Una delle cose essenziali per chi si dedica all'arte della cucina è la perfetta conoscenza dei generi che si adoperano. A prima vista queste conoscenze sembrano la cosa più facile di questo mondo: ma in realtà non è così: tanto che spesso dei cuochi di mestiere sono tratti in inganno. Non bisogna dimenticare che il più delle volte tra chi compra e chi vende esiste un irriducibile antagonismo, per quanto larvato; e novanta volte su cento il negoziante ha tutto l'interesse di dare al cliente i generi che egli vuole anzichè quelli che dovrebbe dare. Occorre dunque che il compratore sia tanto agguerrito da sventare queste piccole insidie, mascherate spesso da sorrisi o accompagnati da un diluvio di parole esaltanti l'articolo. Chi compera deve rimanere tetragono e non lasciarsi abbindolare dalle chiacchiere: deve portare a casa quel ch'egli vuole e non quello che gli si vuole... propinare. Di qui, come dicevamo, la necessità di conoscere perfettamente quel che si acquista: a base principale dell'economia, prima, e della buona riuscita di ciò che si cucina, poi.
negoziante ha tutto l'interesse di dare al cliente i generi che egli vuole anzichè quelli che dovrebbe dare. Occorre dunque che il compratore sia tanto
Il brodo è una delle preparazioni fondamentali della cucina. È il brodo che forma la base indispensabile di ogni specie di minestra, il brodo che con nuove addizioni di carne fornirà il «consommè», o servirà per salse, o verrà usato in un'altra quantità di casi. Occorre dunque avere il brodo nelle migliori condizioni, ciò che si ottiene con una oculata scelta degli elementi che lo compongono e più ancora con una cura continua e attenta. Buoni tagli di carne da brodo sono la copertina, il fianchetto, la spalla, la falsa costa, il petto ecc. Anche meglio sono la punta della culatta, e il «piccione» o nasello che hanno il pregio di offrire anche un bollito gustoso. In quanto alle ossa non bisogna prestar fede alla leggenda accreditata dai macellai, che cioè siano necessarie per ottenere un buon brodo. Checchè se ne dica, le ossa non servono che ad ingombrare la pentola. È tollerabile un osso col midollo. Per ogni chilogrammo di carne occorrono due litri di acqua fredda. Si pone la carne in una pentola, con l'acqua fredda, e si mette su fuoco moderato. L'acqua riscaldandosi a grado a grado, agisce sulle fibre della carne e dissolve le materie albuminose che esse contengono, e che salgono alla superficie sotto forma di schiuma, che deve essere subito tolta. È buona regola, mentre l'acqua si avvia all'ebollizione di versare, di quando in quando, qualche cucchiaiata di acqua fredda nella pentola, ciò che aiuta a liberare la carne da tutte le sue impurità. Più la schiumatura sarà stata fatta con cura, maggiore sarà la limpidità del brodo. Dopo schiumata la pentola, si sala, e vi si aggiungono cipolla, sedano, radica gialla, pomodoro ecc., che hanno lo scopo di comunicare al brodo il tono aromatico. E finalmente si tira sull'angolo del fornello e si lascia bollire dolcissimamente per qualche ora. È necessario che dal momento in cui si verifica l'ebollizione, il fuoco abbia sempre la stessa moderata intensità: un fornello a gas con la «veilleuse» serve ottimamente allo scopo. Quando la carne sarà giunta a perfetta cottura, si mette in una pentola più piccola, si copre con un po' di brodo e si tiene in caldo. Il brodo della pentola grande si sgrassa accuratamente, si passa attraverso una salvietta o un colobrodo, e si adopera.
nuove addizioni di carne fornirà il «consommè», o servirà per salse, o verrà usato in un'altra quantità di casi. Occorre dunque avere il brodo nelle
Il «consommé» è il brodo comune, al quale, mediante l'aggiunta di altra carne, si comunica una maggiore sapidità. Il «consommé» non presenta nessuna difficoltà, ma esige, nondimeno, qualche cura, se si vuole che esso abbia i requisiti necessari: profumo, sapore, limpidezza assoluta, tinta ambrata. Per ottenere un litro di «consommé» occorre circa un litro e mezzo di brodo comune. Si prendano da 300 a 400 grammi di carne magra di bue, si tritino finemente sul tagliere, s'impastino con una chiara d'ovo e si mettano in una casseruola con una carota gialla, un pezzo di porro, una costa di sedano tagliati in piccoli pezzi. Versate nella casseruola il brodo freddo e ben sgrassato, sciogliendo man mano la carne pesta con un mestolo di legno; mettete la casseruola su fuoco moderato, e, mescolando frequentemente, portate il brodo all'ebollizione, che manterrete regolare e leggerissima per circa un'ora. La carne pestata avrà comunicato al brodo la sua sostanza, e la chiara d'ovo avrà reso perfettamente limpido il «consommé», al quale i legumi tagliuzzati avranno conferito un gradevole tono aromatico. Il «consommé» sarà dunque pronto: non occorrerà che passarlo attraverso una salvietta e servirlo.
. Per ottenere un litro di «consommé» occorre circa un litro e mezzo di brodo comune. Si prendano da 300 a 400 grammi di carne magra di bue, si tritino
La gelatina, la quale è l'accompagnamento indispensabile dei piatti freddi, è 'altra di quelle preparazioni che spaventano un poco le signore. E pure non c'è nulla di più facile e di meno faticoso. Si mettono in una casseruola dei legumi tagliuzzati, come carote, sedano, cipolla e prezzemolo, uno o due chiodi di garofano, mezza foglia di lauro, un pizzico di pepe nero in granelli, qualche fettina di prosciutto e qualche cotenna di lardo. Si aggiungono poi dei ritagli di carne cruda di vitello o di bue — la cosidetta polpa di stinco è preferibile, perchè ricca di principii gelatinosi — e, se si hanno, dei pezzi di carcassa di pollame, o ossa, o colli, spezzati col coltello. Si mette un dito d'acqua, un po' di sale e si fa cuocere a fuoco moderato finchè le carni e i legumi siano «tirati» e leggermente biondi. Si versa allora abbondante acqua nella casseruola, si fa bollire schiumando accuratamente e poi si aggiungono un paio di piedi di vitello — ben nettati a parte in acqua bollente — o della testina. Fate bollire adagio e regolarmente, per circa sei ore, passate il brodo e mettetelo a raffreddare, senza però coprirlo perchè, specie se nella stagione calda, potrebbe guastarsi con facilità. È buona norma fare la gelatina un giorno prima per avere il tempo di sgrassarla bene. Infatti, quando questo brodo aromatico e colloso che avrete preparato sarà freddo, vi riuscirà molto facile toglier via tutto il grasso rappreso alla superficie. Nel caso che non aveste tempo disponibile, sgrassate la gelatina mentre è ancora calda adoperando un cucchiaio, e poi qualche lista di carta asciugante bianca, che assorbirà ogni più piccola traccia di grasso. Uno dei pregi della gelatina è la limpidità. Occorre dunque, dopo averla sgrassata, chiarificarla. Per un litro di gelatina versate in una casseruola due chiare d'uovo e un bicchierino di Marsala; aggiungete la gelatina «fredda», o per le meno appena tiepida, mettete sul fuoco, e con una frusta di ferro sbattete il tutto, fino a che il liquido starà per levare il bollore. Vedrete allora che la chiara d'ovo si straccerà e negli interstizi apparirà limpidissimo il brodo. Coprite allora la casseruola e lasciatela vicino al fuoco per un buon quarto d'ora, in modo che la gelatina bolla e non bolla. Appoggiate intanto sul tavolo di cucina una seggiola rovesciata, e sui quattro piedi che rimangono in alto legate una salvietta bagnata e spremuta, mettendoci sotto una insalatiera o un tegame. Rovesciate allora la gelatina nella salvietta e raccoglietela nella insalatiera, passatala una seconda volta, sentite come sta di sale, e poi, quando sarà fredda, travasatela in una stampa e mettetela in ghiaccio a rassodare. Invece dei piedi o della testa di vitello, si può usare la gelatina «marca oro», che, prima di essere adoperata va tenuta un quarto d'ora in bagno nell'acqua fresca. Un litro di gelatina fatta senza piedi o testa di vitello, ha bisogno per solidificarsi di almeno 35 grammi di colla, ossia circa 15 foglietti. È buona precauzione provare prima la forza della gelatina mettendone un pochino sul ghiaccio in un cucchiaio. Se vedrete che è troppo molle bisognerà correggerla con qualche foglietto di colla. Quando la gelatina sarà ben rappresa si immerge per qualche secondo la stampa nell'acqua tiepida e si rovescia sulla tavola sopra una salvietta bagnata, dove si taglia a piacere per guarnire galantine, arrosti freddi, pasticci, ecc. Se la gelatina serve per ammalati si diminuiscono o si eliminano del tutto gli aromi e si abbonda invece nella carne di vitello, di manzo o di pollo, dipendendo il valore nutritivo della gelatina esclusivamente dalla quantità di carne impiegata. Generalmente per una buona gelatina se ne adoperano dai 700 ai 1000 grammi bagnandoli con circa due litri e mezzo d'acqua. Ciò che, dopo la prolungata ebollizione e la successiva chiarificazione permette di ottenere, su per giù, un litro di gelatina.
traccia di grasso. Uno dei pregi della gelatina è la limpidità. Occorre dunque, dopo averla sgrassata, chiarificarla. Per un litro di gelatina versate
Secondo l'uso cui essa è destinata, se cioè occorre più o meno densa, variano le proporzioni dei componenti: burro, farina e latte. Il procedimento per fare la salsa è molto semplice. Si mette il burro in una casseruolina su fuoco moderato. Quando il burro è liquefatto si aggiunge la farina e si fa cuocere senza farle prendere colore e mescolandola continuamente con un cucchiaio di legno. Dopo un paio di minuti si versa nella casseruola il latte, si stempera bene il composto di farina e burro, si condisce con sale, e un nonnulla di noce moscata, e, senza smettere mai di mescolare, si fa addensare la salsa. Molti la chiamano balsamella. Ciò è improprio. Il nome francese della salsa è «béchamelle» perchè attribuita al marchese di Béchamel, maggiordomo del Re Luigi XIV. Volendo quindi italianizzare il nome, ci sembra più logico tradurlo con besciamella anzichè con balsamella, parola che non significa nulla. Le proporzioni della salsa verranno date volta per volta, secondo i casi. Generalmente le dosi per una salsa di media densità sono le seguenti: burro cinquanta grammi, farina due cucchiaiate (cinquanta grammi) e un bicchiere e mezzo di latte, pari alla terza parte di un litro.
