E torniamo alla nostra gelatina. Mettiamo la casseruola con tutti gli ingredienti su fuoco non troppo vivo, e sbattendo con una forchetta, o meglio con una piccola frusta di ferro stagnato, portiamo il liquido all'ebollizione. L'acqua, scaldandosi, scioglie l'estratto di carne e nello stesso tempo coagula man mano il bianco dell'uovo, chiarificando contemporaneamente la gelatina. Appena il liquido bollirà coprite la casseruola, naturalmente cessando di sbattere, e lasciate che la gelatina bolla insensibilmente sull'angolo del fornello per altri quattro o cinque minuti. Vedrete che negli interstizi lasciati dalla chiara stracciata, apparirà il liquido limpidissimo e di un bel color d'oro. Non dovrete fare altro dunque che prendere una salvietta, bagnarla, strizzarla, appoggiarla sopra un colabrodo e passare dalla salvietta la gelatina, la quale, essendo fatta con estratto di carne che non contiene grasso, passerà subito e non richiederà nessun altro lavoro. Se volete rendere la gelatina ancora più gustosa aggiungeteci, dopo passata, un cucchiaio di marsala. Sentite se sta bene di sale e, all'occorrenza, aggiungetene una presina. Poi mettete la gelatina in una stampa o, più semplicemente, in un paio di tazze grandi e tenetela in luogo fresco o su un po' di ghiaccio fino a che sia rappresa. Quando sarà rappresa, sformatela sopra una salvietta leggermente bagnata e tagliatela in fette a seconda della decorazione che vorrete fare.
non contiene grasso, passerà subito e non richiederà nessun altro lavoro. Se volete rendere la gelatina ancora più gustosa aggiungeteci, dopo passata
Friggere bene non è da tutti, e spesso, anzi, è proprio qui che vengono miseramente a naufragare così la pretensiosa prosopopea di tante cuoche, come i facili entusiasmi di qualche dilettante di cucina. Generalmente si frigge male perchè non si ha un'idea esatta dell'operazione della frittura, la quale è essenzialmente operazione di «concentrazione». Per lo più si frigge a tre gradi principali: a padella moderata, a padella ben calda, a padella caldissima; stadi, codesti, che si riconoscono assai facilmente. Nondimeno chi non fosse molto pratico potrà regolarsi così. La frittura è moderatamente calda quando gettandovi dentro un pezzetto di pane, questo provoca l'azione del grasso o dell'olio, che incominciano il loro ufficio: è ben calda quando lasciandovi cadere una goccia d'acqua si sente un crepitio secco; e finalmente è caldissima allorchè dalla padella si sprigiona un leggero fumo biancastro. Naturalmente ad ogni preparazione sottoposta all'operazione della frittura deve adattarsi uno di questi tre gradi. Così si frigge a padella moderata tutto ciò che contiene acqua di vegetazione, come patate o altri legumi, o frutta; oppure pesce e carni piuttosto voluminosi, che debbono cuocere interamente nella frittura, e nei quali la cottura completa deve arrivare insieme con il croccante e il color d'oro dell'involucro esterno. Si friggono invece a padella ben calda quelle cose le quali hanno già subito un principio di cottura o una cottura completa. Si tratta in questo caso di formare subito intorno agli oggetti immersi nella frittura uno strato solido affinchè l'interno rimanga compresso e non vada a passeggiare per la padella. Si friggono così le costolette e qualunque altra preparazione alla Villeroy, le supplì, le crocchette di diverse specie, le creme fritte, ecc. Il terzo grado, cioè la frittura a padella caldissima, si usa per piccoli pesci, per provature, e in genere per tutte le cose di limitate proporzioni di cui il calore deve subito impossessarsi. La quantità della frittura deve essere sempre proporzionata all'importanza e al volume delle cose da friggere. In ogni caso questi oggetti devono essere completamente immersi. La pretesa economia di coloro che friggono con pochissimo liquido si risolve in loro danno, poichè prima di tutto il fritto vien male: molle o carbonizzato, e poi il poco liquido adoperato brucia facilmente e deve essere gettato via, mentre