La gelatina, la quale è l'accompagnamento indispensabile dei piatti freddi, è 'altra di quelle preparazioni che spaventano un poco le signore. E pure non c'è nulla di più facile e di meno faticoso. Si mettono in una casseruola dei legumi tagliuzzati, come carote, sedano, cipolla e prezzemolo, uno o due chiodi di garofano, mezza foglia di lauro, un pizzico di pepe nero in granelli, qualche fettina di prosciutto e qualche cotenna di lardo. Si aggiungono poi dei ritagli di carne cruda di vitello o di bue — la cosidetta polpa di stinco è preferibile, perchè ricca di principii gelatinosi — e, se si hanno, dei pezzi di carcassa di pollame, o ossa, o colli, spezzati col coltello. Si mette un dito d'acqua, un po' di sale e si fa cuocere a fuoco moderato finchè le carni e i legumi siano «tirati» e leggermente biondi. Si versa allora abbondante acqua nella casseruola, si fa bollire schiumando accuratamente e poi si aggiungono un paio di piedi di vitello — ben nettati a parte in acqua bollente — o della testina. Fate bollire adagio e regolarmente, per circa sei ore, passate il brodo e mettetelo a raffreddare, senza però coprirlo perchè, specie se nella stagione calda, potrebbe guastarsi con facilità. È buona norma fare la gelatina un giorno prima per avere il tempo di sgrassarla bene. Infatti, quando questo brodo aromatico e colloso che avrete preparato sarà freddo, vi riuscirà molto facile toglier via tutto il grasso rappreso alla superficie. Nel caso che non aveste tempo disponibile, sgrassate la gelatina mentre è ancora calda adoperando un cucchiaio, e poi qualche lista di carta asciugante bianca, che assorbirà ogni più piccola traccia di grasso. Uno dei pregi della gelatina è la limpidità. Occorre dunque, dopo averla sgrassata, chiarificarla. Per un litro di gelatina versate in una casseruola due chiare d'uovo e un bicchierino di Marsala; aggiungete la gelatina «fredda», o per le meno appena tiepida, mettete sul fuoco, e con una frusta di ferro sbattete il tutto, fino a che il liquido starà per levare il bollore. Vedrete allora che la chiara d'ovo si straccerà e negli interstizi apparirà limpidissimo il brodo. Coprite allora la casseruola e lasciatela vicino al fuoco per un buon quarto d'ora, in modo che la gelatina bolla e non bolla. Appoggiate intanto sul tavolo di cucina una seggiola rovesciata, e sui quattro piedi che rimangono in alto legate una salvietta bagnata e spremuta, mettendoci sotto una insalatiera o un tegame. Rovesciate allora la gelatina nella salvietta e raccoglietela nella insalatiera, passatala una seconda volta, sentite come sta di sale, e poi, quando sarà fredda, travasatela in una stampa e mettetela in ghiaccio a rassodare. Invece dei piedi o della testa di vitello, si può usare la gelatina «marca oro», che, prima di essere adoperata va tenuta un quarto d'ora in bagno nell'acqua fresca. Un litro di gelatina fatta senza piedi o testa di vitello, ha bisogno per solidificarsi di almeno 35 grammi di colla, ossia circa 15 foglietti. È buona precauzione provare prima la forza della gelatina mettendone un pochino sul ghiaccio in un cucchiaio. Se vedrete che è troppo molle bisognerà correggerla con qualche foglietto di colla. Quando la gelatina sarà ben rappresa si immerge per qualche secondo la stampa nell'acqua tiepida e si rovescia sulla tavola sopra una salvietta bagnata, dove si taglia a piacere per guarnire galantine, arrosti freddi, pasticci, ecc. Se la gelatina serve per ammalati si diminuiscono o si eliminano del tutto gli aromi e si abbonda invece nella carne di vitello, di manzo o di pollo, dipendendo il valore nutritivo della gelatina esclusivamente dalla quantità di carne impiegata. Generalmente per una buona gelatina se ne adoperano dai 700 ai 1000 grammi bagnandoli con circa due litri e mezzo d'acqua. Ciò che, dopo la prolungata ebollizione e la successiva chiarificazione permette di ottenere, su per giù, un litro di gelatina.
