264. Fricandò. Prendete un pezzo di manzo nella coscia, e con un coltello fatevi alcuni buchi profondi, nei quali porrete dei pezzetti di prosciutto grasso e magro; mettetelo poscia in una casseruola adattata; nel fondo della medesima mettete prosciutto e ritagli di carne se ne avete, una cipolla steccata con tre garofani, un mazzetto di erbe, un poco di pepe sodo, e una quantità di acqua che non cuopra il lardellato. Fate bollire sopra un fornello, indi passate la casseruola sopra un treppiedi a fuoco più moderato, e copritela con un testo di ferro, sul quale porrete del fuoco lasciando così cuocere per tre ore. Levate la carne dalla casseruola, passate per staccio il brodo rimasto, mettetelo a stringere sopra il fuoco: quando sia ridotto a gelatina spalmatene con un pennello il vostro fricandò, e servite.
264. Fricandò. Prendete un pezzo di manzo nella coscia, e con un coltello fatevi alcuni buchi profondi, nei quali porrete dei pezzetti di prosciutto
278. Lepre all'italiana. Prendete la quantità della lepre che occorre, pulitela, e lavatela bene; fatene alquanti pezzi, nei quali praticherete alcuni buchi con la punta del coltello, e porrete in ciascuno di questi un garofano, un piccolo spicchio d'aglio, ed una ciocchetta di rosmarino; ponete il tutto in una casseruola o in un tegame di proporzionata grandezza con un poco d'olio, un poco di pepe e spezie; fatelo cuocere lentamente ed agitando spesso sopra un treppiede con poco fuoco sotto: quando vedete che non vi è umido, bagnate con un poco di buon sugo finchè la lepre sia cotta: allora aggiungete un pugillo di farina ed un altro poco di sugo; lasciate per pochi minuti che l'intingolo si leghi bene agitandolo, ritirate il tutto dal fuoco, accomodatelo con attenzione nel piatto e servite.
278. Lepre all'italiana. Prendete la quantità della lepre che occorre, pulitela, e lavatela bene; fatene alquanti pezzi, nei quali praticherete
Si servono ancora cotte alla gratella, ma prima marinate in olio, pepe, prezzemolo e cipollette intiere, le quali potrete anche omettere. Quando il pesce è al fuoco, bagnatelo di tanto in tanto con la marinata, e servitelo dopo con una salsa di vostro gusto.
Si servono ancora cotte alla gratella, ma prima marinate in olio, pepe, prezzemolo e cipollette intiere, le quali potrete anche omettere. Quando il
333. Pesce cappone. Puliteli delle interiora, e mettetene a parte i fegati, dei quali vi servirete come sarà indicato in appresso. Fateli arrostire sulla gratella, poneteli in un piatto e serviteli colla salsa seguente.
333. Pesce cappone. Puliteli delle interiora, e mettetene a parte i fegati, dei quali vi servirete come sarà indicato in appresso. Fateli arrostire
341. Trota. Le trote sono stimate per l'eccellente loro carne; le migliori sono quelle che si chiamano trote salmonate, perchè la loro carne è rossa come quella del salmone. Le trote che vivono negli stagni non valgono mai per sapore quelle che abitano le acque vive e correnti. Questo pesce vuol essere sommamente fresco, perocchè tanto più presto si corrompe in quanto è più delicato: il brillante argentino delle sue squamme e la vivacità dell'occhio sono gl'indizi dei quali si riconosce la sua freschezza.
'occhio sono gl'indizi dei quali si riconosce la sua freschezza.
418. Indivia ai crostini. Prendete alquanti cesti d'indivia, tagliate loro il capo, lavateli a due acque e lessateli facendoli ben cuocere; gettateli dipoi in acqua fresca per un quarto d'ora scolateli e trinciateli sottilmente: poneteli in una piccola casseruola con un pezzo di butirro sopra un fuoco gagliardo; lasciateli soffriggere per dieci minuti e conditeli con sale, pepe e cannella pesta a proporzione della quantità dell'erba; aggiungete 2 ettogr. di parmigiano grattato e due tuorli di uova; unite il tutto e lasciate freddare. Tagliate quindi alquanto pane in fette; levate la crosta da ogni parte e fatene tanti pezzi quadrati, su ciascuno dei quali distenderete una piccola porzione dell'erba come sopra preparata. Ciò fatto, prendete uno alla volta questi mostacciuoli ripieni, avvolgeteli delicatamente in uova sbattute a parte, indi spolverizzateli tutti intorno di pan grattato misto ad un poco di parmigiano pure grattato, e così preparati friggeteli nell'olio o nello strutto, come meglio vi aggrada.
ogni parte e fatene tanti pezzi quadrati, su ciascuno dei quali distenderete una piccola porzione dell'erba come sopra preparata. Ciò fatto, prendete
422. Palle di semolino. Farete cuocere il semolino nel latte con un poco di sale, un pezzetto di burro e zucchero, procurando che rimanga d'una certa densità. Allorchè sarà cotto ritiratelo dal fuoco; lasciatelo un poco raffreddare, ed unitevi alquante uova (metà delle quali colla loro chiara, e metà il solo tuorlo), scorza di limone grattata, uva sultanina, e farina se il composto riescisse troppo molle; mescolate bene il tutto, e di questa pasta servitevi per friggerla a porzioni della grossezza d'una noce, come si è detto sopra (n. 421).
