Provvisione di legumi freschi e secchi. — Conservazione dell'acetosa, della cicoria, della salsa di pomodoro, dei fagiuoli freschi, degli asparagi. — Cavoli salati (crauti).— Frutta; momento favorevole. — Fruttaî, — Conservazione delle uve, delle noci, delle castagne. — Provvisione di frutta secche. — Pera e mele seccati in forno. — Ciliegi seccate.
. — Cavoli salati (crauti).— Frutta; momento favorevole. — Fruttaî, — Conservazione delle uve, delle noci, delle castagne. — Provvisione di frutta secche
Frutta. Benchè le frutta non sieno considerate come alimento d'indispensabile necessità, sono per la maggior parte tanto salubri che gradevoli al palato, ed il consumo delle frutta, sia fresche che cotte, contribuisce a mantenere la salute, specialmente nel verno, quando l'insieme degli alimenti è meno refrigerante che durante la bella stagione. Per tal motivo, ogniqualvolta lo permettano le circostanze, è utilissimo di fare una buona provvisione di frutta che possano custodirsi, scegliendo le specie la cui conservazione riesce più facile. In questa provvisione quelle da preferirsi sono le pere e le mele. La buona conservazione di queste due qualità di frutta dipende in gran parte dal modo con cui se ne fa il raccolto. Per cui, non v'è cosa meno giudiziosa di quella di far raccogliere, come generalmente si usa, tutte le mele e le pera in uno stesso giorno. Non solo tutte le specie di queste due frutta, che sono presso a poco della medesima stagione, non maturano esattamente ed in pari tempo, ma benanche tutte le frutta di uno stesso albero non giungono nello stesso tempo a maturità, quelle che trovansi nei rami interni, avendo meno ricevuto l'aria ed il sole, non devono essere côlte che dieci o quindici giorni dopo le altre. L'indizio più certo che è giunto il momento di raccogliere la più gran parte di frutta da un albero, si è quello in cui, in un tempo calmo, alcune frutta perfettamente sane naturalmente cadono dall'albero.
côlte che dieci o quindici giorni dopo le altre. L'indizio più certo che è giunto il momento di raccogliere la più gran parte di frutta da un albero, si
Ciliegie secche. Non si fanno seccare che quelle che sono acidule o le visciole, e che abbiano il nocciolo assai piccolo; devono essere côlte al momento della loro perfetta maturità, con o senza manico, poi stese sopra graticci che si espongono prima al sole, quando il tempo è favorevole, ovvero in un luogo caldo e riparato, se l'aria è umida: si pongono poscia in un forno tepido, dopo che se ne sia ritirato il pane. Due esposizioni successive ed alterne, all'aria e al forno, bastano ordinariamente per ottenere il congruo risultato, che si riconosce quando le ciliegie sono uniformemente increspate, ma lucide e molli sotto la pressione delle dita. Per compiere l'operazione, le ciliege sono esposte all'aria per qualche giorno e conservate finalmente in un luogo asciutto entro scatole, ed anche semplicemente entro sacchi.
momento della loro perfetta maturità, con o senza manico, poi stese sopra graticci che si espongono prima al sole, quando il tempo è favorevole, ovvero in
Zucchero acidulato per bevande. Il succo di certe frutta, come ribes, ciliegie, lamponi, aranci, limoni, misto con acqua e zucchero, porgono una bibita aggradevole e refrigerante. Bisogna supplirvi con zuccheri acidulati, che hanno il vantaggio di conservarsi per tutto l'anno, e di fornire in ogni stagione le bibite che non si ottengono coi succhi delle frutta se non al momento in cui sono in piena maturità. Ecco in qual modo si procede per preparare gli zuccheri acidulati. Il ribes, a mo' d'esempio, bisogna sgranarlo, stiacciarlo, e, dopo averne raccolto il succo, si passa e si mescola con quattro o cinque volte il suo peso di zucchero ridotto in polvere. Con tale miscuglio si forma una pasta granita che si fa poco a poco asciugare entro una stufa moderatamente riscaldata, e che in seguito si polverizza per conservarla entro fiasche di vetro bene tappate. Quando si vuol far uso di questo zucchero ben acidulato, se ne diluisce due cucchiai da caffè in un bicchiere d'acqua e si ottiene una bibita tanto gradevole come quella che si può ottenere dal succo di ribes fresco. Si segue presso a poco lo stesso processo col lampone, colle ciliegie, gli aranci e i limoni. Soltanto che alle ciliegie, prima di stiacciarle, bisogna levare i noccioli; si sofirega un pezzo di zucchero sull'esterna scorza degli aranci e dei cedri, e poi si pesta questo zucchero per aggiungerlo a quello polverizzato che fosse stato frammisto al succo degli aranci o dei cedri, e che si fosse, come già dicemmo, essiccato in una stufa.