con una frusta di ferro sbattete il tutto, fino a che il liquido starà per levare il bollore. Vedrete allora che la chiara d'ovo si straccerà e negli
E torniamo alla nostra gelatina. Mettiamo la casseruola con tutti gli ingredienti su fuoco non troppo vivo, e sbattendo con una forchetta, o meglio con una piccola frusta di ferro stagnato, portiamo il liquido all'ebollizione. L'acqua, scaldandosi, scioglie l'estratto di carne e nello stesso tempo coagula man mano il bianco dell'uovo, chiarificando contemporaneamente la gelatina. Appena il liquido bollirà coprite la casseruola, naturalmente cessando di sbattere, e lasciate che la gelatina bolla insensibilmente sull'angolo del fornello per altri quattro o cinque minuti. Vedrete che negli interstizi lasciati dalla chiara stracciata, apparirà il liquido limpidissimo e di un bel color d'oro. Non dovrete fare altro dunque che prendere una salvietta, bagnarla, strizzarla, appoggiarla sopra un colabrodo e passare dalla salvietta la gelatina, la quale, essendo fatta con estratto di carne che non contiene grasso, passerà subito e non richiederà nessun altro lavoro. Se volete rendere la gelatina ancora più gustosa aggiungeteci, dopo passata, un cucchiaio di marsala. Sentite se sta bene di sale e, all'occorrenza, aggiungetene una presina. Poi mettete la gelatina in una stampa o, più semplicemente, in un paio di tazze grandi e tenetela in luogo fresco o su un po' di ghiaccio fino a che sia rappresa. Quando sarà rappresa, sformatela sopra una salvietta leggermente bagnata e tagliatela in fette a seconda della decorazione che vorrete fare.
cessando di sbattere, e lasciate che la gelatina bolla insensibilmente sull'angolo del fornello per altri quattro o cinque minuti. Vedrete che negli
Friggere bene non è da tutti, e spesso, anzi, è proprio qui che vengono miseramente a naufragare così la pretensiosa prosopopea di tante cuoche, come i facili entusiasmi di qualche dilettante di cucina. Generalmente si frigge male perchè non si ha un'idea esatta dell'operazione della frittura, la quale è essenzialmente operazione di «concentrazione». Per lo più si frigge a tre gradi principali: a padella moderata, a padella ben calda, a padella caldissima; stadi, codesti, che si riconoscono assai facilmente. Nondimeno chi non fosse molto pratico potrà regolarsi così. La frittura è moderatamente calda quando gettandovi dentro un pezzetto di pane, questo provoca l'azione del grasso o dell'olio, che incominciano il loro ufficio: è ben calda quando lasciandovi cadere una goccia d'acqua si sente un crepitio secco; e finalmente è caldissima allorchè dalla padella si sprigiona un leggero fumo biancastro. Naturalmente ad ogni preparazione sottoposta all'operazione della frittura deve adattarsi uno di questi tre gradi. Così si frigge a padella moderata tutto ciò che contiene acqua di vegetazione, come patate o altri legumi, o frutta; oppure pesce e carni piuttosto voluminosi, che debbono cuocere interamente nella frittura, e nei quali la cottura completa deve arrivare insieme con il croccante e il color d'oro dell'involucro esterno. Si friggono invece a padella ben calda quelle cose le quali hanno già subito un principio di cottura o una cottura completa. Si tratta in questo caso di formare subito intorno agli oggetti immersi nella frittura uno strato solido affinchè l'interno rimanga compresso e non vada a passeggiare per la padella. Si friggono così le costolette e qualunque altra preparazione alla Villeroy, le supplì, le crocchette di diverse specie, le creme fritte, ecc. Il terzo grado, cioè la frittura a padella caldissima, si usa per piccoli pesci, per provature, e in genere per tutte le cose di limitate proporzioni di cui il calore deve subito impossessarsi. La quantità della frittura deve essere sempre proporzionata all'importanza e al volume delle cose da friggere. In ogni caso questi oggetti devono essere completamente immersi. La pretesa economia di coloro che friggono con pochissimo liquido si risolve in loro danno, poichè prima di tutto il fritto vien male: molle o carbonizzato, e poi il poco liquido adoperato brucia facilmente e deve essere gettato via, mentre se si dispone di abbondante grasso o olio, alla fine si passa attraverso un setaccino e si tiene in serbo per un'altra volta. Qual'è la miglior frittura? II burro, intanto, no, poichè non ha forza nè resistenza. Nelle trattorie e negli alberghi dove c'è molto lavoro si adopera il grasso di rognone di bue, ciò che rappresenta la frittura classica di grande resistenza. Ma il grasso di bue si fredda troppo facilmente e lascia subito una patina sulle cose fritte, la quale a sua volta insega la bocca di chi mangia. Per famiglia è meglio dunque non pensare al grasso di bue e adoperare lo strutto o meglio ancora l'olio, mediante il quale si ottiene una frittura croccante e dorata. L'olio infatti senza considerare che dal lato igienico è infinitamente superiore allo strutto, dove non si mai quel che ci sia — può raggiungere fino i 290 gradi di calore, ciò che non si ottiene con nessuna altra frittura. Molti hanno una ingiustificata avversione per friggere con l'olio. Prendano dell'olio di qualità buona e provino. Ne saranno soddisfatti. L'olio fine non comunica nessun sapore sgradevole alle cose fritte. Molte volte si tratta di pregiudizi e nulla più.
