E sopratutto non temete di degradarvi cingendo il bianco grembiule di cuoca, nè di menomare le vostre grazie manipolando degli intingoli. A vostra consolazione e a vostro incoraggiamento potremmo citarvi migliaia di nomi di sovrani, di artisti, di poeti o di dame elettissime il cui ricordo è legato a bellezza incantevole o a severe opere dell'ingegno, che non solo non sdegnarono di coltivare l'arte gastronomica, ma che questa loro conoscenza a buon diritto vantarono. Il volume che vi presentiamo è tale da spronarvi nella via che vi indichiamo. Per la insolita ricchezza dell'edizione e per la forma chiara e signorile della trattazione, Voi potrete accogliere liberamente il presente libro nella vostra biblioteca e nei giorni di ricevimento mostrarlo senza dovere arrossire a tutte le vostre amiche, siano esse, come Voi, dame di fine eleganza e di impeccabile buon gusto. Il volume è edito sotto gli auspici della rivista «Preziosa», quella rivista che da quattordici anni si è imposta in tutte le famiglie per la praticità dei suoi insegnamenti e per il modo veramente unico con cui le varie ricette vengono esposte, modo che permette anche alla persona che non ha mai messo piede in cucina di portare a termine con pieno onore i manicaretti più complicati. Accade sovente anche nelle pubblicazioni fatte con una certa cura che a un dato momento l'autore o per incapacità tecnica o perchè non riesce a farsi comprendere lascia nel dubbio il lettore, il quale non sapendo come procedere nel suo lavoro chiude il libro e rinunzia alla progettata preparazione gastronomica. Tutto questo non avverrà consultando il nostro volume, che in esso portammo gli stessi intendimenti che ci guidarono sempre nella compilazione della nostra rivista, e che hanno avuto — perchè non dirlo?
forma chiara e signorile della trattazione, Voi potrete accogliere liberamente il presente libro nella vostra biblioteca e nei giorni di ricevimento
Questa salsa di una estrema finezza viene servita nei grandi alberghi per accompagnare generalmente i grossi pesci bolliti e presentati caldi, e gli sparagi di giardino. Mettete in una casseruolina, preferibilmente di
Questa salsa di una estrema finezza viene servita nei grandi alberghi per accompagnare generalmente i grossi pesci bolliti e presentati caldi, e gli
Tenete le proporzioni di 100 grammi di burro, 100 grammi di farina e mezzo bicchiere d'acqua (100 grammi), due uova intere, se grandi, o tre piccole. Ottenuta la pasta, mettetela nella tasca di tela, con bocchetta di latta di un centimetro di apertura, e su una teglia leggerissimamente imburrata fate uscire tanti bastoncini di pasta della lunghezza di circa cinque centimetri. Avvertite di non disporli troppo vicini gli uni agli altri perchè, cuocendo, gonfiano e potrebbero attaccarsi. Se una teglia non basterà usatene un'altra. Cuocere le pastine a forno caldissimo e quando le avrete ben gonfie, asciutte e leggere — per il che occorreranno circa dieci minuti — toglietele dal forno e lasciatele freddare su un largo setaccio. Con le forbici fate allora un taglio laterale e, procedendo con attenzione riempite le caroline con purè di burro e alici, o con burro e prosciutto, burro e lingua, burro e listelline di pollo arrostito, ecc. Anche per questo ripieno potrete usare la più grande libertà di scelta. Queste caroline potrete servirle senz'altro così, accomodate con gusto nei piattini da antipasto, o potrete — se volete fare una cosa «extra fine» — spalmarle esternamente, nella parte superiore, con la lama di un coltello, d'un pochino di salsa «chaud-froid» bianca, facendoci poi sopra qualche piccola decorazione con pezzettini di tartufo, lucidando con gelatina appena fusa, e mettendo poi le caroline per qualche tempo in ghiacciaia affinchè la salsa e la gelatina possano ben rapprendersi.
senz'altro così, accomodate con gusto nei piattini da antipasto, o potrete — se volete fare una cosa «extra fine» — spalmarle esternamente, nella parte
Mondate i cetrioli e ritagliateli in fette finissime come carta (è questa la caratteristica). Raccogliete queste fettine finissime in una piccola insalatiera e cospargetele con un poco di sale fino, il quale ha l' ufficio di privare il cetriolo della molta acqua di vegetazione che contiene. Dopo una mezz'ora prendete un po' di fette alla volta, strizzatele con garbo e spandetele sopra un tovagliolo che poi arrotolerete piano piano in modo da rinchiudervi dentro le fette per lasciarle bene asciugare. Dopo un altro po' di tempo accomodate le fettine nei piattini da antipasto, conditele con pochissimo sale, pepe, olio, aceto e prezzemolo trito aggiungendo anche, se è possibile, una cucchiaiata o due di crema di latte sciolta. Mettete i piattini preparati in ghiacciaia per almeno un'ora affinchè i cetrioli possano essere serviti freddissimi.
rinchiudervi dentro le fette per lasciarle bene asciugare. Dopo un altro po' di tempo accomodate le fettine nei piattini da antipasto, conditele con
La pasta con le sarde è uno dei famosi piatti della cucina siciliana, ed è una preparazione caratteristica che non trova riscontri in nessun'altra cucina regionale. I siciliani sono orgogliosi di questa loro specialità, e non hanno torto, poichè un tegame di pasta con le sarde ben fatta è veramente una cosa squisita. Chi non è addentro nei segreti di questa pietanza, leggendone la ricetta può trovare che l'insieme di elementi così disparati possa condurre ad una dissonanza culinaria; ma è proprio il caso di ripetere che, come nei più acclamati poemi sinfonici moderni, queste apparenti dissonanze vengono a creare un insieme armonico di prim'ordine. La pasta con le sarde è una specie di mosaico in cui ogni pezzetto ha la sua ragion d'essere nel risultato finale. Errerebbe dunque chi volesse portarvi delle modificazioni personali per quel gusto di variare, semplificare, che molte persone hanno, senza aver prima esperimentato la ricetta vera. La pasta con le sarde, essendo diffusissima, ha nella stessa Sicilia parecchie ricette, le quali variano però soltanto in qualche accessorio; ed è logico che la ricetta preparata dai grandi cuochi siciliani, che, fin dall'antichità furono i più grandi cuochi del mondo, potrà essere un pochino più dispendiosa di quella eseguita nelle modeste case e nelle taverne, ma, ripetiamo, è questione di nuances.
