Chiuderemo l'esame delle varie farcie occupandoci delle finissime farcie della moderna cucina. In questo genere di farcie si è raggiunto il massimo della squisitezza, e con esse la cucina moderna ha segnato una delle sue più belle affermazioni. La confezione delle farcie alla crema non offre difficoltà, anzi potremmo dire che, rispetto alle altre farcie, il lavoro resta assai semplificato. Solamente bisogna operare con un po' di diligenza. Noteremo qui che il procedimento è identico sia che si tratti di confezionare una farcia di pollame, o di pesce, di selvaggina, ecc. ecc. Le nostre lettrici non dovranno quindi che variare il genere di carne, attenendosi sempre alle stesse dosi e allo stesso procedimento. Le proporzioni sono le seguenti: 250 gr. di carne cruda accuratamente mondata, un bianco d'uovo, un bicchiere e mezzo di crema di latte, sciolta ma molto spessa, 4 gr. di sale e un pizzico di pepe bianco.
della squisitezza, e con esse la cucina moderna ha segnato una delle sue più belle affermazioni. La confezione delle farcie alla crema non offre
Alcune volte in una colazione o in un pranzo, pur riconoscendo la necessità di un primo piatto di pasta asciutta, si vorrebbe presentare ai nostri ospiti qualche cosa di nuovo e di fine. Il seguente millefoglie risolve la questione ed offre un piatto di pasta ricco e di bell'aspetto. Un altro vantaggio del millefoglie di pasta è quello che si può preparare qualche tempo prima del pasto, che anzi esso guadagna ad attendere un poco. Mentre si ottiene un risultato migliore, si evita quell'incomodo affannarsi all'ultimo momento per presentare il primo piatto al suo giusto punto di cottura. Per sei persone impastate sul tavolo di cucina sei uova intere con circa seicento grammi di farina. Dosi esatte per la farina non se ne possono dare dipendendo l'impasto dalla grandezza delle uova e dalla qualità della farina stessa. Ad ogni modo tenete la pasta molto dura e lavoratela energicamente. Dividete questa pasta in otto pezzi uguali e stendete ogni pezzo col matterello procurando di mantenere la pasta in forma rotonda e piuttosto spessa. Quando avrete stesa tutta la pasta, lasciatela asciugare un po' e intanto mettete sul fuoco una teglia molto grande con acqua e sale. Quando l'acqua bollirà prendete un disco alla volta e procedendo con garbo immergetelo nell'acqua in ebollizione. Fate cuocere per qualche minuto in modo da tenere la pasta piuttosto dura di cottura e poi, procedendo con cautela e aiutandovi con due larghe cucchiaie bucate, o meglio, con un largo coperchio di casseruola, prendete su il disco cotto e deponetelo aperto su una tovaglia bagnata. Cuocete uno alla volta tutti gli altri dischi. Avrete preparato un buon sugo di carne, con o senza pomodoro secondo i gusti, e questo sugo, che dovrà essere piuttosto abbondante, arricchirete di carne pesta, piccole polpettine, regaglie di pollo, funghi, animelle, tartufi ecc.: dipenderà naturalmente dalla ricchezza che vorrete dare alla vostra pietanza e conseguentemente dalla spesa che vorrete incontrare. Prendete adesso una teglia poco più grande dei dischi di pasta, ungetela di burro e cospargetene il fondo con un ramaiolo di sugo. Mettete giù il primo disco e su questo cospargete altro sugo con una parte del condimento preparato. Seminate su tutto del parmigiano grattato e continuate così alternando dischi di pasta e sugo, regaglie e parmigiano. Potrete mettere anche, se credete, qualche pezzettino di burro. Sull'ultimo disco versate tutto il condimento rimasto, mettete ancora qualche pezzetto di burro e del parmigiano, e finalmente passate il vostro millefoglie in forno leggerissimo o su della brace. Lasciate stufare così per circa un quarto d'ora, poi estraete la teglia dal forno, copritela con un largo coperchio, mettete su questo un po' di cenere calda e lasciate così fino al momento di mangiare. Allora dividete il millefoglie in sei parti, mettete ogni spicchio su un piatto e fate portare in tavola.