miglior frittura? II burro, intanto, no, poichè non ha forza nè resistenza. Nelle trattorie e negli alberghi dove c'è molto lavoro si adopera il grasso di
Questa salsa, giustamente, considerata come la regina delle salse fredde, è di indiscutibile provenienza francese, e viene, negli antichi trattati di cucina, designata, volta a volta, sotto i nomi di: «magnonnaise» «mahonnaise», o «bayonnaise». Alcuni pretendono infatti che essa sia originaria del villaggio di Magnon, altri sostengono che fu ideata dal duca di Richelieu dopo la presa di Port-Mahon, altri ancora affermano — non sappiamo con quanto fondamento — che abbia avuto i suoi natali a Bayonne. Il Gilbert dà un'altra spiegazione secondo la quale essa sarebbe stata creata durante la giornata d'Arques. Il duca di Mayenne era al campo, ed amava alternare lo studio dei piani di guerra, con quello non meno importante dei suoi «menus». Aveva, quel giorno, ordinato, d'accordo col cuoco, una salsa composta d'uovo, olio, aceto ed erbe aromatiche, la quale avrebbe dovuto accompagnare una superba gallina fredda; e si era appunto seduto a mensa, quando le ostilità furono riprese. Intento a discutere col cuoco su alcune modificazioni da portare alla salsa, il duca non si accorse che il tempo volava. Cosicchè quando finalmente si decise ad entrare in combattimento trovò che la cavalleria nemica aveva già sbaragliato i suoi. Non tutti i mali vengono per nuocere!... Il duca di Mayenne aveva perduto la battaglia di Arques, ma aveva creato la regina delle salse fredde: la quale dovrebbe quindi logicamente chiamarsi «Mayennaise». I libri di cucina, scritti per lo più da solennissimi ignoranti, hanno contribuito ad accreditare presso taluni le più strampalate leggende intorno a questa popolare salsa. C'è, ad esempio, chi consiglia di lavorarla sul ghiaccio; chi mette in campo il solito ritornello di girarla sempre da una parte — guai a obliarsi anche un momento solo! — chi raccomanda con grande serietà di non lasciarsi vincere dalla tentazione di aggiungere il sale al principio; chi ammonisce di tener pronti mezzo limone e dell'aceto, e, a guisa di valvole di sicurezza, servirsene per addensare o diluire la salsa, ecc. ecc. Niente di tutto questo. Bisogna tener presente: che il freddo è il più grande nemico della maionese perchè tende a gelare l'olio e a decomporre quindi la salsa; che il girare da una parte o dall'altra non ha nessuna importanza, nè in questo nè in altri casi; che il sale, aggiunto fin del principio, regge anzi le molecole dell'uovo e comunica loro una maggior forza di assimilazione; che limone o aceto hanno l' identico ufficio: quello di diluire la salsa, ma l'aceto è preferibile. L'unico punto capitale da osservare scrupolosamente è di andare pianissimo al principio: niente altro. Nell'inverno, se l'olio fosse gelato, converrà farlo stiepidire vicino al fuoco. In generale le proporzioni sono: un giallo d'uovo, mezzo bicchiere d'olio, un pizzico di sale e un cucchiaino circa d'aceto. Certo non bisogna esagerare nella quantità d'olio, poichè oltre un certo limite l'uovo non ha più forza coesiva e la salsa si decompone. Mettete dunque un torlo d'uovo in una terrinetta, aggiungete un pizzico di sale, e con un, cucchiaio di legno, o una forchetta, o meglio ancora, con una piccola frusta di ferro stagnato — questa è quasi indispensabile — rompete l'uovo e incominciate a girarlo, procurando di mantenerlo nel centro della terrinetta, senza spanderlo troppo. Goccia a goccia, lentissimamente, incominciate a far cadere l'olio sul rosso d'uovo, girando sempre. Ripetiamo: andate adagio adagio in principio, che il segreto è tutto qui. Quando la salsa avrà assorbito un paio di cucchiaiate d'olio, vedrete che tende ad addensarsi troppo. Aggiungete subito qualche goccia d'aceto per riportarla a una densità non eccessiva ed impedirle di decomporsi, ciò che certamente avverrebbe se la salsa continuasse ad