una cosa squisita. Chi non è addentro nei segreti di questa pietanza, leggendone la ricetta può trovare che l'insieme di elementi così disparati
Si possono usare tutte le qualità di uccelli, da quelli detti di becco sottile fino ai tordi e ai beccaccini. Agli uccelli si spuntano le zampine e si tolgono gli occhi. I veri buongustai non li sventrano, che questa operazione suonerebbe come una vera e propria profanazione. È una questione tutta personale nella quale ognuno si regolerà come meglio crede. Nel bresciano e nel bergamasco si preparano anche tante fettine sottilissime di lombo di maiale per quanti sono gli uccelli, si arrotolano queste fettine racchiudendovi dentro una foglia di salvia, e si alternano allo spiede con gli uccelli. In altre regioni invece dei pezzi di maiale si mettono delle fettine di prosciutto, piuttosto abbondanti, alternandole con gli uccelli e con delle foglioline di salvia. Guarniti lo spiede o gli spiedi si fa un buon fuoco mettendo sotto gli uccelli la leccarda nella quale si sarà messo qualche fetta di lardo ritagliata in dadini, un pezzo di burro proporzionato al numero degli uccelli da arrostire e qualche foglia di salvia. Per quattro o cinque minuti si fa girare il girarrosto senza mettere alcun condimento sugli uccelli. Trascorsi questi 4 o 5 minuti, con un pennello o con un cucchiaio si incomincia a far cadere sugli uccelli il grasso della leccarda, che intanto si sarà sciolto, e si continua così ad ungere di quando in quando. Il tempo preciso di cottura dipende dalla vivacità del fuoco e anche dalla qualità degli uccelli, i quali dovranno risultare nè troppo cotti, nè troppo crudi e di un bel color d'oro all'esterno. A questo punto salate gli uccelli facendo piovere il sale dappertutto mentre lo spiede gira. Dopo la salatura lasciateli ancora pochi altri minuti, ma senza più ungerli, e avendo l'avvertenza di diminuire il fuoco. Intanto avrete preparato la polenta, in quantità proporzionata al numero delle persone e... dell'appetito. Anche la polenta necessita cure speciali dovendo risultare nè troppo dura, nè troppo molle. Riguardo alla polenta si usano diversi procedimenti riguardanti il modo di servirla. C'è infatti chi la riversa sull'asse di cucina spianandola all'altezza di un dito, la ricopre con un panno bagnato e dopo un po' la ritaglia in fette che vengono distribuite nei piatti. Su ogni fetta si fa un piccolo incavo col cucchiaio, ci si versa un poco di sugo della leccarda per terminare con gli uccellini, le cui zampette vengono infisse nella polenta. Altri invece — e questo ci sembra il sistema migliore anche perchè più sbrigativo e più elegante — nei riguardi della presentazione in tavola, usano il seguente sistema. Quando la polenta sarà arrivata a perfetta cottura, si prende una stampa da bordura ampia e non troppo frastagliata, si imburra abbondantemente e vi si versa dentro la polenta. Si batte la stampa affinchè non restino vuoti e poi si tiene la stampa a bagno maria, in caldo, fino al momento di andare in tavola. Giunta loia di servire si sforma la bordura nel mezzo del piatto, si contorna con gli uccellini e sulla polenta e nel vuoto della bordura si versa il sugo della leccarda. Questo è il procedimento esatto e caratteristico dello «spiede». Ed infatti in Alta Italia dalle cucine più povere a quelle più ricche è lo spiede che trionfa per questa preparazione. Da alcuni si usa talvolta cuocere gli uccellini anche in padella accompagnandoli ugualmente con la polenta e relativo sugo di cottura, ma il procedimento tradizionale è quello da noi ampiamente descritto.
'altezza di un dito, la ricopre con un panno bagnato e dopo un po' la ritaglia in fette che vengono distribuite nei piatti. Su ogni fetta si fa un
È questa la famosa Soupe à l'oignon, una delle istituzioni della Paris qui s'amuse. Ciò non vuol dire che invece di degustarla nei varii restaurants notturni parigini non la si possa mangiare tranquillamente in casa propria, e senza attendere il pallido sorriso dell'alba. È una zuppa squisita, sana e nutriente. Si sbucciano e si tagliano in fette sottili due cipolle di media grandezza, si mettono in una casseruola con mezzo panino abbondante di burro, e quando la cipolla incomincia ad imbiondirsi leggermente si aggiunge un cucchiaino da caffè di farina. Si fa cuocere un minuto o due, e si bagna con un litro di acqua. Si condisce con sale, una presina di pepe bianco e si fa bollire adagio per mezz'ora. Intanto si taglia in fette un filoncino di pane, si abbrustoliscono le fette sul fuoco, e si grattano un po' di gruyère e un po' di parmigiano. Si prende una zuppiera, si fa uno strato di fette di pane, si cospargono di formaggio grattato, e si continua a fare degli strati di pane e formaggio, a seconda del numero dei commensali. Fatto questo, e trascorsa la mezz'ora di bollore regolare, si versa piano piano il brodo di cipolle nella zuppiera facendolo passare da un colabrodo, si copre e si lascia stufare per una diecina di minuti prima di mangiare. Con le dosi da noi date, e con un filoncino di pane, si possono avere tre buone zuppe.
È questa la famosa Soupe à l'oignon, una delle istituzioni della Paris qui s'amuse. Ciò non vuol dire che invece di degustarla nei varii restaurants
Molti credono che questo tradizionale piatto napolitano sia esclusiva specialità dei «pizzaioli» e che si debba mangiarlo soltanto da loro. È un errore. La pizza alla napolitana si può fare benissimo in casa dove riesce buona come nella più accreditata pizzeria. La vera pizza alla napolitana va cotta nel forno da pane, in mezzo ad una fiamma vivace di sarmenti; ma non è detto che non si possa ottenerla anche nei nostri fornetti domestici. Per una pizza sufficiente a sei persone occorrono circa 400 grammi di pasta da pane. Chi vuol comprarla bella e pronta dal fornaio può farlo, ma noi consigliamo di confezionare la pasta in casa: ciò è molto meglio. Prendete 350 grammi di farina, disponetela a corona sulla tavola, metteteci dentro 10 grammi di lievito di birra, aggiungete un pizzico di sale, stemperate il lievito con un pochino d'acqua tiepida e impastate con altra acqua tiepida; in tutto un bicchiere. Lavorate energicamente la pasta affinchè risulti ben liscia, elastica e relativamente morbida. Poi fatene una palla e mettetela in una terrinetta, nel cui fondo avrete spolverato un po' di farina. Coprite la terrinetta e mettetela in luogo tiepido perchè la pasta possa lievitare.
cotta nel forno da pane, in mezzo ad una fiamma vivace di sarmenti; ma non è detto che non si possa ottenerla anche nei nostri fornetti domestici. Per
Prendete ora una teglia del diametro di circa venti centimetri, imburratela e poi mettete sul fondo di essa la parte maggiore della pasta, spianandola con le dita e formando una specie di scodella un po' sollevata nei bordi. Sulla pasta disponete la metà delle fettine di mozzarella e su queste stendete i filetti di pomodoro cotti. Condite con sale e pepe e con una cucchiaiata o due di foglie di basilico fresco, tagliuzzate. Finalmente sui filetti di pomodoro allineate le listelline di prosciutto, e terminate con un secondo strato di fettine di mozzarella. Ultimate il ripieno seminando su tutto un buon pugno di parmigiano grattato. Rompete un uovo in un piatto, sbattetelo come per frittata e con un pennello dorate l'orlo della pasta, che avrete avuto cura di lasciar libero. Prendete l'altro pezzo di pasta rimasta, il pezzo più piccolo, stendetelo alla svelta col rullo di legno aiutandovi con un po' di farina, formatene un disco e con questo disco ricoprite la pizza. Pigiate piano piano intorno affinchè i due dischi combacino bene, e poi mettete nuovamente la pizza a lievitare in un luogo tiepido, e al riparo da correnti d'aria. Appena la pizza sarà nuovamente lievitata — per il che occorrerà circa un'ora — doratela superficialmente coll'uovo sbattuto che vi è avanzato, procedendo con molta leggerezza per non sgonfiare la pasta e infornate in forno di buon calore, ma non eccessivo. Generalmente per una buona cottura occorrono una ventina di minuti, o al massimo mezz'ora.