se si dispone di abbondante grasso o olio, alla fine si passa attraverso un setaccino e si tiene in serbo per un'altra volta. Qual'è la miglior frittura? II burro, intanto, no, poichè non ha forza nè resistenza. Nelle trattorie e negli alberghi dove c'è molto lavoro si adopera il grasso di rognone di bue, ciò che rappresenta la frittura classica di grande resistenza. Ma il grasso di bue si fredda troppo facilmente e lascia subito una patina sulle cose fritte, la quale a sua volta insega la bocca di chi mangia. Per famiglia è meglio dunque non pensare al grasso di bue e adoperare lo strutto o meglio ancora l'olio, mediante il quale si ottiene una frittura croccante e dorata. L'olio infatti senza considerare che dal lato igienico è infinitamente superiore allo strutto, dove non si mai quel che ci sia — può raggiungere fino i 290 gradi di calore, ciò che non si ottiene con nessuna altra frittura. Molti hanno una ingiustificata avversione per friggere con l'olio. Prendano dell'olio di qualità buona e provino. Ne saranno soddisfatti. L'olio fine non comunica nessun sapore sgradevole alle cose fritte. Molte volte si tratta di pregiudizi e nulla più.
soddisfatti. L'olio fine non comunica nessun sapore sgradevole alle cose fritte. Molte volte si tratta di pregiudizi e nulla più.
I veri vermicelli con le vongole sono facilissimi, ma non tutti, specie i non napolitani, li sanno cucinare a perfetta regola d'arte. Questi vermicelli non tollerano elementi estranei di nessun genere: non debbono esser fatti che con olio, un po' d'aglio, vongole e pomodoro; e soprattutto niente alici, che taluni erroneamente aggiungono. Per riuscire bene, bisogna che i vermicelli abbondino in sugo e in vongole. Per quattro persone noi vi consiglieremmo quindi un chilogrammo di questi saporitissimi frutti di mare. Un nemico capitale da evitare a qualunque costo è la rena; quindi prima di ogni altra cosa mettete le vongole in una catinella piena d'acqua e lavatele energicamente; cambiando, se occorre, l'acqua. Fatto ciò passatele in una padella piuttosto grande con una cucchiaiata d'olio, copritele e mettetele sul fuoco. Fate saltellare le vongole affinchè possano sentire tutte ugualmente il calore. Vedrete che in due o tre minuti saranno aperte. Levate allora la padella dal fuoco e aiutandovi con un cucchiaino staccate a una a una le vongole dal guscio. I gusci li getterete, le vongole le raccoglierete in una scodella. Se vi accorgeste che le vongole contenessero ancora molta rena, potrete lavarle un'altra volta con un ramaiolo d'acqua appena tiepida, poi tirarle su, e passarle in un'altra scodella pulita. Quando avrete sgusciato tutte le vongole, vedrete che nella padella sarà rimasto un abbondante liquido dall'aspetto torbido. Guardate di non gettarlo via perchè è appunto quello che darà il profumo alla pietanza. Prima di adoperarlo però voi dovrete aspettare un pochino, per dar modo alla rena di posarsi sul fondo della padella. Soltanto allora inclinate leggermente questa e decantate il sugo in una tazza, avvertendo che il fondo terroso rimanga nella padella. Dopo questa operazione principale, prendete un tegame di terracotta o una padella o anche una casseruola di rame, ove metterete mezzo bicchiere d'olio e uno spicchio d'aglio. Portate sul fuoco, e appena l'aglio incomincia a soffriggere toglietelo, e aggiungete tre o quattro cucchiaiate di salsa di pomodoro in scatola o un chilogrammo abbondante di pomodori freschi passati dal setaccio. Condite con sale e pepe, aggiungete il sugo delle vongole, un pochino di acqua, se ce n'è bisogno, e fate cuocere la salsa. Quando questa sarà addensata aggiungete le vongole, e lasciatele bollire per due o tre minuti, affinchè non induriscano troppo. Avrete messo intanto a cuocere la quantità di vermicelli necessaria — per quattro persone circa mezzo chilogrammo. — Teneteli piuttosto duri di cottura, scolateli, conditeli con la salsa preparata, finiteli con un pizzico di pepe e una cucchiaiata o due di prezzemolo trito ben verde.
