per sciogliere bene la farina e continuate ad aggiungere il brodo di pesce fino a completo esaurimento. Rimettete il brodo sul fuoco e fate bollire nuovamente per un'ora, sull'angolo del fornello, togliendo man mano, con una cucchiaia bucata, la schiuma e le altre impurità che man mano verranno a galla. Quest'operazione, in termine di cucina, si chiama spogliare. Avvicinandosi l'ora del pranzo, prendete la carne del pesce lasciata in disparte, togliete la pelle e dividete i filetti in tanti pezzetti quadrati di un paio di dita di lato. Metteteli sul fuoco in una teglia con un po' di burro, conditeli con sale e pepe, bagnateli con un po' di vino bianco e lasciateli stufare, coperti, per qualche minuto. Appena cotti toglieteli dal fuoco mantenendoli in caldo vicino al fornello. Al momento di andare in tavola, mettete un paio di rossi d'uovo in una zuppiera, sbatteteli con una forchetta, stemperandoli con un po' di sugo di limone e conditeli con una cucchiaiata di prezzemolo trito. Su queste uova travasate il brodo di pesce, mescolate per amalgamare bene ogni cosa, poi distribuite nelle varie scodelle i quadratini di pesce cotto aggiungendo anche dei dadini di pane fritto, o più semplicemente, dei crostini abbrustoliti. Completate ogni scodella col brodo e fate portare in tavola.
nome del grande Apostolo, cristianamente si rassegna, e lascia che la sua carne venga gabellata per filetti di sogliola alla Walenska. Réjane, Saint
Per il pesce bollito non ci sono difficoltà. È meglio sempre servire un pesce grande che due o più pesci piccoli, e di preferenza una spigola. Il pesce va messo a cuocere con acqua fredda e qualche aroma come cipolla, carota gialla, prezzemolo, sedano, ecc., e va portato fino all'ebollizione dopo di che si tira la pesciera sull'angolo del fornello e si lascia finir di cuocere insensibilmente il pesce per un tempo proporzionato alla sua grandezza, ma pian piano, poichè un bollore tumultuoso oltre a rendere la carne meno sapida e tenera, lacererebbe irrimediabilmente tutta la pelle, rendendo il pesce di brutto aspetto. Per alcune qualità molto fini di pesce, come per esempio la trota o il salmone, la grande cucina usa invece dell'acqua semplice, uno speciale bagno detto «court bouillon». Per tre litri di bagno tagliuzzare tre cipolle e due carote gialle e farle appassire in una casseruola con un po' di burro. Aggiungere sedano, prezzemolo, una pizzicata di pepe in granelli e bagnare con due litri d'acqua e un litro di vino bianco. Sale in proporzione. Lasciare cuocere dolcemente per tre quarti d'ora, passare il bagno da un colabrodo e lasciarlo freddare. Metterlo poi nella pesciera, immergervi il pesce e procedere come si è detto più sopra. Il pesce si serve caldo in un piatto con salvietta, guarnendolo con delle patate piuttosto piccole lessate, degli spicchi di limone e qualche rametto di prezzemolo.
di che si tira la pesciera sull'angolo del fornello e si lascia finir di cuocere insensibilmente il pesce per un tempo proporzionato alla sua grandezza
Dando la ricetta dell'umido di manzo non abbiamo la pretesa di scoprire l'America. Ma purtroppo non sono molte le mammine che sanno fare a dovere questa elementare preparazione della cucina casalinga. Il miglior taglio di carne adatto per umido è il girello o il così detto piccione. Un'operazione che bisognerebbe sempre fare è quella di lardellare la carne. Per far ciò si tagliano una diecina di pezzi di lardo grossi come il dito mignolo e lunghi un paio di dita. Meglio ancora sarebbe fare questi lardelli con pezzi di prosciutto grasso e magro. Si mettono sul tagliere un pizzico di foglie di maggiorana, un pezzettino di aglio tritato, un pizzico di sale e un po' di pepe, e in questo composto si stropicciano i lardelli in modo che rimangano ben conditi. Si fanno con un coltellino a punta delle piccole incisioni nella carne, si allargano un po' col dito e in ognuna di queste incisioni si introduce un lardello. Fatto ciò si lega la carne con un po' di spago per mantenerla in forma. Si mette nella casseruola un pesto, ottenuto con un po' di lardo, grasso di prosciutto, un pezzettino di aglio e prezzemolo e quando questo pesto è liquefatto si aggiunge la carne, si condisce con sale e pepe e si lascia rosolare piano piano. Quando avrà presa una bella colorazione scura si bagna la carne con un mezzo bicchiere di vino secco e si continua a far rosolare fino a che il vino si sia asciugato. Si toglie allora la carne dalla casseruola e si mette in un piatto. Si saranno intanto preparate un paio di cipolle piccine, o una grande, una carota gialla, una costola o due di sedano e un po' di prezzemolo, il tutto finemente tagliuzzato. Mettete questi legumi in casseruola e fateli rosolare piano piano fino a che siano ridotti in una poltiglia biondo scura. Conducete l'operazione con lentezza e se i legumi tendessero a bruciacchiarsi bagnateli di quando in quando con una cucchiaiata di acqua. Quando i legumi saranno ben cotti e ben rosolati rimettete la carne nella casseruola, fate rosolare ancora tutto per un'altra diecina di minuti, rivoltando la carne di quando in quando, poi aggiungete del pomodoro passato, o qualche cucchiaiata di conserva di pomodoro in scatola, o della conserva nera diluita in un pochino di acqua calda, mescolate e poi bagnate con acqua a sufficienza. Chiudete la casseruola col suo coperchio e diminuite il fuoco, di modo che la cottura della carne possa coincidere coll'addensamento del sugo: il che avverrà — secondo la grandezza della carne — in un'ora o un'ora e mezzo. Vari sono i sistemi per fare l'umido di manzo; questo da noi descritto è certo tra i migliori perchè permette così alla carne come ai legumi di rosolare in modo perfetto, cosa che difficilmente si ottiene mettendo, come molti fanno, carne e legumi insieme.
