Quest'opera amorosamente studiata e compilata, e che può vantare al suo attivo il successo pieno e incontrastato della prima edizione, è dunque veramente il talismano della felicità. Offrendovelo, il nostro compito è esaurito. A voi ora il sapervi giovare di questo talismano. Possa esso — è il nostro voto
Quest'opera amorosamente studiata e compilata, e che può vantare al suo attivo il successo pieno e incontrastato della prima edizione, è dunque
Dovendo friggere col burro è necessario fargli subire un trattamento che gl'impedisca di diventar nero e di comunicare quindi un brutto aspetto alla frittura. Quest'operazione si chiama «chiarificare il burro», cioè privarlo della parte lattiginosa, che durante la cottura va in fondo alla padella e annerisce. Prendete dunque, secondo la quantità di frittura da fare, uno o più ettogrammi di burro. Mettete questo burro in una casseruolina o in una padellina, e fatelo fondere su fuoco leggero. Quando sarà fuso tirate la casseruolina sull'angolo del fornello e lasciatelo cuocere per una diecina di minuti, ma piano, in modo che non si colorisca. Vedrete che il burro si decomporrà in due elementi: una parte liquida limpidissima, e una parte formata di piccoli flocchi grassi. Passate il burro chiarificato da un setaccino finissimo, o meglio a traverso una salviettina, e usatalo per friggere. Il burro così preparato si conserva molto più lungamente del burro fresco.
frittura. Quest'operazione si chiama «chiarificare il burro», cioè privarlo della parte lattiginosa, che durante la cottura va in fondo alla padella e
E dopo aver fatto questo magnifico ragionamento qualcuno mette a cuocere la povera bestia, la estrae dal forno e la lascia inseccolire nella credenza. E i convitati avranno un pollo duro e senza alcun profumo. Ma allora voi direte: «Non si deve mai mangiare il pollo freddo?» Certo tra un vaso di fiori che vi piova sulla testa dal quarto piano e un pollo freddo è preferibile quest'ultimo; ma il pollo freddo dovrà soltanto essere servito occasionalmente, come ad esempio in un buffet di ballo, in una cena fredda, in un pique-nique, in una gita in mare. Però tutte le volte che si potrà servire caldo e cotto a regola d'arte non si dovrà avere la più piccola esitazione.
fiori che vi piova sulla testa dal quarto piano e un pollo freddo è preferibile quest'ultimo; ma il pollo freddo dovrà soltanto essere servito
Le chenelle si possono finalmente fare in un terzo modo, specialmente quando sono destinate a guarnire dei piatti montati. In quest'ultimo caso si prendono delle piccole stampine generalmente lavorate, si imburrano e ci si mette dentro la farcia, lisciandola poi con una lama di coltello. Quando avrete guarnite tutte le stampine immergetele a una a una nella solita teglia contenente acqua quasi all'ebollizione. Le stampine precipiteranno al fondo della teglia, ma per effetto dell'acqua bollente la farcia si staccherà subito dalla stampa prendendone la forma e le chenelle verranno a galleggiare. Aspettate qualche minuto affinchè si siano ben rassodate, poi estraetele, e mettetele ad asciugare su uno strofinaccio pulito per poi servirvene.
Le chenelle si possono finalmente fare in un terzo modo, specialmente quando sono destinate a guarnire dei piatti montati. In quest'ultimo caso si
Uno degli elementi indispensabili per la pasta con le sarde è la finocchiella selvatica, che si raccoglie sui prati, e che talvolta si trova anche da qualche erbivendolo. In mancanza di finocchiella selvatica si può supplire con la finocchiella d'orto; ma la preparazione perde un poco del suo carattere venendo ad assumere un sapore più dolciastro. Per sei persone fissiamo queste proporzioni: dagli 800 ai 900 grammi di maccheroncini, mezzo chilogrammo di sarde fresche, un paio di cipolle grandette, un ettogrammo di pinoli, un ettogrammo di passerina, cinque o sei alici salate, un bel mazzo di finocchiella, o una diecina di piccoli finocchi d'orto, e un bicchiere d olio. Si monda bene la finocchiella lasciando solamente la parte più tenera e si lessa in acqua. Se invece della finocchiella selvatica si adopera la finocchiella d'orto si netta bene e si lessa avvertendo di non gettar via i ciuffi verdi, che sono appunto quelli che debbono sostituire la finocchiella selvatica. L'acqua nella quale la finocchiella è stata cotta non va gettata via. Mettete un bicchiere d'olio in una casseruola, tritate bene le cipolle e fatele soffriggere fino a che abbiano preso un bel colore senza tuttavia lasciarle bruciacchiare. Scolate la finocchiella, tritatela e gettatela nella casseruola nella quale aggiugerete anche la metà delle sarde fresche che avrete accuratamente nettato e spinato. Mescolate energicamente con un cucchiaio di legno schiacciando con forza le sarde, in modo da ridurle in poltiglia, e dopo le sarde aggiungete anche le acciughe salate che avrete lavato, spinato e liquefatto in un tegamino con qualche goccia d'olio. Finite questa salsa — tenendo sempre la casseruola sul fuoco — con un pizzico di zafferano, sale, pepe, i pinoli e la passerina. Se vi fosse riuscita troppo densa diluitela con un pochino dell'acqua in cui hanno cotto i finocchi. Ultimata la salsa coprite la casseruola e lasciatela in caldo sull'angolo del fornello. Prendete allora l'altra metà rimasta delle sarde fresche, apritele accuratamente per togliere la spina senza staccare però le due parti del pesce. Risciacquatele, asciugatele in uno strofinaccio e scottatele in una teglia con un pochino d'olio e sale, da ambo le parti. Compiuti tutti i preparativi mettete sul fuoco una grossa pentola con acqua, alla quale aggiungerete l'acqua in cui è stata cotta la finocchiella. Quando quest'acqua bollirà mettete giù i maccheroni ed appena cotti scolateli bene e conditeli in una insalatiera con la metà della salsa preparata. Prendete poi un tegame o una teglia, ma il tegame è preferibile, e disponete nel fondo di esso uno strato di maccheroni sul quale metterete uno strato di sarde cotte e un po' di salsa, e così di seguito fino a ricoprire i maccheroni con la salsa che vi sarà rimasta. Coprite il tegame, mettetelo su un po' di brace, mettete un po' di brace anche sul coperchio e lasciate stufare la pasta per una ventina di minuti. Questi maccheroni si possono mangiare tanto caldi che freddi e sono sempre squisiti. Questa è una delle migliori ricette e siciliana puro sangue.
preparativi mettete sul fuoco una grossa pentola con acqua, alla quale aggiungerete l'acqua in cui è stata cotta la finocchiella. Quando quest'acqua
Il soufflè di prosciutto è un ottimo antipasto caldo. Voi potrete servirlo in due modi; primo: o in un tegame elegante di porcellana resistente al fuoco oppure in quegli speciali utensili di metallo argentato detti appunto stampe da soufflè. Secondo: servirlo in tante tazzine di porcellana speciali a quest'uso o in quelle eleganti cassettine di carta che ci sono in commercio per i piccoli soufflès e che sono vendute dai negozianti di cartonaggi. Se adopererete le cassettine di carta, ricordatevi prima di adoperarle di spalmarle internamente di burro e di farle asciugare per qualche minuto in forno.