stagione le bibite che non si ottengono coi succhi delle frutta se non al momento in cui sono in piena maturità. Ecco in qual modo si procede per
Per abbrustolire o tostare, come si dice, il caffè, s'adopera un cilindro attraversato da un fusto, le cui due estremità si appoggiano sopra un fornello. La scelta del combustibile non è indifferente, e bisogna sempre preferire il carbone di legna, perchè manda un calore più eguale e sostenuto. È però meglio non abbrustolire i caffè gialli e verdi, essendochè questi sono sempre meno asciutti dei primi; nel tostarli separatamente si ottengono migliori risultati. Non si empia mai il cilindro che per metà, in modo che il fusto che l'attraversa non ne sia coperto, e che il caffè, gonfiandosi a misura che si scalda, non sia mai pigiato, e possa muoversi e venir facilmente agitato. Il fuoco devesi sempre mantenere eguale, dev'essere moderato specialmente in principio della operazione. Bisogna girare e rigirare il cilindro, ora da destra ora da sinistra, fino al momento in cui il caffè manda assai fumo; allora si leva di frequente l'ordigno dal fuoco per iscuoterlo ed agitarlo in ogni senso. Quando l'operazione è presso al suo termine, ed esige, per lo meno, tre quarti d'ora, se trattasi d'una media quantità di caffè, il fumo scappa dal cilindro con maggiore abbondanza, il grano scoppietta, diventa umido, di color bruno, e spande un gradevole profumo: è quello il momento di ritirare dal fuoco il cilindro, per lasciare che la cottura si compia da sè medesima, mercè il vapore concentrato nell'apparecchio che si agita per alcuni minuti. Si versa allora il caffè in un caseggio o tondo, per poi immediatamente stenderlo in largo sopra una piana superficie, come, per esempio, una tavola, un asse, e di preferenza sopra una pietra o sul marmo, più la superficie è fredda, e meglio si concentra l'aroma del grano tostato. È soltanto dopo che il caffè è completamente freddato che si può ventilarlo onde liberarlo dalle pellicole, nonchè dai corpi estranei, che talvolta vi sono frammischiati; ma questa è un'operazione di cui spesso si può fare a meno, specialmente se si ebbe cura di mondarlo innanzi che sia abbrustolito. Il caffè, tostato con ogni cura e al punto voluto, non deve mai aver perduto, dopo questa operazione, più del 18 o 20 per cento, vale a dire più del quinto del suo peso.
specialmente in principio della operazione. Bisogna girare e rigirare il cilindro, ora da destra ora da sinistra, fino al momento in cui il caffè manda
Il processo migliore per fare infondere il caffè è quello di servirsi di cocome a filtro, che sono comodissime, spicciative, e che danno un liquido contemporaneamente profumato e limpido. La cocoma più semplice e meno cara è quella di latta od anche di porcellana: sul graticcio del filtro, preventivamente coperto di una rotella di flanella, si pone la quantità necessaria del caffè in polvere, presso a poco, come accennammo, un cucchiajo da caffè per ogni bicchiere d'acqua, ed un poco meno, se si appronta il caffè per cinque o sei persone; si calca moderatamente la polvere col rulletto che si lascia sulla polvere, si colloca la grata superiore, si versa su questa metà dell'acqua bollente che dev'essere impiegata; si richiude la macchinetta col coperchio, e si aspetta che quest'acqua sia filtrata. Ciò fatto, si leva il coperchio e la grata superiore, per sollevare il folletto e far cadere in fondo del filtro la polvere di cui è carico; allora si versa il rimanente dell'acqua calda, e, dopo aver chiusa accuratamente la macchina, si lascia che la filtrazione compiasi lentamente. Durante questa operazione, si pone la cocoma nell'acqua bollente, e questo bagno-maria mantiene il liquido al grado di calore che deve conservare. Non bisogna servire il caffè che allorquando la filtrazione è completa, e si deve guardarsi, come avviene talora, di far riposare il liquido sulla feccia o deposito, perchè; sarebbe un indebolire il caffè e togliergli porzione del suo profumo. Quanto al deposito del caffè, se si voglia utilizzarlo, conviene non farlo bollire, il che darebbe un liquido acre e nero, ma versarci sopra, quando è ancora nel filtro, una certa quantità d'acqua calda e meglio di fredda. Si pone in serbo questa seconda infusione, per fare riscaldare al bagno-maria e mescolarla con una nuova preparazione di caffè. Tutte le volte che si fa riscaldare il caffè, il quale non sia stato adoperato nel momento stesso in cui viene approntato, bisogna ricorrere al solo bagno-maria.