pepe e si lascia rosolare piano piano. Quando avrà presa una bella colorazione scura si bagna la carne con un mezzo bicchiere di vino secco e si
Per fare questo speciale sandwich si adopera uno di quei pani rettangolari detti «a cassetta», del quale si utilizzano solamente la parte superiore e l'inferiore, lasciando alle due fette lo spessore di un centimetro circa. Si spalma abbondantemente il pane di burro. Intanto si fa arrostire sui ferri una bistecca di filetto, si condisce con sale e pepe, e si lascia freddare. Quando è ben fredda si spalma di mostarda, si pone tra le due fette di pane preparate, s'involge in un foglio di carta asciugante bianca, e si mette sotto un peso piuttosto forte. Dopo una mezz'ora il sandwich è pronto: lo si svolge dalla carta asciugante, e lo si mette in una scatola porta-sandwichs, o lo si avvolge con della carta bianca pesante. Fatene l'esperienza, signore gentili; e dopo una bella passeggiata campestre, allorchè l'aria e il sole avranno avvivato il color roseo delle vostre gote, sedetevi sul prato, e coi minuscoli dentini assalite risolutamente il delizioso sandwich. Il quale è conosciuto in Inghilterra col nome di «Sandwich del bookmaker».
ferri una bistecca di filetto, si condisce con sale e pepe, e si lascia freddare. Quando è ben fredda si spalma di mostarda, si pone tra le due fette di
Questi tempi di cottura si applicano anche ai zamponi, e a tutte le altre specie di carni insaccate. Arrivata la cottura al suo termine si tira indietro il recipiente e lo si lascia vicino al fuoco se il coteghino deve essere servito caldo, altrimenti si lascia freddare nel brodo stesso. Il coteghino freddo è forse più consigliabile perchè si può affettare meglio. Del resto anche disponendo le fette fredde sul contorno caldissimo, si riesce a toglier loro quel senso assoluto di freddo e ad averle sufficientemente tiepide. Per il riso vi regolerete così. Mettete in una casseruola un pochino di strutto o di burro — poco — e fate soffriggere in esso qualche fettina di cipolla tagliata sottilmente. Aggiungete allora una quantità di riso proporzionata al numero delle persone, calcolandone una cinquantina di grammi a commensale, fatelo insaporire un momento staccandolo e mescolandolo con un cucchiaio di legno e poi bagnatelo col brodo del coteghino. Generalmente questo brodo è sufficientemente salato: ad ogni modo non sarà male di gustare il riso, per correggerlo all'occorrenza. Quando sarà cotto mettete la casseruola sull'angolo del fornello, fate col cucchiaio un vuoto nel mezzo del riso, e in questo vuoto mettete un po' di parmigiano grattato. Coprite la casseruola, lasciate riposare un paio di minuti, poi con una forchetta mescolate il riso e versatelo in un piatto ovale, disponendo nel mezzo, allineate, le fette di coteghino. Si fa anche con le lenti.
indietro il recipiente e lo si lascia vicino al fuoco se il coteghino deve essere servito caldo, altrimenti si lascia freddare nel brodo stesso. Il
Il cinghiale è ottimo a patto che sia ben cucinato. Dopo averlo raschiato e fiammeggiato si risciacqua accuratamente, si asciuga in una salvietta e si mette sotto marinata, condizione quasi indispensabile per ottenere un risultato perfetto. Se il pezzo di cinghiale non è molto grosso si lascia intero, altrimenti si suddivide prima di fargli subire l'azione della marinata. Tanto per la marinata come per il modo di cottura riferitevi esattamente a quanto è stato detto per il «Coscetto di montone uso capriolo». Noi preferiamo ultimare il cinghiale con la salsa di ribes, la quale è anche descritta nella ricetta già nominata del coscetto di montone. Chi invece preferisce il cinghiale in agro dolce lo finisca con questa salsa, che si trova nello speciale capitolo. Completerete la salsa [immagine] agro dolce con un pugno di pinoli, qualche visciola secca disossata e con mezza cucchiaiata di corteccia d'arancio candita, ritagliata in filettini.
si mette sotto marinata, condizione quasi indispensabile per ottenere un risultato perfetto. Se il pezzo di cinghiale non è molto grosso si lascia
Il tacchino bollito si serve di preferenza caldo. Per poterlo tagliare bene senza che i vari pezzi abbiano a rovinarsi si ricorre ad un piccolo espediente. Cotto che sia si mette in un piatto e si lascia freddare. Allora essendo la carne fredda più compatta, si taglia il tacchino in pezzi regolari, che poi si rimettono vicino al fuoco in una teglia e coperti di brodo, lasciandoli in caldo fino al momento di mandarli in tavola.
espediente. Cotto che sia si mette in un piatto e si lascia freddare. Allora essendo la carne fredda più compatta, si taglia il tacchino in pezzi regolari
A quasi tutti riesce graditissimo il pollo alla diavola, il quale, a dispetto del suo nome infernale, è molto buono e si lascia mangiare senza la più piccola protesta. Sarà preferibile scegliere dei polli non troppo grossi, ma bene in carne e teneri. Dopo avere ben fiammeggiato il pollo per liberarlo dalla peluria, si mette sul tagliere con la groppa in alto, e con un coltello a punta si fende in lungo tutta la groppa. Si apre il pollo, si libera dalle interiora, ai lava e si asciuga. Fatto questo si rimette sul tagliere con la groppa tagliata in giù, e con la mano si preme sul petto, in modo da schiacciare il pollo senza tuttavia deformarlo. Si prepara un piatto con olio, sale e pepe, e con quest'olio preparato si unge bene il pollo, che si mette poi sulla gratella a fuoco piuttosto vivace. Si volta di quando in quando, e lo si unge spesso. Se il pollo è giovine, una mezz'ora di cottura è più che sufficiente. Si mette il pollo nel piatto e si guarnisce con qualche spicchio di limone. Nelle cucine di restaurant o di albergo si usa per questa preparazione una doppia gratella, nella quale il pollo rimane stretto, sì che non si volta il pollo, ma la gratella. Ma trattandosi di cucina di famiglia può bastare una semplice gratella da bistecche. Il pollo viene bene ugualmente.