densità. Allorchè sarà cotto ritiratelo dal fuoco; lasciatelo un poco raffreddare, ed unitevi alquante uova (metà delle quali colla loro chiara, e
467. Bifteks air inglese. La vera biftek dev'esser tolta dalle costole o dal filetto di manzo. Dopo avere scelti i pezzi che meglio vi convengono, leverete loro ogni parte grassa e nervosa, tagliandoli in porzioni dello stesso spessore (due o tre centimetri, ossia un pollice) e battendo con una mazzola ognuno di questi pezzi, ai quali darete una forma alquanto rotonda. Tenete per un'ora almeno questa carne così preparata in un piatto con del buon olio d'oliva; indi approntate un bel fuoco di brace, chiaro, ardente, senza corpi estranei che producano fumo o mandino cattivo odore; collocatevi la vostra graticola ben nettata, e su di questa disponete le bifteks. Vigilatene la cottura, ma non toccatele fino a che non giunga il momento di rivoltarle, e rivoltate che l'abbiate, procurate di non toccarle più sino a che non le abbiate, dopo cotte, a deporre nel piatto per servirle in tavola. Conditele allora con sale e pepe, e ponetevi sopra un pezzetto di butirro fresco, contornando il piatto con alquanti spicchi di limone, affinchè chi lo gradisce possa servirsi.
mazzola ognuno di questi pezzi, ai quali darete una forma alquanto rotonda. Tenete per un'ora almeno questa carne così preparata in un piatto con del
490. Starne. Se sono giovani (volgarmente starnotti) bastano due ore di cottura, altrimenti ci vogliono tre ore. Per conoscere se sono vecchie o giovani si osservino le penne della testa; se queste sono crespute, le starne sono vecchie; al contrario, se le penne della testa sono lisce, questo è indizio che esse sono giovani. Altro segno delle starne vecchie è una macchia in forma di C color rossiccio situata sotto ciascun occhio; le quali macchie non si ritrovano nelle starne giovani. Si fanno arrostire le starne infilzandole allo spiede, indi ungendole con olio d'oliva, mettendovi sopra qualche foglia d'alloro, mezza cipolla trinciata sottilmente, e sale a sufficienza, contenendo tutto questo condimento con un foglio di carta consistente nel quale si avvolgono insiem collo spiede, tenendo il tutto legato con refe. Si terrà sotto allo spiede una ghiotta per raccogliere l'unto che potesse cadere a traverso la carta, ungendo nuovamente con quello, ed osservando che la detta carta non bruci. Quando sono cotte, si svolgono le starne, si tolgono le foglie di alloro e le fette di cipolla da cui sono coperte, si sfilano dallo spiede, si accomodano in un piatto, e si servono calde. Anche le starne si possono far rosolare in un tegame o casseruola invece che allo spiede.
indizio che esse sono giovani. Altro segno delle starne vecchie è una macchia in forma di C color rossiccio situata sotto ciascun occhio; le quali
509. Condimento delle insalate. Abbiamo detto al numero precedente (508), che l'insalata si reca in tavola in apposita insalatiera, o nel piatto stesso in cui vien servito l'arrosto, come guarnimento di questo, non però condita. Nel primo di questi casi, ciò quando viene servita a parte nell'insalatiera (quantunque contemporaneamente all'arrosto), uno dei convitati, o la padrona di casa nei pranzi famigliari; ovvero un servo nei grandi banchetti, s'incaricano di condire l'insalata per tutti nella stessa insalatiera. Ecco come si procede per fare meglio quest'operazione. Prendete o fatevi dare, se non l'aveste già a vostra disposizione, un piatto alquanto fondo; ponetevi del sale a sufficienza che prenderete colla punta del coltello dalla saliera che lo contiene, ed un poco di pepe se gli altri convitati lo gradiscono; indi verserete nello stesso piatto olio ed aceto, regolandone la dose, come per il sale a seconda della quantità dell'insalata, ed agitate e mescolate bene questo condimento sbattendolo con una forchetta pulita. Quando l'avrete bene assimilato, e che l'olio sarà quindi, non più separato, ma amalgamato coll'aceto, versate detto condimento sull'insalata nella sua insalatiera, e rivoltate bene con due forchette di legno apposite, che devonsi per solito trovarsi a lato dell'insalatiera. Questo modo di condire l'insalata è preferibile all'altro che consiste nel versarvi sopra addirittura 1' olio, e l'aceto, e il sale, senza prima mescolare a parte fra di loro questi tre ingredienti; per cui ne risulta spesso che si trova poi il sale non disciolto accumulato su alcune foglie d'insalata, le quali perciò riescono molto disgustuse a quelli cui toccano.