addensarsi. Avviata così, continuate a versare l'olio, con un po' di franchezza, ma senza tuttavia eccedere, e avvertendo di diluire la maionese con un po' d'aceto, appena vi sembrerà che diventi troppo spessa. Dovendo fare una maionese di più uova è buona norma unire a queste un torlo d'uovo sodo passato al setaccio, ciò che dà una maggiore forza alla salsa. Se nonostante le nostre avvertenze vi accadesse qualche volta che la salsa si decomponesse mettete in una terrinetta un altro rosso d'uovo, e su questo, goccia a goccia, versate la salsa decomposta, operando come per una nuova maionese. Spesso la salsa decomposta si riprende anche benissimo, lasciando cadere qualche goccia d'acqua sulle pareti della terrinetta, e girando energicamente con la frustina o col mestolo. E finalmente se anche questo tentativo di riprendere la salsa fallisse e voi non aveste tempo nè voglia di ricominciare da capo, eccovi il segreto infallibile per il quale la maionese la più stracciata e decomposta torna in pochi secondi unita e liscia come se niente fosse accaduto. Supponiamo che abbiate fatto una maionese di due uova e che l'operazione bene avviata sia stata arrestata a meta da un' improvvisa decomposizione della salsa. Prendete allora una casseruolina, [immagine e didascalia: Frusta in ferro stagnato] metteteci una cucchiaiata scarsa di farina e sciogliete a freddo questa farina con mezzo bicchiere scarso di aceto. Quando il tutto sarà ben sciolto mettete la casseruolina sul fuoco e, mescolando continuamente col cucchiaio o meglio con una piccola frusta di ferro, fate cuocere per qualche minuto fino a che aceto e farina abbiano formato un tutto elastico e densissimo, quasi una colla ristretta. Togliete via dal fuoco, travasate in una terrinetta e lasciate freddare completamente. Su questa farina preparata incominciate allora a gittare una mezza cucchiata della salsa maionese decomposta, girando energicamente con la frusta. Amalgamata la prima mezza cucchiaiata aggiungetene un'altra, e così di seguito fino ad avere esaurita tutta la salsa inservibile. Vedrete che questa volta la maionese... ristabilita in salute non ammalerà più, e voi potrete continuare ad aggiungere liberamente l'olio necessario per portarla alla voluta quantità. Non dimenticate questo piccolo infallibile segreto e ve ne troverete contente.
Questa salsa, giustamente, considerata come la regina delle salse fredde, è di indiscutibile provenienza francese, e viene, negli antichi trattati di
Per quattro persone prendete una grossissima cipolla. Non abbiate paura di metterne troppa, perchè questa è una caratteristica della pietanza. Se lia cipolla non è grossissima ne metterete due. Tagliuzzate finemente la cipolla, nella quale operazione vi raccomandiamo, nel caso che qualche lacrima intempestiva vi sorgesse negli occhi, di non mandarci una benedizione. Mettete la cipolla in una casseruola con poco olio e fate cuocere adagio adagio, avvertendo di bagnare di quando in quando la cipolla con qualche cucchiaiata d'acqua, in modo che possa cuocere perfettamente senza bruciare. Quando la cipolla sarà sfatta e leggermente imbiondita mettete nella casseruola otto acciughe lavate e spinate e con un cucchiaio di legno schiacciatele in modo da ridurle in poltiglia. Aggiungete adesso un paio di cucchiaiate di salsa di pomodoro densa, bagnate con un poco d'acqua e lasciate cuocere aggiungendo due o tre cucchiaiate di prezzemolo, e una foglia di salvia. Quando la salsa sarà addensata mettete nella casseruola 400 grammi di riso mondato, bagnate con mezzo bicchiere di vino bianco, e quando il vino si sarà asciugato, coprite il riso con acqua e lasciate cuocere dolcemente, mescolando di quando in quando. Verificate la sapidità aggiungendo nel caso un po' di sale, e appena il riso sarà cotto, conditelo con parmigiano grattato, o meglio metà parmigiano e metà pecorino. Ultimate con un buon pizzico di pepe e fate portare in tavola.