con una nuova preparazione di caffè. Tutte le volte che si fa riscaldare il caffè, il quale non sia stato adoperato nel momento stesso in cui viene
Crema russa alla Nesselrode. — Si apparecchia prima di tutto un mezzo litro di sciloppo bianco, di media consistenza, con zucchero di prima qualità e uno spicchio di vaniglia. Dall'altra parte si fa cuocere nell'acqua bollente, senza alcun condimento, quaranta o cinquanta bei marroni. Quando sono cotti perfettamente, si schiacciano con un cucchiajo di legno e si passano attraverso un fino colatojo. Ottenuto in tale modo, il succo delle castagne viene diluito nello sciloppo di zucchero, cui si aggiunge un litro di crema fresca e dodici tuorli d'uovo scelti fra i più possibilmente freschi. Si fa poi scaldare questo miscuglio al bagno-maria e si mescola costantemente fino a che sia inspessito e consistente come una crema. Vi si aggiunge allora un limone confettato tagliato a pezzetti, 50 grammi d'uva secca, cui si levano gli acini, e un bicchiere di maraschino. Questo miscuglio si allunga allora entro un secondo litro di fior di latte sbattuto, con tre albumi d'uovo, che si sbattono fino a che sieno spumanti. Quando il tutto si è bene agitato, si versa entro uno stampo, e si conserva la crema in luogo freschissimo, oppure in un vaso circondato di ghiaccio fino al momento che s'ha da servire in tavola.
agitato, si versa entro uno stampo, e si conserva la crema in luogo freschissimo, oppure in un vaso circondato di ghiaccio fino al momento che s'ha da
Pasticcierie. Nelle città sono soltanto nelle grandi famiglie e case opulenti che il capo cuoco e cuciniere si occupano a confezionare pasticcierie. Nelle condizioni ordinarie della vita si ricorre dal pasticciere, dove si trova sempre, senza il menomo imbarazzo e nel preciso momento che occorre, tutto quanto può abbisognare. In campagna egli è un altro affare, poichè di rado si ha l'opportunità di avere un pasticciere, e occorre che la padrona di casa possa far approntare da sè la propria pasticceria, sia per variare gradevolmente i cibi abituali, sia per offrire qualche ciambella col tè.
. Nelle condizioni ordinarie della vita si ricorre dal pasticciere, dove si trova sempre, senza il menomo imbarazzo e nel preciso momento che occorre
Marzapani di crema all'italiana. Da una parte si sbattono sei albumi d'uovo in ispuma assai densa; dall'altra si apparecchia con 500 grammi di zucchero, la quantità d'acqua necessaria e uno spicchio di vaniglia, uno sciloppo che si lascia cuocere fino al punto più alto di diluizione. Allora s'incorpora poco a poco in questo sciloppo, agitando vivamente, gli albumi d'uova sbattuti in ispuma densa, il che forma una pasta assai solida, perchè si possa raccogliere entro un cucchiaio ordinario, e si distribuisce ciascuna parte così divisa entro adatti pezzi di carta. Durante la cottura, che deve durare dai 25 ai 30 minuti in un forno assai moderatamente caldo, bisogna tener d'occhio attentamente i pasticcetti, perchè non si colorino nè contraggano il menomo sapore di bruciato, che farebbe sparire quello della vaniglia. Quando si ritirano dal forno e sono freddati, si bagna leggermente la carta al suo rovescio onde più agevolmente staccarli, e si lasciano esposti per qualche momento alla bocca del forno onde si asciughino perfettamente. Si conservano al riparo dall'umidità, e vengono serviti con sopra fiore di latte sbattuto alla neve, oppure così semplicemente senza essere confettati.
carta al suo rovescio onde più agevolmente staccarli, e si lasciano esposti per qualche momento alla bocca del forno onde si asciughino perfettamente. Si
La dose ordinaria è di 30 grammi di petali di viola per 60 grammi d'acqua bollente; l'infusione deve essere prolungata fino a che l'acqua sia completamente freddata. Con quest'acqua ed una sufficiente quantità di zucchero in polvere, si forma una pasta di mezzana consistenza, di cui si empie per metà la casseruola. Bisogna cogliere il momento in cui la pasta, senza essere assolutamente stemperata, è soltanto abbastanza liquida per sgocciolare in dense goccie lungo il beccuccio della padella, o casseruola che sia, e si procede pel rimanente dell'operazione nel modo che fu più sopra indicato. Queste pasticche, comechè sieno una ghiottoneria e un dolciume assai in uso, sono di più un ottimo calmante contro la tosse, nei reumi e nei catarri. Nella primavera, e in campagna, se ne può fare una copiosa provvisione.