A quasi tutti riesce graditissimo il pollo alla diavola, il quale, a dispetto del suo nome infernale, è molto buono e si lascia mangiare senza la più
Si procede in tutto come si è detto sopra, solamente invece di aggiungere la salsa di pomodoro o il sugo di umido si insaporiscono le budelline con un cucchiaino di estratto di carne in vasetti. Quando le budelline sono cotte si sbattono in una scodella uno o due rossi d'uovo, secondo la quantità delle budelline, si diluiscono con una cucchiaiata d'acqua o di brodo, ci si aggiunge il sugo di mezzo limone e una cucchiaiata di prezzemolo trito. Si tira la casseruola contenente le budelline sull'angolo del fornello; vi si versano le uova, si mescola, si copre la casseruola e si lascia riposare vicino al fuoco per cinque minuti.
tira la casseruola contenente le budelline sull'angolo del fornello; vi si versano le uova, si mescola, si copre la casseruola e si lascia riposare
La trippa alla romana si può fare in due modi: uno, il più costoso, è quello veramente tradizionale, l'altro il più economico, è quello generalmente adottato nelle famiglie, ed è ugualmente buono e raccomandabile In sostanza i due metodi differiscono soltanto in questo: nel primo s'insaporisce la trippa in un buon sugo d'umido di manzo, mentre nel secondo ci si accontenta d'insaporirla in un «sugo così detto «finto». Si scelga il primo o il secondo sistema, l'operazione fondamentale rimane sempre la stessa. Per sei persone si prende un chilogrammo di trippa, si netta bene, si risciacqua abbondantemente, poi si taglia in pezzi piuttosto grandi e si mette a cuocere, in acqua fredda, in una pentola con sale, una mezza cipolla, un po' di sedano e una carota gialla. Si schiuma diligentemente la pentola e si lascia bollire su fuoco moderato fino a cottura, ciò che avverrà in circa cinque ore. Quando la trippa è cotta si taglia in fettuccie larghe circa un dito e s'insaporisce. Se avete del buon sugo d'umido denso non avrete che passare la trippa tagliata in una casseruola per farla sobbollire una mezz'ora nel sugo d'umido. Altrimenti farete così: mettete in una casseruola un po' di cipolla finemente tagliata e un pesto di lardo, prezzemolo e una puntina d'aglio. Aggiungete anche qualche fettina di prosciutto grasso e magro e quando la cipolla sarà imbiondita mettete ancora un paio di cucchiaiate colme di salsa di pomodoro, e un pochino di acqua. Quando il pomodoro sarà cotto e la salsa ristretta mettete giù la trippa tagliata come si disse sopra, lasciatela sobbollire lentissimamente sull'angolo del fornello per una mezz'ora, per darle il tempo d'insaporirsi perfettamente. Verificate se sta bene di sale e mandatela in tavola ben calda, facendo servire insieme del parmigiano grattato, nel quale si saranno poste delle foglioline tagliuzzate di menta romana. L'accompagnamento di parmigiano e menta è obbligatorio, e costituisce una caratteristica di questa famosa pietanza.
sedano e una carota gialla. Si schiuma diligentemente la pentola e si lascia bollire su fuoco moderato fino a cottura, ciò che avverrà in circa cinque ore
Occorre un grandissimo vassoio in metallo argentato o un'enorme piatto da portata. Preparate un litro della nostra gelatina sbrigativa, e, prima che si rapprenda versatene un poco sul fondo del piatto in modo da velarlo completamente. Lasciate rapprendere questo strato di gelatina e poi disponeteci sopra in file regolari le seguenti cose: una fila di mezzi piedi di porco (lessati disossati e poi conditi con sale, pepe, olio, limone e un pizzico di senape inglese o un cucchiaino di mostarda francese) una fila di galantina, una fila di «roast-beef», una fila di fette di vitello tartufato arrostito e freddo, e una fila di fette di prosciutto cotto; si contorna il piatto con delle fette di uovo sodo e con delle code di gamberetti sgusciate e si fa una sobria decorazione con fettine di cetriolini, cappelle di funghi sott'olio e qualche fettina di tartufo nero. Si ricopre il tutto di gelatina fusa e si lascia rapprendere. Come vedete è un piatto freddo, non certo difficile a prepararsi, ma che offre ai convitati una serie variata di piccole cose squisite. L'importante è che il piatto sia montato con grande cura e che le file dei vari componenti siano disposte molto bene e a regolari intervalli.
fusa e si lascia rapprendere. Come vedete è un piatto freddo, non certo difficile a prepararsi, ma che offre ai convitati una serie variata di
Circa le barbabietole noi consiglieremmo di non servirsene, o di servirsene solamente per la decorazione, poichè comunicano un color rosso a tutta la maionese, ciò che la rende poco gradevole alla vista. Ad ogni modo se si vogliono adoperare delle barbabietole — lessate o cotte al forno — converrà prima tagliarle in fette e tenerle quattro o cinque ore in un bagno d'aceto, che ne fìssa sufficientemente il colore. Raccogliete tutti i legumi lessati e tagliati in piccoli pezzi in un'insalatiera e conditeli con sale, pepe, olio, aceto, e, se credete, un cucchiaino di mostarda sciolta in un dito d'acqua. Circa la quantità regolatevi. Per sei persone, ad esempio, potrete adoperare cinque o sei patate di mezzana grandezza, un paio di carote gialle grandette, una piccola cima di cavolfiore o di broccolo, oppure un paio di zucchine, un paio di carciofi, un pugno di fagiolini, ecc. Nell'insalata unirete anche una cucchiaiata di capperi, qualche cetriolino in fettine e due o tre alici lavate, spinate e tagliate in filettimi, e, se ne avete, una o due cucchiaiate di aceto al dragoncello. Se dovete servire la sola insalata russa, mischiate in essa qualche cucchiaiata di salsa maionese, accomodatela a cupola in un piatto, ricopritela di salsa maionese e decoratela con cetriolini, capperi, uova sode, acciughe ecc. Se invece dovrete fare una maionese, dopo aver preparato l'insalata russa, preparate anche il pesce. Il pesce per la maionese può essere delle più svariate qualità: cefalo, spigola, palombo, aragosta, ecc. Si preferiscano i pesci che possono spinarsi completamente. Certo di questi tempi in cui gli alimenti in genere, e specie i pesci, sono carissimi, troveremmo inopportuno sacrificare un dentice o una spigola per una maionese. Queste qualità fini possono adoperarsi soltanto in via eccezionale, o quando, ad esempio, da un pranzo siano rimasti un bel pezzo di pesce lesso o arrosto. E allora l'utilizzazione è convenientissima. Altrimenti si adopererà del cefalo o, di preferenza, del palombo, che ha una sola spina e si prepara facilissimamente. Quando il pesce non sia avanzato, e si debba preparare espressamente per la maionese, invece di lessarlo, è meglio spinarlo, tagliarlo in fette, e poi cuocerlo in una teglia con un po' di burro o olio, sale e pepe. Appena cotto, ciò che accade in pochissimi minuti, si leva dal fuoco, vi si spreme su un po' di sugo di limone e si lascia raffreddare.