vermicelli non tollerano elementi estranei di nessun genere: non debbono esser fatti che con olio, un po' d'aglio, vongole e pomodoro; e soprattutto niente
La pasta con le sarde è uno dei famosi piatti della cucina siciliana, ed è una preparazione caratteristica che non trova riscontri in nessun'altra cucina regionale. I siciliani sono orgogliosi di questa loro specialità, e non hanno torto, poichè un tegame di pasta con le sarde ben fatta è veramente una cosa squisita. Chi non è addentro nei segreti di questa pietanza, leggendone la ricetta può trovare che l'insieme di elementi così disparati possa condurre ad una dissonanza culinaria; ma è proprio il caso di ripetere che, come nei più acclamati poemi sinfonici moderni, queste apparenti dissonanze vengono a creare un insieme armonico di prim'ordine. La pasta con le sarde è una specie di mosaico in cui ogni pezzetto ha la sua ragion d'essere nel risultato finale. Errerebbe dunque chi volesse portarvi delle modificazioni personali per quel gusto di variare, semplificare, che molte persone hanno, senza aver prima esperimentato la ricetta vera. La pasta con le sarde, essendo diffusissima, ha nella stessa Sicilia parecchie ricette, le quali variano però soltanto in qualche accessorio; ed è logico che la ricetta preparata dai grandi cuochi siciliani, che, fin dall'antichità furono i più grandi cuochi del mondo, potrà essere un pochino più dispendiosa di quella eseguita nelle modeste case e nelle taverne, ma, ripetiamo, è questione di nuances.
La pasta con le sarde è uno dei famosi piatti della cucina siciliana, ed è una preparazione caratteristica che non trova riscontri in nessun'altra
La polenta, cibo eminentemente invernale trova buone accoglienze non solo nelle umili mense, ma, prestandosi a svariate preparazioni, è bene accetta anche ai palati più fini. Servita naturalmente, col sugo, con gli uccellini, fritta ecc. potrà di quando in quando contribuire alla varietà dei menù quotidiani. Uno dei modi migliori e più signorili per cucinare la polenta è costituito da questi gnocchetti, da servirsi come primo piatto in una colazione. Il modo di cuocere la polenta è noto a tutti. Si mette sul fuoco un piccolo caldaio con acqua e sale e quando l'acqua sta per bollire si comincia a versare la polenta nel caldaio lasciandola cadere a pioggia, mentre con l'altra mano si mescolerà sempre con un cucchiaio di legno, affinchè non si formino grumi. Dosi esattissime di acqua e di polenta non se ne possono dare perchè può darsi il caso che una qualità di farina gialla assorba più acqua e un'altra meno. Al buon senso di chi cucina il giudicare se sia il caso di aggiungere qualche cucchiaiata in più o in meno di polenta, tanto più che queste variazioni non portano nessun pregiudizio nel risultato finale.
che queste variazioni non portano nessun pregiudizio nel risultato finale.
Qual'è il miglior taglio per l'arrosto ? quale il miglior sistema per confezionarlo ? Il miglior taglio di porco per l'arrosto è, senza dubbio, la lombata, la quale ha, sul prosciutto il pregio indiscutibile di una maggior finezza. In quanto al modo migliore per eseguire questo arrosto è questione di gusti. Ma, secondo noi, si devono bandire dalla carne ogni sorta di aromi e preparare la lombata disossandola. L'arista, è senza dubbio gustosa, ma certo l'aggiunta degli aromi come il rosmarino, l'aglio ecc. non sono fatti per conferire finezza all'arrosto. Quella di maiale è una carne così saporita, che non ha bisogno di nessun artifizio di condimenti. Disossate dunque un pezzo di lombata — per sei persone ne occorreranno circa 600 grammi — facendo passare il coltello accanto accanto alle ossa. Queste ossa rimaste, essendo ancora utilizzabili, perchè non completamente spolpate, potranno essere ottime per preparare minestroni. Legate la carne con dello spago affinchè cuocendo non si deformi, mettetela in una piccola teglia, dove vada esattamente, con un po' di strutto, sale e pepe, e cuocetela nel forno per circa un'ora. Da mangiarsi preferibilmente calda, ma buonissima anche fredda. In quanto ai contorni possono essere: una purè di patate, una purè di castagne o meglio ancora una purè di mele.