, spianandola con le dita e formando una specie di scodella un po' sollevata nei bordi. Sulla pasta disponete la metà delle fettine di mozzarella e su queste
Gli antipasti caldi sono piccole preparazioni, le quali, in un pranzo, seguono immediatamente le minestre e servono di transizione tra queste e i grossi pezzi. La caratteristica assoluta di queste preparazioni deve essere la leggerezza. Come ebbe a dire il Maestro Escoffier, gli antipasti caldi, dal punto di vista della logica gastronomica, sono un pleonasmo e nulla, se non l'abitudine, ne ha giustificato l'uso. Non debbono quindi essere considerati che come una specie di piacevole intermezzo. Bisogna dunque studiarsi di fare delle preparazioni minuscole e graziose, qualche cosa come uno speciale petit-four, che, in un certo modo, possa solleticare gradevolmente l'appetito del convitato senza aggravarne lo stomaco. Infinite le preparazioni che possono figurare negli antipasti caldi, purchè si tenga presente quanto abbiamo già esposto nei riguardi della leggerezza, della grazia e della esattezza. La cucina moderna accoglie di preferenza tra gli antipasti caldi le barchette, riservate generalmente a guarniture di pesci, molluschi e crostacei, le tartelette, impiegate di preferenza per preparazioni a base di pollame, di caccia, ecc., le bouchées, più conosciute da noi col nome di petitspatés — ricordando che quando debbono servire per antipasti queste bouchées si faranno di misura assai più piccola dei soliti petits-patés — e i cannelloni, specie di cannoncini di pasta sfogliata, di cui le lettrici, come per le bouchées, troveranno il modo di esecuzione nel capitolo dei dolci.
che possono figurare negli antipasti caldi, purchè si tenga presente quanto abbiamo già esposto nei riguardi della leggerezza, della grazia e della
Mettete sei uova in una casseruolina, copritele di acqua fredda, fatele bollire sette minuti, passatele di nuovo in acqua fredda, sgusciatele, dividetele in due parti in lunghezza e separate i bianchi dai rossi. Impastate i rossi — o meglio pestateli nel mortaio — con mezzo ettogrammo di burro e tre alici salate, lavate, spinate e fatte a piccoli pezzi; e con questa pasta riempite il vuoto lasciato nei bianchi. Accomodate queste mezze uova in un piatto, e versate sopra ognuna un cucchiaino di salsa maionese.
tre alici salate, lavate, spinate e fatte a piccoli pezzi; e con questa pasta riempite il vuoto lasciato nei bianchi. Accomodate queste mezze uova in un
Versate adesso nei tegame la salsa messa da parte e lasciate cuocere pian piano per circa un quarto d'ora, meglio più che meno. Aggiungete allora l'aragosta, le cicale e l'anguilla, e dopo altri cinque minuti di ebollizione il rimanente del pesce di carne più delicata. Lasciate cuocere ancora dieci minuti, verificate la sapidità dell'intingolo aggiungendo del sale se occorresse, e in ultimo versate il pesce col suo bagno in una grande insalatiera nella quale avrete messo delle fette di pane abbrustolito.
Versate adesso nei tegame la salsa messa da parte e lasciate cuocere pian piano per circa un quarto d'ora, meglio più che meno. Aggiungete allora l
È una ricetta che figura spessissimo nei menu dei grandi restaurants, ed è veramente buona nella sua semplicità. Dopo aver ben nettato le sogliole — calcolandone una a persona — e aver portato via la pelle nera, s'infarinano, si passano nell'uovo sbattuto, si panano e si friggono. Si accomodano su un piatto con salvietta e sopra ogni sogliola si mette un pezzo di burro alla mâitre-d'hôtel.
È una ricetta che figura spessissimo nei menu dei grandi restaurants, ed è veramente buona nella sua semplicità. Dopo aver ben nettato le sogliole
Eccezione fatta per qualche albergo, il montone viene raramente usato, perchè per questo come per tanti altri alimenti ci sono non poche prevenzioni. Molti, infatti, lo ritengono coriaceo, disgustoso, nauseabondo, indigesto e chi più ne ha ne metta: e al solito sono calunnie, che il mansueto animale non merita davvero... Le più importanti razze e varietà di ovini esteri sono: la Razza Leicester, detta Razza Dishley, la Razza New Kent, la Razza Southdown, la Razza Cottswold, la Razza Francese, la Razza Savojarda, la Razza Danese, la Razza Cheviot, la Razza del bacino della Loira, la Razza dei Pirenei, la Razza Merinos, la Razza della Barberia o Barbaresca e la Razza del Sudan. Gli ovini italiani hanno pure grande rinomanza. Le principali razze nazionali sono: la Razza Piemontese, ottima, la Razza Biellese, la Razza Canavese, la Razza di Pinerolo, la Razza Bergamasca, la Razza Siciliana, la Razza gentile delle Puglie, la Tuscolana, oltre importanti varietà come quella di Ormea e della Valle d'Aosta, della Lomellina, Padovana e Romagnola, Romana e Napolitana. Il montone di buona qualità ha la carne di un rosso leggermente biancastro, grasso bianco e duro che forma degli strati più o meno spessi alla superficie e nei principali interstizi muscolari. I migliori tagli del montone sono: il coscetto (gigot), la sella, e le oostolette. I tagli più scadenti: la spalla, il petto e il collo.
meno spessi alla superficie e nei principali interstizi muscolari. I migliori tagli del montone sono: il coscetto (gigot), la sella, e le oostolette
Del resto sembra che non arrivassero soltanto qui le bizzarrie di questo fastoso originale. Ma si vuole che la finissima biancheria da tavola portasse, artisticamente intrecciate, code di maiale, e che sulle preziose porcellane del servizio si profilasse sonnolenta e grassoccia una bella testa di porco. E non basta, chè nei giorni di gala, un autentico porco vivo, affidato alla scrupolosa cura di un domestico, unicamente incaricato della sua «persona» prendeva posto a tavola alla destra di Grimod, su uno sgabello in legno di rosa. — Troppo onore, forse — soleva dire il suo padrone — per un mangiatore di ghiande, ma non abbastanza per un cercatore di tartufi!
porco. E non basta, chè nei giorni di gala, un autentico porco vivo, affidato alla scrupolosa cura di un domestico, unicamente incaricato della sua
7. Il pollo cucito. Quando sarà cotto basterà tagliare lo spago sull'ala e sulla coscia nei punti A e B, e tirare dal disotto dove c'è il nodo. Lo spago verrà via completamente e in un sol pezzo; ciò che distingue questo sistema di cucitura da altri in cui lo spago deve essere tolto con un maggior numero di tagli. il riso generalmente non va sgrassato, che anzi il grasso costituisce il migliore condimento. Tuttavia, se fosse in abbondanza, mettetene via un poco per impedire che il riso abbia a nuotare nel grasso, ciò che, oltre a non essere bello alla vista, non si confarrebbe troppo neanche allo stomaco. Torniamo a raccomandarvi di scegliere una pollastrina giovine e bene in carne o anche un bel pollo tenero. Diffidate dalle galline di età troppo... matura che, a dispetto del noto proverbio popolare, oltre ad avere la carne dura, tigliosa e senza profumo, fanno un brodo detestabile.
7. Il pollo cucito. Quando sarà cotto basterà tagliare lo spago sull'ala e sulla coscia nei punti A e B, e tirare dal disotto dove c'è il nodo. Lo
Preparate delle patate duchesse, prendete una buona cucchiaiata alla volta di questa purè, rotolatela con le mani nel pane grattato, fatene una palla, schiacciatela delicatamente sul tavolo, e poi con le dita spingete un poco nel mezzo, in modo da avere come una scodellina rotonda. Con mezzo chilogrammo di patate ne otterrete una dozzina. Ripetete l'operazione, facilissima del resto, fino a che avrete esaurito le patate: poi friggete queste scodelline nell'olio o nello strutto, tiratele su con garbo dalla padella, lasciatele ben sgocciolare, accomodatele in corona in un piatto, e versate in ognuna di esse il seguente intingoletto bollente. Pestate una fettina di carne magra da un ettogrammo o poco più, con un pochino di grasso di prosciutto e impastate poi con una piccola patata lessa schiacciata, o con un po' di mollica di pane bagnata e spremuta. Condite con sale, pepe, noce moscata; e con le mani infarinate foggiate tante polpettine grosse come nocciole, che friggerete nell'olio o nello strutto. Fate rassodare tre uova, dando loro sette minuti di bollore, rinfrescatele in acqua, sgusciatele e tagliatele in dadini di circa un centimetro. Fate liquefare in un tegamino mezzo panino di burro, aggiungete una buona cucchiaiata di salsa di pomodoro, sale, un ramaiuolo di brodo o d'acqua e fate addensare leggermente la salsa. Versate in essa le polpettine e le uova sode in dadi, fate scaldare senza troppo bollire, e con un cucchiaio distribuite l'intingolo nei panierini di patate. È un piatto molto economico che pure fa la sua figura. Se avete un pizzico di funghi secchi, aggiungeteli all'intingolo e sarà tanto meglio. Le proporzioni sono per quattro persone.