Secondo l'uso cui essa è destinata, se cioè occorre più o meno densa, variano le proporzioni dei componenti: burro, farina e latte. Il procedimento
Si condisce con sale e pepe e si lascia cuocere mescolando di quando in quando. Se si adopera pomodoro fresco non occorre bagnarlo con acqua, se si tratta invece di salsa in scatola converrà aggiungere un bicchiere di brodo o d'acqua. Lasciate cuocere piuttosto lungamente poichè il pomodoro più cuoce e più è buono. Se il pomodoro fosse di gusto un po' acidulo potrete correggerlo con l'aggiunta di un nonnulla di zucchero.
Si condisce con sale e pepe e si lascia cuocere mescolando di quando in quando. Se si adopera pomodoro fresco non occorre bagnarlo con acqua, se si
Cappelletti in brodo alla romana. Questi squisiti cappelletti, i quali costituiscono la più gradita minestra, sono una variante del tortellini bolognesi, con la differenza che sono più grandi, e che nei cappelletti romani il ripieno è crudo ed occorre prepararlo soltanto un giorno prima. Si mettono sul tagliere i seguenti ingredienti: un paio di fette di mortadella di Bologna, una fetta di prosciutto, la metà di un filetto di maiale, un pezzo di tacchino e si trita il tutto finemente. Avendo la macchinetta l'operazione resta molto semplificata e si ottiene un pesto assai più omogeneo. Si raccoglie il trito in una terrinetta e si condisce con un uovo intero, un po' di noce moscata, sale, pepe, una buona cucchiaiata di formaggio grattato, aggiungendo in ultimo un bicchierino di marsala. Si impasta bene il tutto e si mette da parte. Si fa poi una pasta all'uovo, si stende piuttosto sottile e con un tagliapasta rotondo, di cinque centimetri di diametro, o con la bocca di un bicchierino da marsala si tagliano tanti dischi circolari sui quali si dispone un po' del composto di carne. Si ripiega il disco su sè stesso in modo da chiudere dentro la carne, si pigia intorno con le dita e poi si riavvicinano e sovrappongono le due estremità fermandole col dito, e dando così all'insieme la forma di un piccolo cappello. I ritagli si rimpastano e si procede così fino ad utilizzare completamente tutta la pasta all'uovo. Ultimati tutti i cappelletti, si dispongono in un vassoio sul quale si appoggia una salvietta leggermente spolverizzata di farina, e si lasciano così fino all'ora del pranzo. Si passa il brodo, e quando bolle si mettono giù i cappelletti dando circa una ventina di minuti di cottura. Il pesto crudo ha il vantaggio di dare maggiore sapidità al brodo, che riesce squisito. Generalmente si calcolano dai dieci ai quindici cappelletti a persona. Il numero e la qualità degli ingredienti del pesto può essere semplificato a piacere, secondo la spesa che si vuole incontrare. Ma certo con la formula da noi esposta si ottiene un risultato ottimo.
bolognesi, con la differenza che sono più grandi, e che nei cappelletti romani il ripieno è crudo ed occorre prepararlo soltanto un giorno prima. Si mettono
I veri vermicelli con le vongole sono facilissimi, ma non tutti, specie i non napolitani, li sanno cucinare a perfetta regola d'arte. Questi vermicelli non tollerano elementi estranei di nessun genere: non debbono esser fatti che con olio, un po' d'aglio, vongole e pomodoro; e soprattutto niente alici, che taluni erroneamente aggiungono. Per riuscire bene, bisogna che i vermicelli abbondino in sugo e in vongole. Per quattro persone noi vi consiglieremmo quindi un chilogrammo di questi saporitissimi frutti di mare. Un nemico capitale da evitare a qualunque costo è la rena; quindi prima di ogni altra cosa mettete le vongole in una catinella piena d'acqua e lavatele energicamente; cambiando, se occorre, l'acqua. Fatto ciò passatele in una padella piuttosto grande con una cucchiaiata d'olio, copritele e mettetele sul fuoco. Fate saltellare le vongole affinchè possano sentire tutte ugualmente il calore. Vedrete che in due o tre minuti saranno aperte. Levate allora la padella dal fuoco e aiutandovi con un cucchiaino staccate a una a una le vongole dal guscio. I gusci li getterete, le vongole le raccoglierete in una scodella. Se vi accorgeste che le vongole contenessero ancora molta rena, potrete lavarle un'altra volta con un ramaiolo d'acqua appena tiepida, poi tirarle su, e passarle in un'altra scodella pulita. Quando avrete sgusciato tutte le vongole, vedrete che nella padella sarà rimasto un abbondante liquido dall'aspetto torbido. Guardate di non gettarlo via perchè è appunto quello che darà il profumo alla pietanza. Prima di adoperarlo però voi dovrete aspettare un pochino, per dar modo alla rena di posarsi sul fondo della padella. Soltanto allora inclinate leggermente questa e decantate il sugo in una tazza, avvertendo che il fondo terroso rimanga nella padella. Dopo questa operazione principale, prendete un tegame di terracotta o una padella o anche una casseruola di rame, ove metterete mezzo bicchiere d'olio e uno spicchio d'aglio. Portate sul fuoco, e appena l'aglio incomincia a soffriggere toglietelo, e aggiungete tre o quattro cucchiaiate di salsa di pomodoro in scatola o un chilogrammo abbondante di pomodori freschi passati dal setaccio. Condite con sale e pepe, aggiungete il sugo delle vongole, un pochino di acqua, se ce n'è bisogno, e fate cuocere la salsa. Quando questa sarà addensata aggiungete le vongole, e lasciatele bollire per due o tre minuti, affinchè non induriscano troppo. Avrete messo intanto a cuocere la quantità di vermicelli necessaria — per quattro persone circa mezzo chilogrammo. — Teneteli piuttosto duri di cottura, scolateli, conditeli con la salsa preparata, finiteli con un pizzico di pepe e una cucchiaiata o due di prezzemolo trito ben verde.
altra cosa mettete le vongole in una catinella piena d'acqua e lavatele energicamente; cambiando, se occorre, l'acqua. Fatto ciò passatele in una
Per questi fagottini occorre anzitutto preparare una pasta lievitata. Nei luoghi dove non c'è lievito di birra ci si può servire senz'altro della pasta di pane. Ma avendo a propria disposizione del lievito di birra, è buona pratica preparare la pasta da sè. Mettete sulla tavola mezzo chilogrammo di farina, disponetela a fontana e nel vuoto mettete venti grammi di lievito di birra, un pizzico di sale, un pizzico di pepe. Avrete messo a scaldare dell'acqua, e appena questa sarà tiepida — diciamo tiepida e non calda! — servitevene prima per sciogliere il lievito e poi per impastare questo con la farina. In tutto occorrerà circa un bicchiere e mezzo d'acqua. Regolatevi che la pasta deve risultare piuttosto morbida. Lavoratela energicamente come si trattasse di fare il pane; poi quando sarà bene elastica fatene una palla, mettetela in una terrinetta spolverizzata di farina, copritela, portatela in un luogo tiepido e lasciate che lieviti per un paio d'ore. Quando la pasta sarà ben rigonfia, rovesciatela sulla tavola infarinata, prendetene, uno alla volta, dei pezzetti grossi come un uovo, allargateli tirandoli con le mani, e foggiatene delle pizzette sottili che disporrete allineate sulla tavola. Avrete intanto preparato in un piatto un ettogrammo di formaggio fresco tagliato in dadini (provatura, mozzarella, marzolina, ecc.), quattro o cinque alici, lavate spinate e fatte a pezzettini, una cucchiaiata di prezzemolo trito, sale e abbondante pepe. Mescolate ogni cosa e distribuite questo ripieno su ogni pizzetta. Fatto questo, ripiegate in due su sè stessa la pizzetta, chiudendo il ripieno nell'interno e spingendo con le dita sugli orli perchè la pasta possa attaccarsi perfettamente. Fate attenzione che questi fagottini non si buchino, altrimenti in padella accadrebbero dei guai, e friggeteli, pochi alla volta, nell'olio o nello strutto bollenti. Con la dose di pasta da noi data verranno circa venticinque fagottini sufficienti a sei ed anche a otto persone. I fagottini devono stare in padella soltanto pochi secondi: il tempo di colorirsi. Una lunga permanenza nella padella ed una frittura non sufficientemente calda, li farebbe diventare pesanti. È inutile dire che debbono essere mangiati caldissimi. Questi fagottini sono eccellenti così come ve li abbiamo descritti; ma possono raggiungere una maggiore raffinatezza accompagnandoli con una salsiera di salsa di pomodoro densa, fatta con olio e aglio, e ultimata con qualche fogliolina di basilico trito.