tre ingredienti; per cui ne risulta spesso che si trova poi il sale non disciolto accumulato su alcune foglie d'insalata, le quali perciò riescono
531. Bondiola. I Parmigiani chiamano così un salato loro speciale, che preparano nel seguente modo. Prendete della carne di majale, e precisamente i due pezzi muscolosi situati fra il lardo e la spalla, della lunghezza di circa 30 centimetri, ai quali lascerete attaccato anche un poco di grasso. Preparate un miscuglio di sale, cannella, garofani, noce moscata grattata, pepe, e un po' di nitro, il tutto ridotto in polvere e mescolato bene insieme; con questo stropicciate ben bene i due pezzi di carne, i quali porrete poi in un vaso di terra verniciato, cospargendovi sopra le droghe non incorporatesi colla carne, e spruzzatevi un poco di vino bianco; lasciate così la carne, ben pigiata e coperta per quindici giorni, avvertendo di rivoltarla a metà di tal periodo di tempo, indi ritiratela, fatela sgocciolare, sovrapponete uno sull'altro i due muscoli così conciati, ed insaccateli in un grosso budello di manzo, aggiungendo altra poca spezieria in polvere fra i due pezzi della carne, e legando poi strettamente con spago, che avvolgerete a spire poco distanti fra loro. Ultimata questa operazione, fate prosciugare per poco tempo la bondiola a moderato calore, e poi conservatela in luogo fresco, onde farla ben stagionare.
due pezzi muscolosi situati fra il lardo e la spalla, della lunghezza di circa 30 centimetri, ai quali lascerete attaccato anche un poco di grasso
(1) Questa ricetta suppone che voi abbiate a vostra disposizione la carne d'un intiero majale, eccettuatene le intierora, le quali in ogni caso non si salano mai.
(1) Questa ricetta suppone che voi abbiate a vostra disposizione la carne d'un intiero majale, eccettuatene le intierora, le quali in ogni caso non
537. Cervellata. Battete ben bene con una grande coltella 2 chilogr. di grasso di majale e 2 chilogr. di grasso di vitello, ambedue tolti nella lombata, riducendo il tutto come una manteca; aggiungete 4 ettogr. di buon formaggio parmigiano grattato, 30 gram, di pepe in polvere, 30 gram. di spezie, una noce moscata grattata, e 2 ettogr. di sale fine; mescolate ed impastate bene insieme il tutto, ed insaccate questa pasta, col mezzo di apposito imbuto, entro budella di majale, alle quali avrete prima fatto prendere esternamente un color giallo carico, immergendole in un'infusione di zafferano sciolto nell'acqua calda. Ciò fatto, legate queste budella a eguali distanze di circa 15 o 20 centimetri, formandone altrettanti rocchi, e serbate per l'uso.
imbuto, entro budella di majale, alle quali avrete prima fatto prendere esternamente un color giallo carico, immergendole in un'infusione di zafferano
3. Lievito. Si sa che il pane deve subire un movimento di fermentazione, determinato da alcune sostanze; il fermento più generalmente adottato è un pezzo di pasta riserbata della precedente infornatura e composta di raschiature della madia, alle quali si aggiunge una piccola quantità di farina, onde dar la consistenza come di una pasta assai densa, e per consegnenza impastata con pochissima acqua. Questa pasta si ravvolge in un pannilino e si conserva fresca, onde non fermenti prima del tempo in cui s'ha da servirsene per la panificazione. Nei paesi dove la birra è la bevanda più usitata, il lievito è di spesso costituito dalla feccia di birra; ma questa, quanto al pane per le famiglie, presenta sì gravi inconvenienti ch'è meglio preferirle il lievito di pasta; per poco che abbia subito gli effetti di un uragano od anche dì un vento umido e caldo, la feccia di birra è soggetta ad alterarsi, ed allora fa il pane più o meno amaro; il pane non leva, o male si sbricciola e forma una massa pesante e compatta. La feccia di birra non serve realmente che ad uso dei fornai di professione, che l'adoprano principalmente per preparare la pasta e formarne dei pani di fantasia. Il giorno precedente a quello in cui si vuol cuocere il pane, il lievito viene stemperato nell'acqua calda o fredda, secondo la stagione; nella state, vi si aggiunge il terzo della quantità totale della farina che deve essere panificata, e la metà nell'inverno. La fermentazione, che tosto si stabilisce, viene eccitata nel verno adoperando dell'acqua calda e ravvolgendo il lievito entro una coperta di lana; nella state poi viene rallentata adoperando dell'acqua fresca, e lasciando il lievito alla scoperto in un luogo fresco.
pezzo di pasta riserbata della precedente infornatura e composta di raschiature della madia, alle quali si aggiunge una piccola quantità di farina
548. Ciriege allo spirito. Prendete ciriege mature e sanissime, che sieno dure al tatto (o duracini, o visciole, o marasche), tagliate loro la metà del gambo; foratele ad una ad una nella polpa con uno spillo, e ponetele in un vaso di vetro munito di tappo smerigliato. Allora versatevi sopra tanto spirito di vino di prima qualità, o acquavite, da ricoprire tutte le ciriege, le quali debbono rimanere perfettamente immerse, e zucchero in ragione di 150 gram. per ogni litro di spirito impiegato; aggiungete, in un sacchetto, alquanti chiodi di garofani, cannella in pezzi, un pizzico di coriandoli, un poco di macis e qualche grano di pepe; lasciate posare questo sacchetto sulle ciriege, chiudete bene il vaso col suo tappo, e dopo sei settimane o due mesi ritirate il detto sacchetto contenente gli aromi. Le ciriege così preparate si conservano per lunghissimo tempo. Si servono in piccol numero in un piattino con qualche cucchiaiata del loro liquore, e si richiude il vaso ogni volta, a fine di non farne evaporare lo spirito.