ospiti qualche cosa di nuovo e di fine. Il seguente millefoglie risolve la questione ed offre un piatto di pasta ricco e di bell'aspetto. Un altro
Prendete un recipiente più alto che largo, della capacità di circa mezzo litro. Può servire, ad esempio, un bagno-maria, o, più semplicemente, uno di quei secchietti di latta, comunemente adoperati per il latte o per la crema. In questo recipiente mettete un bicchiere molto scarso d'acqua, una noce di burro e un pizzico di sale, e ponetelo sul fuoco. In una scodella rompete due uova intere, sbattetele un poco come per fare una frittata, e diluitele con mezzo bicchiere di latte. Appena l'acqua che avete messa sul fuoco bollirà, gettateci le uova sbattute col latte; fate rialzare il bollore, poi tirate il recipiente sull'angolo del fornello, copritelo e fate che il liquido bolla insensibilmente. Dopo pochi minuti vedrete che il composto si addensa e prende l'aspetto di una crema mezzo stracciata. Immergete una forchetta lungo la parete del recipiente e quando sentirete che il composto offre una certa resistenza, rovesciatelo sopra un colabrodo affinchè l'acqua possa liberamente scolare. Con un cucchiaio di legno cercate di dare alla parte cremosa, nel colabrodo stesso, una forma arrotondata: presso a poco quella di un cervello, e lasciatela freddare completamente. Quando il composto sarà freddo, rovesciatelo su un piatto, tagliatelo in tocchetti, che infarinerete, passerete nell' uovo sbattuto e friggerete, come se si trattasse di vero cervello. Mettete il fritto in un piatto con salviettina e guarnitelo con spicchi di limone. Una raccomandazione: procurate che il composto non sia eccessivamente duro, altrimenti avreste una specie di frittata... fritta. Perchè possa dirsi riuscita, questa frittura deve rimanere morbida, nè più nè meno di un cervello.
offre una certa resistenza, rovesciatelo sopra un colabrodo affinchè l'acqua possa liberamente scolare. Con un cucchiaio di legno cercate di dare alla
La cima è una famosa specialità della cucina genovese e costituisce un ottimo piatto di carne il quale non solo può tornare utilissimo nei pasti quotidiani, ma, per l'eleganza della sua confezione può servire anche come pietanza raffinata in occasione di qualche pranzo d'impegno. La sua esecuzione non presenta alcuna difficoltà. Bisogna provvedersi di uno speciale taglio di carne, cioè un pezzo di ventre di bue scelto vicino al petto, o anche di un pezzo di petto sottile. Notiamo qui che la vera cima genovese si fa col ventre, che però non offre altro che della pelle. Adoperando il petto si può utilizzare anche un po' di carne. Comunque, in possesso del pezzo di carne (ce ne vorrà circa mezzo chilogrammo) stendetelo sulla tavola e con un coltello ben tagliente apritelo in due senza però intaccare gli orli che dovranno rimanere di circa due centimetri. Per intenderci meglio, voi dovrete ottenere una specie di tasca aperta da un solo lato. Questo forma l'involucro destinato ad accogliere il ripieno. Il quale ripieno si fa così: prendete una animella di vitello, scottatela un istante in acqua bollente, liberatela da qualche pellicola e poi mettetela in una padellina con un pochino d'olio e di burro, un pezzettino d'aglio e poca cipolla. Fate cuocere piano per pochi minuti senza far rosolare l'animella, e poi toglietela dal fuoco e ritagliatela in dadini assai piccoli. Mettete in bagno 100 grammi di mollica di pane, spremetela e mettetela sul tagliere con 200 grammi di magro di maiale e 50 grammi di lardo. Tritate tutto assai fino, condite con sale e pepe, una buona pizzicata di foglie di maggiorana un uovo e un pugno di parmigiano grattato e in questo trito amalgamate l'animella in dadini e 100 grammi di pisellini sgranati. Nella stagione in cui non ci sono i piselli freschi si supplisce efficacemente