Per questi fagottini occorre anzitutto preparare una pasta lievitata. Nei luoghi dove non c'è lievito di birra ci si può servire senz'altro della
In Piemonte la fonduta è uno dei piatti caratteristici di quella cucina, regionale, e si serve generalmente con un accompagno obbligato di tartufi bianchi. Ma trattandosi di cucina di famiglia si può rinunciare ai tartufi e preparare la fonduta più semplicemente: la pietanzina non perderà gran che della sua caratteristica. Per la fonduta occorre una speciale qualità di formaggio grasso, la fontina piemontese. Prendetene 300 gr. togliete via la corteccia, e dividete il formaggio in tanti dadini piccoli, che metterete in una scodella con mezzo bicchiere di latte. Lasciate ammorbidire il formaggio per circa mezz'ora, trascorsa la quale prendete una casseruola, rompeteci sei torli d'uovo e aggiungete un cucchiaino di farina. Stemperate il tutto con mezzo bicchiere di latte, e quando ogni cosa sarà ben sciolta aggiungete nella casseruola il formaggio in dadini con tutto il latte nel quale era in bagno. Mettete la casseruola su fuoco leggerissimo e con un cucchiaio di legno mescolate continuamente fino a che il formaggio sia ben sciolto e il composto sia diventato liscio come una crema. Ricordate che l'operazione va fatta a fuoco assai moderato e che la fonduta non deve bollire, Tirate indietro la casseruola, condite la fonduta con un pizzico di pepe bianco, ultimatela con qualche pezzetto di burro, versatela in un piatto e fatela servire. Sale generalmente non ne va messo poichè il formaggio basta di per sè a dare la giusta sapidità alla pietanza. A ogni modo prima di mandare in tavola assaggiate la fonduta, e, se del caso, aggiungete una presina di sale.
della sua caratteristica. Per la fonduta occorre una speciale qualità di formaggio grasso, la fontina piemontese. Prendetene 300 gr. togliete via la
Questa pietanza, di una semplicità e di una esecuzione assolutamente primordiali, non solamente riabilita il polipo, che — sia detto fra parentesi — nelle famiglie dei pesci gode di una fama volgaruccia anzichenò, ma immediatamente solleva lo spregiato mollusco ad altezze che non esiteremmo a chiamare epiche. C'è forse qualcosa di più squisito, di più appetitoso, di più delizioso di un polipo alla luciana? Quale pesce può compiere il prodigio di riempirvi la cucina di un profumo più intenso ? Uno di quei profumi che scendono allo stomaco «per vie non conosciute», come avrebbe detto il buon Stecchetti e che vi fanno venire l'acquolina in bocca. Di più il materiale di cucina occorrente non contribuirà certo a mandarvi in rovina: una pentola di coccio, un pezzo di carta paglia e un po' di spago. L'abbiamo già detto: si tratta di una preparazione primordiale. Il polipo che occorre deve essere di scoglio: quei polipi cioè che hanno una doppia fila di ventose sui tentacoli, e che sono detti a Napoli «veraci». Contrariamente poi a quanto si usa per le altre preparazioni sarà da preferirsi un polipo piuttosto grosso. E non abbiate timore che riesca duro: quando avrete seguito con diligenza i nostri consigli scambierete il vostro polipo per un pezzo di vitellino da latte, tanto sarà tenero. Comperato dunque il polipo, nettatelo bene, togliendo via la vescichetta della tinta, gli occhi e tutta la pelle. Quest'ultima operazione, che a prima vista può sembrare difficile, non lo è in realtà, se vi aiuterete con un piccolo coltello a punta. Fatta dunque un po' di toletta al polipo procedete ad un'altra operazione, che se non è molto gentile è però necessaria: quella della bastonatura; poichè il polipo «ama» di essere bastonato, come si legge in quei libri di cucina a base di strafalcioni. Naturalmente est modus... con quel che segue; e voi badate affinchè nella furia del combattimento il polipo non debba restare massacrato e coi tentacoli in pezzi. Dopo la bastonatura esso avrà perduto la rigidità delle fibre e sarà pronto per la cottura. La quale, come già abbiamo accennato, dovrà farsi in una pentola di terraglia, di capacità tale che il polipo possa occuparne i due terzi dell'altezza. Lavate adesso il polipo e, senza asciugarlo, deponetelo nella pentola. Conditelo con sale e pepe — è molto indicato, se piace, del peperoncino — qualche ciuffo di prezzemolo e abbondante olio (mezzo bicchiere un po' scarso per un polipo di mezzo chilogrammo). Chiudete ora la pentola con un paio di fogli di carta paglia — quella carta gialla usata dai rivenditori di generi alimentari — assicurate la carta con qualche giro di spago che fisserete sotto i manici e in ultimo coprite con un coperchio. Mettete la pentola su poca brace accesa, quasi delle ceneri calde, e lasciate che il polipo cuocia lentamente, insensibilmene, per un paio d'ore, per abbandonarlo poi sul camino fino al momento di mangiare, che esso guadagna ad essere gustato tiepido o freddo affatto. Vi ripetiamo la raccomandazione che il fuoco sia quasi niente, poichè in caso contrario rovinereste tutto. Pian piano, durante la cottura, un profumo allettatore si sprigionerà dalla pentola. Ma voi non vi lasciate vincere dalla tentazione di scoprirla fino a che non sia trascorso il tempo stabilito e sarà giunta l'ora del desinare. Togliete allora la carta, e avrete la sorpresa di vedere che il polipo è diventato come una specie di grosso crisantemo rossastro, tenerissimo, galleggiante in un brodo squisito, che la munifica bestia ha generosamente elargito. Non gli fate l'ingiuria di travasarlo. Adagiate la pentola in un piatto con salvietta, e fatelo portare in tavola così come si trova. È un piatto marinaresco, e va servito senza troppe cerimonie. In tavola dividetelo in pezzi, e fate che ogni commensale condisca il polipo con qualche cucchiaiata del suo brodo, un pochino d'olio e, se piace, qualche goccia di sugo di limone.
di coccio, un pezzo di carta paglia e un po' di spago. L'abbiamo già detto: si tratta di una preparazione primordiale. Il polipo che occorre deve
Per preparare il brodo di pesce — del quale ne occorre pochissimo — prendete le teste dei merluzzi e le rifilature, risciacquatele e mettetele a cuocere con poca acqua, un pizzico di sale, un pochino di cipolla, un ciuffo di prezzemolo e un pezzetto di sedano. Lasciate bollire qualche minuto e poi passate il brodo dal colabrodo.
Per preparare il brodo di pesce — del quale ne occorre pochissimo — prendete le teste dei merluzzi e le rifilature, risciacquatele e mettetele a
Questa schiuma di pesce è quanto di più fine si possa immaginare, nè necessita un lavoro di grande difficoltà. Per sei persone occorre mezzo chilogrammo netto di carne di merluzzo freschissimo. Diciamo peso netto perchè il mezzo chilogrammo va pesato con la sola carne, senza più traccia di pelle o di spine. Sfilettate dei bei merluzzi freschi, togliete la pelle ai filetti, e pesate la carne ottenuta che, ripetiamo, deve essere mezzo chilogrammo. Mettete questa carne nel mortaio e pestatela finemente dopo averla condita con un buon pizzico di sale e una pizzicata di pepe bianco. Avrete preparato anche due bianchi d'uovo che romperete appena con una forchetta per scioglierli, ma senza montarli affatto. Mentre pestate la carne di merluzzo bagnatela con un cucchiaino alla volta di bianco d'uovo, non mettendo un altro cucchiaino se il precedente non si è unito alla carne. Esaurite così i due bianchi d'uovo e poi passate la farcia ottenuta dal setaccio, raccogliendola in una terrinetta che circonderete di ghiaccio, lasciandola stare così per un paio di ore. Vi sarete intanto provvedute di un mezzo litro abbondante di crema di latte. Questa crema di latte deve essere stata passata al setaccio per togliere i grumi più grandi e i lattai la preparano così per poi montarla e farne della Chantilly. Quindi voi ordinandola dovrete chiedere della crema passata ma non montata, e il lattaio stesso provvederà a fornir vela quale voi la desiderate. Trascorse le due ore durante le quali avrete tenuto la terrinetta col pesce nel ghiaccio, prendete un cucchiaio di legno e procedendo con molta delicatezza, e sempre lasciando la terrinetta sul ghiaccio, incominciate a versare a cucchiaiate la crema di latte sul pesce, mescolando adagio adagio per fargliela assorbire. Mettete poca crema alla volta e non dimenticate di procedere sempre con leggerezza, fino a che il pesce avrà assorbito tutta la quantità di crema prescritta. Prendete adesso una stampa da budino col buco in mezzo, possibilmente a pareti liscie, imburratela abbondantemente e in questa stampa mettete la farcia di pesce ultimata, regolandovi di lasciare un dito libero alla sommità della stampa. Mettete la stampa riempita a bagno maria, mettendo anche, se cucinate col carbone, qualche pezzettino di brace sul coperchio col quale coprirete la stampa. La schiuma deve cuocere a bagno-maria per un tempo che varia dai quaranta minuti a tre quarti d'ora. Ad ogni modo toccandola col dito potrete constatare se si è rassodata. Quando la schiuma sarà cotta, tirate via il recipiente dal fuoco e lasciate riposare per quattro o cinque minuti senza però togliere la stampa dall'acqua. Allora sformatela e fatela servire. Questa schiuma può essere servita così semplicemente o accompagnata da una salsa calda, ad esempio la salsa aromatica al burro d'acciuga (vedi Salse). Oltre che con la carne di merluzzo si può confezionare, con eguale procedimento, con carne di trota, sogliola, aragosta, ecc.