. Versate in essa le polpettine e le uova sode in dadi, fate scaldare senza troppo bollire, e con un cucchiaio distribuite l'intingolo nei panierini di patate
I piselli al prosciutto alla romana sono una vera leccornia, specie se si adopera il pisello degli orti romani che è tenerissimo e dolcissimo. E pure non tutti li sanno fare, chè spesso accade di veder cucinati questi piselli in modo addirittura cannibalesco. I piselli devono restare ben verdi, e questo si ottiene usando una buona qualità di pisello e portando la cottura velocemente. Mettete in una casseruola un bel pezzo di burro e una cucchiaiata di cipolla tritata finissima. Fate cuocere adagio adagio affinchè la cipolla cuccia senza colorirsi e poi mettete giù i piselli. Conditeli con sale e pepe e aggiungete qualche cucchiaiata di brodo o d'acqua. A questo punto portate la cottura a fuoco vivacissimo, mescolando di quando in quando. Con i piselli romaneschi in una diecina di minuti la cottura sarà completa. Qualche minuto prima aggiungete nei piselli un paio di cucchiaiate di prosciutto in piccole fettine. C'è chi mette il prosciutto in principio insieme con la cipolla. Secondo noi è cosa mal fatta perchè il prosciutto, volere o no, si sfrittola sempre un poco e non rimane morbido e gustoso come quando si mette quasi alla fine. Altri aggiungono ai piselli prima di versarli nel piatto, un pizzico di zucchero in polvere. Ma anche questa aggiunta è inutile perchè se il pisello è di qualità fine è già dolce di per sè e non ha bisogno di una ulteriore dolcificazione, che spesso può essere poco felice. Col sistema da noi descritto, e che è facilissimo, si è sicuri di conservare ai piselli tutto il loro profumo e il loro bel colore chiaro.
. Con i piselli romaneschi in una diecina di minuti la cottura sarà completa. Qualche minuto prima aggiungete nei piselli un paio di cucchiaiate di
Dopo averli mondati e generosamente risciacquati cuoceteli in una pentola come vi abbiamo più volte insegnato, cioè con pochissima acqua e fuoco piuttosto vivace. Quando saranno cotti passateli in acqua fredda, ciò che conserverà loro il color verde. Poscia strizzateli e metteteli da parte. Pochi momenti prima di mangiare mettete un bel pezzo di burro in una padella e fatelo soffriggere fino a che sarà diventato biondo. Aggiungete allora gli spinaci, conditeli con sale e pepe e qualche acciuga che avrete lavato, spinato e tritato col coltello insieme ad un piccolissimo pezzo d'aglio. Lasciate insaporire un pochino e accomodate gli spinaci nel piatto contornandoli con crostini di pane fritti. Nei giorni di magro stretto si può usare invece del burro un po' d'olio. In un modo o nell'altro questi spinaci riescono appetitosi.
insaporire un pochino e accomodate gli spinaci nel piatto contornandoli con crostini di pane fritti. Nei giorni di magro stretto si può usare invece
Questa pietanza non è molto fine, ma in compenso risultata appetitosissima e tale da poter essere inclusa, tanto per variare, nei menù giornalieri di cucina casalinga. Per sei persone prendete otto peperoni verdi romaneschi, arrostiteli sul fuoco per toglier loro la buccia, apriteli, risciacquateli, togliete loro il torsolo e i semi e divideteli in filetti. Prendete ora una padella piuttosto grande, metteteci pochissimo olio e una bella cipolla ritagliata in fette sottili, fate imbiondire la cipolla aggiungendo una o due cucchiaiate d'acqua affinchè cuocia senza bruciacchiarsi e quando la cipolla sarà bene appassita e bionda aggiungete una diecina di pomodori di mezzana grandezza, ai quali avrete tolto buccia e semi e ritagliato in filetti. Quando il pomodoro sarà cotto aggiungete i peperoni, condite con sale e pepe e moderate il fuoco per far bene insaporire il tutto. Dopo circa un quarto d'ora mettete nella padella un paio di ettogrammi di guanciale affettato in fette sottili e ritagliato in pezzi piuttosto grandi, mescolate e continuate la cottura su fuoco moderato per pochi altri minuti fino a che il guanciale si sia bene scaldato e abbia preso un aspetto quasi trasparente. Nel caso il guanciale avesse cavato troppo grasso, toglietene un po' con il cucchiaio, inclinando la padella e poi travasate l'intingolo nel piatto e mangiatelo ben caldo.
Questa pietanza non è molto fine, ma in compenso risultata appetitosissima e tale da poter essere inclusa, tanto per variare, nei menù giornalieri di
Aperti e vuotati i pomodori, prendete quella qualità di cannolicchi piccini detti comunemente avemarie, calcolandone circa un paio di cucchiaiate per ogni pomodoro da riempire. Mettete in una terrinetta i cannolicchi crudi e conditeli con sale, pepe, qualche cucchiaiata d'olio, prezzemolo e basilico tagliuzzato e qualche pezzettino d'aglio, nonchè il sugo che avete tolto dai pomodori e che passerete a traverso un colabrodo per separarlo dai semi. Mescolate bene tutti questi ingredienti e con un cucchiaio distribuite il ripieno nei pomodori, pigiando leggermente affinchè la pasta vada ad occupare tutti gli spazi disponibili. Sgocciolate ancora su ogni pomodoro un pochino d'olio e poi mettete a posto i coperchi, dando ai pomodori il loro primitivo aspetto. Accomodate i pomodori in una teglia in modo che stiano in un solo strato, uno accanto all'altro, mettete nella teglia qualche cucchiaiata d'acqua, un altro po' d'olio, e cuocere i pomodori nel forno di moderato calore, oppure con fuoco sotto e sopra, avvertendo, in questo caso, di porre sotto la teglia pochissima brace, e mettendone invece più abbondantemente sul coperchio che chiude la teglia.
. Mescolate bene tutti questi ingredienti e con un cucchiaio distribuite il ripieno nei pomodori, pigiando leggermente affinchè la pasta vada ad
La melanzana è originaria dell'India, e si è naturalizzata felicemente, da tempo remotissimo, nei nostri orti occidentali. La melanzana, non ha avuto mai un consenso unanime di simpatie: portata alle stelle da alcuni, sprezzata da altri; consumata copiosamente in alcune provincie, rifiutata o adoperata con grande parsimonia e diffidenza in altri mercati. Nell'Italia meridionale, nella Sicilia, se n'è sempre fatto un consumo grandissimo in confronto delle altre provincie; a Roma, per esempio, fino a poco tempo fa veniva scarsamente usata ed anche ora alcuni buoni romani conservano per la melanzana la tradizionale ed ingiustificata avversione. Intorno alla melanzana c'è una grande leggenda da sfatare: quella delle difficoltà per la sua preparazione. Secondo alcuni autori di cucina per preparare un piatto di melanzane c'è da fare tale una fatica e da superare un tale complesso di complicazioni che ne passa la voglia. Gli autori culinari consigliano di mettere le melanzane sotto sale per qualche ora, poi di risciacquarle, asciugarle, ecc., ecc. Tutte fatiche inutili e tutto tempo sprecato. La salatura delle melanzane è uno dei tanti procedimeni della cucina empirica, che le nostre lettrici debbono assolutamente abbandonare. Uno solo è il punto importante: scegliere delle melanzane di buona qualità: preferibilmente le napolitane. Risolta questa principale questione, non vi sono altre difficoltà: tagliate le melanzane e cucinatele subito, senza timore che vi riescano di sapore acre o amarognolo. Noi crediamo anzi che una delle ragioni del cattivo gusto che prendono talvolta le melanzane sia dovuto appunto alla salatura.