intempestiva vi sorgesse negli occhi, di non mandarci una benedizione. Mettete la cipolla in una casseruola con poco olio e fate cuocere adagio adagio
Gli antipasti caldi sono piccole preparazioni, le quali, in un pranzo, seguono immediatamente le minestre e servono di transizione tra queste e i grossi pezzi. La caratteristica assoluta di queste preparazioni deve essere la leggerezza. Come ebbe a dire il Maestro Escoffier, gli antipasti caldi, dal punto di vista della logica gastronomica, sono un pleonasmo e nulla, se non l'abitudine, ne ha giustificato l'uso. Non debbono quindi essere considerati che come una specie di piacevole intermezzo. Bisogna dunque studiarsi di fare delle preparazioni minuscole e graziose, qualche cosa come uno speciale petit-four, che, in un certo modo, possa solleticare gradevolmente l'appetito del convitato senza aggravarne lo stomaco. Infinite le preparazioni che possono figurare negli antipasti caldi, purchè si tenga presente quanto abbiamo già esposto nei riguardi della leggerezza, della grazia e della esattezza. La cucina moderna accoglie di preferenza tra gli antipasti caldi le barchette, riservate generalmente a guarniture di pesci, molluschi e crostacei, le tartelette, impiegate di preferenza per preparazioni a base di pollame, di caccia, ecc., le bouchées, più conosciute da noi col nome di petitspatés — ricordando che quando debbono servire per antipasti queste bouchées si faranno di misura assai più piccola dei soliti petits-patés — e i cannelloni, specie di cannoncini di pasta sfogliata, di cui le lettrici, come per le bouchées, troveranno il modo di esecuzione nel capitolo dei dolci.
che possono figurare negli antipasti caldi, purchè si tenga presente quanto abbiamo già esposto nei riguardi della leggerezza, della grazia e della
Preparata e spezzata fa lepre come precedentemente, si fa una marinata nel modo seguente. Prendete una casseruola dove metterete due o tre cucchiaiate d'olio, una cipolla tritata, uno spicchio d'aglio intiero, una carota gialla in pezzetti, un po' di sedano tagliuzzato, due o tre chiodi di garofani, due foglie di salvia, una foglia d'alloro, un ramoscello di timo, un pizzico di rosmarino, un paio di foglie di basilico. Una buona pizzicata di maggiorana e una diecina di grani di ginepro. Voi direte che è molta roba; ma noi vi risponderemo che solamente dalla unione di tutti questi ingredienti potrete ottenere una marinata che profumerà la cucina prima, il lepre poi e sarà il degno preludio di codesta vostra preparazione culinaria. Mettete la casseruola su fuoco debolissimo e lasciate appassire (non rosolare!) le erbe e i legumi per circa un quarto d'ora mescolando di quando in quando; aggiungete del sale a sufficienza e una forte pizzicata di pepe e poi bagnate con un bicchiere di vino rosso di buona qualità e un dito di aceto. Mescolate ancora, fate levare il bollore, togliete la casseruola dal fuoco e quando la marinata sarà tiepida versatela con tutte le erbe sui pezzi del lepre, che avrete intanto risciacquato in molta acqua, asciugato in un pannolino e accomodato in una insalatiera. Lasciate stare così fino al giorno dopo. Il giorno dopo preparate una casseruola piuttosto grandetta con un pochino di strutto o d'olio, estraete i pezzi del lepre dalla marinata e passateli in casseruola, facendoli andare a fuoco brillante, allo scopo di asciugarli subito e di farli ben rosolare. Quando la casseruola incomincerà a friggere aggiungete, un po' per volta, i legumi e le erbe della marinata, che tirerete su con una cucchiaia bucata. Quando i vari pezzi saranno rosolati ben scuri spolverizzateli con una cucchiaiata di farina; mescolate e dopo un minuto versate nella casseruola, a cucchiaiate, il liquido della marinata. Il profumo incomincerà a sprigionarsi dalla cassemola, invaderà la cucina, si propagherà per la casa, si diffonderà dalle finestre, susciterà languori negli stomachi dei vicini e degli eventuali passanti... Non ci badate e continuate ad esaurire tutto il liquido. E quando questo, simile alle illusioni degli umani, se ne sarà andato in fumo e il lepre sarà rimasto all'asciutto, bagnatelo con un ramaiolo o due di acqua, coprite la casseruola, diminuite il fuoco e lasciate finir di cuocere dolcemente. Una mezz'ora prima di servire il lepre estraete i pezzi dalla casseruola e con un cucchiaio staccate il fondo della cottura, aggiungendo un pochino d'acqua.. Se ci fosse molto grasso galleggiante, cosa improbabile, lo toglierete con un cucchiaio inclinando leggermente la casseruola. Passate la salsa da un colabrodo e con un mestolo di legno pigiate i legumi per estrarne tutto il sugo. Rimettete la salsa passata nella casseruola, aggiungete una cucchiaiata di gelatina di ribes e una pizzicata di filettini di scorza d'arancio ottenuti tagliando un pezzo di corteccia d'arancio senza portar via la parte bianca, e ritagliando questa buccia in listelline sottilissime. Fate sciogliere la gelatina di ribes, rimettete nella casseruola i pezzi della lepre, mescolate, e fate riscaldare su fuoco leggero fino al momento di mandare in tavola.