Questa schiuma di pesce è quanto di più fine si possa immaginare, nè necessita un lavoro di grande difficoltà. Per sei persone occorre mezzo
Per sei persone occorrerà circa un chilogrammo di baccalà già tenuto in bagno da un giorno o due. Il baccalà dovrà essere in un sol pezzo e dovrà comprendere la sola parte centrale, senza il pezzo della coda. È questo uno dei pochi casi in cui consigliamo di conservare la pelle al baccalà, al quale, peraltro, toglierete accuratamente tutte le spine, facendo attenzione di non intaccare la pelle durante questa operazione. Allestito il baccalà, che dovrà risultare come un largo quadrato, preparate uno sbrigativo ripieno che preparerete con: due pezzi di mollica di pane grossi come due mele, tenuti in bagno nell'acqua e poi spremuti, un bel ciuffo di prezzemolo tritato, una cucchiaiata di capperi e quattro alici spinate e fatte in pezzetti. Impastate e amalgamate bene tutto ciò, aggiungendo un pochino d'olio, e poi stendete questo ripieno sul baccalà, naturalmente dalla parte della carne. Fatto questo, arrotolate il baccalà su sè stesso, formandone una specie di salame che manterrete in forma con qualche passata di spago. Dovrete arrotolare il baccalà non dall'alto in basso, cioè, per intenderci, dalla parte della coda alla parte della testa, ma da un fianco all'altro fianco, poichè nel primo caso il rotolo non verrebbe bene. Arrotolato e legato il baccalà mettetelo in una teglia o meglio in una casseruola ovale in cui possa stare esattamente, senza lasciare troppo spazio vuoto, e conditelo con abbondante olio, il quale deve ricoprire o quasi il rotolo di baccalà. Cuocetelo su della brace con fuoco sotto e sopra, o in forno moderato, per circa mezz'ora, avendo l'avvertenza d'innaffiarlo di quando in quando con un po' dell'olio della cottura, se questo non è in quantità tale da ricoprirlo. A cottura, estraetelo, liberatelo dallo spago, accomodatelo nel piatto, versateci su qualche cucchiaiata d'olio della teglia e fatelo portare in tavola. Sale non ne occorre affatto. La quantità d'olio piuttosto abbondante che occorre per preparare questa ottima pietanza non deve troppo spaventarvi poichè gran parte se ne ricupera e può essere destinato ad altri usi.
qualche cucchiaiata d'olio della teglia e fatelo portare in tavola. Sale non ne occorre affatto. La quantità d'olio piuttosto abbondante che occorre
Lo stufatino è un piatto caratteristico della cucina di Roma ed è veramente degno di quel favore che i buongustai romani gli accordano. Per questa pietanza occorre servirsi della polpa dello stinco, e più propriamente di quel muscolo allungato che i macellai chiamano «pulcio». Badate che spesso i macellai non guardano tanto pel sottile, e allo stesso modo che battezzano per «pezza» qualsiasi taglio senz'osso, magari il più duro e nervoso, vi offrono per «pulcio» i più inverosimili ritagli di carne. Tagliate il muscolo o fatelo tagliare dal negoziante stesso, in fettine sottili. Potete calcolare mezzo chilogrammo per quattro abbondanti porzioni. Mettete in una casseruola di rame una mezza cucchiaiata di strutto con un po' di cipolla tagliuzzata, e quando la cipolla avrà preso colore, aggiungete un pezzo di grasso di prosciutto tritato con una puntina d'aglio; e subito dopo la carne. Condite con sale, pepe, una presina di maggiorana e fate rosolare lo stufatino. Quando avrà preso una bella tinta scura versate nella casseruola mezzo bicchiere di vino e allorchè questo si sarà asciugato, aggiungete una cucchiaiata di salsa di pomodoro o qualche pomodoro, spellato, fatto in pezzi e nettato dai semi. Fate cuocere ancora un pochino e poi bagnate con tanta acqua da ricoprire lo stufatino, coprite la casseruola, diminuite un poco il fuoco e lasciate che la cottura si compia dolcemente: per la qualcosa occorreranno circa un paio d'ore. Se durante la cottura il sugo venisse a mancare rinfondete altra acqua, regolandovi che al momento di mandare in tavola il bagno sia sufficientemente addensato, scuro e saporito. Lo stufatino si può servire semplice, oppure con un contorno. Generalmente i contorni più caratteristici di questo piatto sono i cordoni o «gobbi» e i sedani. Tanto gli uni che gli altri, vanno nettati, lessati a parte e poi messi ad insaporire nello stufatino. Ma potrete anche accompagnare la carne con qualunque altro contorno come zucchine, cipolline, funghi, ecc. servendo questi legumi in un piatto a parte: ciò che secondo noi è preferibile, perchè conserva a questa appetitosa pietanza, tutto il suo caratteristico profumo.
pietanza occorre servirsi della polpa dello stinco, e più propriamente di quel muscolo allungato che i macellai chiamano «pulcio». Badate che spesso i
Una delle preparazioni più appetitose del vitello è certamente il cosidetto «vitello tonné» di cui ci sono un gran numero di ricette. Per l'esperienza più volte fattane, riteniamo migliore di tutte la seguente, la quale se è un pochino più costosa delle altre, dà in compenso, un ottimo risultato. Mettete in una casseruola un bel pezzo di vitello magro del peso di circa un chilogrammo, 300 grammi di tonno sott'olio tagliuzzato, una cipolla in fette sottili, quattro alici lavate, spinate e fatte in pezzi, sale e pepe e mezzo litro di vino bianco. Regolatevi che la casseruola sia proporzionata alla quantità del vitello e che quindi non sia nè troppo grande, nè troppo piccola. Mettete la casseruola su fuoco moderato, copritela bene e fate cuocere dolcemente il vitello. Quando la carne sarà cotta, mettetela in una terrinetta, passate al setaccio tutto quello che è rimasto nella casseruola e diluite questa poltiglia con mezzo bicchiere di olio e il sugo di due limoni. Versate la salsa così ottenuta sulla carne, aggiungete una cucchiaiata di cetriolini sotto aceto, tagliati in fettine, coprite la terrinetta, e non mangiate il vitello tonné che dopo qualche ora, o meglio il giorno appresso, affinchè possa avere il tempo di insaporirsi bene. Tenete la terrina col vitello in un luogo fresco, e man mano che vi occorre affettatelo. Si conserva parecchi giorni.
appresso, affinchè possa avere il tempo di insaporirsi bene. Tenete la terrina col vitello in un luogo fresco, e man mano che vi occorre affettatelo. Si
Una delle migliori preparazioni di questi piccioni è il salmì. Ve ne insegneremo uno semplicissimo e assai gustoso. Spezzate i palombacci e metteteli in una casseruola con un pochino d'olio, sale, pepe e una vasta varietà di odori: cipolla, aglio, prezzemolo, sedano, carote gialle, alloro, salvia, rosmarino, maggiorana, ecc.: in una parola tutto quello che la vostra dispensa potrà offrirvi. Di erbe aromatiche non bisogna metterne in gran quantità: basta un pizzico per specie. Fate cuocere i piccioni con fuoco brillante e quando saranno ben rosolati bagnateli con due dita di aceto, che diluirete con mezzo bicchiere di vino. Coprite la casseruola e lasciate che i piccioni finiscano di cuocere dolcemente aggiungendo, se occorre, qualche cucchiaiata d'acqua. Dopo circa un'ora, quando saranno cotti, estraete dalla casseruola i pezzi dei piccioni, staccate con un pochino d'acqua calda il fondo della cottura e passatelo da un setaccio. Rimettete questo sugo nella casseruola ed uniteci una salsetta, che farete pestando nel mortaio una o due acciughe lavate e spinate e un pezzettino d'aglio, il tutto sciolto con un dito di buon aceto. Mettete nuovamente i palombacci nella casseruola, riscaldateli bene senza far bollire la salsa, versateli in un piatto e guarniteli con una cucchiaiata di prezzemolo trito.
diluirete con mezzo bicchiere di vino. Coprite la casseruola e lasciate che i piccioni finiscano di cuocere dolcemente aggiungendo, se occorre, qualche
Per quattro persone occorre mezzo chilogrammo di polmone, che va tagliato in pezzi come piccole noci, lavato e asciugato in uno strofinaccio. Mettete in una casseruola una cucchiaiata scarsa di strutto o di burro — un po' meno di mezzo ettogrammo — e qualche dadino di prosciutto grasso e magro, e appena lo strutto o il burro saranno liquefatti, aggiungete il polmone in pezzetti e una cipollina finemente tagliata, sale e pepe. Conducete la cottura a fuoco vivace, mescolando il polmone con un cucchiaio di legno, fino a che avrà preso una bella colorazione scura. A questo punto aggiungete una forte pizzicata di farina, mescolate ancora, e dopo un minuto o due versate nella casseruola mezzo bicchiere di vino asciutto; bianco o rosso, fa lo stesso. Appena il vino si sarà alquanto consumato, bagnate il polmone con brodo o con acqua in modo da ricoprirlo, coprite la casseruola, diminuite il fuoco e lasciate che la cottura si compia dolcemente. Per il che occorreranno circa tre quarti d'ora. Se avete dei funghi secchi li potrete aggiungere, dopo averli naturalmente tenuti in bagno nell'acqua fresca per farli rinvenire. I funghi vanno messi giù quando si bagna il polmone con brodo o con acqua, cioè nella seconda parte della cottura; essi danno all'intingolo un più gustoso sapore. Regolatevi che a cottura completa l'intingolo non risulti nè troppo diluito, nè troppo denso; deve rimanere una salsa non eccessivamente abbondante, ma saporita e legata. Ritagliate da due o tre fette di pane dei dadini di mollica, e friggeteli di color d'oro nell'olio o nello strutto. Rovesciate il polmone in un piatto, seminateci su i dadini di pane fritti e mandate subito in tavola. Oltre che con questo procedimento in bianco, il polmone si può cucinare con un po' di pomodoro. L'operazione è la stessa. Dopo aver messo il vino si aggiunge un cucchiaio di salsa di pomodoro. In questo caso si può diminuire la quantità di farina o farne addirittura a meno, e condire il polmone con una pizzicatola di foglie di maggiorana. Però la ricetta più fine e che potrà essere sempre servita con successo, è la prima, che vi abbiamo minuziosamente insegnata.