spirito di vino di prima qualità, o acquavite, da ricoprire tutte le ciriege, le quali debbono rimanere perfettamente immerse, e zucchero in ragione
550. Pasta da pasticci. Prendete un chilogr. di farina; formatene un mucchio sulla tavola, avvertendo che questa sia ben pulita e non verniciata; fate nel mezzo di questo mucchio di farina un buco col pugno della mano, e mettetevi dentro 25 gram. di sale fine, 2 ettogr. di burro, due tuorli d'uova, e qualche cucchiajata d'acqua tiepida; mescolate a poco per volta la farina a tutti questi ingredienti, e maneggiate bene la pasta finchè sia tutta bene assimilata, aggiungendo acqua tiepida se riescisse troppo dura, o farina se vi resultasse troppo molle. In luogo di burro si potrebbe adoperare dello strutto; ma il primo è sempre preferibile. Con questa pasta se ne intonaca le pareti interne delle forme nelle quali si vuol fare dei pasticci per tavola, come vedremo appresso.
dello strutto; ma il primo è sempre preferibile. Con questa pasta se ne intonaca le pareti interne delle forme nelle quali si vuol fare dei pasticci per
554. Pasticci diversi ripieni. Si fanno pasticci con ogni sorta di ripieni; così le beccacce, le pernici, i tordi, la carne di vitello, di pollo, ecc., possono servire a fare eccellenti ripieni per pasticci. All'uccellame si deve però tagliare la testa, il collo e le zampe. Qualunque poi sia la carne prescelta per empirne un pasticcio, si dovrà prima farla cuocere in una casseruola con soffritto di cipolla e burro, aggiungendo un intingolo adattato e di proprio gusto. Si può anche, prima di mettere il ripieno nel pasticcio, distendere sopra la superficie interna del pasticcio alcune fette di prosciutto alquanto grasse, delle quali si coprirà anche il ripieno stesso prima di mettervi il coperchio di pasta. Per ogni rimanente dovete ammannire il pasticcio come abbiamo indicato per quello di maccheroni (n. 553).
prosciutto alquanto grasse, delle quali si coprirà anche il ripieno stesso prima di mettervi il coperchio di pasta. Per ogni rimanente dovete
575. Croccantini. Pestate 2 ettogr. di mandorle dolci, dopo averle mondate, unitamente a tre chiare d'uova, le quali aggiungerete a poco per volta; quando le mandorle saranno ridotte in pasta, unitevi un ettogr. di fecola di patate, 3 ettogr. di zucchero fine, un poco di scorza di limone grattata, ed un buon cucchiajo d'acqua di fiori d'arancio; mescolate bene il tutto, formandone una densa pasta; stendete questa sur un'ostia, tagliatela a pezzi della forma che più vi aggrada, e fateli cuocere sur una lamiera che manderete al forno. Quando saranno cotti potrete con questi croccantini costruire piccole piramidi, tempietti, ecc., sovrapponendoli uno all'altro, ed attaccandoli insieme con zucchero cotto quasi a caramella (n. 594).
575. Croccantini. Pestate 2 ettogr. di mandorle dolci, dopo averle mondate, unitamente a tre chiare d'uova, le quali aggiungerete a poco per volta
Cottura a giulebbe è quando lo zucchero, presane una goccia fra le dita e poi distaccando queste, forma un filo le cui estremità aderiscono alle dita stesse: se questo filo è sottilissimo quasi da non potersi vedere, allora dicesi che lo zucchero è cotto a piccolo giulebbe. Proseguendo la cottura, se il filo si allunga molto senza rompersi, si dice che lo zucchero è cotto a perla; se non si allunga troppo si dice che è cotto a piccola perla: questo grado di cottura si distingue anche da ciò, che il bollore produce come tante perle, le quali sembra che rotolino le une sopra le altre. Spingendo ancora più oltre la cottura, e ritirando la schiumarola dopo averla scossa battendola sull'orlo del recipiente, se, soffiando ne' buchi n'escono come tante bolle, si dice che lo zucchero è cotto a vento. Quando, continuando l'ebullizione, invece delle perle si formano tante bolle, le quali, appena alzatesi, scoppino e mandino molto vapore, si dice che lo zucchero è cotto a piuma; al qual punto s'immerge la schiumarola nella massa e si ritira scuotendola forte in aria; se lo zucchero s'innalza a guisa d'una leggiera piuma, un poco larga, si dice cotto a piccola piuma; se si forma in filamenti volanti, si dice cotto a gran piuma. Si dice cotto a conserva allorchè, immergendovi le dita bagnate d'acqua frescate poi stropicciandole, lo zucchero che vi è aderente si rompe producendo uno schricchiolio, e posto sotto ai denti, vi si attacca fortemente. Si chiama cottura a caramella quando, posto lo zucchero sotto ai denti, si rompe senza attaccarvisi: è però necessario farne spesso la prova, giacchè, per poco che s'indugi a ritirarlo dal fuoco, lo zucchero corre pericolo di abbruciare.