a quest'uso o in quelle eleganti cassettine di carta che ci sono in commercio per i piccoli soufflès e che sono vendute dai negozianti di cartonaggi
Sono preparazioni facilissime, ma che pure non tutti sanno fare a dovere. Qualità indispensabile per queste preparazioni è la freschezza delle uova. Le uova fritte si possono fare con lo strutto e con l'olio; quest'ultimo è preferibile. Molte cuoche, per sbrigarsi, usano friggere più uova alla volta. È un errore, perchè facendo così il risultato viene ad
. Le uova fritte si possono fare con lo strutto e con l'olio; quest'ultimo è preferibile. Molte cuoche, per sbrigarsi, usano friggere più uova alla
Conoscete il pesce S. Pietro? Certo nella famiglia dei pesci non brilla per soverchia bellezza: scuro di aspetto, con un muso piuttosto imbronciato e delle ispide spine sulla groppa. Ma il S. Pietro può infischiarsene della sua poca venustà, e per due ragioni: la prima perchè è un pesce storico, la seconda perchè possiede una carne deliziosa. Si dice infatti che questo pesce fu toccato dalle mani dell'Apostolo pescatore, che non solo gli lasciò il suo nome, ma gli lasciò anche due segni visibili delle sante dita, segni che si riscontrano, uno di qua e uno di là, nel bel mezzo del dorso. Quanto alla squisitezza della sua carne, non è un mistero per i buongustai. Bollito o fritto il S. Pietro è buono, molto buono. E poichè della gente buona in questo tristo mondo ci si approfitta sempre, molti trattori e molti albergatori costruiscono coi filetti di S. Pietro, che costa meno, dei magnifici filetti di sogliole, che costano di più. È un ramo d'industria non troppo onesto, per quanto assai rimunerativo; e il S. Pietro, forse in omaggio al nome del grande Apostolo, cristianamente si rassegna, e lascia che la sua carne venga gabellata per filetti di sogliola alla Walenska. Réjane, Saint-Germain, Pompadour, Orly, Otéro, Mogador, ecc. Noi rifuggiamo dalle mistificazioni. Vi daremo dunque la ricetta per una squisita zuppa di pesce S. Pietro, zuppa che ha anche il pregio di uscire un po' dalla noia del consueto. Per otto persone acquistate un bel S. Pietro che pesi da un chilogrammo e mezzo a due. Nettatelo bene e risciacquatelo abbondantemente, e poi con un coltellino affilato sfilettatelo, staccando cioè dalla spina principale tutta la parte carnosa. L'operazione è facile e si eseguisce molto bene incominciando col fare un'incisione lunga e profonda su tutto il dorso e staccando poi con la lama del coltello tutta la carne dalla spina, prima da una parte e poi dall'altra. Se poi crederete che l'operazione sia troppo lunga, affidatela al negoziante che vi venderà il pesce, il quale vi caverà rapidamente d'impaccio. Mettete da parte la carne e tagliate in pezzi la testa e i cascami. Ponete una casseruola sul fuoco e in essa mettete un po' d'olio, una noce di burro, qualche aroma, come cipolla, carota gialla, prezzemolo, sedano, ecc., il tutto tritato, aggiungendo anche, se ne avete, un pizzico di funghi secchi. Appena i legumi saranno imbionditi mettete nella casseruola i cascami del pesce, e dopo che anche questi saranno rosolati bagnate ogni cosa con un litro e mezzo d'acqua ai quali aggiungerete un bicchiere di vino bianco. Condite con sale e pepe e lasciate bollire moderatamente. Dopo una mezz'ora prendete un'altra casseruola, metteteci una buona cucchiaiata di burro, e quando il burro sarà liquefatto aggiungete due cucchiaiate di farina, mescolate e lasciate cuocere pian piano per quattro o cinque minuti, sempre mescolando. Allora, per mezzo di, un colabrodo, passate il brodo del pesce nell'altra casseruola dove è la farina col burro, mescolate ancora per sciogliere bene la farina e continuate ad aggiungere il brodo di pesce fino a completo esaurimento. Rimettete il brodo sul fuoco e fate bollire nuovamente per un'ora, sull'angolo del fornello, togliendo man mano, con una cucchiaia bucata, la schiuma e le altre impurità che man mano verranno a galla. Quest'operazione, in termine di cucina, si chiama spogliare. Avvicinandosi l'ora del pranzo, prendete la carne del pesce lasciata in disparte, togliete la pelle e dividete i filetti in tanti pezzetti quadrati di un paio di dita di lato. Metteteli sul fuoco in una teglia con un po' di burro, conditeli con sale e pepe, bagnateli con un po' di vino bianco e lasciateli stufare, coperti, per qualche minuto. Appena cotti toglieteli dal fuoco mantenendoli in caldo vicino al fornello. Al momento di andare in tavola, mettete un paio di rossi d'uovo in una zuppiera, sbatteteli con una forchetta, stemperandoli con un po' di sugo di limone e conditeli con una cucchiaiata di prezzemolo trito. Su queste uova travasate il brodo di pesce, mescolate per amalgamare bene ogni cosa, poi distribuite nelle varie scodelle i quadratini di pesce cotto aggiungendo anche dei dadini di pane fritto, o più semplicemente, dei crostini abbrustoliti. Completate ogni scodella col brodo e fate portare in tavola.