La melanzana è originaria dell'India, e si è naturalizzata felicemente, da tempo remotissimo, nei nostri orti occidentali. La melanzana, non ha avuto
Una verdura che non ha tutta la diffusione che meriterebbe è il crescione: una pianta sana, gustosa e alla quale si attribuivano anticamente innumerevoli virtù. Nelle famiglie è generalmente poco usato, mentre nei grandi alberghi l'insalata di crescione è l'accompagnamento di rito di tutti gli arrosti. La puré di crescione è veramente gustosa ed accompagna ottimamente delle carni leggere, come costolettine d'agnello, animelle, filetti di tacchino, ecc. Mondate il crescione e passatelo per pochi minuti in acqua bollente insieme con un pezzetto di cipolla, rovesciate su una scolamaccheroni e rinfrescate l'erba con acqua fredda, strizzatela e pestatela nel mortaio, aggiungendo qualche cucchiaiata di salsa besciamella ristretta, un pizzico di sale e una puntina di pepe. Se volete rendere la purè più fine passatela al setaccio, raccoglietela in una casseruolina, finitela con un pezzetto di burro e servitevene.
innumerevoli virtù. Nelle famiglie è generalmente poco usato, mentre nei grandi alberghi l'insalata di crescione è l'accompagnamento di rito di tutti gli
Se la cucina intesa nei suoi molteplici aspetti può simpaticamente interessare una signora, questo interesse è tanto maggiore nella pasticceria, la quale è un'arte così piacevole, delicata e fine che sembra ideata per gentili mani di donna. È qui che la genialità e il buon gusto di una signora possono trovare la loro migliore espressione, specie per quel che riguarda la sobria decorazione di dolci o di gelati, l'artistica maniera di accomodare per un buffet torte, paste dolci o pastine, e via dicendo. Conoscendo, per la lunga esperienza fattane, l'importanza che può avere in famiglia la confezione di una buona pasticceria, abbiamo accordato a questo capitolo un più ampio svolgimento, così da mettere in grado le nostre lettrici di eseguire agevolmente qualunque preparazione, anche la più difficile.
Se la cucina intesa nei suoi molteplici aspetti può simpaticamente interessare una signora, questo interesse è tanto maggiore nella pasticceria, la
Sbattete in una casseruola tre cucchiaiate ben colme di zucchero con tre rossi d uovo. Aggiungete due cucchiaiate di farina, un pizzico di sale, due cucchiaiate di cacao o di cioccolato grattato e diluite il tutto con mezzo litro di latte aggiungendo anche una puntina di coltello di vainiglina. Mettete la casseruola sul fuoco e sempre mescolando fate rapprendere la crema, travasatela in una terrinetta e mentre si fredda mescolatela di quando in quando per impedirle di fare la pellicola alla superficie. Se vi riuscisse troppo densa, diluitela ancora con del latte che metterete poco a poco. Per questo genere di creme si presta assai bene il cacao in pasta, che si vende nei depositi di cioccolato sotto forma di grossi mattoni non zuccherati. Questa qualità di cacao, molto usata in pasticceria, è assai gustosa e si amalgama perfettamente. Basta raschiare il cacao e farlo liquefare vicino al fuoco con un nonnulla d'acqua o di latte.
questo genere di creme si presta assai bene il cacao in pasta, che si vende nei depositi di cioccolato sotto forma di grossi mattoni non zuccherati
Questa operazione dovrà durare per circa una mezz'ora, fino a che vedrete che i rossi d'uovo saranno ben montati, faranno qua e là delle bollicine e la massa spumosa, lasciata cadere dal cucchiaio, verrà giù morbidamente a nastro, senza spezzarsi. Montate allora in neve, con una frusta di ferro stagnato, le quattro chiare che avrete messo in una insalatiera. Sbattetele bene: esse dovranno divenire bianchissime e sostenute. A questo punto aggiungete nei rossi d'uovo un ettogrammo di fecola, mischiate bene, e in ultimo aggiungete le chiare montate. Fate attenzione di non mischiare il composto con molta forza, perchè sciupereste le chiare e la torta perderebbe molto della sua morbidezza. Dovrete unire le chiare leggermente, adoperando un cucchiaio di legno. Imburrate e infarinate con la fecola una teglia di rame del diametro di circa venti centimetri e dell'altezza di cinque o più centimetri, rovesciatela per farne uscire il di più della farina e metteteci il composto. Appena questo sarà nella teglia ponetelo subito in forno di giusto calore e lasciate cuocere la torta per una trentina di minuti. Sfornatela, toglietela dalla teglia, ponetela su un setaccio per farla asciugare e freddare, poi inzuccheratela. Questa torta può mantenersi per parecchi giorni. Conviene allora avvolgerla nella stagnuola. Come vedete è una delle tante imitazioni della famosa torta precedentemente descritta, che però non ha nulla a che vedere con la vera torta del paradiso.
aggiungete nei rossi d'uovo un ettogrammo di fecola, mischiate bene, e in ultimo aggiungete le chiare montate. Fate attenzione di non mischiare il composto
Il Plum-cake (gateau di uva) è un famoso dolce inglese, diffusosi da per tutto, e ricercato in special modo nei five o' clock eleganti. Infatti non c'è forse un genere di pasticceria che sia più gradito, offerto insieme ad una buona tazza di tè. La sua preparazione è facilissima. Il Plum-cake consta dei seguenti elementi, adoperati generalmente in parti uguali: burro, zucchero, farina, uvette secche, canditi, ed un certo numero di uova. Di questo dolce esistono una infinità di formule, le quali non differiscono che in particolari insignificanti. Ma qualunque sia la formula adottata, il procedimento resta sempre il medesimo. Siccome il Plum-cake è un dolce piuttosto compatto, alcuni autori consigliano l'aggiunta di chiare in neve, altri di un pizzico di carbonato d'ammoniaca, che è un sale largamente usato in pasticceria per dare leggerezza ad alcuni generi di paste, altri, infine, vorrebbero si unisse al composto un pochino di lievito di birra sciolto in un dito d'acqua. Ripetiamo: sono piccole differenze insignificanti, che non mutano sostanzialmente il risultato finale. Offriremo dunque alle nostre lettrici non una, ma più formule, dovute ai migliori artisti del genere; e le nostre lettrici potranno sceglierne una, o provarle tutte, una alla volta. Una ottima formula è la seguente:
Il Plum-cake (gateau di uva) è un famoso dolce inglese, diffusosi da per tutto, e ricercato in special modo nei five o' clock eleganti. Infatti non c
Si lavora il burro, si aggiungono man mano: lo zucchero, le uova, i rossi la farina, l'uvetta, i canditi, e finalmente il carbonato d'ammoniaca. Invece di foderare la stampa con la carta, si può, più semplicemente, imburrare e infarinare. Un'ora e mezzo di forno temperato. Il Manfredi, come si vede, abbonda nell'uva e nei canditi: ciò che ci sembra logico, dato il nome e il carattere del dolce. Con questa dose si ha un Plum-cake per molte persone. Al'occorenza si potrà ridurre, in proporzione. Il carbonato di ammoniaca si può comperare in qualunque farmaceutica. È innocuo. Ricordiamo alle lettrici, le quali non avessero la bilancia, che, su per giù, una cucchiaiata ben colma di farina pesa circa 30 grammi, e una cucchiaiata colma di zucchero ha lo stesso peso. È quindi facile regolarsi.