metà la casseruola. Bisogna cogliere il momento in cui la pasta, senza essere assolutamente stemperata, è soltanto abbastanza liquida per sgocciolare in
Quando le vostre carni hanno emesso tutto il loro succo, che questo incomincia a circondare la vivanda, vale a dire, allorquando, coll'evaporazione delle parti umide che contenevano le carni o i legumi, non rimane più che la parte osmazomica della carne, che ne è la sostanza nutritiva, intendete come un crepitìo: è un leggiero rumore che si fa in quel momento, e che nel linguaggio del cuciniere si traduce col dire: il succo incomincia a cantare. Allora diminuite il fuoco, attenuate il calore del fornello con cenere, lasciate lievemente incrostarsi quelle sostanze sopra lo strato sottoposto delle cipolle. Da tale combinazione si formerà un gelatinoso, il cui aroma venendo a solleticare gradevolmente il vostro odorato, deve tenere desta la vostra attenzione sull'operazione che questi segni indicatori annunziano dover ben presto essere terminata.
come un crepitìo: è un leggiero rumore che si fa in quel momento, e che nel linguaggio del cuciniere si traduce col dire: il succo incomincia a cantare
Ecco un mezzo semplicissimo per assicurarsi del risultato della operazione, senza spostare il contenuto della vostra casseruola, il che è assai importante, perchè correte rischio, volendo visitare il fondo, di mettere sossopra ogni cosa e contrariare il buon procedimento della operazione al punto da comprometterne i risultati. Inclinate pertanto la vostra casseruola sopra un tondo, avendo attenzione di tenere ferma la carne sul coperchio. Se il grasso che n'esce è torbido, riponete la casseruola al fuoco, e raddoppiate di attenzione, perchè si tratta di cogliere il momento preciso in cui sta per effettuarsi l'operazione, la quale alcuni minuti di più o di meno bastano per non far riuscire. In capo di due minuti, ritirate dal fuoco e osservate a che punto sia; e, nel caso in cui la semplice osservazione non bastasse per farvi risolvere ad un decisivo giudizio, inclinate di nuovo la casseruola sul piatto, come avete fatto la prima volta. Se il grasso che vi esce, è chiaro, e limpido, allora colpite nel segno; l'operazione è buona, e il succo è perfetto. Ciò fatto, levato tutto questo grasso, potete allora versarci quanto v'aggrada, brodo od acqua: ma badate dal farlo brutalmente, empiendo immediatamente la vostra casseruola. Non bisogna dapprima mescervi che un buon cucchiajo di brodo o di acqua calda; lasciato così per cinque minuti, distaccasi il succo che avete ottenuto, poi versate prima il brodo o l'acqua, empiendone la casseruola. Due ore bastano per questa operazione, se i pezzi sono minuti; ma ne vogliono quattro se sono pezzi assai grossi. Tenete la vostra casseruola sull'angolo del fornello, e schiumate il grasso che potrebbe ancora formarsi. Finalmente passate per uno staccio, ponendovi sopra una salvietta.
grasso che n'esce è torbido, riponete la casseruola al fuoco, e raddoppiate di attenzione, perchè si tratta di cogliere il momento preciso in cui sta
Le carni bianche, come il vitello, l'agnello il tacchino e l'altro pollame, si trattano in modo affatto diverso. Esigono esse sino dal principio della cottura un fuoco lento, che dev'essere tale mantenuto sino alla fine. Di tratto in tratto vogliono pure essere spalmate di burro, perchè non mandano, come le carni rosse, tanto succo, e facilmente si rasciugano e abbrustoliscono. Si conosce che le carni bianche sono giunte al punto di perfetta cottura quando diventano tenere sotto la pressione del dito e lasciano traspirare alquanto fumo. Del resto, basta avere acquistata un po' di esperienza per saper fare arrostire convenientemente le carni bianche. Il vero talento di chi arrostisce si rivela nel modo con cui sa cuocere queste carni, le quali devono conservare tutto il loro succo fino al momento in cui compariscono in tavola, e si separano sotto l'azione del coltello senza stento in pezzi morbidi e succulenti.