negli stomachi dei vicini e degli eventuali passanti... Non ci badate e continuate ad esaurire tutto il liquido. E quando questo, simile alle illusioni
La gelatina. — Estratta la galantina dalla casseruola, verificate quanto liquido c'è ancora, e se si fosse molto ristretto allungatelo un pochino e continuate l'ebollizione lenta e regolare per un altro paio d'ore, affinchè il brodo possa bene aromatizzarsi e i piedi di vitello abbiano il tempo di disfarsi, comunicando così al brodo tutta la parte gelatinosa. Passatelo allora da un colabrodo, raccoglietelo in una insalatiera e lasciatelo così fino al giorno dopo, affinchè possa freddarsi completamente. L'indomani troverete alla superficie uno strato solido di grasso, che leverete facilmente con un cucchiaio, e sotto, con molta probabilità, specie se la stagione è fredda, il brodo rappreso in gelatina. Ma questa gelatina non è in genere così limpida, come deve essere, e allora occorre chiarificarla. Per far questo, mettete in un caldaino o in una grande casseruola, un uovo intero e un mezzo bicchierino di marsala, aggiungete la gelatina e con una frusta in filo di ferro sbattete energicamente tino a sciogliere il tutto. Mettete allora il caldaino sul fuoco e sempre sbattendo portate il liquido fino all'ebollizione. Vedrete allora che l'uovo e la chiara si stracciano alla superficie e negli interstizi appare il brodo limpidissimo. Tirate indietro il caldaino, copritelo e lasciate il brodo in riposo per quattro o cinque minuti, sull'angolo del fornello. Intanto prendete una sedia di cucina, capovolgetela e appoggiatela così capovolta sul tavolo, in modo che le quattro gambe rimangano in su. Sulle estremità delle quattro gambe ponete un tovagliolo bagnato e strizzato e attorno ad ogni gamba fate una legatura con dello spago, in modo che la salvietta non possa sfuggire. Avrete così ottenuto una specie di filtro, sotto il quale metterete una terrina o una insalatiera per raccogliere il brodo che verserete sul tovagliolo. Vedrete che la gelatina passerà limpidissima e di un bel colore ambrato. Quando sarà tutta passata versatela in una stampa grande, liscia e mettetela sul ghiaccio, per farla rapprendere. Al momento di preparare la galantina per il pranzo capovolgete la stampa con la gelatina su un tovagliolo bagnato e spremuto, e tagliate la gelatina in crostoni rettangolari o triangolari, che disporrete in giro sull'orlo del piatto che contiene la galantina. Se non foste sicure della forza gelatinosa del brodo, o in altre parole se temeste che la gelatina non si rapprendesse provatene un poco, prima di chiarificarla, sul ghiaccio per qualche minuto. Se vi sembrerà troppo molle potrete aggiungere quattro o cinque fogli di colla di pesce. La migliore colla di pesce è la cosidetta «gelatina marca oro» che si vende in tutte le drogherie. Questa colla, che si presenta in foglietti rettangolari trasparenti, è assolutamente insapore, tanto che si adopera anche per pasticceria, ed è affatto innocua. Per adoperarla, bisogna prima tenerla una ventina di minuti in
e negli interstizi appare il brodo limpidissimo. Tirate indietro il caldaino, copritelo e lasciate il brodo in riposo per quattro o cinque minuti
Ci sono, negli uomini, come nelle cose, dei privilegiati che ispirano a tutti simpatia. Tale è lo sparagio, figlio diletto della primavera, il quale è accolto festosamente su tutte le mense. Ci sono sparagi verdi e sottili e sparagi bianchi grossi dalla punta leggermente violacea: i primi sono i più adatti ad essere gustati freddi con la salsa più semplice: olio e limone; agli altri, da servirsi di preferenza caldi, convengono le salse grasse e il burro. Gli sparagi vanno scelti accuratamente, legati insieme in mazzi, tagliati tutti della stessa misura e poi lessati in acqua e sale. Non occupiamoci dei piccoli sparagi verdi: l'abbiamo detto: un po' d'olio e un po' di sugo di limone e non c'è da fare altro. Potrete mettere l'olio in un piatto, spremerci su il limone e amalgamare il tutto con una forchetta prima di versare sugli sparagi. Gli sparagi grossi, di giardino, necessitano cure maggiori: vanno raschiati e risciacquati prima di essere lessati, e conviene fare attenzione di non farli passare di cottura, la quale, in ogni caso, dovrà avvenire all'ultimo momento. Qual'è il condimento che meglio conviene a questa varietà di sparagi?