, abbonda nell'uva e nei canditi: ciò che ci sembra logico, dato il nome e il carattere del dolce. Con questa dose si ha un Plum-cake per molte
Calcolate 200 grammi di castagne ossia dalle quindici alle venti, togliete loro la scorza con una punta di un coltellino e cuocete nell'acqua leggermente salata. Quando saranno cotte togliete loro la pellicola e mettetele in una casseruola con un bicchiere scarso di latte e un pezzettino di burro come una noce, facendole bollire di nuovo e infrangendole con un cucchiaio di legno per ridurle in purè. Passate questa purè dal setaccio, aggiungete una cucchiaiata di zucchero e un nonnulla di vainiglia e con questa pasta foggiate delle palline grosse come noci, rotolandole poi nella cioccolata grattata, in modo che questa aderisca sulle pallottoline e le ricopra. Potrete accomodare questi bonbons nei cestellini di carta pieghettata.
grattata, in modo che questa aderisca sulle pallottoline e le ricopra. Potrete accomodare questi bonbons nei cestellini di carta pieghettata.
Rompete in pezzi 250 grammi di cioccolato finissimo e mettetelo in una casseruola con un bicchiere di crema di latte e un pizzico di vainiglina. Lasciate ammorbidire la cioccolata vicino al fuoco e poi, quando sarà ammorbidita, portatela fino all'ebollizione, sempre mescolando, per avere un composto liscio e vellutato. Travasate questa crema in una terrinetta e lasciatela freddare sul ghiaccio. Quando sarà fredda lavoratela energicamente con una frusta di fil di ferro fino a che sarà ben montata. Spolverizzate la tavola di zucchero al velo e impastate la crema di cioccolato modellandone un grosso cannello che ritaglierete in pezzi come noci. Arrotondate con le mani questi pezzi e poi rotolateli nella granella di cioccolata dando ad essi l'aspetto di tartufi. Si mettono nei cestellini di carta.
'aspetto di tartufi. Si mettono nei cestellini di carta.
Provvedetevi di qualche buccia d'arancio, più o meno secondo il numero di dolcetti che vorrete fare. Mettete queste buccie in bagno per due giorni in acqua fredda che rinnoverete spesso; o meglio ancora in acqua corrente, affinchè possano perdere il sapore amarognolo. Dopo due giorni lessatele in modo da averle ben tenere. Strizzatele leggermente per estrar via l'acqua e passatele al setaccio. Pesate la polpa ottenuta ed aggiungete un eguale peso di zucchero. Mettete la polpa passata e lo zucchero in una casseruolina ben netta, e mescolando sempre con un cucchiaio di legno, fate cuocere su fuoco moderato fino ad ottenere una marmellata molto densa. Travasatela in un piatto e lasciatela freddare. Quando la marmellata sarà fredda foggiatene delle pallottoline della grandezza di una piccola noce, rotolate queste pallottoline nello zucchero e poi accomodatele nei cestellini di carta pieghettata.
delle pallottoline della grandezza di una piccola noce, rotolate queste pallottoline nello zucchero e poi accomodatele nei cestellini di carta
riuscendo a creare quelle squisitezze che vanno sotto il nome di gelati leggeri. Generalmente noi siamo soliti di dividere i gelati in: gelati di crema o di frutta, da lavorarsi nella sorbettiera, e in gelati leggeri, cui accennavamo poc'anzi, e che comprendono i diversi biscuits, le bombe, le mousses, i puddings, i soufflés. C'è poi un'altra categoria di gelato che nei grandi pranzi viene servito a metà tavola, la cui formula tipo è il sorbetto, che si suddivide in granite, marquises, punchs e spooms. Il gelato alla sorbettiera, come si faceva fino a pochi anni addietro, va sempre più perdendo terreno. Il lavoro è piuttosto complicato, e non è certo in una famiglia che si può lavorare una certa quantità di gelato col primitivo e piuttosto costoso impianto di una sorbettiera e tutti i suoi accessori. Per le signore che amano fabbricare con le loro mani del gelato è indispensabile una di quelle macchinette americane a manovella, già imperniate nel loro secchio di legno. Queste macchinette costano relativamente poco e danno dei risultati certi, senza richiedere troppo tempo e troppa fatica. Non si deve fare altro che mettere la composizione da gelare, nel vaso centrale di ferro zincato, rimettere a posto le spatole interne, chiudere col coperchio, calcare tutt'intorno del ghiaccio pesto, mescolato col sale e girare la manovella. Dopo pochi minuti una resistenza un po' sensibile vi avverte che il composto è congelato ed attende di essere servito ai vostri ospiti. Tecnicamente parlando, i gelati possono essere magri o grassi, intendendo che nella composizione da gelare entra una minore o una maggiore quantità di zucchero. Anche qui «est modus in rebus». Infatti, un gelato troppo magro, cioè scarso di zucchero, riuscirà insipido e granuloso, mentre al contrario, un composto troppo grasso stenterà molto a congelarsi.
mousses, i puddings, i soufflés. C'è poi un'altra categoria di gelato che nei grandi pranzi viene servito a metà tavola, la cui formula tipo è il sorbetto
Le pesche Melba, creazione del maestro Augusto Escoffier, sono una specialità del Carlton Hotel di Londra, e figurano frequentemente nei menus di quell'elegantissimo albergo. Dopo aver pelato le pesche si cuociono in uno sciroppo vainigliato e si lasciano freddare in questo sciroppo. Si mette in un timballo d'argento uno strato di gelato alla vainiglia e sul gelato si accomodano le pesche, che si finiscono innaffiandole con una purè di lampone freddissima.
Le pesche Melba, creazione del maestro Augusto Escoffier, sono una specialità del Carlton Hotel di Londra, e figurano frequentemente nei menus di
Pregato da noi, Giacomo Manfredi ha voluto cortesemente comunicare alle nostre lettrici il procedimento minuzioso per ottenere le violette candite. È una ricetta piuttosto rara, che difficilmente figura nei trattati di pasticceria, ricetta che acquista una speciale importanza per la fama di cui il nome del Manfredi è meritamente circondato.
una ricetta piuttosto rara, che difficilmente figura nei trattati di pasticceria, ricetta che acquista una speciale importanza per la fama di cui il
Una marmellata poco comune è quella di pomodoro, la quale, non ostante la diffidenza che può ispirare, è buonissima. Prendete dei pomodori, sbollentateli, onde poter togliere con facilità la buccia, e passateli per il setaccio. Raccogliete la polpa in una casseruola e fatela addensare sul fuoco. Quando la polpa sarà sufficientemente ristretta pesatela, aggiungendo un peso di zucchero uguale ad una volta e mezzo il peso del pomodoro. Rimettete ogni cosa sul fuoco, mescolate, fate restringere, e quando la marmellata sarà ben ristretta e si staccherà stentatamente dal cucchiaio, toglietela dal fuoco, travasatela nei vasetti di vetro e riponetela.
fuoco, travasatela nei vasetti di vetro e riponetela.