e in modo assai sbrigativo con piselli in scatola. Ottenuto questo impasto, mettetelo dentro la tasca preparata, pigiate bene affinchè non restino vuoti e procurate di dare all'insieme una forma rotonda. Con un ago grosso e del filo forte cucite l'apertura della tasca, cucendo anche qualche eventuale strappo che si fosse fatto durante l'operazione. Fate due o tre legature con dello spago per mantenere in forma la cima e poi mettetela a cuocere in acqua, preferibilmente calda, nella quale aggiungerete una mezza cipolla, una costolina di sedano, un pezzo di carota gialla e un pezzetto di foglia di lauro. Trascorse un paio d'ore estraete la cima, mettetela in un piatto, copritela con una tavoletta e sulla tavoletta appoggiate un paio di ferri da stiro, affinchè l'interno possa ben pressarsi. Questa squisita pietanza si può mangiare calda o fredda. Se volete mangiarla calda tenetela a riposare vicino al fuoco. In questo caso, giunta l'ora del pranzo, l'affetterete con un coltello ben tagliente e la servirete con un piatto di verdura cotta, a vostra scelta. Se volete invece mangiarla fredda, lasciatela riposare più a lungo in un ambiente fresco, poi affettatela e servitela con accompagnamento di gelatina o di insalata russa o anche di verdura all'agro. Il brodo che avrete ottenuto dalla cottura della cima, è ottimo e potrà essere utilizzato per delle eccellenti minestre. La vera ricetta, quella che abbiamo descritta, vuole l'impiego di una animella di vitello. Volendo fare le cose in via più economica, potrete sopprimerla ed otterrete ugualmente un piatto di carne squisito e raccomandabilissimo per famiglia.
un pezzo di petto sottile. Notiamo qui che la vera cima genovese si fa col ventre, che però non offre altro che della pelle. Adoperando il petto si
La seguente ricetta vi offre il mezzo di utilizzare nel miglior modo una gallina lessa. Così in una colazione elegante, dopo avere sfruttato la gallina per fare un ottimo brodo, potrete presentarla in ricca veste e far fare a lei... e a voi una simpatica figura. Mentre la gallina cuoce preparate una salsa besciamella con mezzo panino abbondante di burro, una cucchiaiata colma di farina, un bicchiere e mezzo di latte, sale e un nonnulla di noce moscata. Questa salsa deve rimanere piuttosto sciolta. Fatta la salsa, spezzate in pezzi corti 150 grammi di maccheroni grossi (maccheroni così detti ziti) e cuoceteli in acqua salata, tenendoli piuttosto fermi di cottura. Salateli e conditeli con la metà della salsa preparata, e una cucchiaiata di parmigiano. Estraete la gallina dalla pentola, e con garbo senza sciuparla, servendovi di un coltellino molto tagliente, staccatele tutta la carne del petto, facendo un'incisione lungo tutto lo sterno, e due incisioni laterali dall'ala fin quasi all'attaccatura della coscia. Avrete così ottenuto due grandi filetti che metterete da parte. Con un paio di grosse forbici da cucina, tagliate tutto quello che sopravanza delle ossa del petto, ottenendo così dalla gallina una specie di scatola senza coperchio. In questa scatola mettete i maccheroni alla crema, pigiando bene affinchè non rimangano vuoti e rialzandoli in mezzo a cupola, così da simulare il petto mancante della gallina. Lisciate i maccheroni con una lama di coltello, e poi su questi rimettete a posto i due pezzi del petto tenuti in disparte, in modo da dare alla gallina la forma primitiva. Riscaldate la salsa avanzata, aggiungeteci una cucchiaiata di parmigiano e con essa innaffiate abbondantemente il petto e il resto della gallina, che avrete intanto messa in una piccola teglia imburrata o meglio in uno di quei piatti che resistono all'azione del fuoco. Passate la gallina così preparata in forno vivace, e quando, dopo pochi minuti, la salsa si sarà leggermente gratinata, fatela portare in tavola.