Ci sono, negli uomini, come nelle cose, dei privilegiati che ispirano a tutti simpatia. Tale è lo sparagio, figlio diletto della primavera, il quale
Le gelatine al liquore rappresentano un dolce della cucina classica; e ancora adesso, in occasione di qualche grande buffet, è frequente il caso di vedere far bella mostra di sè codesti dolci, nei più svariati colori. Diremo subito che l'oblìo in cui queste gelatine sono un po' cadute è affatto ingiustificato, in quanto che alla loro preparazione non concorrono difficoltà di procedimenti, nè spesa eccessiva, mentre il risultato è attraentissimo alla vista e molto accetto al palato. Si tratta di fare una gelatina dolce, ben chiarificata, alla quale si aggiunge un profumo a piacere o un liquore. Si potranno dunque confezionare gelatine al limone o all'arancio, o alla vainiglia, oppure alla chartreuse, all'alckermes al rhum o, come più comunemente si fa, al maraschino. Scegliamo dunque un liquore a piacere, ad esempio del rhum, e vediamo quale è il procedimento per la confezione del dolce. Basandosi sul procedimento che descriveremo, le nostre lettrici potranno poi a loro piacere variare il liquore o l'essenza, e quindi anche il colore della gelatina. Premettiamo che le gelatine dolci vanno confezionate in stampe col buco in mezzo e piuttosto lavorate, ciò che le rende assai eleganti. Le dosi di base sono queste: acqua litri uno; zucchero grammi 400; 50 grammi di gelatina «marca oro»; 3 bianchi d'uovo; 4 bicchierini di liquore. Le dosi di base che noi abbiamo dato sono sufficienti per fare una grandissima gelatina dolce. Se vorrete fare una gelatina più piccina, sufficiente a sei persone, ridurrete le dosi nel modo seguente: Due bicchieri d'acqua; 5 cucchiaiate e mezzo di zucchero; 17 grammi di gelatina; un bianco d'uovo; un bicchierino e mezzo di liquore. Come vedete si tratta della formula base ridotta su per giù ad un terzo. Mettete i fogli di gelatina in bagno in una casseruola con acqua fredda e lasciate così almeno per un quarto d'ora. A parte, in una terrinetta, mettete lo zucchero con i due bicchieri d'acqua tiepida e lasciate che lo zucchero si sciolga bene. Prendete adesso una casseruola piuttosto grande, ben netta, e in questa mettete la chiara d'uovo che sbatterete un poco con la frusta di fil di ferro affinchè rimanga ben sciolta e spumosa, ma non montata in neve. Versate allora a cucchiaiate sulla chiara l'acqua zuccherata, continuando sempre a sbattere per unire bene il composto. Quando avrete versato tutto lo sciroppo di zucchero prendete la gelatina che era nell'acqua fredda e che intanto si sarà ben rammollita, strizzatela un po' tra le mani e aggiungetela nella casseruola. Mettete tutto su fuoco moderato e, sempre sbattendo con la frusta, portate il liquido all'ebollizione. Appena questa si sarà verificata tirate la casseruola sull'angolo del fornello, quasi fuori del fuoco, coprite il recipiente, mettendo qualche pezzettino di brace sul coperchio e lasciate riposare la gelatina per una ventina di minuti. La chiara d'uovo portata all'ebollizione, si sarà coagulata assorbendo tutte le impurità del liquido, che apparirà negli interstizi limpidissimo. Mentre la gelatina riposa vicino al fuoco, prendete una seggiola di cucina, appoggiatela capovolta sul tavolo, e sulle quattro zampe distendete una salvietta che assicurerete con quattro legature di spago, una per ogni zampa della seggiola. Questo sistema di improvvisare un filtro, per quanto possa sembrare strano a chi non lo conosce è il più comodo e il più sicuro, e viene praticato da tempo immemorabile in ogni cucina. Preparata così la salvietta, mettete sotto ad essa una insalatiera grande, versate sulla salvietta la gelatina e lasciate che filtri. Otterrete così un liquido limpidissimo. Se non vi sembrasse tale ripetete l'operazione del filtramento un paio di volte. Quando avrete raccolta tutta la gelatina