La maionese di grasso si fa con carne di pollo lessata o arrostita. Si disossa il pollo, si libera dalla pelle, si taglia in fettine, si condisce con sale, pepe, olio, aceto e prezzemolo trito, si lascia stare così un paio d'ore e si procede poi come per la maionese di pesce. Una maionese di grasso assai ricca si può confezionare usando dei filetti di tacchino cotti col burro in una teglia, e poi conditi come si disse più sopra.
sale, pepe, olio, aceto e prezzemolo trito, si lascia stare così un paio d'ore e si procede poi come per la maionese di pesce. Una maionese di grasso
Il cappon magro è uno dei piatti tradizionali della cucina genovese; e bisogna dire che la sua non è una di quelle fame così spesso scroccate nel mondo. Si tratta di una specie di maionese, ma con una salsa speciale, e accomodata sopra uno strato di gallette, o come si dice, in genovese, di «bescheutti de pan». Il cappon di galera si può fare ricco quanto si vuole, e quando è eseguito con diligenza, e sopratutto montato con gusto, alternando bene i colori, è piatto che produce sempre un grande effetto. Ci si provvede di una certa quantità di gallette, secondo il numero delle persone, si spezzano e si bagnano in acqua e aceto per farle rinvenire. Si lessano poi tutti i legumi di cui si può disporre, come patate, carote gialle e rosse, cavolfiori, fagiolini, ecc., si fanno in dadi, si condiscono con sale, pepe, olio e aceto, e a questi legumi si uniscono funghi sott'olio, cetriolini, acciughe, capperi, olive verdi, uova sode e gamberi (che si saranno fatti bollire o friggere). Per ultimo si lessa un bel pesce cappone, si lascia freddare, si spina accuratamente, dividendo la carne in pezzi non tanto piccoli, e si condisce con sale, pepe, olio e limone. Volendo, si potrà aggiungere al pesce cappone anche la carne di un'aragosta bollita, aperta e fatta in dadi grossi. Preparata ogni cosa si fa la salsa, la quale si ottiene pestando in un mortaio di legno una buona quantità di prezzemolo, uno spicchio d'aglio, due acciughe, qualche pinolo, capperi, cetriolini, la polpa di qualche oliva in salamoia, un po' di midolla di pane inzuppata nell'aceto e spremuta e due torli di uova. Quando i vari ingredienti sono ben pestati, si passa la salsa e si diluisce con olio e aceto in modo da averla piuttosto colante. Si procede allora al montaggio del piatto, per il quale, come abbiamo detto, occorre diligenza e un po' di gusto. Si fa prima uno strato di base con le gallette ben spremute e poi s'incominciano a disporre i vari legumi a gruppi, avendo cura di alternare i colori. Dopo un primo strato di legumi si mette un po' di pesce, un po' di salsa, e si passa a fare un secondo strato e via di seguito, dando man mano alla pietanza la forma di una cupola. Ultimato il piatto si versa su tutto la salsa rimasta e si guarnisce il cappon di galera con spicchi di uova sode, alici, olive, gamberi, ecc.
, acciughe, capperi, olive verdi, uova sode e gamberi (che si saranno fatti bollire o friggere). Per ultimo si lessa un bel pesce cappone, si lascia
Condizione essenziale per cucinare i piselli in qualsiasi modo è di averli ben freschi, piccini e teneri. Mettere in una casseruola un pezzo di burro, dei piselli, sale e un cucchiaino di zucchero in polvere e amalgamare il tutto con le mani in modo da avere una massa compatta. Le proporzioni tra il burro e i piselli sono queste: un ettogrammo di burro per un litro di piselli. Questa misura di un litro, assai comoda, si determina servendosi di una piccola casseruola che contenga giusto un litro d'acqua. Impastati i piselli col burro si lascia la casseruola al fresco per una ventina di minuti, poi si mette sul fuoco con un bicchiere d'acqua, un cuore di lattuga, legato col filo affinchè le foglie non si stacchino, un mazzettino di prezzemolo e due o tre cipolline novelle. Mettete una scodella contenente dell'acqua come coperchio alla casseruola e fate bollire i piselli dolcemente sull'angolo del fornello fino a completa cottura. La scodella deve essere di porcellana resistente al fuoco altrimenti si corre il rischio di vederla spaccare, e di rovinar tutto. Al momento di mandare in tavola impastate in un piatto mezzo panino scarso di burro con un cucchiaino di farina e mettetelo nella casseruola dopo aver tolto la lattuga, il prezzemolo e le cipolline. Il burro così preparato serve per legare i piselli. Lasciate un momento vicino al fuoco, mescolate con un cucchiaio di legno e versate nel piatto di servizio.
una piccola casseruola che contenga giusto un litro d'acqua. Impastati i piselli col burro si lascia la casseruola al fresco per una ventina di minuti
Si leva il torsolo alle melanzane e se ne taglia via una calotta di un paio di dita che si lascia da parte. Si vuotano con un coltellino in modo da estrarne la polpa, la quale si spreme con le mani e si mette nell'acqua fresca. Si fa un sugo con olio, aglio, pomodori a pezzi, senza pelle e senza semi, ci si unisce la polpa tritata, sale, pepe, basilico, prezzemolo, e un pizzico di zucchero. E quando questa polpa è cotta vi si mescola un po' di mollica di pane grattata. Col composto ottenuto si riempiono le melanzane, e si ricoprono con i coperchi tenuti in serbo, si mettono ben strette in una casseruola o in un tegame (cuocendo diminuiscono assai di volume e potrebbero cadere e vuotarsi). Si versano nella casseruola due dita di acqua e un po' di olio, vi si aggiungono pomodori a pezzi in abbondanza, e si cuociono le melanzane a fuoco lento. A metà cottura si mette un po' di fuoco anche sul coperchio.