La seguente ricetta vi offre il mezzo di utilizzare nel miglior modo una gallina lessa. Così in una colazione elegante, dopo avere sfruttato la
La nostra onestà ci vieta d'intitolare questo eccellente piatto freddo: Pâté de foie gras, poiché il foie gras dovrebbe essere costituito dal fegato d'oca. Illusioni, gentili lettrici, poichè il novantanove per cento dei pasticci di fegato grasso che si esibiscono nei grandi alberghi, nelle trattorie e in alcuni negozi di specialità gastronomiche, adunano in sè tutto fuori che il fegato di quell'eccellente bestia il cui nome — ingiustizia umana! — è venuto ad essere simbolo di stupidità. La preparazione di questo pâté non offre nessuna difficoltà. Soltanto sarebbe consigliabile di usare una stampa speciale, che tutto sommato non costa poi un patrimonio, serve a molteplici usi e dà al pâté un aspetto assai fine e distinto. Le stampe da pâté, che si vendono in tutti i negozi di articoli per cucina, sono di due qualità, rotonde e ovali e sono costituite da due pezzi a cerniera, e senza fondo. Chi poi vuole eseguire il pâté senza la speciale stampa usi una stampa liscia da charlotte o anche una casseruola di rame. Il pâté riuscirà d'aspetto meno elegante, ma la sua bontà non muterà per questo. Per un pâté sufficiente a sei persone prendete una diecina di fegatini [immagine e didascalia: Stampa a cerniera per “pâté”] di gallina o la metà di fegatini di tacchino. Nettateli bene nella parte ove aderiva il fiele e metteteli in una scodella con sale, pepe e un pochino di marsala. Se volete arricchire il vostro pâté acquistate anche un tartufo nero o una scatolina di tartufi conservati. I tartufi li taglierete in grossi dadi e li unirete ai fegati. Va con sè che adoperando i tartufi in scatola non c'è bisogno di nettarli, essendo già nettati; se invece si tratterà di tartufi freschi dovrete pulirli accuratamente con acqua calda e spazzolino per toglier loro tutta la terra. I tartufi sono il complemento quasi necessario di questo pâté. Mentre lascerete i fegatini sotto marinata preparerete la farcia, ossia il pesto che servirà a riunire i fegatini nell'interno del pasticcio. Prendete 200 grammi di carne magra di maiale, possibilmente il filetto, e 200 grammi di lardo fresco. Tritate la carne sul tagliere o nella macchinetta e tritate il lardo. Poi riunite questi due ingredienti e pestateli insieme nel mortaio amalgamando bene il tutto. Quando carne e lardo saranno perfettamente uniti condite l'impasto con sale e pepe, un torlo d'uovo e mezzo bicchierino di cognac, e se volete che il pâté riesca più fine passate tutto dal setaccio. Preparata così anche la farcia non resta che confezionare la pasta, che dovrà formare la crosta del pâté. Questa crosta si otterrà impastando sulla tavola cinque cucchiaiate colme di farina con una grossa noce di burro, un pizzico di sale e un dito d'acqua tiepida. Deve risultare una pasta liscia e piuttosto dura che foggerete a forma di palla e lascerete riposare per una mezz'ora allo scopo di farle perdere l'elasticità. Non resta adesso che procedere al dressage del pâté.
! — è venuto ad essere simbolo di stupidità. La preparazione di questo pâté non offre nessuna difficoltà. Soltanto sarebbe consigliabile di usare una
Occorre un grandissimo vassoio in metallo argentato o un'enorme piatto da portata. Preparate un litro della nostra gelatina sbrigativa, e, prima che si rapprenda versatene un poco sul fondo del piatto in modo da velarlo completamente. Lasciate rapprendere questo strato di gelatina e poi disponeteci sopra in file regolari le seguenti cose: una fila di mezzi piedi di porco (lessati disossati e poi conditi con sale, pepe, olio, limone e un pizzico di senape inglese o un cucchiaino di mostarda francese) una fila di galantina, una fila di «roast-beef», una fila di fette di vitello tartufato arrostito e freddo, e una fila di fette di prosciutto cotto; si contorna il piatto con delle fette di uovo sodo e con delle code di gamberetti sgusciate e si fa una sobria decorazione con fettine di cetriolini, cappelle di funghi sott'olio e qualche fettina di tartufo nero. Si ricopre il tutto di gelatina fusa e si lascia rapprendere. Come vedete è un piatto freddo, non certo difficile a prepararsi, ma che offre ai convitati una serie variata di piccole cose squisite. L'importante è che il piatto sia montato con grande cura e che le file dei vari componenti siano disposte molto bene e a regolari intervalli.