Per quattro persone occorre mezzo chilogrammo di polmone, che va tagliato in pezzi come piccole noci, lavato e asciugato in uno strofinaccio. Mettete
La gelatina. — Estratta la galantina dalla casseruola, verificate quanto liquido c'è ancora, e se si fosse molto ristretto allungatelo un pochino e continuate l'ebollizione lenta e regolare per un altro paio d'ore, affinchè il brodo possa bene aromatizzarsi e i piedi di vitello abbiano il tempo di disfarsi, comunicando così al brodo tutta la parte gelatinosa. Passatelo allora da un colabrodo, raccoglietelo in una insalatiera e lasciatelo così fino al giorno dopo, affinchè possa freddarsi completamente. L'indomani troverete alla superficie uno strato solido di grasso, che leverete facilmente con un cucchiaio, e sotto, con molta probabilità, specie se la stagione è fredda, il brodo rappreso in gelatina. Ma questa gelatina non è in genere così limpida, come deve essere, e allora occorre chiarificarla. Per far questo, mettete in un caldaino o in una grande casseruola, un uovo intero e un mezzo bicchierino di marsala, aggiungete la gelatina e con una frusta in filo di ferro sbattete energicamente tino a sciogliere il tutto. Mettete allora il caldaino sul fuoco e sempre sbattendo portate il liquido fino all'ebollizione. Vedrete allora che l'uovo e la chiara si stracciano alla superficie e negli interstizi appare il brodo limpidissimo. Tirate indietro il caldaino, copritelo e lasciate il brodo in riposo per quattro o cinque minuti, sull'angolo del fornello. Intanto prendete una sedia di cucina, capovolgetela e appoggiatela così capovolta sul tavolo, in modo che le quattro gambe rimangano in su. Sulle estremità delle quattro gambe ponete un tovagliolo bagnato e strizzato e attorno ad ogni gamba fate una legatura con dello spago, in modo che la salvietta non possa sfuggire. Avrete così ottenuto una specie di filtro, sotto il quale metterete una terrina o una insalatiera per raccogliere il brodo che verserete sul tovagliolo. Vedrete che la gelatina passerà limpidissima e di un bel colore ambrato. Quando sarà tutta passata versatela in una stampa grande, liscia e mettetela sul ghiaccio, per farla rapprendere. Al momento di preparare la galantina per il pranzo capovolgete la stampa con la gelatina su un tovagliolo bagnato e spremuto, e tagliate la gelatina in crostoni rettangolari o triangolari, che disporrete in giro sull'orlo del piatto che contiene la galantina. Se non foste sicure della forza gelatinosa del brodo, o in altre parole se temeste che la gelatina non si rapprendesse provatene un poco, prima di chiarificarla, sul ghiaccio per qualche minuto. Se vi sembrerà troppo molle potrete aggiungere quattro o cinque fogli di colla di pesce. La migliore colla di pesce è la cosidetta «gelatina marca oro» che si vende in tutte le drogherie. Questa colla, che si presenta in foglietti rettangolari trasparenti, è assolutamente insapore, tanto che si adopera anche per pasticceria, ed è affatto innocua. Per adoperarla, bisogna prima tenerla una ventina di minuti in
così limpida, come deve essere, e allora occorre chiarificarla. Per far questo, mettete in un caldaino o in una grande casseruola, un uovo intero e un
Non occorre dire che i pistacchi vanno lasciati interi. Tartufi e pistacchi, oltre che a dare più sapore alla galantina, contribuiscono ad aumentare quella varietà di mosaico che forma uno dei pregi di questa preparazione.
Non occorre dire che i pistacchi vanno lasciati interi. Tartufi e pistacchi, oltre che a dare più sapore alla galantina, contribuiscono ad aumentare
Vi abbiamo detto che la stampa da pâté non ha fondo. Occorre dunque appoggiarla su una piccola teglia che formerà lei il fondo del pâté. Così la teglia come la stampa vanno imburrati. Stendete la pasta all'altezza di mezzo centimetro e con essa foderate il fondo e le pareti della stampa. Con una pallina della stessa pasta leggermente infarinata o con le dita pigiate nell'interno affinchè la pasta possa aderire perfettamente alla stampa, e tagliate la pasta che sopravanza lasciando che sporga un dito dalla stampa. La pasta avanzata arrotolatela di nuovo e mettetela da parte, che servirà per il coperchio. Mettete sul fondo del pâté una o due fettine di lardo e sul lardo stendete qualche cucchiaiata di farcia. Mettete ora sulla farcia qualche fegatino, ricoprite con altra farcia, mettete ancora fegatini e tartufi, se li avete adoperati, e così di seguito, terminando con uno strato di farcia. Poi ricoprite con qualche altra fettina di lardo. Stendete adesso la pasta avanzata, ritagliandone un pezzo della forma della stampa, ma un dito più largo. Appoggiate questo pezzo di pasta sul pâté in modo che vada a combaciare con l'altra pasta che come abbiamo detto deve sporgere un dito dalla stampa, pigiate le due paste per riunirle e arrotolatele in cordoncino che verrà a chiudere in alto il vostro pâté. Se avete una pinzetta da pâté o anche più semplicemente una molla da zucchero prendetela, passatela di quando in quando nella farina e con essa pizzicate intorno intorno il cordoncino di pasta. Avrete così una decorazione e una maggiore sicurezza per la chiusura del pâté. Con un po' d'uovo sbattuto o anche con la chiara avanzata, dorate la parte superiore del pâté, e poi con un coltellino a punta fate nel mezzo del coperchio un foro circolare della grandezza di un soldo. Questo foro sarà il camino di dove durante la cottura usciranno i vapori del pâté. Fatto tutto ciò infornate il pasticcio e cuocetelo a forno di moderato calore per circa un'ora, lasciatelo raffreddare e poi se avrete usato la stampa a cerniera non vi resterà che sollevare il perno e aprire la cerniera per liberare il pâté dalla stampa; se avrete adoperato una casseruola vi converrà invece sformare il pâté rovesciandolo, per poi riaccomodarlo sul piatto di servizio. Avendo della gelatina prendetene una piccola quantità, fatela fondere in un tegamino vicino al fuoco e dal forellino del pâté versatene nell'interno qualche cucchiaiata: ciò che servirà a cementare meglio il pasticcio.
Vi abbiamo detto che la stampa da pâté non ha fondo. Occorre dunque appoggiarla su una piccola teglia che formerà lei il fondo del pâté. Così la
Occorre un grandissimo vassoio in metallo argentato o un'enorme piatto da portata. Preparate un litro della nostra gelatina sbrigativa, e, prima che si rapprenda versatene un poco sul fondo del piatto in modo da velarlo completamente. Lasciate rapprendere questo strato di gelatina e poi disponeteci sopra in file regolari le seguenti cose: una fila di mezzi piedi di porco (lessati disossati e poi conditi con sale, pepe, olio, limone e un pizzico di senape inglese o un cucchiaino di mostarda francese) una fila di galantina, una fila di «roast-beef», una fila di fette di vitello tartufato arrostito e freddo, e una fila di fette di prosciutto cotto; si contorna il piatto con delle fette di uovo sodo e con delle code di gamberetti sgusciate e si fa una sobria decorazione con fettine di cetriolini, cappelle di funghi sott'olio e qualche fettina di tartufo nero. Si ricopre il tutto di gelatina fusa e si lascia rapprendere. Come vedete è un piatto freddo, non certo difficile a prepararsi, ma che offre ai convitati una serie variata di piccole cose squisite. L'importante è che il piatto sia montato con grande cura e che le file dei vari componenti siano disposte molto bene e a regolari intervalli.
Occorre un grandissimo vassoio in metallo argentato o un'enorme piatto da portata. Preparate un litro della nostra gelatina sbrigativa, e, prima che
Intanto provvedetevi una diecina di bei fegatini di pollo, guardate di portar via tutte le parti state in contatto col fiele e metteteli in bagno in acqua fredda che rinnoverete spesso fino a che i fegati avranno perduto tutta la parte sanguigna e siano rimasti bianchi. A questo punto scolateli, asciugateli in un panno e poi metteteli a cuocere in una padellina con un po' di burro, le rifilature dei tartufi messe da parte, un pezzetto di lauro e una pizzicata di timo. Portate la cottura a fuoco forte in modo che i fegatini non abbiano a indurirsi, conditeli con sale e pepe e spruzzateli con una cucchiaiata di marsala. Toglieteli dal fuoco, lasciateli freddare e poi pestateli nel mortaio insieme con un ettogrammo di burro e una cucchiaiata colma di salsa besciamella piuttosto densa, che avrete preparato e lasciato freddare. Quando ogni cosa sarà bene amalgamata passatela dal setaccio in modo da avere una purè finissima e saporita che raccoglierete in una scodella e terrete al fresco. Quando la noce di vitello sarà fredda togliete via lo spago e affettatela in fette piuttosto sottili. Su ogni fetta spalmate un po' della purè di fegatini e su questa purè appoggiate una sottilissima fetta di prosciutto cotto, della stessa larghezza della fetta di carne. Continuate così a spalmare le varie fette inframezzandole di prosciutto cotto e ricomponendo man mano la noce come se fosse intiera. Quando avrete ultimato tutte le fette, pigiate leggermente le due estremità della noce affinchè le varie fette possano riunirsi per bene. In una parola la noce di vitello dovrà sembrare nuovamente completa come lo era prima di essere tagliata. Occorre adesso una stampa rettangolare di poco più grande della noce di vitello. Preparate un litro della gelatina sbrigativa (pag. 20) versatene un poco sul fondo della stampa e lasciatela rapprendere. Quando la gelatina sarà rappresa prendete con garbo la noce di vitello ricomposta e mettetela in un sol pezzo nella stampa, che finirete di riempire con la gelatina. Portate la stampa in ghiacciaia e lasciatela così per un paio d'ore. Al momento di servire immergete per pochi secondi la stampa in acqua tiepida e poi capovolgetela sul piatto di servizio. Contornate la noce di vitello con delle piccole tartelette ripiene di insalata russa, intramezzandole con crostoni di gelatina.