Si leva il torsolo alle melanzane e se ne taglia via una calotta di un paio di dita che si lascia da parte. Si vuotano con un coltellino in modo da
Disponete a fontana sul tavolo di cucina un chilogrammo di farina di prima qualità. Noteremo qui incidentalmente che per tutti gli usi di pasticceria il mediocre dovrebbe essere escluso, specie per quel che riguarda il burro e la farina. Sarebbe opportuno adoperare soltanto quella qualità finissima di farina detta di Ungheria, e che è speciale per i dolci. Tornando alla pasta frolla dopo aver fatto la fontana con la farina metteteci 700 grammi di burro, grammi 350 di zucchero in polvere, tre uova intiere, tre rossi e la raschiatura di un paio di limoni o di un grosso arancio, o anche un pizzico di cannella in polvere. Impastate prima il burro con lo zucchero, fate assorbire poi le uova, e da ultimo tutta la farina. Questa pasta non va molto lavorata; riuniti i vari ingredienti se ne fa una palla e si lascia riposare almeno per una mezz'ora in luogo fresco. Da queste dosi fondamentali potrete ricavare le proporzioni per la quantità di pasta frolla che vi occorresse, aumentando o riducendo.
molto lavorata; riuniti i vari ingredienti se ne fa una palla e si lascia riposare almeno per una mezz'ora in luogo fresco. Da queste dosi fondamentali
È questa una delle creme più fini della pasticceria moderna. Si rompe in pezzi una tavoletta di cioccolato e si mette in una casseruolina bagnandola con pochissima crema di latte sciolta. Si scalda per liquefare la cioccolata e con un piccolo cucchiaio di legno si scioglie perfettamente. Quindi si travasa in una terrinetta e si lascia freddare. Si prende poi una piccola frusta di filo di ferro e si lavora energicamente la crema fino ad averla leggera e ben montata. Lavorandola imbianchisce un poco. Serve per farcire delle torte e anche delle piccole paste dolci.
travasa in una terrinetta e si lascia freddare. Si prende poi una piccola frusta di filo di ferro e si lavora energicamente la crema fino ad averla
Del panettone, il famoso dolce specialità milanese, esistono numerose ricette, e ci è anche occorso di leggerne alcune, amenissime, a base di cremore e bicarbonato. Vi offriamo, secondo la nostra consuetudine, la ricetta milanese autentica, non nascondendovi che la lavorazione è piuttosto lunga e difficile e che condizione essenziale per la riuscita è di disporre di un forno a mattoni. Le dosi sono le seguenti: Farina kg. 1, lievito di pane gr. 500, burro gr. 250, zucchero gr. 250, sale gr. 9, gialli d'uovo n. 6, uova intiere n. 3, qualche cucchiaiata di uva sultana e cedro candito a dadi. Il panettone di Milano è tra le poche preparazioni nelle quali si impiega il lievito di pane. Il lievito dev'essere tenuto piuttosto forte, perchè la pasta, a causa delle uova, dello zucchero e del burro viene ad essere molto ingrassata. La preparazione del lievito ha un'importanza principale. Si prendono 100 grammi di pasta di pane, si aggiungono un paio di cucchiaiate di farina e di acqua tiepida tanto da ottenere una pasta un po' dura, se ne fa una pallottola sulla quale si tracciano due tagli in croce. Si mette una salviettina infarinata sul fondo di un recipiente, ci si pone sopra la palla di lievito, si copre e si lascia lievitare in un luogo tiepido per circa tre ore. Trascorso questo tempo si pesa il lievito e si rimpasta con una quantità di farina uguale al suo peso, aggiungendo naturalmente acqua tiepida in proporzione. Si lavora bene la pasta, se ne fa nuovamente una palla, si taglia in croce e si rimette a lievitare per altre tre ore, trascorse le quali si ripesa il lievito e si rimpasta con un uguale peso di farina, regolandosi come si è detto prima. Quando il lievito sarà cresciuto per la terza volta è pronto per essere adoperato per il panettone. Si fa la fontana con la farina già pesata (1 chilogrammo) e nel mezzo si mette il sale e 500 grammi del lievito preparato (se vi avanzerà del lievito lo terrete in serbo per altri usi). Sul lievito si versa il burro sciolto vicino al fuoco e s'incomincia ad impastare, aggiungendo i rossi d'uovo e le uova intere, poi lo zucchero sciolto in poca acqua tiepida. Se vedete che c'è bisogno di acqua aggiungetene poca alla volta. Lavorate energicamente la pasta a lungo, in modo che risulti piuttosto dura, lucida ed asciutta. Per ultimo si aggiunge l'uvetta e il cedro candito tagliato in piccoli dadi. Si lascia riposare la pasta per un'ora e poi si taglia in tanti pezzi per quanti panettoni si vogliono fare. Ogni pezzo si rotola con entrambe le mani e se ne fa una palla, che si dispone su carta unta e infarinata. Molti usano circondare il panettone con una striscia alta di carta unta affinchè possa crescere molto in altezza. Si mettono a lievitare i panettoni in luogo tiepido per circa 6 ore e quando essi saranno aumentati di volume e soffici al tatto, si fa su ognuno un leggerissimo taglio in croce e si passano in forno ben caldo. Man mano che prendono colore si portano alla bocca del forno e sollecitamente si sollevano con le dita i quattro angoli dove fu fatto il taglio, mettendo nel mezzo un pezzetto di burro. Si rimettono i panettoni in forno, si chiude, applicando sulla bocca del forno stesso uno strofinaccio bagnato, allo scopo di sviluppare nel forno un po' di vapore, che darà lucentezza al. panettone.
di lievito, si copre e si lascia lievitare in un luogo tiepido per circa tre ore. Trascorso questo tempo si pesa il lievito e si rimpasta con una
Se il burro è molto duro si mette prima in una salviettina bagnata, e si maneggia un poco per ammorbidirlo, poi si passa in una terrinetta e si lavora con un cucchiaio di legno finchè diventa morbido come una crema, e ben montato. Vi si aggiunge allora lo zucchero in polvere, e si continua a lavorare col cucchiaio, e poi, uno alla volta, i sei rossi d'uovo, avvertendo di non metterne un altro se il precedente non si è bene amalgamato alla massa. Si mette poi la farina a cucchiaiate sempre mescolando. Infine si uniscono l'uvetta e le scorzette tagliate in filettini, il rhum, e in ultimo le chiare che si saranno montate a parte. Si prende una stampa liscia, o una piccola casseruola, si fodera nel fondo e intorno alle pareti con della carta bianca imburrata, e vi si versa il Plum-cake, facendo attenzione che la pasta arrivi soltanto ai due terzi della stampa. Si cuoce a forno moderato per un'ora e più, fino a che il Plum-cake sia ben colorito. Si conosce il grado giusto di cottura appoggiando un dito sul centro della pasta. Premendo, non si deve sentire nessun rumore. Se invece la pasta sotto la pressione del dito fa un rumore leggero come se friggesse, significa che contiene ancora dell'umidità. Cotto bene, si toglie il Plum-cake dalla stampa, si lascia freddare su una griglia o su un setaccio, e poi si taglia in fette sottili.
dell'umidità. Cotto bene, si toglie il Plum-cake dalla stampa, si lascia freddare su una griglia o su un setaccio, e poi si taglia in fette sottili.