saporita, che non ha bisogno di nessun artifizio di condimenti. Disossate dunque un pezzo di lombata — per sei persone ne occorreranno circa 600 grammi
Col solito sistema toglierete la pellicola a 75 grammi di mandorle dolci tra le quali potrete metterne un paio amare. Quando le avrete tutte mondate asciugatele in una salvietta e mettetele ad asciugare completamente in forno di moderatissimo calore. Dovranno asciugarsi perfettamente senza tuttavia colorire. Fatto questo preparate 75 grammi di zucchero, meglio se in piccoli pezzi, e pestate nel mortaio un po' di mandorle e un po' di zucchero alla volta. Man mano passate questa farina di mandorle da un setaccio di fil di ferro e ripetete l'operazione fino ad esaurire mandorle e zucchero. Ottenuta questa farina mettetela da parte e incominciate il lavoro della torta. Mettete in una catinella 75 grammi di burro (in inverno converrà rammollirlo) e con un cucchiaio di legno mescolatelo montandolo fino ad avere come una crema. Aggiungete allora poco alla volta 75 grammi di zucchero in polvere, sempre mescolando: quindi aggiungete uno alla volta quattro rossi d'uovo. Continuate sempre a montare col cucchiaio di legno, mettendo di quando in quando una cucchiaiata della farina di mandorle preparata, fino ad esaurirla tutta. Intanto avrete posto vicino al fuoco in un polsonetto o in una casseruolina 75 grammi di cioccolato alla vaniglia. Per questo lavoro sarebbe meglio servirsi di quella speciale qualità di cioccolato usato per i bonbons e che si chiama cioccolato «copertura». Mettete dunque questo cioccolato vicino al fuoco, senza alcuna aggiunta di acqua e girandolo con un cucchiaio di legno, scioglietelo perfettamente, senza però farlo bollire. Quando sarà tiepido aggiungetelo al composto di burro uova e farina di mandorle, mettendone poco alla volta e sempre mescolando col cucchiaio. Finalmente montate in neve ferma le quattro chiare e unitele delicatamente al composto che ultimerete con 40 grammi di farina finissima. Da ultimo levate con un coltellino tagliente la corteccia superficiale di mezzo limone, facendo attenzione che a questa corteccia non rimanga attaccato nessun pezzetto della parte bianca. Prendete questa corteccia di limone e tritatela col coltello in modo da farne dei pezzetti piccolissimi che mescolerete nel composto della torta. Ungete adesso di burro e infarinate una teglia di 20 centimetri di diametro, versateci il composto e passate subito la torta in forno moderato, dove la lascerete per una quarantina di minuti, tempo necessario perchè la torta possa cuocere ed asciugarsi perfettamente nell'interno. Questa torta non deve risultare molto alta ma avere, a cottura completa, dai due ai tre centimetri di spessore. Quando sarà cotta sformatela e lasciatela asciugare e freddare su una griglia da pasticceria. Quando sarà ben fredda spaccatela in due dischi che spalmerete, internamente, di marmellata di albicocche. Indi ricomponetela. Per eseguire a perfetta regola d'arte la Sacker Tort sarebbe necessario di ghiacciarla al cioccolato, cioè rivestirla esternamente di un lucido strato di ghiaccia al cioccolato. Se non vi sentite di affrontare questa nuova operazione fermatevi dopo aver spaccato e farcito la torta di marmellata di albicocche. Ma se, come confidiamo, vorrete eseguire il dolce a perfetta regola d'arte mediante un piccolo lavoro complementare, facile del resto, finitela glassandola con una «ghiaccia cotta al cioccolato».