: questo grado di cottura si distingue anche da ciò, che il bollore produce come tante perle, le quali sembra che rotolino le une sopra le altre. Spingendo
596. Istruzioni generali sui sciroppi. Quando si è fatto disciogliere lo zucchero in una certa quantità d'acqua, si è schiumato e chiarificato, e finalmente cotto sino a che il liquido abbia una consistenza tale che scoli lentamente, si è ottenuto il sciroppo più semplice, vale a dire il giulebbe di zucchero. Se invece di acqua pura, si adopera per disciogliere lo zucchero un'acqua saturata di certi principii, come succo di frutta e simili, si avrà il sciroppo della sostanza adoperata. La preparazione dei sciroppi, pertanto, ha per iscopo la conservazione dei succhi di parecchie frutta od aromi, mantenendo a questi l'odore, il sapore, e talvolta il colore loro proprio. Volendo adoperare una decozione, un'infusione o un succo già ben chiarificato, basta sciogliervi zucchero bianchissimo a bagnomaria, che il sciroppo sarà fatto senza altra cottura nè chiarificazione. Il più sovente però si fa cuocere dopo avere sbattuto nel liquido freddo una o più chiare d'uova, e si schiuma durante la cottura. I sciroppi debbono rimanere meno tempo che sia possibile sul fuoco, perchè vi prendono colore. Le bottiglie in cui si serbano i sciroppi debbono essere sempre piene e ben turate; perocchè lasciandole sceme ed aperte, il sciroppo potrebbe fermentare con facilità, nonchè, evaporandone la parte acquosa, si candirebbe, ossia si cristallizzerebbe lo zucchero. I sciroppi si alterano così facilmente quando non sono abbastanza cotti, come quando lo sono troppo; bisogna quindi procurare di raggiungere il grado conveniente di cottura senza oltrepassarlo: molti sono i segni che indicano questo grado, ma il più semplice e più sicuro consiste nella densità del giulebbe. Versandolo dall'alto, esso deve filare come un olio fino, cadere senza spruzzare, formarsi in gocce rotonde, le quali, collocate le une presso alle altre in un piatto, non si ravvicinano che lentamente; infine, soffiando sulla superficie, vi si deve formare una pellicola rugosa. La regola da tenersi per la dose dello zucchero di cui si deve far uso in ciascun sciroppo, sarebbe di mettervene tanto quanto può scioglierne il liquido o succo che si adopera. I succhi acidi ne disciolgono circa 160 gramme per ogni ettogr.; le decozioni e le infusioni ne possono disciogliere un poco più; ma in generale ve ne vuole sempre un po' meno del doppio in peso dei liquidi che si adoprano.
nella densità del giulebbe. Versandolo dall'alto, esso deve filare come un olio fino, cadere senza spruzzare, formarsi in gocce rotonde, le quali
607. Mandorle confettate. Fregate con un pezzo di grossa tela 4 ettogr. di mandorle, per toglier loro la polvere che è aderente alla loro pelle; mettetele poi in una calderuola con 4 ettog. di zucchero e quattro cucchiaiate d'acqua, e fatele cuocere finchè producano un frequente scoppiettìo; ritirate allora la calderuola dal fuoco, e mescolate bene con una spatola finchè lo zucchero sia ridotto in polvere e si distacchi dalle mandorle. Togliete una porzione di questo zucchero, rimettete il recipiente al fuoco, e seguitate a rimestare colla spatola; le mandorle non tarderanno a riprendere lo zucchero distaccatosi; allora aggiungete a poco a poco quello tolto, acciò si attacchi tutto, alle mandorle, le quali saranno così confettate.
zucchero distaccatosi; allora aggiungete a poco a poco quello tolto, acciò si attacchi tutto, alle mandorle, le quali saranno così confettate.
612. Gelatina di ribes. Prendete 2 chilogr. di ribes rosso, un chilogr. di ribes bianco e mezzo chilogr. di lamponi, il tutto ben maturo. Pigiate tutte queste frutta colle mani in un vaso di terra verniciato; ritiratene i grappoli e la feccia, poneteli in un pannolino, e comprimete fortemente onde farne uscire il succo che ancora contenevano, e che unirete all'altro. Mettete tutto questo succo a bollire in una calderuola sopra fuoco gagliardo, schiumando ben bene, e dopo un quarto d'ora circa d'ebullizione, aggiungete lo zucchero nella proporzione di 75 gram. per ogni ettogr. di succo; fate cuocere ancora per mezz'ora, e continuate a schiumare. La gelatina è abbastanza cotta allorchè, versandone una cucchiajata sur un piatto, essa vi aderisce. Allora si versa entro appositi vasi, i quali si chiudono soltanto dopo due giorni.
aderisce. Allora si versa entro appositi vasi, i quali si chiudono soltanto dopo due giorni.
6. Pane di lusso. Le persone ricche, le quali durante una parte dell'anno abitano in campagne lontane dai gran centri popolati, non possono procurarsi del pane di lusso, e nemmeno qualche volta del pane di buona qualità. Purchè si possa disporre in casa propria di un piccolo forno da pasticciere, è facile il far confezionare in casa propria ogni giorno del pane così bianco e delicato come in qualunque città. Si disponga, ammucchiandola sur una tavola, certa quantità di farina della più bella qualità, per esempio, tre chilogrammi, e nel mezzo si faccia un foro per introdurvi 60 grammi di lievito. Si stempera quindi coll'acqua tiepida, dandole presso a poco la consistenza di una pasta da focacce; si manipola bene aggiungendovi 60 grammi di fino sale diluito in un po' d'acqua tiepida. Si copre la pasta tenendola in caldo, perchè possa fermentarsi e lievitare. Dopo averla lasciata in quello stato una o due ore, secondo la stagione, s'imppasta di nuovo, si copre, e si lascia riposare altre due ore. Nel frattempo si riscalda il forno.