Proporzionalmente al numero delle persone — due o tre cucchiaiate di macédoine sono sufficienti per una persona — prendete della frutta di stagione come pere, mele, banane, ananas, e ritagliate ogni cosa in dadini. Potrete aggiungere fragole piccole di bosco o grandi di giardino, lamponi, ribes sgranato, mandorle fresche sgusciate e divise a metà ecc. Tanto più varia sarà la macédoine e tanto più ricca risulterà. Tutto dipende dalla spesa che si vuol fare. Raccogliete tutta la frutta in una terrinetta e mettete questa sul ghiaccio. Avrete intanto fatto sciogliere a caldo due parti di zucchero e una parte d'acqua e quando questo sciroppo sarà freddo diluitelo con un bicchierino o due di Kirsch o di Maraschino. Con lo sciroppo così ottenuto innaffiate la frutta e lasciate in ghiaccio fino al momento di servire. Questa è la macédoine classica. Molti amano servire, in occasione di qualche pranzo raffinato, una macédoine allo Champagne. In questo caso si prepara la frutta come già detto, si spolverizza di zucchero in polvere e si lascia macerare un po' sul ghiaccio. Si finisce poi con dello Champagne o dello Spumante in quantità proporzionale alla frutta preparata. Si serve generalmente in calici o coppe di cristallo.
pranzo raffinato, una macédoine allo Champagne. In questo caso si prepara la frutta come già detto, si spolverizza di zucchero in polvere e si lascia
È un dolce dell'antica cucina, molto semplice ma molto buono. Per la sua confezione occorre un timballo in argento o una elegante coppa in cristallo. L'uno o l'altra del diametro di una quindicina di centimetri. Fate una crema con tre rossi d'uovo, tre cucchiaiate di zucchero, due cucchiaiate di farina e mezzo litro di latte. Quando questa crema pasticcera sarà addensata, ultimatela con un pizzico di vainiglina e lasciatela freddare, avvertendo di mescolarla di quando in quando per impedirle di fare la pellicola alla superficie. Preparate ora una specie di «macédoine» di frutta; prendete cioè una mela, una pera, un paio di banane, qualche fetta d'ananas, e se credete, anche qualche pesca fresca o allo sciroppo. Questa frutta va tagliata in fettine o in dadini e messa a macerare con qualche cucchiaiata di zucchero e qualche bicchierino di liquore, preferibilmente maraschino o kirsch. Alla frutta fresca potrete aggiungere qualche filettino di scorza di cedro o d'arancio candito o qualche altro candito a vostro piacere. Prendete ora 200 grammi di pan di Spagna che ritaglierete in fette sottili. Finalmente provvedetevi di mezzo litro di panna di latte montata (chantilly). Prendete la crema che sarà diventata fredda, scioglietela con un bicchierino di Marsala e mischiateci con leggerezza un paio di cucchiaiate di «Chantilly». Mettete un pochino di questa crema nel fondo del timballo d'argento o della coppa di cristallo e su questa crema fate un primo strato di pan di Spagna che spruzzerete con la stessa qualità di liquore del quale vi sarete servite per macerare la «macédoine», cioè maraschino o kirsch. Su questo strato di pan di Spagna stendete un altro strato di crema, e sulla crema fate uno strato di frutta. Continuate così fino ad esaurimento di tutti gli ingredienti, terminando con uno strato di pan di Spagna, sul quale scolerete tutto il liquore in cui hanno macerato le frutta. Con la restante «Chantilly» fate una cupolina sul dolce, che potrete decorare a vostro piacere con qualche candito e con un pochino della stessa «Chantilly» tenuta da parte e messa in un cartoccino. Ultimato il dolce, che si confeziona molto più sollecitamente di quello che occorra per descriverlo, si mette in ghiacciaia, dove si lascia stare un paio [immagine e didascalia: Coppa con nastri e fioritutto in zucchero alla caramella – riempita di bonbons ]
lascia stare un paio [immagine e didascalia: Coppa con nastri e fioritutto in zucchero alla caramella – riempita di bonbons ]
Mezzo ettogrammo di burro, mezzo ettogrammo scarso di fecola di patate, mezzo ettogrammo di zucchero in polvere, mezzo ettogrammo di cioccolata grattata e mezzo litro di latte. Si mette la fecola in una casseruolina e si scioglie col latte freddo. Quando la fecola è sciolta si aggiungono tutti gli altri ingredienti e si mette la casseruolina sul fuoco mescolando con un cucchiaio di legno fino a che la crema sia bene addensata. Si bagna leggermente con acqua una piccola terrinetta, meglio una piccola insalatiera di cristallo, si fa scolare, vi si versa la crema e si lascia freddare. Freddandosi questa crema diventa come una bavarese, che potrà essere servita così semplicemente o con accompagno di biscottini. È il trionfo della semplicità.
leggermente con acqua una piccola terrinetta, meglio una piccola insalatiera di cristallo, si fa scolare, vi si versa la crema e si lascia freddare
Per questo delicato lavoro di bomboneria occorrono le violette doppie di Parma e — naturalmente — freschissime. Si privano del gambo e si tuffano in acqua fresca per ripulirle bene. Si tolgono delicatamente dall'acqua, si raccolgono su un ampio setaccio e si lasciano sgocciolare per qualche ora, tenendole in un luogo fresco. Bisogna adesso preparare dello zucchero nel seguente modo. Prendete una buona quantità di zucchero, in polvere molto fina, mettetelo su un setaccio di seta e fatene cadere la parte impalpabile, cioè lo zucchero cosidetto al velo, che riserverete per altri lavori. Sul setaccio rimarrà della polvere di zucchero che, presa tra le dita, rassomiglia ad un semolino a grana finissima, e che è appunto quello che serve alla preparazione. Questo zucchero va adesso colorito in viola. Per i vari lavori di pasticceria ci sono in commercio degli speciali colori innocui di diverse Case, e già pronti per l'uso. Siccome però tutti questi colori sono molto concentrati e densi, per il lavoro delle violette candite bisogna diluirli, affinchè il colore possa aver modo di ripartirsi tra tutti i granellini dello zucchero. Per diluire il colore si fa così: si prende un po' di color viola concentrato e si stempera con mezzo bicchiere d'acqua bollente. Avvenuta la soluzione si lascia freddare e si rifinisce con un bicchierino d'alcool puro e una o due gocce di essenza di violetta. Si raccoglie il colore ottenuto in una bottiglina e si conserva. Si stende lo zucchero su un foglio grande di carta bianca e vi si versa, a gocce, il colore viola, impastando bene con le due mani affinchè questo colore, che è dotato di grande potenza colorante, vada a tingere uniformemente ogni granellino. Si giudica del risultato ottenuto, e se l'intonazione generale dello zucchero non rispondesse al vero colore delle violette di Parma, se ne può correggere la nuance con qualche goccia di color «rosa brillante». Stendete bene lo zucchero sulla carta, e lasciate asciugare completamente, all'aria. Sciogliete a bagnomaria della gomma arabica in pezzi con poca acqua e a parte preparate uno sciroppo di zucchero al profumo di vainiglia. Questo sciroppo misurato col pesa-sciroppi dovrà segnare 32 gradi. Unite la gomma fusa e densa allo sciroppo e tenete il tutto in caldo, senza che il calore però sia eccessivo. Prendete le violette, mettetene poche alla volta in una terrinetta di porcellana e versateci su un pochino del composto di gomma e sciroppo: tanto che basti appena appena a bagnarle. Operando con attenzione, girate le violette nel liquido affinchè restino inumidite in ogni parte. Appoggiatele subito sullo zucchero colorato e rotolatele in esso con grande delicatezza in modo da far loro raccogliere la maggiore quantità di zucchero. Procedete così fino ad avere esaurito tutte le violette e poi collocatele bene allargate su un grande setaccio di seta lasciandole per qualche giorno in luogo tiepido, onde abbiano ad asciugarsi completamente.