attenzione che a questa corteccia non rimanga attaccato nessun pezzetto della parte bianca. Prendete questa corteccia di limone e tritatela col coltello in
Se il burro è molto duro si mette prima in una salviettina bagnata, e si maneggia un poco per ammorbidirlo, poi si passa in una terrinetta e si lavora con un cucchiaio di legno finchè diventa morbido come una crema, e ben montato. Vi si aggiunge allora lo zucchero in polvere, e si continua a lavorare col cucchiaio, e poi, uno alla volta, i sei rossi d'uovo, avvertendo di non metterne un altro se il precedente non si è bene amalgamato alla massa. Si mette poi la farina a cucchiaiate sempre mescolando. Infine si uniscono l'uvetta e le scorzette tagliate in filettini, il rhum, e in ultimo le chiare che si saranno montate a parte. Si prende una stampa liscia, o una piccola casseruola, si fodera nel fondo e intorno alle pareti con della carta bianca imburrata, e vi si versa il Plum-cake, facendo attenzione che la pasta arrivi soltanto ai due terzi della stampa. Si cuoce a forno moderato per un'ora e più, fino a che il Plum-cake sia ben colorito. Si conosce il grado giusto di cottura appoggiando un dito sul centro della pasta. Premendo, non si deve sentire nessun rumore. Se invece la pasta sotto la pressione del dito fa un rumore leggero come se friggesse, significa che contiene ancora dell'umidità. Cotto bene, si toglie il Plum-cake dalla stampa, si lascia freddare su una griglia o su un setaccio, e poi si taglia in fette sottili.
, non si deve sentire nessun rumore. Se invece la pasta sotto la pressione del dito fa un rumore leggero come se friggesse, significa che contiene ancora
Sulla tavola di marmo della cucina mettete gr. 300 di farina, gr. 200 di burro, gr. 100 di zucchero pestato fine e mezzo grammo di vainiglina. Procurate di amalgamare con le mani il burro e tutto il resto senza aggiungere nessun liquido. Impastate bene e vedrete che con un po' di pazienza riuscirete ad avere una pasta morbida ed omogenea. Stendetela allora con il rullo di legno all'altezza di mezzo centimetro e con un tagliapaste rotondo di circa 5 centimetri di diametro, ritagliate dalla pasta tanti dischetti. Rimpastate i ritagli, stendete nuovamente la pasta e continuate così fino ad esaurirla tutta. Ponete le pastine in forno per una ventina di minuti. Esse cresceranno un poco e prenderanno un leggero color biondo.
. Procurate di amalgamare con le mani il burro e tutto il resto senza aggiungere nessun liquido. Impastate bene e vedrete che con un po' di pazienza
Il liquore «Crema di cacao alla vainiglia» si fabbrica in una diecina di minuti e senza bisogno di complicazioni, nè di speciali utensili. Generalmente la crema di cacao, del commercio è un liquore sul tipo degli altri, cioè limpido, sciropposo, al quale l'aroma vien dato da speciali essenze. Il nostro liquore è affatto diverso e ricorda invece un'antica specialità di una grande Casa francese, che crediamo abbia da qualche anno cessato il suo commercio. Per questa preparazione abbiamo ottenuto sempre i migliori risultati servendoci del cacao in pasta. In mancanza di cacao in pasta si potrà adoperare del buon cioccolato comune. Per circa un litro di liquore raschiate col coltello un ettogrammo di cacao in pasta e mettetelo a rammollire vicino al fuoco in un polsonetto di rame con pochissima acqua (circa mezzo bicchiere). Con un frullino di legno o con un cucchiaio, anche di legno, lavorate il cacao che dovrà pian piano liquefarsi ed assumere l'aspetto di una crema densa, liscia e vellutata, senza più traccia di granosità. A questo punto aggiungete un po' alla volta, e sempre mescolando, 400 grammi di zucchero in polvere. Mescolate bene sempre su fuoco debolissimo, e quando anche lo zucchero sarà ben liquefatto in modo che sotto il cucchiaio non si senta più nessun granellino, sciogliete il tutto con due bicchieri d'acqua. Mescolate sempre e scaldate, ma senza far bollire, mantenendo il polsonetto sull'angolo del fornello. Quando il liquido sarà bene amalgamato travasatelo in una terrinetta e lasciatelo freddare. Unite allora un bicchiere di alcool di buona qualità, nel quale avrete sciolto mezzo grammo di vainiglina. Mescolate e travasate il liquore in anfore di terraglia scura del tipo di quelle usate per il Curacao d'Olanda. Un cucchiaio o due di questa crema al cioccolato sciolta in una tazza di latte caldo, offre un nutrimento igienico e corroborante, rimpiazzando efficacemente l'abituale cacao al latte. È bene, prima di servire il liquore, di agitare un poco la bottiglia.