6. Pane di lusso. Le persone ricche, le quali durante una parte dell'anno abitano in campagne lontane dai gran centri popolati, non possono
636. Delle conserve di frutta in generale. Le conserve sono specie di paste prosciugate, che si preparano colla polpa delle frutta, o con polveri di fiori, acque distillate, essenze e zucchero in proporzione assai più considerevole che nelle preparazioni precedentemente descritte. Questo nome viene dalla proprietà che hanno le sostanze unite allo zucchero di conservare tutte le qualità loro. Onde preparare le conserve, si mescola bene la polpa, o la polvere, o l'aroma allo zucchero chiarificato e già sufficientemente cotto, e dopo una nuova cottura si versa in forme piatte alla grossezza di circa un centimetro. Prima che lo zucchero siasi raffreddato, si tracciano sulla sua superficie colla punta d'un coltello, o con altro mezzo, righe profonde a distanze eguali, ed allorchè il raffreddamento è compiuto, si formano come delle pastiglie, rompendo la conserva al segno delle righe. Si fanno pure conserve molli, le quali hanno una consistenza poco maggiore che quella delle marmellate.
fanno pure conserve molli, le quali hanno una consistenza poco maggiore che quella delle marmellate.
Lo zucchero non deve esser messo nell'acquavite, nè nello spirito, poichè non vi si scioglierebbe perfettamente; ma lo si dovrà prima lasciare imbevere d'acqua pura, per aggiungerlo dopo al liquore. Talvolta pongonsi alcune sostanze nello zucchero, mentre altre macerano nell'acquavite, e si riunisce poscia i due miscugli per comporre il ratafià. Ma qualunque sia il metodo che si tiene, non debbesi mai adoperare che zucchero raffinato e di ottima qualità. Parimente non debbesi far uso che d'acquavite di gran forza e ben fabbricata, perchè si satura meglio delle particelle aromatiche delle sostanze che vi si fanno macerare. È pure assai vantaggioso di fare uso di spirito a 33 gradi, quando si preparano ratafià con materie che han molto odore e sapore, e per conseguenza quando si farà uso di olio essenziale. In questo caso lo zucchero che vi si aggiunge debb'essere disciolto e ridotto a siroppo in tanta acqua, quanto fu lo spirito impiegato. Si possono pure preparare i ratafià collo spirito senza aver bisogno di sciogliere lo zucchero in altrettanta acqua; locchè avviene quando si opera con frutta rosse, le quali hanno molto succo in cui può sciogliersi assai bene lo zucchero.
in altrettanta acqua; locchè avviene quando si opera con frutta rosse, le quali hanno molto succo in cui può sciogliersi assai bene lo zucchero.
Il tempo dell'infusione varia secondo ciascun ratafià: il più sovente però non vi ha nessuno inconveniente a prolungarlo al di là del prescritto. In generale si lascia infondere da 15 a 30 giorni; ma vi hanno dei ratafià pe' quali bastino solo 8 giorni, mentre alcuni altri esigono parecchi mesi, L'infusione può essere abbreviata se si avrà cura di agitare sovente il vaso, onde il liquido s'impregni più prontamente dei principii attivi delle sostanze che vi sono immerse. Sarà pure buon partito il collocare il recipiente in luogo la cui temperatura sia alquanto elevata, o al sole, quando si tratta di frutta poco odorifere, come le ciriege, il ribes, le cotogne. Quanto poi alle sostanze d'odore pronunciato, come i fiori d'arancio, le scorze aromatiche e simili, bisogna farle macerare in luogo fresco, onde l'aroma non venga a perdersi per l'effetto del calore. In questi ultimi casi, in cui si vuole estrarre il solo odore dalle sostanze adoperate per aromatizzarne il liquore, non si deve far macerare che per poco tempo, e spesso un giorno basta, affinchè il ratafià non si saturi di principii acri, amari e spiacevoli.
generale si lascia infondere da 15 a 30 giorni; ma vi hanno dei ratafià pe' quali bastino solo 8 giorni, mentre alcuni altri esigono parecchi mesi, L
Si divide quindi la pasta in tante parti quanti Si vogliono pani, ai quali si dà la forma di ciambelle ed altre forme a piacere, e si pongono poi entro al forno.
Si divide quindi la pasta in tante parti quanti Si vogliono pani, ai quali si dà la forma di ciambelle ed altre forme a piacere, e si pongono poi
7. Delle carni, del pollame, della cacciagione e del pesci. Il mezzo primo che deve mettersi in pratica per conservarle quali sono, si è quello di guarentirle dal contatto dell'aria, dall'umidità, e dal calore. Facilmente si giunge a questo inviluppando letami in una tela bianca, e chiudendole ermeticamente in un vaso di terra bene asciugato, ovvero in una scatola di legno, e mettendo il tutto sotto terra in sabbia ben secca, ma in luogo esente da umidità, e che abbia una temperatura bassa. È inutile raccomandare che le sostanze da conservarsi sieno fresche. Questo processo riesce migliore per le carni grosse, che per il pollame, per gli uccelli, per le lepri e pei conigli, poichè l'aria che riempie il loro corpo, ancorchè, vuotati con cura, basta per promuoverne la putrefazione. Con questo processo però non si possono conservare le grosse carni che otto o dieci giorni.