galla. Quest'operazione, in termine di cucina, si chiama spogliare. Avvicinandosi l'ora del pranzo, prendete la carne del pesce lasciata in disparte
Questa pietanza, di una semplicità e di una esecuzione assolutamente primordiali, non solamente riabilita il polipo, che — sia detto fra parentesi — nelle famiglie dei pesci gode di una fama volgaruccia anzichenò, ma immediatamente solleva lo spregiato mollusco ad altezze che non esiteremmo a chiamare epiche. C'è forse qualcosa di più squisito, di più appetitoso, di più delizioso di un polipo alla luciana? Quale pesce può compiere il prodigio di riempirvi la cucina di un profumo più intenso ? Uno di quei profumi che scendono allo stomaco «per vie non conosciute», come avrebbe detto il buon Stecchetti e che vi fanno venire l'acquolina in bocca. Di più il materiale di cucina occorrente non contribuirà certo a mandarvi in rovina: una pentola di coccio, un pezzo di carta paglia e un po' di spago. L'abbiamo già detto: si tratta di una preparazione primordiale. Il polipo che occorre deve essere di scoglio: quei polipi cioè che hanno una doppia fila di ventose sui tentacoli, e che sono detti a Napoli «veraci». Contrariamente poi a quanto si usa per le altre preparazioni sarà da preferirsi un polipo piuttosto grosso. E non abbiate timore che riesca duro: quando avrete seguito con diligenza i nostri consigli scambierete il vostro polipo per un pezzo di vitellino da latte, tanto sarà tenero. Comperato dunque il polipo, nettatelo bene, togliendo via la vescichetta della tinta, gli occhi e tutta la pelle. Quest'ultima operazione, che a prima vista può sembrare difficile, non lo è in realtà, se vi aiuterete con un piccolo coltello a punta. Fatta dunque un po' di toletta al polipo procedete ad un'altra operazione, che se non è molto gentile è però necessaria: quella della bastonatura; poichè il polipo «ama» di essere bastonato, come si legge in quei libri di cucina a base di strafalcioni. Naturalmente est modus... con quel che segue; e voi badate affinchè nella furia del combattimento il polipo non debba restare massacrato e coi tentacoli in pezzi. Dopo la bastonatura esso avrà perduto la rigidità delle fibre e sarà pronto per la cottura. La quale, come già abbiamo accennato, dovrà farsi in una pentola di terraglia, di capacità tale che il polipo possa occuparne i due terzi dell'altezza. Lavate adesso il polipo e, senza asciugarlo, deponetelo nella pentola. Conditelo con sale e pepe — è molto indicato, se piace, del peperoncino — qualche ciuffo di prezzemolo e abbondante olio (mezzo bicchiere un po' scarso per un polipo di mezzo chilogrammo). Chiudete ora la pentola con un paio di fogli di carta paglia — quella carta gialla usata dai rivenditori di generi alimentari — assicurate la carta con qualche giro di spago che fisserete sotto i manici e in ultimo coprite con un coperchio. Mettete la pentola su poca brace accesa, quasi delle ceneri calde, e lasciate che il polipo cuocia lentamente, insensibilmene, per un paio d'ore, per abbandonarlo poi sul camino fino al momento di mangiare, che esso guadagna ad essere gustato tiepido o freddo affatto. Vi ripetiamo la raccomandazione che il fuoco sia quasi niente, poichè in caso contrario rovinereste tutto. Pian piano, durante la cottura, un profumo allettatore si sprigionerà dalla pentola. Ma voi non vi lasciate vincere dalla tentazione di scoprirla fino a che non sia trascorso il tempo stabilito e sarà giunta l'ora del desinare. Togliete allora la carta, e avrete la sorpresa di vedere che il polipo è diventato come una specie di grosso crisantemo rossastro, tenerissimo, galleggiante in un brodo squisito, che la munifica bestia ha generosamente elargito. Non gli fate l'ingiuria di travasarlo. Adagiate la pentola in un piatto con salvietta, e fatelo portare in tavola così come si trova. È un piatto marinaresco, e va servito senza troppe cerimonie. In tavola dividetelo in pezzi, e fate che ogni commensale condisca il polipo con qualche cucchiaiata del suo brodo, un pochino d'olio e, se piace, qualche goccia di sugo di limone.
, togliendo via la vescichetta della tinta, gli occhi e tutta la pelle. Quest'ultima operazione, che a prima vista può sembrare difficile, non lo è in
Del baccalà spellato, spinato e bene bagnato. Dividetelo in filetti della lunghezza di un paio di dita e lunghi circa otto dita. Ungeteli leggermente di olio e metteteli a cuocere su una gratella a fuoco debole. Appena saranno arrostiti, il che avverrà in pochi minuti, accomodateli allineati in un piatto e ricopriteli con la seguente salsa. Mettete in una casseruolina un pezzo di burro come una noce, e quando si sarà liquefatto aggiungete un cucchiaio colmo di farina. Mescolate un pochino e poi bagnate con un bicchiere di latte. Sciogliete bene la salsa e fatela cuocere pochi minuti fino a che sia ben liscia e sufficientemente addensata. Conditela con sale, pepe e una puntina di noce moscata. Avrete preparato un uovo sodo, che sbuccierete e spaccherete, tritando poi grossolanamente la chiara e il rosso. Aggiungete quest'uovo nella salsa che ultimerete con una cucchiaiata di prezzemolo trito e qualche cetriolino in fettine. Mescolate il tutto e versate sui filetti di baccalà.
e spaccherete, tritando poi grossolanamente la chiara e il rosso. Aggiungete quest'uovo nella salsa che ultimerete con una cucchiaiata di prezzemolo
Per sei persone mettete in bagno, un paio di giorni prima, mezzo chilogrammo di baccalà. Quando il baccalà sarà pronto, toglietegli le spine, tagliatelo in pezzi, mettetelo in un tegame e ricopritelo d'acqua, aggiungendo un pezzetto di burro come una noce, tre o quattro fette di limone, alle quali avrete tolto i semi, un pizzico di sale, un ramoscello di timo, una foglia d'alloro e una mezza cipolla. Portate piano piano l'acqua all'ebollizione e appena questa si sarà verificata, tirate il tegame sull'angolo del fornello e lasciate il baccalà così per un quarta d'ora, in modo che bolla e non bolla. Una ebollizione troppo vivace non avrebbe altro effetto che quello di indurire il baccalà. Intanto avrete sbucciato e passato in una terrinetta con acqua fresca una dozzina di patate piuttosto piccole e possibilmente di uguale grandezza. Appena il baccalà sarà cotto toglietelo dal fornello e lasciatelo in caldo vicino al fuoco. Prendete una pentolina, travasateci una parte dell'acqua aromatizzata in cui cosse il baccalà e cuocete in essa le patate. Guardate che però il baccalà non rimanga all'asciutto: prima di tutto perchè si sciuperebbe, e poi perchè di quest'acqua ne occorreranno un paio di ramaioli per la salsa. Quando anche le patate saranno pronte, prendete un piatto ovale, metteteci in mezzo il baccalà e intorno intorno disponete le patate. Versate su tutto la salsa che troverete più sotto e ultimate con una cucchiaiata di prezzemolo trito. Ed ecco ora come si fa la salsa. Mettete in una piccola casseruola la metà di un panino di burro da un ettogrammo e quando il burro sarà sciolto uniteci una cucchiaiata ben colma di farina. Fate cuocere un pochino, mescolando con un cucchiaio di legno e poi diluite con un paio di ramaioli dell'acqua del baccalà. Fate cuocere pian piano per cinque o sei minuti mescolando sempre affinchè la salsa divenga ben liscia. Conditela con sale, un forte pizzico di pepe e una cucchiaiata d'aceto; e poi, fuori del fuoco, finitela con uno o due torli d'uovo e qualche altro pezzettino di burro, che aggiungerete a poco a poco, mescolando la salsa come si trattasse di montare una maionese.
patate. Guardate che però il baccalà non rimanga all'asciutto: prima di tutto perchè si sciuperebbe, e poi perchè di quest'acqua ne occorreranno un
Per sei persone sono sufficienti 600 grammi di tonno fresco. Il tonno deve essere in un sol pezzo. Mettetelo un po' nell'acqua fresca per dissanguarlo. Mentre si dissangua mettete una casseruola sul fuoco con una mezza cipolla tritata e un po' d'olio e fate che la cipolla si cuocia pian piano senza diventare troppo scura. Estraete il tonno dall'acqua, asciugatelo e mettetelo nella casseruola, facendolo rosolare su fuoco moderato come se si trattasse di un pezzo di carne. Dopo una mezz'ora conditelo con sale e pepe e poi bagnatelo con acqua in modo che quest'acqua lo copra quasi per intero. Coprite la casseruola e fate bollire pian piano per un'ora e più, fino a che il tonno sia cotto e il sugo sufficientemente addensato. Al momento di mangiare affettate la carne in fette sottili e accomodatele in un piatto. Col sugo rimasto potrete condire dei maccheroni oppure del risotto. In ambo i casi avrete un ottimo primo piatto, e se impiegherete pasta e riso in minor quantità, un eccellente contorno al tonno. Se vi avanzasse del tonno così preparato, potrete trasformarlo per il pasto successivo. E in questo caso farete così. Pestate in un mortaio un pezzettino d'aglio, un'acciuga spinata e una cucchiaiata di capperi e di prezzemolo, sciogliete il tutto con un dito d'olio, spremeteci su il sugo di mezzo limone, mescolate e versate questa salsa sul tonno freddo.