zucchero sarà ben liquefatto in modo che sotto il cucchiaio non si senta più nessun granellino, sciogliete il tutto con due bicchieri d'acqua
La questione dei funghi commestibili e dei funghi velenosi è quella che più deve preoccupare chi è a capo di una famiglia, poichè l'esperienza insegna quanto sia difficile poter giudicare se un fungo è o non è velenoso. Gli avvelenamenti con funghi non sono purtroppo infrequenti e la storia ci dice che anche personaggi illustri trovarono la fine cibandosi di funghi. Nelle grandi città si procede ad una verifica che può dare sufficienti elementi di garanzia; ma il pericolo maggiore è nei piccoli centri e nelle campagne dove i funghi vengono venduti senza controllo, quando non sono addirittura raccolti per uso proprio. In genere vengono cucinate una cinquantina di specie di funghi, tra le quali ve ne sono circa venti velenose, difficilissime a conoscersi dalle commestibili, presentando lo stesso aspetto e gli stessi caratteri. Si dice, ad esempio, della infallibile sicurezza dell'ovolo vero (amanita caesarea) e del cocco od ovolo bianco, ma anche in questa famiglia c'è l'ovolo falso o malefico e il cocco bastardo, ambedue velenosi. Nel gruppo degli agarici sono anche funghi commestibili e velenosi, come, ad esempio, il prataiolo, l'agarico grigiastro, ecc., facilmente confondibili con la rossola velenosa, il fungo peperone, l'agarico dissenterico, ecc. Nè maggiore sicurezza offre il fungo porcino, potendo essere facilmente confuso col porcino malefico. È risaputo che le prove empiriche dell'aglio, della cipolla o quelle del cucchiaio d'argento o della lama di coltello sono assolutamente da escludersi. Meglio attenersi in genere ai seguenti consigli, per i quali sono da schivarsi: Quei funghi che quantunque abbiano, come il prataiolo, il cappello bianco ed emisferico hanno la base del gambo bulbosa. — Quelli che con gambo grande e gibboso o squamoso, sostengono un cappello cosparso di verruche, oppure hanno la pelle coperta di pustole. — Quelli che infranti o screpolati fra le dita emanano un odore narcotico disgustoso. — Quelli che esalano un odore d'aglio, o che hanno sapore bruciante. — Tutti quei funghi che hanno il cappello tinto di rosso, azzurro o verde. — Quelli che spezzati o tagliati con un coltello assumono, al contatto dell'aria colorazioni diverse. — Quelli che tagliati si trovano pieni di succo lattiginoso. — Quelli che hanno la carne cordacea o sugherosa. — Quelli che non sono in nessun modo toccati dagli insetti, e, finalmente, quelli che si ritrovano su tronchi di albero dotati di proprietà deleterie. Ad ogni modo, e per concludere, bisogna usare solo di quei funghi che in ciascun paese l'esperienza secolare ha dimostrato essere veramente commestibili. In caso di sintomi di avvelenamento per funghi ricorrere immediatamente in attesa del medico a un vomitivo (acqua calda saponata) e subito dopo somministrare un energico purgante di olio di ricino. Evitare qualsiasi bevanda acida, o acque purgative in cui entri il sal di cucina.
lattiginoso. — Quelli che hanno la carne cordacea o sugherosa. — Quelli che non sono in nessun modo toccati dagli insetti, e, finalmente, quelli che si