7. Delle carni, del pollame, della cacciagione e del pesci. Il mezzo primo che deve mettersi in pratica per conservarle quali sono, si è quello di
659. Ratafià di visciole. Comprimete in un mortajo un chilogr. di visciole, che avrete prima private del gambo, e schiacciatene pure i noccioli. Lasciatele in riposo per due giorni, durante i quali farete macerare a parte la scorza d'un limone in due litri d'acquavite. Mescolate il tutto, ed aggiungete 8 ettogr. di zucchero sciolto in pochissima acqua. Lasciate infondere il miscuglio per un mese, ed in capo a questo tempo passate per istaccio il liquore onde separarlo dalla feccia del frutto, e indi filtratelo.
. Lasciatele in riposo per due giorni, durante i quali farete macerare a parte la scorza d'un limone in due litri d'acquavite. Mescolate il tutto, ed
673. Curaçau. Colla lama di un coltello levate quel bianco che ricuopre la parte interna della scorza delle arance amare; rompete in piccoli pezzi la parte cellulosa gialla, e tenetela in molle un istante nell'acqua per agevolare lo sviluppo del suo aroma; indi mettete in un reci- piente di terra 30 gram. di questa scorza e versatevi sopra un litro di buona acquavite e 7 ettogr. di sciroppo d'uva bollente, lasciate il tutto in infusione per due giorni, in capo ai quali filtrerete il liquore che è il vero curaçau di' Olanda.
giorni, in capo ai quali filtrerete il liquore che è il vero curaçau di' Olanda.
694. Infusione di tè. Vi sono molte specie di tè le quali tutte possono ridursi a due classi principali: il tè verde, ed il tè nero. Quello verde è fortissimo e agisce sui nervi; il nero è più dolcificante. Coloro che fanno molto uso di tè, sogliono mescolare metà del verde con metà del nero; ma l'uso esclusivo dei tè neri è sempre preferibile. L'infusione di questi è più leggiera, più delicata, e il profumo n'è più soave. Sono i tè neri quelli che generalmente si adoprano per le colazioni, e specialmente il tè Souchong, misto col tè Pecco a punte bianche. Per ottenere un buon risultato nell'infusione dei tè, occorrono certe condizioni. È importante dapprima non servirsi che di un vaso esclusivamente destinato a tal uopo, e quelli di metallo inglese sono preferibili a qualunque altro. Questo metallo, che congiunge alla solidità la lucidezza dell'argento, conserva più lungamente il calore dell'acqua al suo più alto grado. Quanto alla quantità di tè da infondere è generalmente di un cucchiajo da caffè per ogni tazza che si voglia apparecchiare. Prima di porre il tè nel vaso, bisogna aver cura di riscaldar questo con acqua bollente che vi si lascia per alcuni minuti: giova del pari far altrettanto colle tazze nelle quali deve essere versata l'infusione. Dopo ben sgocciolato il vaso, vi si pone la quantità conveniente di tè, nella proporzione sopra indicata. Quando l'acqua è bollente, se ne versa la metà sul tè per facilitarne lo svolgimento della fogliuzza incartocciata: si lascia infondere per alcuni minuti, si aggiunge l'altra quantità d'acqua, sempre mantenuta in stato bollente, poi si versa l'infusione sullo zucchero nelle tazze, mescolandovi, se si vuole, per ogni tazza alquanto fior di latte freddo, ovvero un liquore spiritoso, come del rum o del kirsch-wasser.
694. Infusione di tè. Vi sono molte specie di tè le quali tutte possono ridursi a due classi principali: il tè verde, ed il tè nero. Quello verde è
Le sorbettiere di stagno sono preferibili a quelle di latta per ciò, che la crema che vi si ripone, diacciandosi meno presto, il gelato riesce molto più dolce, più gustoso e più morbido che non in quelle di latta, nelle quali, rappigliandosi troppo presto la preparazione, non v'ha tempo di rimestare a lungo.
più dolce, più gustoso e più morbido che non in quelle di latta, nelle quali, rappigliandosi troppo presto la preparazione, non v'ha tempo di
Durante quest'operazione devesi aver cura di far gocciolare di quando in quando, dal buco apposito di cui abbiamo parlato sopra, l'acqua che si sarà raccolta sul fondo del secchio, riponendo in sua vece nel secchio stesso altrettanto ghiaccio e sale. Quando il gelato è perfetto, si distribuisce in bicchieri o piattini adattati per servirlo. Se non devesi servire all'istante, bisogna lasciarlo nella sorbettiera, seguitando ogni tanto a rimestare, affinchè non si formino diacciuoli. Volendo dare ai gelati la forma d'un frutto o d'altro, si pongono in forme di latta o di stagno, le quali poi si chiudono e si mettono nel ghiaccio. Allorchè si vogliono servire tali gelati, s'immerge la forma nell'acqua calda, la si ritira prontamente perchè il gelato non si fonda, si asciuga con un pannolino, si apre e si rovescia sopra un piattino, lasciandovi cadere il gelato per servirlo all'istante.