trattasse di un pezzo di carne. Dopo una mezz'ora conditelo con sale e pepe e poi bagnatelo con acqua in modo che quest'acqua lo copra quasi per intero
Come il titolo indica chiaramente, il mixed grill è un arrosto misto alla gratella, e costituisce una specialità della cucina inglese. Si tratta in sostanza di presentare in tavola una ricca varietà di carni arrostite; e naturalmente più le varietà saranno numerose, più il piatto riuscirà sontuoso e tale da appagare i diversi gusti dei commensali. Quest'arrosto si compone generalmente di costolettine di agnello o di montone, costolette di vitello, rognoncini di vitello, tournedos, salsiccie, fette di lardo magro e cappelle di funghi porcini. Per le proporzioni dovrete regolarvi in modo che ogni commensale possa avere tutta la varietà, o almeno una grande parte di essa, calcolando un pezzo a persona. Si dispon gono tutte le varietà su una grande gratella e si fanno arrostire su della brace bene accesa. Man mano che i vari pezzi arrivano di cottura, si dispongono con gusto in un piatto grande, precedentemente riscaldato, procurando di fare sì che le varie specie di arrosti risultino a gruppi ben distinti. Si guarnisce la pietanza con delle patatine fritte e qualche ciuffo di crescione, e si invia prontamente in tavola.
e tale da appagare i diversi gusti dei commensali. Quest'arrosto si compone generalmente di costolettine di agnello o di montone, costolette di
Queste costolettine, le quali sono sempre assai gradite in una colazione o in un pranzo, godono presso talune mammine una ingiustificata nomea di difficoltà. Niente di più esagerato! Seguendo le nostre semplicissime istruzioni, ognuna delle lettrici riuscirà a preparare in modo impeccabile queste appetitose costolette. Per sei persone occorrono sei costolette doppie di abbacchio, cioè comprendenti due costole, oppure dodici costolette semplici. Il negoziante stesso è quello che generalmente prepara le costolette, quindi fatele tagliare da lui. L'operazione è del resto molto semplice. Si tratta di dividere col coltello le costole, una per una, o due per due, a seconda si desiderano delle cotolette semplici o doppie, di fare col coltello un piccolo intacco nella parte superiore della costola e tirare giù la pelle per mettere a nudo l'ossicino, avvolgendo poi questa pelle intorno all'altra estremità carnosa, quella che costituisce la costoletta. Una energica spianata con lo spianacarne e la costoletta è pronta. Ma, ripetiamo, chi trovasse l'operazione troppo difficile, la faccia fare direttamente dal negoziante. Mettete un pezzo di burro o una cucchiaiata di strutto in una teglia; ponetela sul fuoco e in essa cuocete le costolette. Regolatevi che il fuoco non sia troppo forte. Condite con sale e pepe, e quando saranno cotte spruzzateci sopra un bicchierino di marsala. Quest'addizione è facoltativa, ma noi la consigliamo perchè comunica un più gradevole sapore alla pietanza. Quando il marsala si sarà asciugato, estraete le costolette, e mettetele sul marmo di cucina — che avrete ben pulito in antecedenza — tutte coll'osso nel centro, in modo che formino una rosa. Copritele con un coperchio, e su questo mettete un paio di ferri da stiro o qualunque altro peso a vostro piacere. Mentre le costolette si freddano sotto peso, preparate una salsa besciamella. Fate liquefare in una casseruolina la metà di un panino di burro da un ettogrammo e mettete poi nel burro liquefatto due cucchiaiate colme di farina. Mescolate, badando di non far prendere colore alla farina, e dopo un paio di minuti versate nella casseruolina un bicchiere e mezzo di latte. Condite con sale, pepe e un nonnulla di noce moscata, e mescolate sempre, finchè avrete una salsa spessa, vellutata e senza grumi. Toglietela allora dal fuoco e amalgamateci prestamente un torlo d'uovo e una cucchiaiata di parmigiano grattato. Le costolette, freddandosi sotto il peso, saranno rimaste ben spianate. Prendetele una alla volta tenendole per l'ossicino e immergetele nella salsa calda in modo che si rivestano da ambo le parti di uno strato di crema. Tornate ad appoggiare man mano le costolette sul marmo e lasciatele freddare così. Dopo un'oretta, e quando sarà il momento di andare in tavola, con una lama di coltello staccate le costolette col loro involucro di salsa rappresa, passatele nella farina, nell'uovo sbattuto, e quindi nel pane grattato. Con la lama stessa del coltello procurate di dar loro una bella forma, e, delicatamente, immergetele in una padella con abbondante strutto od olio. La padella dovrà essere molto calda, poichè essendo le costolette già cotte, non si tratta che di riscaldarle, e di fissare colla panatura la salsa intorno ad esse. Se la padella fosse troppo fredda, la panatura scoppierebbe e la salsa andrebbe a passeggio per la padella. La salsa besciamella dovrà essere di giusta consistenza, non troppo liquida ma nemmeno troppo elastica, perchè in questo caso non si attaccherebbe sulla costoletta. Deve avere la densità di una crema ben rappresa. Se vorrete fare una Villeroy ancor più fine, potrete unire nella salsa dei dadini piccolissimi di prosciutto o di lingua, od anche di tartufa neri.
spruzzateci sopra un bicchierino di marsala. Quest'addizione è facoltativa, ma noi la consigliamo perchè comunica un più gradevole sapore alla pietanza
Mettete in una terrinetta un ettogrammo di burro e con un mestolo di legno lavoratelo a lungo finchè sarà diventato soffice. A questo punto aggiungeteci un uovo intero e quando quest'uovo sarà amalgamato aggiungete ancora un rosso. Tritate sul tagliere 100 gr. di prosciutto cotto, solo magro. Finalmente mettete sul setaccio di fil di ferro 100 gr. di mollica di pane fresca, già grattata alla grattugia e forzando con le mani, passatela. È una operazione che si fa facilmente. Mettete il prosciutto e la mollica grattata nel composto di burro e uova, aggiungete un cucchiaio colmo di farina e mescolate ancora per incorporare ogni cosa. Prendete un recipiente più largo che alto, ad esempio una teglia, riempitela d'acqua e mettetela sul fuoco. Quando l'acqua bollirà tirate il recipiente sull'angolo del fornello e provate un pezzettino di composto formandone una pallina e facendola cadere nell'acqua bollente. Se questo composto fosse troppo molle e non si rassodasse perfettamente aggiungeteci ancora un po' di farina mescolandola con delicatezza; se invece la pallottolina risultasse troppo dura dovreste aggiungere un altro pochino di mollica di pane grattata. Quando avrete verificato la consistenza del composto, con un cucchiaino bagnato nell'acqua calda prendetene una quantità come una grossa noce, e con un altro cucchiaino anche bagnato in acqua calda o con una lama di coltello date bella forma alla chenella in modo che prenda la forma di un piccolo uovo, e poi immergete il cucchiaino nell'acqua che dovrà essere caldissima ma non bollire. Vedrete che la chenella si staccherà subito dal cucchiaio. Procedete così fino ad esaurire il composto e quando avrete fatto tutte le chenelle, lasciatele ancora qualche minuto nell'acqua bollente (cinque o sei minuti) poi estraetele con una cucchiaia bucata, lasciatele ben sgocciolare e accomodatele nel piatto di servizio. Al momento di mandarle in tavola innaffiatele con un po' di burro che avrete fatto friggere a color nocciola in una padellina.