fusa e si lascia rapprendere. Come vedete è un piatto freddo, non certo difficile a prepararsi, ma che offre ai convitati una serie variata di
Il gelato, col corteggio biondo e ghiotto di pastine che gli fanno scorta d'onore, è la conclusione graditissima di ogni fine desinare; non solo, ma durante la stagione estiva offre il più piacevole dei ristori, anche nel periodo che corre tra un pasto e l'altro. L'arte dei composti ghiacciati pare rimonti alla più lontana antichità, e, specialmente a un seguace di Maometto sembra si debba l'idea di far congelare succhi di frutta in un vaso circondato di ghiaccio. Ma senza addentrarci in queste noiose quanto inutili nebulosità della storia, accontentiamoci di affermare che certamente agli italiani del secolo XVII si deve la creazione e la divulgazione del vero gelato. Nel 1660 un meridionale, tal Procopio Calpelli, emigrava a Parigi fondando il famoso «Caffè Procopio», sparito da pochi anni, e nella capitale della Francia lanciava la sua celebre industria refrigerante, che otteneva un successo colossale. Il gelato non era allora un rinfresco accessibile a tutti: costava molto ed era solo riservato ai grandi signori. A questo proposito le cronache del tempo narrano che il giorno in cui il grande Condé ricevette nel suo Castello di Chantilly la regale visita di Luigi XIV, destarono generale ammirazione dei gelati in forma d'uovo che il genio di Vatel aveva preparato per gli ospiti illustri. Da quel tempo l'industria della gelateria ha progredito e si è popolarizzata, concorrendo a ciò la facile produzione del ghiaccio e le macchine sempre più perfezionate. E finalmente, anche la cucina di lusso si è impadronita di questo ramo dell'arte dulciaria,
durante la stagione estiva offre il più piacevole dei ristori, anche nel periodo che corre tra un pasto e l'altro. L'arte dei composti ghiacciati pare
Per la cotognata propriamente detta si adopera invece la polpa delle mele. La cotognata si può fare in due modi: o mantenendola morbida come una comune marmellata o confezionandola dura come quella che si vede nelle vetrine dei pasticcieri in pani quadrati o in forme svariate. Il procedimento non offre nessuna difficoltà. Cuccete le mele intiere o in spicchi, ma senza sbucciarle (il primo modo è preferibile) e appena le mele saranno cotte ma non sfatte estraetele dall'acqua, sbucciatele e passatele dal setaccio. Raccogliete tutta la polpa, pesatela, aggiungete un uguale peso di zucchero e cuocere su fuoco moderato, sempre mescolando fino a che la marmellata abbia raggiunto il giusto grado di cottura. Ultimata la marmellata si può, secondo i gusti, aromatizzarla con qualche goccia di sugo di limone.
offre nessuna difficoltà. Cuccete le mele intiere o in spicchi, ma senza sbucciarle (il primo modo è preferibile) e appena le mele saranno cotte ma non
Il liquore «Crema di cacao alla vainiglia» si fabbrica in una diecina di minuti e senza bisogno di complicazioni, nè di speciali utensili. Generalmente la crema di cacao, del commercio è un liquore sul tipo degli altri, cioè limpido, sciropposo, al quale l'aroma vien dato da speciali essenze. Il nostro liquore è affatto diverso e ricorda invece un'antica specialità di una grande Casa francese, che crediamo abbia da qualche anno cessato il suo commercio. Per questa preparazione abbiamo ottenuto sempre i migliori risultati servendoci del cacao in pasta. In mancanza di cacao in pasta si potrà adoperare del buon cioccolato comune. Per circa un litro di liquore raschiate col coltello un ettogrammo di cacao in pasta e mettetelo a rammollire vicino al fuoco in un polsonetto di rame con pochissima acqua (circa mezzo bicchiere). Con un frullino di legno o con un cucchiaio, anche di legno, lavorate il cacao che dovrà pian piano liquefarsi ed assumere l'aspetto di una crema densa, liscia e vellutata, senza più traccia di granosità. A questo punto aggiungete un po' alla volta, e sempre mescolando, 400 grammi di zucchero in polvere. Mescolate bene sempre su fuoco debolissimo, e quando anche lo zucchero sarà ben liquefatto in modo che sotto il cucchiaio non si senta più nessun granellino, sciogliete il tutto con due bicchieri d'acqua. Mescolate sempre e scaldate, ma senza far bollire, mantenendo il polsonetto sull'angolo del fornello. Quando il liquido sarà bene amalgamato travasatelo in una terrinetta e lasciatelo freddare. Unite allora un bicchiere di alcool di buona qualità, nel quale avrete sciolto mezzo grammo di vainiglina. Mescolate e travasate il liquore in anfore di terraglia scura del tipo di quelle usate per il Curacao d'Olanda. Un cucchiaio o due di questa crema al cioccolato sciolta in una tazza di latte caldo, offre un nutrimento igienico e corroborante, rimpiazzando efficacemente l'abituale cacao al latte. È bene, prima di servire il liquore, di agitare un poco la bottiglia.