. Occorre adesso una stampa rettangolare di poco più grande della noce di vitello. Preparate un litro della gelatina sbrigativa (pag. 20) versatene un
Il cappon magro è uno dei piatti tradizionali della cucina genovese; e bisogna dire che la sua non è una di quelle fame così spesso scroccate nel mondo. Si tratta di una specie di maionese, ma con una salsa speciale, e accomodata sopra uno strato di gallette, o come si dice, in genovese, di «bescheutti de pan». Il cappon di galera si può fare ricco quanto si vuole, e quando è eseguito con diligenza, e sopratutto montato con gusto, alternando bene i colori, è piatto che produce sempre un grande effetto. Ci si provvede di una certa quantità di gallette, secondo il numero delle persone, si spezzano e si bagnano in acqua e aceto per farle rinvenire. Si lessano poi tutti i legumi di cui si può disporre, come patate, carote gialle e rosse, cavolfiori, fagiolini, ecc., si fanno in dadi, si condiscono con sale, pepe, olio e aceto, e a questi legumi si uniscono funghi sott'olio, cetriolini, acciughe, capperi, olive verdi, uova sode e gamberi (che si saranno fatti bollire o friggere). Per ultimo si lessa un bel pesce cappone, si lascia freddare, si spina accuratamente, dividendo la carne in pezzi non tanto piccoli, e si condisce con sale, pepe, olio e limone. Volendo, si potrà aggiungere al pesce cappone anche la carne di un'aragosta bollita, aperta e fatta in dadi grossi. Preparata ogni cosa si fa la salsa, la quale si ottiene pestando in un mortaio di legno una buona quantità di prezzemolo, uno spicchio d'aglio, due acciughe, qualche pinolo, capperi, cetriolini, la polpa di qualche oliva in salamoia, un po' di midolla di pane inzuppata nell'aceto e spremuta e due torli di uova. Quando i vari ingredienti sono ben pestati, si passa la salsa e si diluisce con olio e aceto in modo da averla piuttosto colante. Si procede allora al montaggio del piatto, per il quale, come abbiamo detto, occorre diligenza e un po' di gusto. Si fa prima uno strato di base con le gallette ben spremute e poi s'incominciano a disporre i vari legumi a gruppi, avendo cura di alternare i colori. Dopo un primo strato di legumi si mette un po' di pesce, un po' di salsa, e si passa a fare un secondo strato e via di seguito, dando man mano alla pietanza la forma di una cupola. Ultimato il piatto si versa su tutto la salsa rimasta e si guarnisce il cappon di galera con spicchi di uova sode, alici, olive, gamberi, ecc.
detto, occorre diligenza e un po' di gusto. Si fa prima uno strato di base con le gallette ben spremute e poi s'incominciano a disporre i vari legumi a
Fra le molte ricette di peperoni ripieni questa è senza dubbio una delle più gustose e ricche. Necessita forse un pochino di lavoro; ma questo viene largamente ricompensato dal risultato, che come abbiamo detto è veramente ottimo. Per sei persone prendete otto peperoni gialli napolitani. Di questi otto peperoni due serviranno per il ripieno e i sei rimanenti serviranno per la pietanza, calcolandosene uno a persona. Procurate di scegliere dei peperoni di forma regolare, piuttosto grandi e, condizione essenziale, freschissimi. Con un coltellino fate un'incisione circolare intorno intorno al torsolo in modo da asportarlo completamente. Passate allora i peperoni su fuoco vivacissimo per carbonizzare subito la pellicola esterna senza che il peperone riceva troppo calore ed abbia ad afflosciarsi troppo. Potrete anche passarli un istante in una frittura bollente; ma il primo sistema è il più semplice. Appena abbrustoliti togliete via la pellicola carbonizzata e tutti i semi dall'interno. Preparati così i peperoni metteteli da parte. Occorre ora pensare al ripieno. Prendete due dei peperoni, tagliateli in listelline e fateli insaporire in una padellina con un pochino di olio e sale. Appena pronti metteteli da parte. Togliete la buccia a una melanzana grossa o a due piccole, ritagliate la melanzana in dadini di circa un centimetro di lato, risciacquateli, infarinateli e friggeteli nell'olio. Quando questi dadini avranno preso un bel color d'oro toglieteli dalla padella e serbateli in disparte. Mettete in una padellina un paio di cucchiaiate d'olio (potrete servirvi di quello adoperato per friggere le melanzane) fateci soffriggere uno spicchio d'aglio che toglierete appena imbiondito, e versate nell'olio sei cucchiaiate di pane grattato. Mescolate con un cucchiaio di legno, fino a che il pane sia bene imbevuto di olio e leggermente abbrustolito. Mettete in disparte anche questo pane fritto. Prendete ora sei pomodori, tuffateli in un momento in acqua bollente per poterli spellare facilmente, tagliateli in spicchi privandoli accuratamente dei semi, mettete questi spicchi in una padellina con olio bollente conditeli con un pizzico di sale e fateli cuocere a fuoco fortissimo per pochi minuti in modo che non abbiano a disfarsi. Avrete comperato anche un paio di polipi piccoli o di calamaretti. Divideteli in piccoli pezzi, infarinateli e friggeteli. Da ultimo preparate una salsa di pomodoro con un po' d'olio aglio e sale. Questa salsa dovrà essere sufficientemente densa, e come quantità circa due ramaioli. Preparati tutti gli ingredienti prendete una terrinetta, metteteci i filetti di peperoni, i filetti di pomodori, le melanzane, il pane fritto e i polipi o calamaretti. Aggiungete una cucchiaiata di capperi e un pugno di olive nere di Gaeta alle quali avrete tolto il nocciolo e avrete divise a metà. Aggiungete anche un ramaiolo di salsa di pomodoro e un bel ciuffo di prezzemolo trito. Mescolate tutti questi ingredienti e poi con un cucchiaio riempite di questo composto i sei peperoni. Prendete adesso una casseruola versateci un paio di cucchiaiate di olio, metà della rimanente salsa di pomodoro che diluirete con qualche cucchiaiata di acqua e nella casseruola disponete i peperoni ritti uno accanto all'altro. Converrà dunque scegliere una casseruola di proporzioni adattate affinchè i peperoni possano starci nè troppo larghi nè troppo pigiati. Innaffiate abbondantemente ogni peperone con dell'olio e finalmente versateci sopra la rimanente salsa di pomodoro, spalmandola un po' dappertutto. Mettete la casseruola in forno di moderatissimo calore dove la lascerete circa un'ora. I peperoni devono cuocere molto adagio. Invece di mettere la casseruola in forno si potrà fare la cottura con della brace sotto e sopra. L'importante è che questa cottura avvenga con molta lentezza.
semplice. Appena abbrustoliti togliete via la pellicola carbonizzata e tutti i semi dall'interno. Preparati così i peperoni metteteli da parte. Occorre
Scegliete dei bei sedani, mozzatene le foglie, eliminate qualche costola troppo verde e dividete le altre costole in pezzi di sette od otto centimetri. Con un coltellino nettate bene e raschiate questi pezzi di costole e poi passateli in una catinella con acqua fresca, per lavarli energicamente adoperando, se occorre, anche uno spazzolino duro. L'interessante è che ogni traccia di terriccio sparisca completamente. Mettete i sedani preparati in una pentola con acqua bollente e dopo una diecina di minuti d'ebollizione scolateli. È bene gettare via questa prima acqua per togliere al sedano quella sua caratteristica acredine. Verificate se le costole sono ben nette, e se fosse ancora rimasta qualche traccia terrosa, procedete ad un secondo lavaggio in acqua fresca. Levate ancora qua e là qualche filamento, se ve ne fossero, e poi rimettete i sedani al fuoco in una casseruola con acqua. Potete mettere nell'acqua un pezzetto di cipolla, una fettina di lardo e, se ne avete, un po' di sgrassatura di brodo. Salate convenientemente, coprite la casseruola e lasciate bollire dolcemente fino a cottura completa. Dieci minuti prima di andare in tavola, ungete di burro una teglia o un piatto di metallo, o un piatto di porcellana resistente al fuoco. Scolate i sedani e metteteli a strati sul piatto o sulla teglia, spolverizzando ogni strato di parmigiano grattato. Mettete a fondere in un tegamino un pezzo di burro, tenendo presente che per sei persone è sufficiente mezzo ettogrammo, e quando avrà preso una tinta leggermente dorata, sgocciolatelo sui sedani. Ancora un pizzico di parmigiano, e sei o sette minuti di forno vivace.
adoperando, se occorre, anche uno spazzolino duro. L'interessante è che ogni traccia di terriccio sparisca completamente. Mettete i sedani preparati in
Questi biscotti, che hanno nella pasticceria tante utili applicazioni, sono in particolar modo adatti per i bambini. Per una quindicina di savoiardi occorrono le seguenti proporzioni: zucchero in polvere gr. 40, farina gr. 20, farina di patate gr. 20, uova n. 2, un pizzico di sale. E per chi non avesse la bilancia: un paio di cucchiaiate di zucchero, un cucchiaio di farina, uno di fecola, avvertendo che queste cucchiaiate non siano troppo colme. Separate i bianchi dai rossi. I bianchi li metterete da parte, i rossi li passerete in una terrinetta con lo zucchero in polvere. Non occorre lavorarli molto, basteranno tre o quattro minuti: il tempo cioè di ben mescolare zucchero ed uova. Unite allora al composto le due farine, e lasciate riposare. Fatto ciò, montate le chiare in neve, servendovi di una frusta in ferro stagnato; ma guardate che le chiare sieno sostenutissime, perchè è da questo che dipende la buona riuscita dei biscotti. Quindi non vi stancate di sbattere. Quando le chiare saranno montate unitele delicatamente ai rossi, servendovi di un cucchiaio di legno e sollevando il composto affinchè i bianchi non si sciupino troppo. Prendete due fogli di carta spessa; ungete leggermente di burro l'uno, e fate un cartoccio con l'altro. Mettete il composto nel cartoccio, chiudete questo e spuntatene l'estremità in modo da lasciare un'apertura di un centimetro di diametro. Premendo delicatamente sulla sommità del cartoccio, fate uscire sul foglio di carta unto, tanti bastoncini grossi come un dito e lunghi una diecina di centimetri, facendo attenzione di non farli troppo vicini uno all'altro. Quando avrete esaurito la pasta mettete il foglio di carta sopra una teglia e spolverizzate i biscotti con zucchero al velo. Lo zucchero dovrà essere messo sui biscotti o con uno spolverizzatore, o facendolo cadere da un setaccino.