aggiungeteci un uovo intero e quando quest'uovo sarà amalgamato aggiungete ancora un rosso. Tritate sul tagliere 100 gr. di prosciutto cotto, solo magro
Prendete una gallina tenera e bene in carne — o un bel pollo — e dopo averla, ben nettata, mettetela in una casseruola, copritela di brodo, aggiungete qualche aroma, un po' di sale se è necessario, e lasciate cuocere adagio fino a cottura completa, per la quale si richiederà circa un'ora. Estraete la gallina e lasciatela raffreddare. Dividetela allora in pezzi regolari, e cioè le cosce suddivise ancora in due pezzi, le due ali, alle quali lascerete aderenti i filetti del petto, il pezzo centrale del petto, nonchè la cassa, ben pareggiata col coltello e tagliata in due pezzi. Immergete ogni pezzo in una salsa, chaudfroid, fredda ma non rappresa, e disponete man mano i pezzi su una teglia, senza che abbiano a toccarsi. Decorateli, se credete, con qualche fettina di tartufo nero e innaffiateli con della gelatina di carne appena liquefatta che farete cadere sui pezzi di gallina per mezzo di un cucchiaio. Portate la teglia in luogo fresco o mettetela un momento sul ghiaccio, affinchè la salsa e la gelatina possano rapprendersi e quest'ultima possa dare il lucido ai vari pezzi di gallina. Prendete ora una piccola stampa da bordura di una ventina di centimetri di diametro, riempitela di gelatina fusa e mettetela a gelare. Giunta l'ora del pranzo sformate la bordura di gelatina su un piatto rotondo preferibilmente d'argento, e nella bordura disponete con garbo i pezzi di gallina sovrapponendoli in piramide. Finite con una asticciola d'argento e fate servire.
un cucchiaio. Portate la teglia in luogo fresco o mettetela un momento sul ghiaccio, affinchè la salsa e la gelatina possano rapprendersi e quest
A quasi tutti riesce graditissimo il pollo alla diavola, il quale, a dispetto del suo nome infernale, è molto buono e si lascia mangiare senza la più piccola protesta. Sarà preferibile scegliere dei polli non troppo grossi, ma bene in carne e teneri. Dopo avere ben fiammeggiato il pollo per liberarlo dalla peluria, si mette sul tagliere con la groppa in alto, e con un coltello a punta si fende in lungo tutta la groppa. Si apre il pollo, si libera dalle interiora, ai lava e si asciuga. Fatto questo si rimette sul tagliere con la groppa tagliata in giù, e con la mano si preme sul petto, in modo da schiacciare il pollo senza tuttavia deformarlo. Si prepara un piatto con olio, sale e pepe, e con quest'olio preparato si unge bene il pollo, che si mette poi sulla gratella a fuoco piuttosto vivace. Si volta di quando in quando, e lo si unge spesso. Se il pollo è giovine, una mezz'ora di cottura è più che sufficiente. Si mette il pollo nel piatto e si guarnisce con qualche spicchio di limone. Nelle cucine di restaurant o di albergo si usa per questa preparazione una doppia gratella, nella quale il pollo rimane stretto, sì che non si volta il pollo, ma la gratella. Ma trattandosi di cucina di famiglia può bastare una semplice gratella da bistecche. Il pollo viene bene ugualmente.
da schiacciare il pollo senza tuttavia deformarlo. Si prepara un piatto con olio, sale e pepe, e con quest'olio preparato si unge bene il pollo, che
Prendete una noce di vitello molto bianca e molto tenera e lardellatela con dei dadi di lingua e di tartufi neri. Una scatolina di tartufi conservati servirà egregiamente allo scopo. I tartufi in scatola sono già nettati: quindi non c'è da fare altro che aprire la scatolina, ritagliare i tartufi in dadi e lardellarci il vitello. Però nel nostro caso sarà bene che con un coltellino portiate via la corteccia esterna del tartufo mettendo da parte queste rifilature le quale, come vedremo, ci serviranno in seguito. Quando avrete lardellato la noce di vitello con la lingua e i tartufi (s'intende lingua allo scarlatto che si vende dai salsamentari o in mancanza di questa, lardelli di prosciutto crudo) legatela per mantenerla in forma e poi mettetela a cuocere in una casseruola con burro un po' di cipolla poco sedano, carota gialla e prezzemolo. Fate rosolare carne e legumi e quando questi saranno diventati biondi, condite con sale e pepe e poi bagnate la noce con brodo o acqua, coprite la casseruola e lasciate cuocere pian piano. Quando l'acqua o il brodo saranno evaporati e la carne sarà cotta, bagnate ancora con un bicchiere di buon marsala e fate continuare a cuocere pian piano, affinchè la carne possa ben profumarsi. A cottura completa il sugo deve essere ridotto a quasi nulla, essere denso e avviluppare la carne di un lucido mantello saporito. Estraete allora la noce di vitello e senza scioglierla dalla sua legatura appoggiatela sul marmo di cucina o su un piatto, copritela con un altro piatto, mettete su quest'ultimo uno o due ferri da stiro o un altro peso corrispondente, e lasciate freddare completamente.
con un altro piatto, mettete su quest'ultimo uno o due ferri da stiro o un altro peso corrispondente, e lasciate freddare completamente.
Per quattro persone mettete a lessare mezzo chilogrammo di patate, e quando saranno cotte, sbucciatele e infrangetele in modo da ridurle in purè. Condite questa purè mentre è ancora calda con un pezzo di burro come una grossa noce, una cucchiaiata colma di parmigiano grattato, un uovo intero, sale, pepe, noce moscata. Impastate bene ogni cosa e lasciate raffreddare. Preparate in una scodella un paio di provature in pezzetti o mezzo ettogrammo di mozzarella, una cucchiaiata di dadini di formaggi, gruyère, un paio di fette di prosciutto ritagliate in pezzettini, e condite ogni cosa con un po' di parmigiano grattato, sale, pepe e qualche foglia tagliuzzata di basilico fresco. Ungete di burro una stampa da budino senza buco in mezzo, o in mancanza di questa, una piccola casseruola della capacità di circa tre quarti di litro, e sul burro fate aderire del pane pesto finissimo, girando la stampa in tutti i versi e capovolgendola poi per togliere il superfluo del pane. Prendete un poco di composto di patate alla volta e delicatamente appoggiatelo sul fondo e intorno alle pareti della stampa in modo da avere una specie di calotta. Nel vuoto di essa disponete il ripieno, che chiuderete superiormente con un altro poco di composto di patate, serbato per quest'uso. Chiuso il budino spolverizzatene la parte superiore con un po' di pane pesto, mettendoci anche qua e là tre o quattro pezzettini di burro. Cuocete il budino in forno di moderato calore per circa tre quarti d'ora, per dar modo al pane di prendere una bella tinta dorata; poi capovolgetelo su un piatto e fatelo portare in tavola, dove sarà molto gustato. Questo budino si può anche cuocere in una teglia, dandogli la forma di una torta. In questo caso, la cottura può farsi con fuoco sotto e sopra. Per apprezzare come si conviene questa pietanza semplice, ma nutriente e sana, conviene mangiarla calda.