viola concentrato e si stempera con mezzo bicchiere d'acqua bollente. Avvenuta la soluzione si lascia freddare e si rifinisce con un bicchierino d
Si mettono a cuocere le mele intiere senza sbucciarle e appena cotte, ma non troppo, si sbucciano e si passano dal setaccio. Si raccoglie la polpa in un recipiente e si asciuga questa polpa a bagnomaria per far perdere tutta l'umidità. Intanto si prende un peso di zucchero uguale al peso della polpa passata, si mette in un polsonetto di rame non stagnato, si inumidisce con un po' di acqua e si cuoce lo zucchero fino al grado della caramella. Si travasa allora nel recipiente a bagnomaria dove è la polpa delle mele, si mescola, si lascia cuocere ancora un poco e poi si versa questa pasta in una teglia possibilmente quadrata, foderata di carta bianca spessa e leggermente oleata. Se volete ottenere delle cotognate in forma di budini usate delle stampe lavorate ad ornati, che spalmerete con un velo d'olio. Colate in esse la polpa, lasciate riposare fino al giorno dopo, e poi sformate la vostra cotognata.
travasa allora nel recipiente a bagnomaria dove è la polpa delle mele, si mescola, si lascia cuocere ancora un poco e poi si versa questa pasta in una
Si fa il tè più o meno forte secondo i gusti, si inzucchera abbondantemente, si lascia freddare, vi si aggiunge del ghiaccio pesto e si serve accompagnato da fettine di limone o da latte freddissimo.
Si fa il tè più o meno forte secondo i gusti, si inzucchera abbondantemente, si lascia freddare, vi si aggiunge del ghiaccio pesto e si serve
La mostarda di Cremona, è una preparazione speciale che si distacca dalle consuete mostarde. Bisogna provvedersi di una discreta quantità di frutta, come pere, mele, ciliegie, fichi immaturi, zucca, corteccia d'arancio, ecc., e cuocere separatamente ogni qualità di frutta in un po' di acqua e zucchero. La cottura dev'essere portata in modo da non far spappolare la frutta, che deve invece rimanere piuttosto dura. Cotta tutta la frutta si riuniscono i vari sciroppi che hanno servito a cuocere ogni qualità, si aggiunge dell'altro zucchero e si fa restringere sul fuoco in modo da ottenere uno sciroppo piuttosto denso nel quale si aggiunge della farina di senape sciolta in un pochino d'acqua. Si riunisce tutta la frutta in un recipiente, si ricopre con lo sciroppo preparato e si lascia qualche giorno in riposo prima dell'uso.
ricopre con lo sciroppo preparato e si lascia qualche giorno in riposo prima dell'uso.
Lo zampone ed il coteghino non differiscono sensibilmente riguardo all'impasto; la sola differenza notevole è che lo zampone viene insaccato nella cotenna che riveste la zampa anteriore del maiale, mentre il coteghino si insacca nel budello. Desiderando confezionare uno zampone, conviene prima di tutto provvedersi la zampa di maiale. Bisogna che questa venga staccata il più in alto possibile, per avere una maggiore capacità, e che non sia stata forata dagli uncini. Rovesciate la pelle, e con un coltello tagliente staccate pian piano la cotenna dai nervi e dalle ossa. Andate adagio e disossate con pazienza senza fare lacerazioni, continuando sempre a rovesciare la pelle, sino a che arriverete alle ultime falangi, che lascerete attaccate. Avrete così una specie di calza che stropiccierete con un pugno di sale, tanto all'interno che all'esterno, spolverizzerete di pepe, e metterete in una terrinetta con un peso sopra, lasciandola così per una diecina di giorni. Trascorso questo tempo si toglie la zampa dalla terrinetta, si risciacqua con un bicchiere di vino bianco, e si lascia in bagno nel vino mentre si prepara l'impasto. Ogni chilogrammo di esso è formato con: carne magra di maiale (collo o spalla) gr. 700, cotenna fresca tritata gr. 300, sale gr. 35, spezie gr. 5, salnitro gr. 3. L'impasto dello zampone non deve essere molto grasso. Quindi è sufficiente quel po' di grasso che è attaccato alle cotenne. Se però queste fossero molto magre occorrerà aggiungere una cinquantina di grammi di lardo non salato. Bisogna prima fare a pezzetti le cotenne e tritarle nella macchina, e poi tritarle nuovamente insieme con la carne e il grasso. Dopo aver tritato tutto si aggiungono il sale, le spezie e il salnitro, e si impasta ogni cosa con le mani affinchè la pasta rimanga uniformemente condita. Si asciuga la zampa, e vi si versa la pasta, spingendo bene perchè non restino vuoti. Poi con un grosso ago e dello spago, si fa alla sommità una specie di infilzetta, si stringe, e lo zampone è fatto. Con un chilogrammo d'impasto si ottiene uno zampone di media grandezza. La confezione del coteghino è più sbrigativa. Vi procurerete da un pizzicagnolo o da un norcino dei budelli di maiale grandi, già salati, li metterete in bagno nel vino bianco, e poi li riempirete col seguente impasto, che è un po' più grasso di quello degli zamponi. Per ogni chilogrammo d'impasto prendete: Carne magra, collo o spalla grammi 500, cotenne fresche gr. 300, lardo o pancetta, non salati, grammi 200, sale gr. 35, spezie gr. 5, salnitro gr. 3. Si procede in tutto come per lo zampone. L'insaccatura potrete farla o con le mani o con un grosso imbuto, regolandovi come vi fu detto per le salsiccie. Date ai coteghini una lunghezza di circa 20 centimetri, e chiudeteli alle due estremità con dello spago, facendo con esso, nella parte superiore del coteghino, un occhiello per appenderli. Vi abbiamo dato le quantità del sale, delle spezie e del salnitro in