quali devono conservare tutto il loro succo fino al momento in cui compariscono in tavola, e si separano sotto l'azione del coltello senza stento in
In tesi generale, per fare un buon frittume, bisogna esporlo ad un fuoco ardente, e servirlo tosto che manda un fumo vaporoso. Ecco, del rimanente, alcune maniere di procedere mediante le quali si può conoscere il momento preciso in cui la frittura è giunta al conveniente grado di perfezione. Si taglia un pezzo di mollica di pane, che si tiene immollata nella padella per alcuni secondi; se si ritira bene abbrustolita e colorata è prova che la frittura è all'ordine; oppure si spruzzano col dito alcune stille d'acqua nella padella; se il frittume schioppetta e rigetta l'acqua, è prova che è giunto al punto conveniente di calore, per poi entro gettarvi gli oggetti da friggersi: questi allora si versano nella padella, mantenendo sempre lo stesso grado di calore, se sono in pezzi minuti che non abbiano bisogno, per così dire, d'altro che di essere immersi nell'unto per essere cotti; se in quest'ultimo caso non si risparmiasse il calore al frittume, si abbrustolirebbe la superficie dell'oggetto, senza penetrarlo.
, alcune maniere di procedere mediante le quali si può conoscere il momento preciso in cui la frittura è giunta al conveniente grado di perfezione. Si
Approntate allora un bel fuoco di brage, chiaro, ardente senza oggetti estranei che producano fumo. Collocate su quello la vostra graticola bene monda e su di essa il bifteks approntato come si disse. Vigilatene la cottura, ma non toccatelo fino a che non giunga il momento di rivoltarlo; il qual momento vi sarà indicato da certe bollicine che si manifestano nella parte superiore della vivanda. Rivoltato che l'abbiate, non dovete più toccarlo fino a che non lo deponiate sul tondo per servirlo in tavola. Si deve esaminare soltanto colla punta del dito, riconoscendosi ad una certa resistenza che oppone la carne essere la cottura giunta al suo punto di perfezione. Disponete allora circolarmente i pezzi sul tondo, conditelo di sale, pepe e sovrapponetevi una salsa composta di burro fresco mescolato con prezzemolo bene tritato e succo di limone. Fate friggere in disparte patate tagliate in minuzzoli quadrati della lunghezza del dito mignolo, lievemente condite di sale, guernitene il bifteks e servitelo caldo quanto è possibile.
monda e su di essa il bifteks approntato come si disse. Vigilatene la cottura, ma non toccatelo fino a che non giunga il momento di rivoltarlo; il qual
Costolette di vitello (alla inglese). Questa pietanza ha il vantaggio di essere approntata sul momento. In campagna, per esempio, si trova agevolmente il modo di procurarsi un pezzo di lardo. Prendete un pezzo di carne magra di vitello che tagliate e stiacciate in fette dello spessore e grandezza di una costoletta ordinaria, e preparate altrettanti pezzi di lardo tagliati allo stesso modo. Ponete in una padella o casseruola un pezzo di burro; quando è liquefatto, collocatevi entro le fette del vitello e del lardo, che rimestate quando hanno preso il colore abbronzato da un lato e ritirate allorchè lo giudicherete conveniente saggiando prima se vi resista alla compressione del dito: allora la vivanda è cotta. Collocate sur un tondo e circolarmente i pezzi di vitello e di lardo, disponendo alternativamente un pezzo dell'uno e un pezzo dell'altro.
Costolette di vitello (alla inglese). Questa pietanza ha il vantaggio di essere approntata sul momento. In campagna, per esempio, si trova
Ravviluppate il fegato di vitello con un foglio di carta bene impregnata di burro. Un'ora e mezzo basta per cuocerlo; del rimanente, sarete certo che sia cotto dal momento che non spande più sangue. Alcuni istanti prima di levarlo dallo spiedo tagliatene la carta che l'avvolge, onde assuma un bel colore, e servitelo, aspergendo prima la vivanda con una salsa piccante.
sia cotto dal momento che non spande più sangue. Alcuni istanti prima di levarlo dallo spiedo tagliatene la carta che l'avvolge, onde assuma un bel
Formaggio di majale. Dopo aver nettata e disossata una testa di majale, levatene le carni, tagliatela in sottili frastagli, nonchè la lingua e le orecchie; ponete però in disparte le cotenne. Condite le carni allo stesso modo che fu detto per la testa, ravvolgetele in un lino, e fatele cuocere per sei o sette ore. Quando sieno in punto, ritiratele dal fuoco e sgocciolatele. Guernite allora una forma oppure una casseruola delle catume, collocandovi nel mezzo le carni, e cuoprite il tutto con un coperchio che entri precisamente nella forma e sul quale sovrapporrete un peso abbastanza grave, all'uopo di premere le carni finchè sono calde, empiendo in tal guisa tutti i vuoti. Quando sono fredde, levatele dalla forma esponendo per un momento all'acqua bollente il contorno della forma o della casseruola. Fate quindi una crostata di pane, con cui attornierete questo formaggio e cuopritelo da ogni parte con prezzemolo finamente triturato.