, affinchè non si formino diacciuoli. Volendo dare ai gelati la forma d'un frutto o d'altro, si pongono in forme di latta o di stagno, le quali poi si
107. Pasta fatta in casa. Pigliate quella quantità di farina di frumento che vi abbisogna; formatene un mucchio sopra una tavola ben netta e non verniciata; fate nel bel mezzo della farina un buco in cui verserete un uovo o più, secondo la quantità della farina, e coll'ajuto d'un po' di brodo o d'acqua calda impastate bene, riducendo la vostra pasta a durissima consistenza, ed osservando che le uova restino bene stemperate colla farina. Ciò fatto, distendete la pasta col matterello, spargendovi sopra di quando in quando un poco di farina, finchè sia ridotta a sottilissime sfoglie, le quali taglierete a guisa di lasagne, nastrini, o come vi aggrada. Se bramate fare piccole puntine, non occorre distendere la pasta col matterello, ma strapperete dalla massa della pasta tanti pezzetti piccoli quanto un grano di frumento, dando loro una stropicciata fra il pollice e l'indice in modo da formare come tanti grani d'avena.
fatto, distendete la pasta col matterello, spargendovi sopra di quando in quando un poco di farina, finchè sia ridotta a sottilissime sfoglie, le quali
133. Riso con cavolo. Prendete la quantità di cavoli verzotti necessaria per fare la zuppa; puliteli e lavateli dopo averli tagliati in quattro o sei parti grosse come un dito; metteteli in una casseruola con alcuni spicchi d'agli mondati, erbe odorose, garofani e un pezzo di butirro. Ponete tutto a soffriggere a piccolo fuoco; quando è per prendere colore, bagnate con brodo di pesce (n. 46). Lasciate così cuocere per lo spazio di un'ora, quindi gettatevi dentro la quantità di riso necessaria per le persone alle quali devesi servire, osservando che dopo cotto resti brodoso. Aggiungete parmigiano grattato allorchè sia quasi cotto il riso, sugo di pesce (n. 47), o, non avendone, butirro od olio, o l'uno e 1 altro riuniti, che è sempre meglio. Scodellatelo e servitelo.
gettatevi dentro la quantità di riso necessaria per le persone alle quali devesi servire, osservando che dopo cotto resti brodoso. Aggiungete
196. Maniera di accomodare il lesso avanzato. Il lesso avanzato, tanto di manzo che di vitello, è soggetto a moltissimi acconciamenti, il più comune dei quali è ricuocerlo in pezzi con ogni qualità di salsa, o con cipolla e pomidoro, facendo sempre cuocere avanti il soffritto di cipolla, dipoi vi si aggiunge sugo di carne, o in mancanza butirro e sugo di pomidoro. Potrete ancora pel soffritto servirvi di olio invece di butirro, ed allora non importa che vi mettiate il sugo di carne, ma bensì molto sugo di pomidoro.
dei quali è ricuocerlo in pezzi con ogni qualità di salsa, o con cipolla e pomidoro, facendo sempre cuocere avanti il soffritto di cipolla, dipoi vi
200. Lesso di legumi secchi. I fagiuoli bianchi e coll'occhio, i piselli, le lenti ed i ceci sono i soli legumi che si possono mangiar lessi: hanno bisogno di molta cottura, e particolarmente i ceci, pel sicuro buon esito dei quali, dopo averli ammollati per ventiquattro ore, si mettono ad acqua bollente. Dopo cotta, qualunque civaia si scola e si serve in un piatto con olio, pepe, sale e sugo di limoni, ad eccezione de' fagiuoli coll'occhio che si condiscono di preferenza con aceto in luogo di limone.
bisogno di molta cottura, e particolarmente i ceci, pel sicuro buon esito dei quali, dopo averli ammollati per ventiquattro ore, si mettono ad acqua
204. Intingolo di tartufi. Mondate alquanti tartufi, i quali taglierete infette, mettendoli in una casseruola con un piccolo pezzo di butirro, un mazzettino di prezzemolo, cipollette, un mezzo spicchio d'aglio e due garofani; ponete il tutto sopra il fuoco, aggiungendovi un pugillo di farina, bagnando con un bicchiere di brodo e altrettanto vino bianco; fate cuocere per un'ora a lento fuoco, digrassate, ed aggiungete un poco di sugo colato, sale e pepe.
204. Intingolo di tartufi. Mondate alquanti tartufi, i quali taglierete infette, mettendoli in una casseruola con un piccolo pezzo di butirro, un
212. Lingua fasciata. Prendete una o più lingue di animale grosso, come manzo e vitello; fatele bollire in acqua, spellatele assai bene, dipoi tagliatele a fette sottili, sopra le quali porrete un poco di battuto di carne di vostro piacere, in fine accartocciatele in reticella di majale, o di agnello, e fatele cuocere arrosto, ungendole con olio, ed infilzandone uno stecco appuntato, oppure in uno spiede sottile. Quando sono quasi cotte polverizzatele con pan grattato, facendo prendere un bel colore. Potrete anche cuocerle, infilzate nelle stessa maniera, sopra una gratella con fuoco lento sotto, o in casseruola con olio, e polverizzandole egualmente con pan grattato. Le servirete in tavola calde coperte con una salsa piccante di vostro gusto, dopo averle tolte dallo stecco del quale vi siete serviti.
tagliatele a fette sottili, sopra le quali porrete un poco di battuto di carne di vostro piacere, in fine accartocciatele in reticella di majale, o di