cioccolato sciolta in una tazza di latte caldo, offre un nutrimento igienico e corroborante, rimpiazzando efficacemente l'abituale cacao al latte. È bene
La questione dei funghi commestibili e dei funghi velenosi è quella che più deve preoccupare chi è a capo di una famiglia, poichè l'esperienza insegna quanto sia difficile poter giudicare se un fungo è o non è velenoso. Gli avvelenamenti con funghi non sono purtroppo infrequenti e la storia ci dice che anche personaggi illustri trovarono la fine cibandosi di funghi. Nelle grandi città si procede ad una verifica che può dare sufficienti elementi di garanzia; ma il pericolo maggiore è nei piccoli centri e nelle campagne dove i funghi vengono venduti senza controllo, quando non sono addirittura raccolti per uso proprio. In genere vengono cucinate una cinquantina di specie di funghi, tra le quali ve ne sono circa venti velenose, difficilissime a conoscersi dalle commestibili, presentando lo stesso aspetto e gli stessi caratteri. Si dice, ad esempio, della infallibile sicurezza dell'ovolo vero (amanita caesarea) e del cocco od ovolo bianco, ma anche in questa famiglia c'è l'ovolo falso o malefico e il cocco bastardo, ambedue velenosi. Nel gruppo degli agarici sono anche funghi commestibili e velenosi, come, ad esempio, il prataiolo, l'agarico grigiastro, ecc., facilmente confondibili con la rossola velenosa, il fungo peperone, l'agarico dissenterico, ecc. Nè maggiore sicurezza offre il fungo porcino, potendo essere facilmente confuso col porcino malefico. È risaputo che le prove empiriche dell'aglio, della cipolla o quelle del cucchiaio d'argento o della lama di coltello sono assolutamente da escludersi. Meglio attenersi in genere ai seguenti consigli, per i quali sono da schivarsi: Quei funghi che quantunque abbiano, come il prataiolo, il cappello bianco ed emisferico hanno la base del gambo bulbosa. — Quelli che con gambo grande e gibboso o squamoso, sostengono un cappello cosparso di verruche, oppure hanno la pelle coperta di pustole. — Quelli che infranti o screpolati fra le dita emanano un odore narcotico disgustoso. — Quelli che esalano un odore d'aglio, o che hanno sapore bruciante. — Tutti quei funghi che hanno il cappello tinto di rosso, azzurro o verde. — Quelli che spezzati o tagliati con un coltello assumono, al contatto dell'aria colorazioni diverse. — Quelli che tagliati si trovano pieni di succo lattiginoso. — Quelli che hanno la carne cordacea o sugherosa. — Quelli che non sono in nessun modo toccati dagli insetti, e, finalmente, quelli che si ritrovano su tronchi di albero dotati di proprietà deleterie. Ad ogni modo, e per concludere, bisogna usare solo di quei funghi che in ciascun paese l'esperienza secolare ha dimostrato essere veramente commestibili. In caso di sintomi di avvelenamento per funghi ricorrere immediatamente in attesa del medico a un vomitivo (acqua calda saponata) e subito dopo somministrare un energico purgante di olio di ricino. Evitare qualsiasi bevanda acida, o acque purgative in cui entri il sal di cucina.
con la rossola velenosa, il fungo peperone, l'agarico dissenterico, ecc. Nè maggiore sicurezza offre il fungo porcino, potendo essere facilmente