asciutta, passatela dal setaccio. Otterrete circa quattrocento gr. di pasta di castagne, che raccoglierete in una terrinetta. Mettete adesso sul fuoco in un polsonetto di rame non stagnato 300 grammi di zucchero, inumiditelo con un poco d'acqua e poi cuocetelo alla «caramella». Appena lo zucchero è giunto a questo punto di cottura, fatelo cadere subito, in un filo continuo, sulla pasta di castagne, mentre con l'altra mano mescolerete la massa per unirla sollecitamente. Quando avrete versato tutto lo zucchero, mescolate ancora un poco per lisciare sempre meglio la marmellata: finitela con una puntina di vainiglina, e, appena tiepida, versatela nei vasetti. Quando la marmellata sarà completamente fredda, si copre con un dischetto di carta pergamena bagnata nell'alcool puro e poi si chiude il vasetto col suo coperchio. Aggiungendo lo zucchero vedrete che la marmellata vi sembrerà piuttosto colante, ma raffreddandosi tornerà ad una densità giusta. Questa marmellata è squisita e ricorda assai da vicino il gusto dei «marrons glacés». Con queste dosi otterrete circa due vasetti di marmellata.
puntina di vainiglina, e, appena tiepida, versatela nei vasetti. Quando la marmellata sarà completamente fredda, si copre con un dischetto di carta
E bene conservare le ciliege in quei vasi cilindrici di vetro col loro tappo smerigliato, e della capacità di uno o due litri. Stenderete prima le ciliege su una tovaglia e le lascerete, così all'ombra, per una giornata; poi, dopo aver tagliato i gambi a metà con le forbici, le disporrete nei vasi di vetro, dove metterete anche quattro o cinque chiodi di garofani, un pezzo di cannella e un po' di zucchero (una cucchiaiata colma per un vaso da un litro). Coprite le ciliege di alcool di buona qualità, chiudete il vaso col suo tappo smerigliato, e poi con un pezzo di pergamena, che legherete intorno all'orlo del vaso. Portate le ciliege in dispensa, e aspettate per mangiarle che siano trascorsi un paio di mesi. Le ciliege sotto spirito si servono generalmente in bicchierini da rosolio (due o tre ciliege a persona) accompagnandole con un pochino del loro liquido aromatizzato.
ciliege su una tovaglia e le lascerete, così all'ombra, per una giornata; poi, dopo aver tagliato i gambi a metà con le forbici, le disporrete nei vasi
Anche per questa conserva non bisogna, adoperare recipienti stagnati poichè le more, come tutti i frutti rossi, anneriscono a contatto dello stagno. Le more si sciacquano in acqua fresca e poi si mettono sul fuoco con un bicchiere d'acqua per ogni chilogrammo di frutta. Si lasciano così bollire per un quarto d'ora mescolandole e schiacciandole con un cucchiaio di legno, e poi si rovesciano su un setaccio e si passano, raccogliendo il sugo in una terrinetta. Il setaccio dovrà essere di crine e non di ferro, che anche questo danneggerebbe il colore della conserva. Chi non avesse il setaccio adattato, versi le more in uno strofinaccio di bucato, ve le arrotoli, e poi, facendosi aiutare da un'altra persona, torca fortemente lo strofinaccio alle sue due estremità, in modo da estrarre tutto il sugo. È necessario, in questo caso, di adoperare uno strofinaccio vecchio perchè difficilmente la macchia prodotta dalle more andrà via, anche col bucato. Pesate il sugo ottenuto, e per ogni chilo di esso calcolate 800 grammi di zucchero. Mettete zucchero e sugo nel caldaio non stagnato o nel recipiente di terraglia e fate bollire, schiumando accuratamente la conserva. Quando questa, dopo pochi minuti di bollore, si sarà addensata così da velare il cucchiaio e da ricadere in goccie lente e pesanti, la conserva sarà fatta. Lasciate che perda un po' del suo calore e poi colatela nei vasetti di vetro lasciandola raffreddare completamente. L'indomani mettete su ogni vasetto, a contatto con la conserva, un disco di carta bagnato d'alcool di buona qualità, e poi chiudete i vasi col loro coperchio e con carta pergamena legata solidamente.
po' del suo calore e poi colatela nei vasetti di vetro lasciandola raffreddare completamente. L'indomani mettete su ogni vasetto, a contatto con la
Versate queste droghe in una grossa bottiglia in cui avrete messo alcool a 90 grammi 600 e acqua grammi 350. Quest'aggiunta d'acqua è necessaria perche l' alcool dell'infusione deve avere soltanto 60°. Aggiugete e inoltre mezza stecca di vainiglia tagliata in pezzettini. Chiudete la bottiglia e agitate bene la miscela, lasciate così l'infusione per quindici giorni, agitando ogni giorno energicamente la bottiglia. Dopo questo tempo mettete in una terrina 600 grammi di zucchero con mezzo litro d'acqua, e quando lo zucchero sarà completamente sciolto aggiungetelo nell'alcool. Mescolate, lasciate in riposo per una giornata, poi, per mezzo dell'imbuto di vetro e un cono di carta da filtro, filtrate il vostro liquore al quale unirete infine un decilitro d'acqua di rose. Il macis per chi non lo sapesse è l'involucro della noce moscata ed ha lo stesso profumo di questa, ma più delicato. La cocciniglia costituisce la parte colorante; il cardamomo è una droga esotica formata come di tanti grossi pinoli nei quali sono dei semi bruni aromaticissimi. Di questi granelli potrete adoperarne circa una diecina.
cocciniglia costituisce la parte colorante; il cardamomo è una droga esotica formata come di tanti grossi pinoli nei quali sono dei semi bruni
Punch è parola derivante dall'indiano «panch», ossia cinque, per allusione ai cinque elementi che compongono questa bevanda: tè, zucchero, cannella, limone, rhum. Il punch è presentemente una bevanda nella quale entra un po' di tutto: rhum, alchermes, cognac, arac, cannella, garofani, coriandoli, limone, arancio, tè e chi più ne ha ne metta. C'è il punch forte dove predominano il rhum o l'arac, e il punch dolce in cui invece si abbonda in alchermes. Generalmente al punch si aggiunge del tè, e questa consuetudine ci pare apprezzabile, tenuto conto anche dell'origine della bevanda, in cui il tè figura tra gli elementi costitutivi. Per preparare il punch si mettono in una tazza di metallo o in una terrinetta tante cucchiaiate di rhum per quanti sono gli ospiti; s'inzucchera il rhum, secondo si desidera più o meno dolce, e si unisce la buccia sottilmente tagliata di un limone o di un arancio. Questa infusione si distribuisce poi nei bicchieri speciali, completando la bevanda con tè o acqua bollente. Molti amano dar fuoco al punch, nel qual caso si rende necessaria la tazza di metallo. Non volendo dar fuoco al punch si può preparare direttamente nei bicchieri, aggiungendo, secondo i casi, qualche pezzettino di cannella dell'alchermes, ecc.
arancio. Questa infusione si distribuisce poi nei bicchieri speciali, completando la bevanda con tè o acqua bollente. Molti amano dar fuoco al punch, nel
Procuratevi dal vostro erbivendolo dei carciofini molto piccoli, mondateli accuratamente, spuntatene la sommità e tornitene il torsolo con un coltellino tagliente; appena ultimati stropicciateli con un pezzo di limone e poi passateli man mano in una catinella con acqua fresca acidulata con del limone. Questo serve a conservarli bianchi. Quando li avrete preparati tutti, metteteli a cuocere in un tegame con acqua e aceto, un pizzico di sale, qualche granello di pepe. Protraete la cottura fino a che i carciofini siano cotti, ma non troppo, scolateli, e poi asciugateli con cura in uno strofinaccio o in una salvietta, in modo da togliere il più possibile le tracce di umidità. Accomodate allora i carciofini nei vasi di vetro, finiteli con un pezzetto di cannella, un paio di foglie di alloro e qualche granello di pepe, e poi ricopriteli di olio.
strofinaccio o in una salvietta, in modo da togliere il più possibile le tracce di umidità. Accomodate allora i carciofini nei vasi di vetro, finiteli con un
Spuntata l'estremità dei fagiolini, si lessano in abbondante acqua salata. Si estraggono a metà cottura, si asciugano in un panno, si accomodano nei barattoli e si ricoprono d'aceto fatto bollire in precedenza con qualche chiodino di garofano e un ramoscello di dragoncello. Un altro sistema che dà risultati ugualmente buoni è quello precedentemente descritto per i cetriolini.