'uopo di premere le carni finchè sono calde, empiendo in tal guisa tutti i vuoti. Quando sono fredde, levatele dalla forma esponendo per un momento
Orecchie e zampe di majale. Quando avete ben passati per acqua bollente i piedi e le zampe, fate cuocere per quattro o cinque ore. Poscia li fenderete in due, li cuoprirete di una crostata e li porrete sulla graticola. Tagliate sottilmente le orecchie a striscie, passatele al fuoco entro un purée di cipolle, cui aggiungerete un poco di senape al momento di servire. Sopra questo piatto collocate le zampe arrostite.
di cipolle, cui aggiungerete un poco di senape al momento di servire. Sopra questo piatto collocate le zampe arrostite.
È importantissimo di bene imbrigliare, vale a dire di bene assicurare con grosso filo o con spago il pollame, anche quello che è modestamente destinato alla pentola, perchè un volatile ben presentato, e che lusinga gradevolmente la vista al momento in cui comparisce sulla tavola, già si concilia le simpatie dei convitati.
destinato alla pentola, perchè un volatile ben presentato, e che lusinga gradevolmente la vista al momento in cui comparisce sulla tavola, già si concilia le
l.° Dopo avere spiumato il vostro pollastro senza punto guastarne la pelle, e averlo sventrato senza romperne il fiele, e quindi passato sul fuoco, non già con carta perchè questa lo annerirebbe, ma sì alla fiamma ardente di un fornello e con rapidissima sveltezza, lo tagliate a pezzi levando in prima la coscia e l'ala da un lato, poi la coscia e l'ala dal lato opposto; in questa maniera non correte pericolo di lacerare la pelle del carname e del groppone. Abbiate cura, quando ne tagliate i membri, di segnare il dorso col coltello, fendendolo colla lama in giù da ogni lato, e portando da sotto l'ale sino al groppone la pelle che deve rimanere sotto. Separate lo stomaco dal carcame, tagliatelo in due e in isbieco; mondatelo dei nervetti e del grasso come il carcame, che taglierete parimenti per metà; levatene le parti sanguinolente che possono essere rimaste nell'interno. Tagliate il collo, separate le ali dalle pinne o punte; tagliate le zampe e fate rientrare colla punta del coltello le carni all'indietro, per cuoprire l'osso che avete separato dalle zampe, e che tagliaste in parte. Date alle coscie una forma rotonda, mondate il ventriglio tagliandolo in due. Passate un momento le zampe sopra la fiamma, strofinatele per tagliar loro quella prima pelle squammosa che la ricuopre, e tagliate le unghie.
avete separato dalle zampe, e che tagliaste in parte. Date alle coscie una forma rotonda, mondate il ventriglio tagliandolo in due. Passate un momento
Gallinaccio o tacchino arrosto. Dopo avere ben vuotato, abbruciacchiato e legato a modo il tacchino, lo punzecchiate ed anche cuoprite con fette di limone e listelli di lardo; poscia lo porrete sullo spiedo: un'ora e mezzo è sufficiente per arrostire in punto un gallinaccio giovane. Abbiate tratto tratto l'avvertenza di aspergerlo col suo stesso succo, e fate in modo che sia di un bel colore al momento che lo ammannite.
tratto l'avvertenza di aspergerlo col suo stesso succo, e fate in modo che sia di un bel colore al momento che lo ammannite.