superiormente con un altro poco di composto di patate, serbato per quest'uso. Chiuso il budino spolverizzatene la parte superiore con un po' di pane pesto
Prendete la quarta parte della farina, cioè grammi 50, disponetela in corona sulla tavola e sgretolatevi nel mezzo il lievito di birra. Otto grammi di lievito rappresentano un volume come una piccola noce. Con un dito di acqua appena tiepida, sciogliete prima il lievito, e poi sciogliete e impastate lievito e farina. Ne deve risultare una pasta sufficientemente dura che possa raccogliersi in una palla. Con un coltello fate sulla palla di pasta due incisioni in croce, avvolgete la pasta in una salviettina e mettetela a lievitare in un luogo tiepido. Mentre il lievito cresce prendete la rimanente farina (150 grammi), disponetela a fontana, metteteci in mezzo le uova, il sale e lo zucchero e impastate ogni cosa. Per maggiore comodità, vi avvertiamo che 16 grammi di zucchero in polvere sono, presso a poco, due cucchiaini da caffè ben colmi, e due grammi di sale sono rappresentati da mezzo cucchiaino da caffè, un po' scarso. Lavorate energicamente sulla tavola questa pasta, che risulterà piuttosto dura: lavoratela con le dita, battendola con forza con la mano, fino a che formerà un tutto omogeneo e si staccherà in un sol pezzo. Intanto, in un quarto d'ora o una ventina di minuti, la palla di lievito avrà raddoppiato il suo volume. Prendete allora questo lievito, schiacciatelo tra le mani e tiratelo allargandolo in modo da farne una pizzetta di una diecina di centimetri di diametro, che metterete sopra all'impasto di farina, uova, zucchero e sale. Pigiando e lavorando con le dita e con la mano, fate che le due paste si mescolino intimamente fino a formare un tutto unico. Lavorate ancora un altro poco, e in ultimo aggiungete il burro, il quale, se in inverno, dovrà essere un po' lavorato con la mano per ammorbidirlo. Naturalmente questo lavoro di ammorbidire il burro è perfettamente inutile nella stagione calda. Messo il burro sulla pasta dovrete farlo assorbire, sempre battendo e lavorando con la mano, fino a che avrete ottenuto un impasto elastico, vellutato, che si staccherà in un sol pezzo dalla tavola. Quest'ultima parte non richiederà più di una diecina di minuti di lavoro. Prendete la pasta e disponetela in una terrinetta in cui possa crescere comodamente e mettetela in un luogo tiepido. Dopo un'ora e mezzo quando la pasta ha incominciato a montare, riabbassatela col palmo della mano in modo da arrestare momentaneamente la fermentazione. Fatto questo, coprite la terrinetta col suo coperchio, e portatela in luogo fresco o anche direttamente sul ghiaccio per altre sei o sette ore. Questa apparente anomalia della lievitatura sul ghiaccio è un piccolo segreto che pochi professionisti conoscono. È appunto questo che dà un risultato superiore. Trascorso il tempo stabilito, scoprendo la terrinetta voi troverete che la pasta è salita notevolmente e si presenta in una massa leggera e rigonfia. Da questa pasta conviene ora ricavare o una grande «brioche» o quelle piccole «brioches» che vengono gustate tanto volentieri col caffè e latte, col tè o con la cioccolata.
ottenuto un impasto elastico, vellutato, che si staccherà in un sol pezzo dalla tavola. Quest'ultima parte non richiederà più di una diecina di minuti
Le dosi sono: Farina di prima qualità gr. 180; burro gr. 125; lievito di birra gr. 25; uvetta secca gr. 60; uova intere n. 3; un pizzico di sale; una cucchiaiata di zucchero in polvere. Stacciate la farina, e prendetene la quarta parte che scioglierete in una tazza con il lievito e circa due dita d'acqua appena tiepida, in modo da avere una pasta piuttosto liquida, coprite la tazza e mettetela in luogo tiepido, ma non troppo vicino al fuoco. Questa precauzione è indispensabile, perchè se il lievito sente troppo calore si brucia e perde tutta la sua efficacia. Dopo circa un quarto d'ora il lievito avrà raddoppiato il suo volume. Versatelo allora in una terrinetta dove avrete messo il resto della farina, un pizzico di sale, le tre uova e il burro, di cui conserverete un pezzetto che vi servirà per imburrare la stampa. Impastate tutto con la mano, e poi lavorate con forza la pasta, sollevandola con le dita e sbattendola energicamente contro le pareti della terrina. Dopo cinque o sei minuti la pasta dovrà essere liscia, vellutata ed elastica, e dovrà staccarsi tutta intera. Aggiungete allora lo zucchero, lavorate un altro poco, e mettete in ultimo l'uvetta, che avrete accuratamente mondata e tenuta in bagno in un pochino d'acqua tiepida. Imburrate una stampa della capacità di un litro e mezzo circa. Preferite una stampa piuttosto alta, a disegno ampio, e vuota nel mezzo. Prendete la pasta a piccoli pezzi e fateli cadere nella stampa. La pasta dovrà occupare poco più di un terzo di essa. Mettete la stampa in luogo tiepido e lasciate lievitare. Guardate bene che non vi siano correnti d'aria, nè un eccessivo calore. Dopo un'ora e un quarto, o un'ora e mezzo, la pasta sarà salita fino all'orlo della stampa. Infornate allora il babà, tenendolo per una mezz'ora in forno moderato, così da averlo di un bel colore d'oro. Per assicurarvi della cottura potrete anche immergere nel dolce un lungo ago e vedere se vi rimane attaccata della pasta ancora cruda. Sformate il babà e versateci sopra a cucchiaiate uno sciroppo bollente al rhum, che avrete preparato così. Mettete al fuoco una casseruolina con mezzo bicchiere d'acqua e tre cucchiaiate di zucchero. Fate bollire, ritirate lo sciroppo dal fuoco e mescolatevi un bicchierino di rhum. Per rifinire il babà a perfetta regola d'arte conviene ora fare un piccolo lavoro accessorio, ultimando il dolce con una leggerissima copertura di zucchero detta «ghiaccia piangente». Quest'ultima parte dell'operazione non è, a rigor di termini, necessarissima; ma quando vi sarete abituate ad ultimare il babà in questo modo, continuerete a farlo così, poichè troverete che il lievissimo e semplice lavoro supplementare comunica al babà una finezza di gran lunga superiore. Mettete in una tazza da caffè e latte tre o quattro cucchiaiate di zucchero al velo. In mancanza di questo supplirete con dello zucchero pestato finissimo e poi passato per un setaccino di velato. Inumidite lo zucchero con poca acqua e mescolate con un cucchiaino aggiungendo man mano altra acqua, fino ad avere la densità di una crema piuttosto colante. Regolatevi quindi nell'aggiungere acqua e non mettetene che la quantità strettamente necessaria per non essere costrette ad aggiungere altro zucchero. Preparato questo composto di zucchero spalmate di marmellata d'albicocca il babà già inzuppato, mettendone poca e dappertutto, e poi con un cucchiaio fate cadere dalla cupola in giù lo zucchero colante. Questa operazione è bene farla dopo aver messo il babà in una teglia. Se lo zucchero si spargesse sul fondo di essa Io riporterete sul dolce servendovi di una lama di coltello. Seminate sulla sommità del babà delle pizzicate di
copertura di zucchero detta «ghiaccia piangente». Quest'ultima parte dell'operazione non è, a rigor di termini, necessarissima; ma quando vi sarete abituate
A questo punto prendete una forchettina, o meglio ancora provvedetevi dello speciale utensile per «glassare» formato da un gambo di ferro terminante ad occhiello. Mettete una delle pallottoline preparate su questo utensile, immergetela nella copertura, tiratela su e deponetela su un foglio di carta bianca. Continuate così per tutte le altre. La copertura deve essere di tale densità che glassando il quinto «bonbon» il primo deve essere completamente asciutto. Questi «preferiti», appena glassati e prima che si asciughino, possono venir rotolati nella granella di cioccolata, o di pistacchio; come pure possono essere rotolati su un setaccio di ferro a maglie larghe. In quest'ultimo caso il rivestimento assume l'aspetto di grosse punte. I preferiti possono farsi anche al «fondant».