grammi. Chi non ha a sua disposizione una bilancia usi le seguenti misure che, su per giù, corrispondono, cioè: Sale fino gr. 35 = due cucchiai da tavola. Spezie gr. 5 = due cucchiaini da caffè. Salnitro gr. 3 = mezzo cucchiaino scarso da caffè. Naturalmente, se aumenterete le dosi dell'impasto, aumenterete anche in proporzione il sale e le spezie. Fatti gli zamponi o i coteghini bisognerebbe passarli alla stufa speciale; in famiglia si supplisce a ciò appendendoli in un luogo caldo, in modo che la temperatura si mantenga dai 25 ai 35 gradi. È bene che da prima la temperatura sia leggera per salire man mano gradatamente. Sono sufficienti una trentina di ore di stufa. Si comprende che nelle grandi fabbriche la stufa ha importanza grandissima dovendo garantire la lunga conservazione del prodotto, che viene spedito o esportato. Ma poichè in famiglia lo zampone o il coteghino si mangeranno appena stagionati, senza aspettare troppo, si può essere certi, seguendo i nostri consigli, di avere un risultato soddisfacente anche senza impianti costosi, valendosi della cappa del camino, o di una stufetta a gas o a legna, con la quale si eleverà la temperatura dell'ambiente di quel tanto necessario. Dopo ciò si appendono in un luogo asciutto, nè troppo caldo, nè troppo freddo e si lasciano stagionare per una ventina di giorni e.più. Fate attenzione che i coteghini o gli zamponi non si tocchino fra loro. Per la perfetta riuscita degli zamponi e dei coteghini occorrono delle speciali spezie, la cui composizione è — da alcuni fabbricanti — tenuta celata come si trattasse di un gran segreto. Ecco dunque il famoso segreto. Prendete una cucchiaiata di pepe in granelli, tre o quattro chiodi di garofani, un pezzo di cannella in stecchi lungo circa quattro centimetri, l'ottava parte di una noce moscata, uno o due pezzi di macis, che, come sapete, è l'involucro della noce moscata, due foglie di alloro e una pizzicata di timo. Pestate ogni cosa nel mortaio e passate da un setaccino raccogliendo la polvere in un foglio di carta. Se rimarranno droghe nel setaccio pestatele di nuovo sino a che passino tutte. Mescolate la polvere aromatica ottenuta e conservatela in un vasetto ben chiuso.
con un bicchiere di vino bianco, e si lascia in bagno nel vino mentre si prepara l'impasto. Ogni chilogrammo di esso è formato con: carne magra di
Si può estrarre la farina dalle patate con un facilissimo procedimento. Scelte delle patate farinose si sbucciano e si grattano a crudo su ordinarie grattugie. Dopo averle grattate si raccolgono su un grande setaccio, che si immerge a metà in una catinella piena di acqua, in modo che questa acqua bagni le patate senza tuttavia traboccare dal bordo del setaccio. Si sciolgono bene con le mani le patate e di quando in quando si solleva il setaccio dall'acqua per far scolare nella catinella la parte farinosa disciolta e che pian piano precipiterà in fondo. Si innaffiano ancora le patate con altra acqua, stemperandole sempre tra le mani finchè abbiano perduto tutta la farina. Esaurite le patate si toglie il setaccio e si lascia in riposo l'acqua lattiginosa della catinella. Quando la farina sarà tutta precipitata in fondo si decanta l'acqua e si stende il pastone farinoso su delle teglie basse, e si lascia asciugare in forno di moderatissimo calore. Quando la fecola sarà bene asciutta si pesta nel mortaio, si passa dal setaccio e si conserva.
acqua, stemperandole sempre tra le mani finchè abbiano perduto tutta la farina. Esaurite le patate si toglie il setaccio e si lascia in riposo l
La «Chantilly» si può ottenere in casa con discreta facilità. L'importante è procurarsi del fiore di latte. Avendo del latte munto di fresco, lo si versa in un recipiente largo e basso, e lo si lascia in riposo per qualche ora, al fresco ed all'oscuro. Meglio sarebbe far mungere il latte la sera e lasciarlo tutta la notte in riposo. Al mattino si troveranno alla superficie dei grumi cremosi che costituiscono appunto il fiore di latte o panna di latte. Facendo passare un cucchiaio alla superficie del latte si raccoglie completamente la crema, cioè si screma il latte. Questa panna, così com'è, sarebbe ottima per il burro, ma non altrettanto adatta per la «Chantilly» a causa della sua granulosità. Bisogna quindi passare la panna da un setaccino possibilmente di seta, e poi diluire questa crema passata con qualche cucchiaiata di latte in modo da averla liscia e piuttosto liquida. Si mette allora un caldaino sul ghiaccio con la crema dentro e quando questa crema è ben fredda s'incomincia a sbatterla adagio adagio con una frusta in fil di ferro, senza mai smettere fino a che la crema avrà raggiunto quel grado di sofficità che caratterizza la «Chantilly». L'operazione è di sicuro esito. Conviene tuttavia non oltrepassare il giusto limite altrimenti la crema si straccerebbe, ingiallirebbe e si convertirebbe in burro. A facilitare l'operazione si usa talvolta mettere nella crema che si sta montando un pizzico di gomma adragante in polvere. La «Chantilly» così ottenuta si dolcifica coll'aggiunta di zucchero al velo (qualche cucchiaiata) che si fa piovere da un setaccino, mescolando pian piano per non sciupare la crema. Volendo si può anche aromatizzare con qualche goccia di rhum, di cognac, di maraschino, ecc. ecc.
versa in un recipiente largo e basso, e lo si lascia in riposo per qualche ora, al fresco ed all'oscuro. Meglio sarebbe far mungere il latte la sera e