La carne del fagiano non è veramente apprezzata dagli amatori che quando è stagionata; allora essa carne si profuma dell'aroma desiderato; ma bisogna bene scegliere il momento; bene spesso un giorno di più diventa un giorno di troppo, e allora le emanazioni non sono più così gradite all'odorato come al palato. Ecco quello che ne dice un competentissimo giudice, Brillat Savarin: “Il fagiano, quando è mangiato tre giorni dopo la sua morte non ha nulla che lo renda pregiato: non è nè così delicato come le pollastre, nè così delizioso all'olfatto come la quaglia. Adoprato a tempo opportuno in vece, gli è di una carne tenerissima, squisita e di egregio sapore, perchè partecipa in pari modo del volatile e della selvaggina. Questo così desiderabile momento è quello in cui la carne del fagiano incomincia decomporsi; allora si sviluppa il suo aroma e si paragona ad un olio che, per esalarsi, avea duopo di alquanta fermentazione, come l'olio del caffè che ottiensi solo colla tostatura. Giunto a tale stadio il fagiano si spenna, ma non prima, e si lardella punzecchiandolo col lardatoio, scegliendo però il migliore ingrediente e che sia fresco e massiccio. Non è mica indifferente cosa lo spennare più presto il fagiano; poichè esperienze certe insegnarono che quelli fra i detti animali che si conservano colle penne sono più profumati di quelli che rimasero lungamente nudi. „
bene scegliere il momento; bene spesso un giorno di più diventa un giorno di troppo, e allora le emanazioni non sono più così gradite all'odorato
L'anitra selvatica e la farchetola, più piccola della prima e di carni più delicate, si apparecchiano allo stesso modo sia arrosto che per antipasto, coll'osservazione però, che ogni selvaggiume pennuto, di carni rossiccie, dev'essere cotto fresco, o tosto, come si voglia dire, che le carni cioè, nel tagliarle, sieno rubiconde alquanto e succose. È necessaria una certa esperienza ed attenzione per bene afferrare il momento di vera cottura; ma è duopo sempre che la selvaggina non languisca sullo spiedo, e per questo motivo il fuoco deve sempre essere molto intenso. Si può riconoscere che la selvaggina ha raggiunta la sua cottura allorquando si veggano cadere alquante stille di succo, e dalle carni emani qualche poco di fumo.
, nel tagliarle, sieno rubiconde alquanto e succose. È necessaria una certa esperienza ed attenzione per bene afferrare il momento di vera cottura; ma è
Quando vogliate serbare i gamberi per guarnimenti, di cui possiate aver duopo, li rovesciate al momento di ritirarli dal fuoco in una terrina, insieme col loro condimento.
Quando vogliate serbare i gamberi per guarnimenti, di cui possiate aver duopo, li rovesciate al momento di ritirarli dal fuoco in una terrina
Pasticcio di prosciutto. Prendete una libbra di prosciutto magro cotto, eguale quantità di vitello crudo cui leverete le pelli ed i nervi; triturate insieme l'uno e l'altro, aggiungetevi un chilogrammo di grasso di lardo, e pestate di nuovo il tutto. Ponete questo farcito in un mortajo, mescolandovi tre uova intere e un mezzo bicchiere d'acqua; condite di pepe, timo e lauro, meno però il sale, da cui vi asterrete. Per approntare questo pasticcio, tagliate poscia dei grossi pezzi quadrati di prosciutto, lardo, e condite come fu detto pel pasticcio di lepre. Stendete uno strato di farcito nel fondo del pasticcio, poi uno di lardo, di carne magra, di prosciutto e di lardo intercalalati uno coll'altro: un secondo strato di farcito , e così via via fino a che il pasticcio sia ripieno. Quando lo leverete dal forno, versatevi dentro un buon bicchiere di madera, e colmate il vuoto rimasto, se mai ve ne fosse, con gelatina. Abbiate in precedenza l'avvertenza di osservare come sono collocati i pezzi di lardo, onde non tagliarli allorquando verrà il momento di tagliare a fette il pasticcio.
verrà il momento di tagliare a fette il pasticcio.
Conviene usar l'attenzione di non porre il fior di latte se non nel momento in cui devono comparire in tavola; perchè se fossero molto prima guarniti, l'umidità del fior di latte sbattuto li ammollirebbe di troppo, e farebbe loro perdere tutto il merito.
Conviene usar l'attenzione di non porre il fior di latte se non nel momento in cui devono comparire in tavola; perchè se fossero molto prima guarniti
Marzapani. Sbattete cinque albumi d'uovo; quando sieno ben diluiti, aggiungetevi otto oncie di zucchero un po' per volta, rimescolando sempre. Tosto che quella specie di pasta è bastevolmente rimescolata, vale a dire, che sia molle e facile a scorrere dal cucchiaio, collocate i marzapani sopra pezzetti di carta disposti secondo la grandezza e la forma che loro avrete data; d'ordinario però si adotta la forma di un uovo aperto in lungo per metà. Quando sieno formati li cuoprirete di zucchero stacciato per un passatoio di crine, e li porrete in forno a debole calore; ritirateli tosto che sieno cotti e abbiano assunto un bel colore giallo; al momento di servirli, potete guarnirli di fior di latte ben bene sbattuto.
cotti e abbiano assunto un bel colore giallo; al momento di servirli, potete guarnirli di fior di latte ben bene sbattuto.