Spuntata l'estremità dei fagiolini, si lessano in abbondante acqua salata. Si estraggono a metà cottura, si asciugano in un panno, si accomodano nei
I tartufi si trovano nelle selve, nei campi, presso le rive dei fiumi, nei prati, fra le zolle e fra gli scogli. Sono di tre specie: Tuber magnatum, Tuber albidum, Tuber nigrum. Il Tuber magnatum si trova generalmente dalla fine di agosto alla metà di gennaio e viene chiamato anche Tartufo bianco. La sua forma varia col variare della terra in cui si trova e la sua superficie esterna molto sinuosa e di un colore giallognolo grigio, molte volte porta dei segni che attestano il lavoro dei topi. L'interno ha delle venature bianche, il suo volume varia e il suo peso da pochi grammi può arrivare qualche volta agli 800 grammi. Il Tuber magnatum si trova in maggior quantità e se ne fa quindi il maggior commercio; ha una sapore squisitissimo ed una fraganza straordinaria. Il Tuber albidum si trova dai primi di gennaio alla fine di aprile. Vien chiamato comunemente Bianchetto o Mazzola; non è troppo voluminoso e non raggiunge certamente il peso dei magnatum. La sua superficie è di un bianco giallognolo e internamente ha delle venature biancastre. I Bianchetti hanno uno discreta fragranza ma — ils ont un petit goût d'ail — che li rende poco piacevoli. Il Tuber nigrum si trova da settembre ad aprile. La sua superficie esterna è pressochè sagrinata e nera. Generalmente la sua forma è tondeggiante e neanche il suo volume arriva a quello dei magnatum. Internamente è marmorizzato da venature bianche e nere, il suo profumo è intenso, ma il sapore è certamente meno gustoso di quello dei tartufi bianchi, Il tartufo trova infinite applicazioni nella gastronomia. Quindi sarebbe buona regola prepararne in casa qualche scatola nella stagione propizia.
I tartufi si trovano nelle selve, nei campi, presso le rive dei fiumi, nei prati, fra le zolle e fra gli scogli. Sono di tre specie: Tuber magnatum
Conservazione senza guscio. — Un procedimento quasi simile, usato nei grandi centri di traffico dell'Estremo Oriente, consiste nel raccogliere in vasi sterilizzati le uova sgusciate — torlo e albume — evitandosi così gli inconvenienti derivanti da lunghi viaggi per mare, ed ottenendosi una notevolissima economia di spazio.
Conservazione senza guscio. — Un procedimento quasi simile, usato nei grandi centri di traffico dell'Estremo Oriente, consiste nel raccogliere in
Conservazione pneumatica. — La conservazione pneumatica sarebbe certo la più razionale se potesse essere alla portata di tutti. Visto che è proprio il contatto dell'aria quello che fa putrefare le uova, si è pensato di conservare queste in recipienti di cristallo o di terraglia, nei quali si fa il vuoto per mezzo della macchina pneumatica. Questo processo è usato dai grandi negozianti dell'America e dell'Inghilterra, ma non è certo praticabile nelle famiglie o in piccole aziende.
il contatto dell'aria quello che fa putrefare le uova, si è pensato di conservare queste in recipienti di cristallo o di terraglia, nei quali si fa il
Scegliete degli ovoli tra i più piccoli, che siano chiusi e freschissimi; metteteli in un tegame di terraglia, conditeli con un pizzico di sale e ricopriteli d'aceto, lasciandoli bollire pian piano per una ventina di minuti. Estraeteli allora dal bagno, asciugateli in una salvietta e accomodateli in vasi di vetro nei quali metterete anche qualche granello di pepe e un paio di foglie d'alloro. Ricoprite i funghi con olio di buona qualità, chiudete i vasi e aspettate qualche tempo prima di consumarli. Se non poteste avere i funghi piccolissimi, divideteli in due o quattro pezzi, a seconda della loro grandezza.
in vasi di vetro nei quali metterete anche qualche granello di pepe e un paio di foglie d'alloro. Ricoprite i funghi con olio di buona qualità
Dove si cucina molto con lo strutto — ad esempio nel Lazio e nel Napoletano — questa provvista casalinga è quasi un dovere. La chimica applicata alle sostanze alimentari ha fatto enormi progressi, e se sapeste che razza di pasticci si manipolano in alcune fabbriche al di là... e al di qua dei mari, non vi lascereste vincere dall'indolenza, la quale, specie nei riguardi dell'alimentazione, è quanto mai biasimevole. Conviene acquistare della sugna di prima qualità, tagliarla in piccoli pezzi e metterla a struggere a fuoco moderato in un caldaio di rame stagnato, o, trattandosi di piccole quantità in una grande padella. Alcuni aggiungono alla sugna una piccola quantità d'acqua che avrebbe per effetto di rendere lo strutto più bianco, ma è cosa controversa, e di cui noi abbiamo sempre fatto a meno. Preparate dei vasi cilindrici di terraglia che immergerete in una catinella piena d'acqua fresca. Quando vedrete che i siccioli hanno preso un bel color biondo, toglieteli, con una cucchiaia bucata, aspettate che lo strutto perda un po' del suo calore, e poi, con un ramaiuolo, versatelo adagio adagio nei vasi preparati. Si mette l'acqua nella catinella per sottrarre un po' di calore ai vasi, e per poter ricuperare il grasso se per un disgraziato accidente il vaso si rompesse. Lasciate che lo strutto si solidifichi tenendolo per una notte all'aria fredda, poi chiudete i vasi con della carta pergamena e riponeteli in dispensa. Dei siccioli avanzati potrete servirvi per fare delle pizze rustiche, adoperandoli come elemento ausiliario nel condimento di minestroni, zuppe d'erbe, ecc.
, non vi lascereste vincere dall'indolenza, la quale, specie nei riguardi dell'alimentazione, è quanto mai biasimevole. Conviene acquistare della sugna
L'arte ha creato così per i «menus» come per i segna-posti dei piccoli capolavori. Se ne fanno in tutti i generi, dal semplice cartoncino bianco, a costosi esemplari miniati. Per la salvietta, niente forme stravaganti, le quali oltre non essere più di moda, non sono neanche di gusto. Quelle salviette spiegazzate, cacciate nei bicchieri, a foggia d'uccelli o di ventagli, o poste alte sul piatto a mo' di piramide, danno sempre un'idea di trattoria di quarto ordine. Senza considerare che la salvietta, per lo speciale uso cui è destinata, è meglio non subisca, prima di arrivare alla bocca del convitato, lunghi e inopportuni toccamenti. Appoggiatela dunque naturalmente piegata sul piatto e su di essa mettete il pane. Porrete una piccola saliera tra ogni due persone, e lo stesso dicasi per le anforette dell'acqua e del vino comune. Insistiamo nel raccomandare che la disposizione del primo coperto sia rigorosamente, pedantescamente conservata per tutti gli altri, e che piatti, posate, bicchieri, siano diritti, equidistanti e perfettamente allineati. I vini in bottiglia di qualità più fini non si mettono in tavola, ma si servono quand'è il loro turno. In attesa, le bottiglie si dispongono in bell'ordine sul vicino buffet.
salviette spiegazzate, cacciate nei bicchieri, a foggia d'uccelli o di ventagli, o poste alte sul piatto a mo' di piramide, danno sempre un'idea di trattoria