; come pure possono essere rotolati su un setaccio di ferro a maglie larghe. In quest'ultimo caso il rivestimento assume l'aspetto di grosse punte. I
Esige un po' di cura, e una speciale stampa detta stampa da spumone, la quale è formata da una specie di cupola con relativo coperchio. Generalmente queste stampe hanno la capacità di 3/4 di litro e sono costruite in rame stagnato o più economicamente in ferro stagnato. Si trovano in vendita da tutti i negozianti di articoli per cucina e pasticceria. La cassata si compone di due parti distinte: un involucro di crema e una parte interna, soffice e spumosa, nella quale si aggiungono dei pezzetti di canditi e dei filettarli di mandorle. In altri tempi questa parte interna si faceva con della crema Chantilly; ma ora tutti o quasi tutti i gelatieri adoperano la meringa cotta di cui abbiamo già tenuto parola più avanti a proposito del «Biscuit allo zabaione». Bisogna dunque incominciare col fare un mantecato di crema. Per una stampa ordinaria sufficiente a otto persone potrete fissare queste proporzioni: latte mezzo litro, zucchero gr. 150, rossi d'uovo n. 5, profumo di limone o di vainiglia. Vi raccomandiamo di avere un mantecato ben duro: ciò che otterrete sminuzzando bene il ghiaccio e mescolandolo col sale nelle proporzioni indicate, e poi calcando ben bene attorno alla macchinetta il miscuglio frigorifero. Quando il gelato si sarà rappreso, togliete via le spatole interne della macchinetta, rimettete il coperchio e lasciate un po' maturare il gelato, aggiungendo altro ghiaccio e sale se quello messo in precedenza si fosse un po' liquefatto. Mentre il gelato riposa, preparate la meringa cotta. Montate in neve ben ferma due chiare d'uovo e intanto mettete a cuocere in un polsonetto quattro cucchiaiate di zucchero, inumidite con un po' d'acqua. Dopo pochi minuti di bollore provate la cottura con le dita o con lo stecchino, e quando vedrete che lo zucchero si raccoglierà in una specie di pallina morbida, toglietelo dal fuoco e fatelo cadere in filo sottile sulle chiare montate, mescolando pian piano con l'altra mano. Preparati gli ingredienti principali preparate anche qualche pezzettino di candito e qualche filettino di mandorla che unirete alla meringa. Quest'aggiunta, trattandosi di gelateria alla buona, potrà anche essere omessa. Intanto, avrete posto sul ghiaccio la stampa vuota. Quando sentirete che è ben fredda versatevi sollecitamente il mantecato di crema, che, ripetiamo, dev'essere consistente e con un cucchiaio distribuitelo intorno intorno alle pareti della stampa, in modo da lasciare un vuoto in mezzo. In questo vuoto versate la meringa cotta che dovrà essere anch'essa ben fredda, battete leggermente la stampa, affinchè non rimangano vuoti, pareggiate la superficie, mettete sulla cassata un foglio di carta bianca e poi chiudete la stampa col coperchio. È buona regola stuccare intorno intorno il coperchio con un cordoncino di grasso, o di burro di qualità scadente, affinchè l'acqua salata non possa penetrare nell'interno. Preparata sollecitamente la cassata affondatela in un secchio contenente ghiaccio pesto e sale, coprite il secchio con un grosso strofinaccio ripiegato, e lasciate che la cassata possa gelarsi completamente per un'ora o due. Trascorso questo tempo estraete la stampa, sciacquatela in acqua fresca e poi sformate il gelato.
. Preparati gli ingredienti principali preparate anche qualche pezzettino di candito e qualche filettino di mandorla che unirete alla meringa. Quest
Versate queste droghe in una grossa bottiglia in cui avrete messo alcool a 90 grammi 600 e acqua grammi 350. Quest'aggiunta d'acqua è necessaria perche l' alcool dell'infusione deve avere soltanto 60°. Aggiugete e inoltre mezza stecca di vainiglia tagliata in pezzettini. Chiudete la bottiglia e agitate bene la miscela, lasciate così l'infusione per quindici giorni, agitando ogni giorno energicamente la bottiglia. Dopo questo tempo mettete in una terrina 600 grammi di zucchero con mezzo litro d'acqua, e quando lo zucchero sarà completamente sciolto aggiungetelo nell'alcool. Mescolate, lasciate in riposo per una giornata, poi, per mezzo dell'imbuto di vetro e un cono di carta da filtro, filtrate il vostro liquore al quale unirete infine un decilitro d'acqua di rose. Il macis per chi non lo sapesse è l'involucro della noce moscata ed ha lo stesso profumo di questa, ma più delicato. La cocciniglia costituisce la parte colorante; il cardamomo è una droga esotica formata come di tanti grossi pinoli nei quali sono dei semi bruni aromaticissimi. Di questi granelli potrete adoperarne circa una diecina.
Versate queste droghe in una grossa bottiglia in cui avrete messo alcool a 90 grammi 600 e acqua grammi 350. Quest'aggiunta d'acqua è necessaria
In luglio si raccoglie un'erba aromatica: il dragoncello (Arthemisia Dracunculus) detta anche serpentaria, che serve a preparare un aceto profumato, per insalate, maionesi, salse piccanti, ecc. ecc. Alcune Ditte inglesi hanno messo in commercio questo aceto (Taragon Vinegar). Ma non c'è ragione, per una mammina amante dell'economia, di spendere parecchie lire per delle piccole bottiglie di aceto, mentre si può fare senza nessuna fatica in casa. Il modo più semplice — e che poi è anche il migliore — di preparare l'aceto al dragoncello, consiste nell'introdurre una abbondante quantità di foglie fresche di quest'erba in una bottiglia d'aceto, tapparla e metterla in dispensa per servirsene dopo qualche mese. L'altro metodo, un po' più complicato, consiste invece nel mettere in infusione nell'aceto, insieme col dragoncello, qualche spicchio d'aglio, foglie di salvia, basilico, limo, rosmarino, lauro, qualche chiodo di garofano, ecc. La bottiglia va tenuta per una diecina di giorni al sole, dopo di che si filtra l'aceto e si conserva. Noi però preferiamo il primo metodo che dà un prodotto di un profumo più deciso. Mettendo una cucchiaiata di questo aceto in un'insalata o in una maionese si comunica ad esse un gusto gradevolissimo, il dragoncello si può acquistare da tutti i buoni erbivendoli. Fate attenzione che c'è una qualità di erba simile al dragoncello, ma senza aroma. Le foglie del vero dragoncello, stropicciate fra le dita esalano un odore aromatico che ricorda un poco quello dell'anaci e del comino.