. Separate i bianchi dai rossi. I bianchi li metterete da parte, i rossi li passerete in una terrinetta con lo zucchero in polvere. Non occorre
Prendete un ettogrammo di cioccolato in polvere, un ettogrammo di mandorle dolci, sbucciate e tagliate in filetti sottilissimi, e impastate il tutto sul tavolo di marmo con due cucchiai di liquore a vostra scelta. Impastate bene per ottenere una pasta morbida e aggiungete, se occorre, un pochino d'acqua. Con questa pasta di cioccolata fate delle palline come piccole noci e passatele nello zucchero in modo che questo aderisca perfettamente. Mettete i cioccolattini in cestellini di carta pieghettata. Con queste dosi ne otterrete circa trenta.
sul tavolo di marmo con due cucchiai di liquore a vostra scelta. Impastate bene per ottenere una pasta morbida e aggiungete, se occorre, un pochino d
lo zucchero si alteri, quando farete bollire lo sciroppo per la terza volta, metteteci un paio di cucchiaiate di glucosio. Le castagne così preparate si conservano assai lungamente. Però se desiderate avere proprio i cosidetti «marrons glacés» occorre un piccolo lavoro supplementare. Vi avvertiamo però che le castagne «tirate in secco» non si conservano così a lungo come le prime. Se volete «ghiacciare» tutte le castagne già candite potrete servirvi dello stesso sciroppo, oppure se volete ghiacciarne una piccola quantità preparate uno sciroppo nuovo, ciò che è anche meglio. Estraete delicatamente le castagne dal vaso di vetro e lasciatele sgocciolare bene, esponendole magari in una stufa appena tiepida, affinchè possano asciugarsi. Se usate lo sciroppo delle castagne, metteteci qualche altra cucchiaiata di zucchero e ponetelo al fuoco in un recipiente largo e basso (una piccola teglia di rame potrà servire convenientemente). Se adoperate dello sciroppo nuovo ponete dello zucchero nel recipiente, inumiditelo con un pochino d'acqua e mettetelo a cuocere ugualmente. Regolatevi che in un caso o nell'altro, Io sciroppo sia in tale quantità da poter ricoprire le castagne. Questo sciroppo va cotto fino a 38° o 39° che verificherete col pesa-sciroppi. Prendendo un poco di questo sciroppo tra il pollice e l'indice della mano e aprendo le due dita, dovrà formarsi un filo lungo e resistente. A questo punto tirate indietro il recipiente, poneteci le castagne, coprite e lasciate così vicino al fuoco per un quarto d'ora circa, affinchè le castagne sentano pian piano il calore. Rimettete quindi la teglia sul fuoco, e scaldate nuovamente lo sciroppo senza però lasciarlo bollire. Mentre lo sciroppo si riscalda, immergeteci una cucchiaiata di ferro a buchi larghi o una forchetta e con essa girate intorno intorno alle pareti della teglia. Vedrete che poco dopo, per effetto di questo sfregamento, lo zucchero incomincerà a imbianchirsi leggermente e a fare una velatura lattiginosa. Levate la teglia dal fuoco ed estraete ad una ad una le castagne, che porrete a sgocciolare su una griglia di ferro. Le castagne si asciugheranno presto e rimarrà su esse quel lieve strato di zucchero che costituisce appunto il «glaçage». Le castagne così ultimate possono essere messe nelle cestelline di carta, che danno loro una maggiore eleganza.
si conservano assai lungamente. Però se desiderate avere proprio i cosidetti «marrons glacés» occorre un piccolo lavoro supplementare. Vi avvertiamo
Da un pane a cassetta raffermo, si tagliano delle fette di pane dello spessore di un centimetro, alle quali si potrà dare una forma quadrata o rettangolare, a piacere. Si mettono queste fette allineate in un piatto grande e si spruzzano di latte freddo nel quale si sarà sciolto un cucchiaino di zucchero e si sarà raschiata un po' di buccia di limone. Per sei persone potrete calcolare una dozzina di fette di pane, e mezzo bicchiere di latte. Sbattete uno o più uova — a seconda del numero delle fette di pane — come se doveste fare una frittata, e poi gettatele sul pane. Lasciate star così circa un'ora affinchè il pane possa ben impregnarsi d'uovo; poi prendete una fetta di pane alla volta, e badando di non romperle, friggetele nello strutto ben caldo finchè abbiano preso un bel color d'oro da ambo le parti. Queste «croûtes dorées», che possono anche mangiarsi così, spolverizzate da zucchero vainigliato, servono inoltre come base a diversi dolci composti. Infatti voi potrete disporre le fette di pane fritte in corona in un patto e ricoprirle, sia con marmellata calda, sia con zabaione, sia con una composta calda di frutta. La fantasia di chi cucina potrà sbizzarrirsi in più modi, tenendo anche calcolo delle risorse della dispensa. Per la marmellata calda non occorre che prenderne un paio di cucchiaiate, diluirla con un pochino d'acqua e versarla sulle fette di pane.
, tenendo anche calcolo delle risorse della dispensa. Per la marmellata calda non occorre che prenderne un paio di cucchiaiate, diluirla con un pochino d
È un dolce dell'antica cucina, molto semplice ma molto buono. Per la sua confezione occorre un timballo in argento o una elegante coppa in cristallo. L'uno o l'altra del diametro di una quindicina di centimetri. Fate una crema con tre rossi d'uovo, tre cucchiaiate di zucchero, due cucchiaiate di farina e mezzo litro di latte. Quando questa crema pasticcera sarà addensata, ultimatela con un pizzico di vainiglina e lasciatela freddare, avvertendo di mescolarla di quando in quando per impedirle di fare la pellicola alla superficie. Preparate ora una specie di «macédoine» di frutta; prendete cioè una mela, una pera, un paio di banane, qualche fetta d'ananas, e se credete, anche qualche pesca fresca o allo sciroppo. Questa frutta va tagliata in fettine o in dadini e messa a macerare con qualche cucchiaiata di zucchero e qualche bicchierino di liquore, preferibilmente maraschino o kirsch. Alla frutta fresca potrete aggiungere qualche filettino di scorza di cedro o d'arancio candito o qualche altro candito a vostro piacere. Prendete ora 200 grammi di pan di Spagna che ritaglierete in fette sottili. Finalmente provvedetevi di mezzo litro di panna di latte montata (chantilly). Prendete la crema che sarà diventata fredda, scioglietela con un bicchierino di Marsala e mischiateci con leggerezza un paio di cucchiaiate di «Chantilly». Mettete un pochino di questa crema nel fondo del timballo d'argento o della coppa di cristallo e su questa crema fate un primo strato di pan di Spagna che spruzzerete con la stessa qualità di liquore del quale vi sarete servite per macerare la «macédoine», cioè maraschino o kirsch. Su questo strato di pan di Spagna stendete un altro strato di crema, e sulla crema fate uno strato di frutta. Continuate così fino ad esaurimento di tutti gli ingredienti, terminando con uno strato di pan di Spagna, sul quale scolerete tutto il liquore in cui hanno macerato le frutta. Con la restante «Chantilly» fate una cupolina sul dolce, che potrete decorare a vostro piacere con qualche candito e con un pochino della stessa «Chantilly» tenuta da parte e messa in un cartoccino. Ultimato il dolce, che si confeziona molto più sollecitamente di quello che occorra per descriverlo, si mette in ghiacciaia, dove si lascia stare un paio [immagine e didascalia: Coppa con nastri e fioritutto in zucchero alla caramella – riempita di bonbons ]
È un dolce dell'antica cucina, molto semplice ma molto buono. Per la sua confezione occorre un timballo in argento o una elegante coppa in cristallo
Sciogliete lo zucchero mescolandolo, poi portate la casseruola su fuoco vivo, fino all'ebollizione. Appena lo zucchero avrà levato il bollore, tirate indietro il recipiente e schiumate accuratamente lo sciroppo, liberandolo di tutte quelle impurità che saranno salite alla superficie. Rimettete la casseruola su fuoco vivace e con un pennello pulito e bagnato nell'acqua fresca, spennellate continuamente il giro intemo della casseruola affinchè lo zucchero cuocendo non vi si attacchi. Dopo dieci minuti di forte ebollizione tirate indietro la casseruola e misurate col pesa-sciroppi la densità dello sciroppo, che deve raggiungere i 34 gradi piuttosto scarsi. Ottenuto questo grado di densità ponete la casseruola con tutto lo sciroppo in luogo fresco, coprendola con un foglio di carta bucherellato che inzupperete nell'acqua e poi spremerete. Lasciate in riposo lo sciroppo senza più toccarlo, per sei ore. Occorre adesso un apposito utensile detto «brillantiera» il quale è formato da una cassetta metallica a forma rettangolare con un bordo di circa quattro centimetri di altezza e corredata di una griglia in filo di ferro sottilissimo. La «brillantiera» ha nella sua parte inferiore un'apertura che si chiude con apposito turacciolo per colare poi lo sciroppo — che con termine tecnico si chiama «brillante» — ad operazione ultimata. Non fondo della «brillantiera», sulla griglia, disponete le violette bene asciutte, ricoprendole con una seconda griglia, finissima e leggerissima. Versate sulle violette con grande attenzione lo sciroppo, tenendo la casseruola il più
, per sei ore. Occorre adesso un apposito utensile detto «brillantiera» il quale è formato da una cassetta metallica a forma rettangolare con un bordo di
Mettete il ribes sopra un setaccio, spremetelo con le mani, e raccogliete in una terrina il sugo del grazioso frutto a grappoli. Pesate il sugo raccolto e uniteci lo stesso peso di zucchero; versate tutto in un caldaino di rame non stagnato e mettete sul fuoco. Lo stagno altera il colore di alcune qualità di frutta, e noi appunto vi consigliamo un caidaino non stagnato, che vi riuscirà utilissimo oltre che per cuocere le conserve di frutta, per montare le uova, le chiare in neve, ecc. Circa la cottura delle marmellate e delle gelatine, alcuni fissano un certo numero di minuti. Ora è facile comprendere come questo sistema sia assolutamente falso, poichè il punto giusto di cottura varia con l'intensità del fuoco. Una marmellata o una gelatina insufficientemente cotta fermenta, cotta troppo tende a cristallizzarsi. Occorre dunque procedere con sicurezza, specie quando si lavora un po' in grande, e si desidera fare una discreta provvista. La cottura delle confetture è regolata non da un tempo fissato, ma da un segno infallibile. Si può dire che la cottura passi per due fasi distinte: la evaporazione e la cottura propriamente detta. Nella prima fase l'ebollizione non ha altro ufficio che quello di evaporare l'acqua di vegetazione che le frutta contengono: qui dunque il fuoco può essere brillante. Nella seconda fase entriamo nella vera amalgama delle frutta con lo zucchero, e sarà prudente diminuire un poco la forza del fuoco. Man mano che la schiuma si forma alla superficie converrà toglierla accuratamente.