filtrata, lasciatela freddare un pochino, uniteci il rhum o il maraschino, mescolate con un cucchiaio, e poi versate nella stampa, la quale non va unta, ma adoperata asciutta. Quando la gelatina sarà fredda mettetela con la stampa in una catinella e circondatela di ghiaccio lasciandola così per due o tre ore. Al momento di mandare in tavola estraete la stampa dal ghiaccio ed immergetela per due o tre secondi in una casseruola grande contenente acqua calda, ritirate subito la stampa, asciugatela alla svelta e poi capovolgete la gelatina su un piatto, preferibilmente di cristallo. S'immerge la stampa nell'acqua calda per liquefare un piccolissimo strato di gelatina e sformare il dolce con facilità. Regolatevi dunque che la permanenza nell'acqua calda sia per il tempo strettamente necessario, altrimenti correreste il rischio di liquefare tutto e di ricominciare l'operazione da capo. La gelatina al maraschino è bianca limpida. Se invece adoperate del rhum l'avrete bruna, e se il liquore scelto sarà invece l'alckermes otterrete una gelatina rossa di bellissimo effetto. Potrete anche fare una gelatina a due colori, dividendo a metà la gelatina appena filtrata e profumandone una parte col maraschino e una parte con alckermes. Metterete allora nella stampa prima la gelatina bianca col maraschino, farete congelare in ghiaccio e soltanto allora aggiungerete l'altra gelatina rossa, fredda ma non ghiacciata. Batterete leggermente la stampa affinchè la seconda gelatina non lasci spazi vuoti, e poi rimetterete tutto in ghiaccio fino a completo congelamento. Sono piccoli lavori supplementari che costano poca fatica e che danno un risultato più grazioso. È questione di un po' di pazienza e di un po' di diligenza. Se vorrete invece fare una gelatina al limone o all'arancio, unirete fin dal primo momento allo zucchero, gelatina e bianco d'uovo, anche il sugo di quattro limoni (quattro [immagine e didascalia: Coltellino speciale per togliere sottilmente la buccia dagli aranci e dai limoni] limoni bastano per la dose grande di un litro d'acqua). Se sarà invece all'arancio mettere il sugo di tre aranci e quello di un limone. Insieme col sugo metterete a bollire anche le cortecce dei frutti tagliate finemente con un coltellino, in modo da non lasciare nessuna traccia della parte bianca della corteccia. Come sapete la corteccia dell'arancio e del limone contengono un olio essenziale, che è quello che comunica il maggior profumo. Per toglier via sottilmente le cortecce c'è uno speciale coltellino comodissimo, col quale si lavora assai speditamente e bene.
una ventina di minuti. La chiara d'uovo portata all'ebollizione, si sarà coagulata assorbendo tutte le impurità del liquido, che apparirà negli
Conservazione alla calce. — Per la conservazione delle uova nella calce si versa un litro d'acqua su due chilogrammi e mezzo di calce viva, e quando la massa sarà raffreddata, si aggiungono cinque litri d'acqua e qualche pugno di sale da cucina. Si decanta il liquido versandolo in una tinozza, dove si saranno disposte le uova in tre o quattro strati, avendo cura che rimangano bene sommerse. Si mette un coperchio sul recipiente e si lasciano le uova in ambiente fresco. Se l'acqua evaporasse al punto che lo strato superiore ne rimanesse scoperto, dovrà aggiungersi altra acqua. Naturalmente le dosi da noi date possono venire aumentate in proporzione, secondo il bisogno. È da avvertire che, con tale sistema le uova si mantengono inalterate per più mesi; ma esse vanno tuttavia soggette a qualche alterazione, poichè per osmosi un po' di calce penetra sempre nel guscio e ne rende più liquido l'albume. Ciò non impedisce però che queste uova possano tornare utili negli usi domestici e in ispecie per usi ausiliari di cucina.
'albume. Ciò non impedisce però che queste uova possano tornare utili negli usi domestici e in ispecie per usi ausiliari di cucina.