Allora è il momento di amalgamare il lievito. Ciò fatto, aggiungete alla focaccia 185 grammi di pistacchi, che fonderete nella loro lunghezza, e 125 grammi di corteccie d'aranci confettate e tagliate in sottilissime striscie. Versatela poscia entro una forma che sia come un cilindro scanalato di 217 millimetri di diametro e 244 di altezza. Essa forma deve inoltre essere bene spalmata di burro, avendo l'avvertenza che la pasta, s'è d'inverno, non sia esposta ad alcuna corrente d'aria, e, di estate, lungi dal contatto del sole: insomma in ogni stagione occorre abbia calore eguale e temperato.
Allora è il momento di amalgamare il lievito. Ciò fatto, aggiungete alla focaccia 185 grammi di pistacchi, che fonderete nella loro lunghezza, e 125
Focaccia di Berlino. Sbattete come fosse fior di latte entro una catinella un chilogrammo e 250 grammi di burro; aggiungetevi poco a poco altrettanta farina e 250 grammi di amandorle pestate, altrettanto zucchero in polvere; un mezzo cucchiaio di feccia di birra e sessanta tuorli d'uovo. Sbattete da un'altra parte come sopra, ma con una specie di scopetta di vimini, i sessanta albumi d'uovo che vi rimangono, e versateli nella catinella, mescolando il tutto insieme ben bene. La pasta acconciatela entro stampi riquadri, larghi 162 millimetri, alti 54 millimetri. Fatela gonfiare al calore della stufa per qualche momento, indi ponetela entro un forno moderatamente riscaldato. Levate quindi dopo tre quarti d'ora allo incirca, estraete la pasta dallo stampo, e tagliate la focaccia in grosse fette ovvero per metà. Essa è eccellente da prendersi col tè. Per un qualsiasi altro uso spalmatela sia col rum, col cedro, con arancio, con vino di Madera o con cioccolatte, esponendola quindi di nuovo al fuoco perchè vi s'incorpori la spalmatura e assuma un bel colore dorato.
stufa per qualche momento, indi ponetela entro un forno moderatamente riscaldato. Levate quindi dopo tre quarti d'ora allo incirca, estraete la pasta
Biscotti di mandorle. Prendete 250 grammi di mandorle dolci, altrettante di amare, quindici albumi d'uovo, otto tuorli, 60 grammi di bella farina e un chilogrammo di zucchero fino in polvere; versate acqua bollente sulle mandorle, e un momento dopo sostituitene di fresca, levatene la pelle, e mano a mano ponetele in una salvietta; pestatele in un mortaio di marmo, aggiungendovi per due volte due albumi d'uovo, oltre la dose prescritta, affinchè le mandorle non emettano olio quando saranno interamente ridotte in pasta; sbattete gli albumi in guisa che giungano ad imitare le uova, e i tuorli in disparte colla metà dello zucchero; mescolate i tuorli e gli albumi bene sbattuti, con pasta di mandorle: ponete il di più dello zucchero che avanza entro un bacino, e aspergete il tutto con fior di farina posto in uno staccio che agiterete onde farla cadere, in pari tempo mescolate continuamente l'apparecchio affinchè sia ben bene incorporato. Abbiate in pronto preventivamente stampi o cassette, come dicono, di carta, cui darete la forma che meglio vi aggrada; le empirete colla pasta e le spalmerete con zucchero in polvere e con fiore di farina mescolati insieme e posti in uno staccio che agiterete facendo cadere la farina e lo zucchero sopra le forme riempite. Attenderete perchè il forno abbia ad essere moderatamente caldo.
un chilogrammo di zucchero fino in polvere; versate acqua bollente sulle mandorle, e un momento dopo sostituitene di fresca, levatene la pelle, e mano
Otterrete le così dette cialde tempestate aspergendovi sopra o seminandovi grosse zollette di zucchero, e ricollocandole per breve momento nel forno; e le cialde colorate, qualora le spalmate con pennello intinto nell'albume d'uovo, e spargendole con zucchero color rosa, azzurro, rosso o colore del zafferano.
Otterrete le così dette cialde tempestate aspergendovi sopra o seminandovi grosse zollette di zucchero, e ricollocandole per breve momento nel forno