gelatina insufficientemente cotta fermenta, cotta troppo tende a cristallizzarsi. Occorre dunque procedere con sicurezza, specie quando si lavora un po' in
Per conservare i carciofi in scatola ci sono diversi sistemi. V'insegneremo il più semplice che è anche il migliore. Alcuni consigliano di dare ai carciofi qualche minuto di ebollizione; ma siccome il carciofo dovrà bollire ancora quando sarà chiuso nella scatola, diventa eccessivamente cotto, tanto che lo si utilizza difficilmente. Prima di tutto per fare i carciofi in scatola ci vogliono... le scatole. Scatole speciali, cilindriche, di latta, con coperchio, le quali si fanno generalmente della capacità di un litro, e si vendono ovunque. Una delle condizioni essenziali della riuscita delle conserve è la sterilizzazione completa dei recipienti, quindi sarà buona regola nettare accuratamente l'interno delle scatole passandoci, per eccesso di precauzione, un batuffolo di bambagia inzuppato nell'alcool di buona qualità. (Non quello industriale!). Fate bollire per qualche minuto una certa quantità d'acqua proporzionata al numero delle scatole che vorrete fare e salatela abbondantemente come si trattasse di cuocervi dei maccheroni. Poi toglietela dal fuoco e lasciatela raffreddare coperta, spremendoci un po' di limone. I carciofi potrete metterli in scatola in due modi: o con le foglie, o gettando via tutte queste e conservando il solo fondo. Se avete dei carciofi molto teneri conservateli con le foglie altrimenti vai meglio mettere da parte i soli fondi, che sono poi la cosa migliore del carciofo. Esaminiamo i due casi. Nel primo, mondate accuratamente i carciofi, spuntatene l'estremità superiore e il torsolo, spaccateli in due, toglietene il fieno interno— se c'è — stropicciateli subito con un pezzo di limone, e gettateli a mano a mano in una grande catina d'acqua fresca, salata e acidulata con del limone. Nel secondo caso, se volete conservare i soli fondi, private i carciofi di tutte le foglie, mozzate completamente il torsolo e poi. per mezzo di un coltellino, tornite i fondi, in modo che rimangano come tante scodelline, stropicciateli col limone e passateli ugualmente nell'acqua fresca acidulata. Quando avrete preparato tutti i carciofi, o i fondi, scolateli dall'acqua e aggiustateli nelle scatole badando di arrivare a un paio di dita sotto l'orlo e evitando di lasciare troppi spazi vuoti. Versate poi in ogni scatola un po' dell'acqua salata che avrete fatto bollire e che dovrà essersi freddata, e fate in modo che quest'acqua copra perfettamente i carciofi, sempre rimanendo un po' sotto l'orlo della scatola. Mettete ad ogni scatola il coperchio, ed accordatevi con lo stagnaio di famiglia perchè proceda immediatamente alla saldatura. Immergete poi le scatole saldate in un caldaio pieno di acqua fredda, portate l'acqua all'ebollizione e fate bollire mezz'ora per i carciofi e venticinque minuti per i fondi. Se durante la cottura vi accorgeste che da qualche scatola si sprigionano delle bollicine, significa che il coperchio non è stato saldato bene, ed occorre risaldarlo. Estraete le scatole dall'acqua, asciugatele, scriveteci sopra quel che contengono, e poi mettete in dispensa. I carciofi così conservati si adoperano come se fossero freschi. Aprendo le scatole con attenzione, nettandole bene, ed asciugandole, con la sola spesa di un coperchio nuovo si possono utilizzare più volte. Quando estrarrete i carciofi dalle scatole passateli in abbondante acqua fresca per toglier loro quel leggero odore di chiuso che qualche volta contraggono.
, significa che il coperchio non è stato saldato bene, ed occorre risaldarlo. Estraete le scatole dall'acqua, asciugatele, scriveteci sopra quel che
Ulive brune di Gaeta. — Ancora più semplice è la preparazione delle ulive brune. Occorre un recipiente piuttosto alto che largo, preferibilmente di terraglia. Mettete cinque chilogrammi di ulive brune in questo recipiente e ricopritele di acqua. La quantità di acqua occorrente sarà di circa 5 litri. Ad ogni modo tenete conto dell'acqua che mettete per ricordarne esattamente la quantità. Lasciate le ulive così, e dopo quattro giorni scolate l'acqua, e mettete nelle ulive tanti ettogrammi di sale, per quanti erano i litri dell'acqua. Supponendo di averne impiegati cinque litri occorreranno 500 grammi di sale. Mescolate bene e lasciate le ulive sotto sale per ventiquattro ore. Trascorse le ventiquattro ore, riversate sulle ulive la stessa quantità d'acqua che avevate messo in principio per ricoprirle. Portate il recipiente in dispensa e non vi occupate più delle vostre ulive per quaranta giorni. La parte oleosa delle ulive forma alla superficie dell'acqua una specie di velo che protegge le ulive e ne permette la completa «maturazione». Dopo i quaranta giorni le ulive sono pronte e si possono accomodare in barattoli ricoprendole di una salamoia fresca fatta come si è detto precedentemente per le ulive verdi.
Ulive brune di Gaeta. — Ancora più semplice è la preparazione delle ulive brune. Occorre un recipiente piuttosto alto che largo, preferibilmente di
La seguente ricetta è stata da noi studiata per offrire alle lettrici il modo di confezionare in casa, facilmente ed economicamente, le alici piccanti che si vendono in scatoline, e che hanno l'inconveniente di un prezzo un po' alto. Le dosi sono per dodici acciughe. Scegliete delle acciughe di qualità soda e di dimensioni piuttosto grandi. Apritele, togliete loro la spina e risciacquatele. Avrete ottenuto ventiquattro filetti che arrotolerete su sè stessi e disporrete in un piattino da antipasti o in altro recipiente adatto. Occorre ora preparare la salsa la quale viene tenuta come un grande segreto dalle varie case fabbricanti. Prendete una casseruolina, metteteci una cucchiaiata d'olio, un paio di cucchiaiate d'acqua, un po' meno di mezzo cipolla di media grandezza, un pezzo di cuore di sedano, cioè la parte centrale bianca e tenera, la metà di una carota gialla, un ciuffo di prezzemolo, mezza foglia di lauro, una forte pizzicata di pepe e un pezzetto di peperoncino rosso piccante (più o meno secondo vorrete ottenere un prodotto più o meno rilevato di gusto). Mettete la casseruolina sul fuoco e lasciate cuocere su fuoco debolissimo rinfondendo di quando in quando un po' d'acqua in modo che i legumi non abbiano mai a soffriggere. Converrà tenerli sul fuoco per circa mezz'ora, e debbono risultare sfatti. A questo punto ravvivate un po' il fuoco e mescolando fate perdere a questi legumi un po' di umidità così da ottenere una poltiglia piuttosto asciutta. Rovesciate questa poltiglia sul setaccio dove metterete anche altre tre acciughe lavate spinate e fatte a pezzi. Passate il tutto raccogliendo la purè di alici e legumi in una scodella. Sciogliete questa purè, che deve essere molto densa, con tre o quattro cucchiaiate d'olio, mescolando bene per amalgamare ogni cosa. Versate questa specie di salsa sui filetti di alici già preparati e lasciateli insaporire per qualche ora. Volendo, si può aromatizzare la salsa con poche goccie di buonissimo aceto.
su sè stessi e disporrete in un piattino da antipasti o in altro recipiente adatto. Occorre ora preparare la salsa la quale viene tenuta come un grande
Se a mensa sono invitati solamente degli ospiti di sesso maschile, chi serve a tavola presenterà per tutta la durata del pranzo sempre per primo il piatto alla padrona di casa, servendo man mano gli altri ospiti, incominciando dal più ragguardevole, che siederà alla destra della padrona di casa, e lasciando per ultimo il padrone di casa. Maggiore oculatezza occorre quando insieme agli uomini siedono a mensa delle signore. In questo caso se tra queste signore ce n'è una che per condizione sociale, o nobiltà o età avanzata sia nettamente al di sopra delle altre, sarà sempre da costei che incomincerà il servizio, il quale passerà poi alla padrona di casa e alle altre signore, per seguitare cogli uomini e finire al padrone di casa. Se però le signore sono, come generalmente accade, tutte di eguale condizione sociale, la cameriera incomincerà ogni volta da una signora differente, servirà subito dopo la padrona di casa e passerà quindi a servire le altre signore. Ultimi verranno gli uomini e quindi il padrone di casa. Rammentiamo che una volta serviti si deve incominciare subito a mangiare, senza attendere che siano serviti gli altri. La regola dell'antico galateo è stata dunque completamente abolita dal galateo moderno, e questo sistema, che potrà sembrare discutibile, è stato invece accettato affinchè gli ospiti possano gustare le vivande calde e quindi nel miglior modo che possa mettere in rilievo i loro pregi.
lasciando per ultimo il padrone di casa. Maggiore oculatezza occorre quando insieme agli uomini siedono a mensa delle signore. In questo caso se tra