fresche di quest'erba in una bottiglia d'aceto, tapparla e metterla in dispensa per servirsene dopo qualche mese. L'altro metodo, un po' più
Per conservare i carciofi in scatola ci sono diversi sistemi. V'insegneremo il più semplice che è anche il migliore. Alcuni consigliano di dare ai carciofi qualche minuto di ebollizione; ma siccome il carciofo dovrà bollire ancora quando sarà chiuso nella scatola, diventa eccessivamente cotto, tanto che lo si utilizza difficilmente. Prima di tutto per fare i carciofi in scatola ci vogliono... le scatole. Scatole speciali, cilindriche, di latta, con coperchio, le quali si fanno generalmente della capacità di un litro, e si vendono ovunque. Una delle condizioni essenziali della riuscita delle conserve è la sterilizzazione completa dei recipienti, quindi sarà buona regola nettare accuratamente l'interno delle scatole passandoci, per eccesso di precauzione, un batuffolo di bambagia inzuppato nell'alcool di buona qualità. (Non quello industriale!). Fate bollire per qualche minuto una certa quantità d'acqua proporzionata al numero delle scatole che vorrete fare e salatela abbondantemente come si trattasse di cuocervi dei maccheroni. Poi toglietela dal fuoco e lasciatela raffreddare coperta, spremendoci un po' di limone. I carciofi potrete metterli in scatola in due modi: o con le foglie, o gettando via tutte queste e conservando il solo fondo. Se avete dei carciofi molto teneri conservateli con le foglie altrimenti vai meglio mettere da parte i soli fondi, che sono poi la cosa migliore del carciofo. Esaminiamo i due casi. Nel primo, mondate accuratamente i carciofi, spuntatene l'estremità superiore e il torsolo, spaccateli in due, toglietene il fieno interno— se c'è — stropicciateli subito con un pezzo di limone, e gettateli a mano a mano in una grande catina d'acqua fresca, salata e acidulata con del limone. Nel secondo caso, se volete conservare i soli fondi, private i carciofi di tutte le foglie, mozzate completamente il torsolo e poi. per mezzo di un coltellino, tornite i fondi, in modo che rimangano come tante scodelline, stropicciateli col limone e passateli ugualmente nell'acqua fresca acidulata. Quando avrete preparato tutti i carciofi, o i fondi, scolateli dall'acqua e aggiustateli nelle scatole badando di arrivare a un paio di dita sotto l'orlo e evitando di lasciare troppi spazi vuoti. Versate poi in ogni scatola un po' dell'acqua salata che avrete fatto bollire e che dovrà essersi freddata, e fate in modo che quest'acqua copra perfettamente i carciofi, sempre rimanendo un po' sotto l'orlo della scatola. Mettete ad ogni scatola il coperchio, ed accordatevi con lo stagnaio di famiglia perchè proceda immediatamente alla saldatura. Immergete poi le scatole saldate in un caldaio pieno di acqua fredda, portate l'acqua all'ebollizione e fate bollire mezz'ora per i carciofi e venticinque minuti per i fondi. Se durante la cottura vi accorgeste che da qualche scatola si sprigionano delle bollicine, significa che il coperchio non è stato saldato bene, ed occorre risaldarlo. Estraete le scatole dall'acqua, asciugatele, scriveteci sopra quel che contengono, e poi mettete in dispensa. I carciofi così conservati si adoperano come se fossero freschi. Aprendo le scatole con attenzione, nettandole bene, ed asciugandole, con la sola spesa di un coperchio nuovo si possono utilizzare più volte. Quando estrarrete i carciofi dalle scatole passateli in abbondante acqua fresca per toglier loro quel leggero odore di chiuso che qualche volta contraggono.
scatola un po' dell'acqua salata che avrete fatto bollire e che dovrà essersi freddata, e fate in modo che quest'acqua copra perfettamente i carciofi
I chimici hanno portato anche nel campo della conservazione del burro le loro ricerche e, naturalmente, molti sono i metodi proposti. Ma noi ci limiteremo ad insegnarvi quelli che per la loro praticità sono i più adatti a venire eseguiti in una famiglia. Una delle operazioni fondamentali per la conservazione del burro è quella d'impastarlo su una tavola di marmo, con le mani bagnate, allo scopo di eliminare tutto il siero che ancora il burro potesse contenere. Il burro va impastato energicamente come se si trattasse di fare una pasta da tagliatelle. Il marmo deve essere ben pulito, e lavato precedentemente con acqua bollente. Per facilitare l'eliminazione della parte lattifera, sarà bene lavare più volte il burro, mentre lo si impasta, con acqua fresca. Compiuta questa operazione preliminare si possono seguire due sistemi principali. 1o — Si può mettere il burro a strati in un vaso di terraglia pigiando bene i vari strati in modo da non lasciare vuoti, e quando il vaso sarà ben riempito capovolgerlo in una terrinetta contenente acqua fresca. II vaso col burro compie allora lo stesso ufficio della campana del palombaro, elimina cioè l'aria, e permette al burro di conservarsi piuttosto lungamente. L'acqua della terrinetta deve essere rinnovata ogni giorno. 2° — Dopo impastato il burro, lo si cosparge di sale fino, in ragione di un cinque o sei per cento del suo peso — cioè cinquanta o sessanta grammi per un chilogrammo — lo si mette in vaso come è detto più innanzi riempiendolo fino all'orlo, e poi si ricopre con una mussolina bianca, sulla quale si mette ancora uno strato di sale, chiudendo poi il vaso con un foglio di carta pergamena. Quando poi si incomincia ad adoperare il burro, si toglie dal vaso in strati orizzontali, riempiendo il vuoto con acqua fresca, che si rinnoverà tutti i giorni, oppure capovolgendo il vaso nella terrinetta, come più sopra. I barattoli vanno tenuti in una stanza fresca ed asciutta. Questi due sistemi danno ottimi risultati, come buon risultato dà la ghiacciaia, che conserva il burro a temperatura bassissima. Il burro si conserva assai bene con la fusione, o, come si dice, chiarificandolo. Giova però notare che con questo sistema esso perde una certa quantità del suo sapore, e quindi, mentre è ottimo per condimenti, per frittura e in tutte le preparazioni calde, non è ugualmente saporito consumandolo freddo. La chiarificazione si fa così. Si mette il burro in una casseruola, su fuoco debolissimo, e si fa fondere, senza che debba soffriggere. Si tiene la casseruola sul fuoco per una ventina di minuti, fino a che la caseina e il siero si separino e si depongano, lasciando apparire il burro limpidissimo. Si schiuma allora, si passa da un velo o da un setaccino finissimo, e si travasa in un barattolo terraglia. Quando il burro si è rappreso, si ricopre di uno strato di sale, e si chiude con un coperchio o con un foglio di carta pergamenata. Anziché fondere il burro su fuoco nudo, si può anche operare a bagnomaria. Si può conservare così il burro per un lungo periodo di tempo. Per togliere il rancido al burro, il metodo seguente è raccomandabilissimo. Si mette il burro in una terrinetta con acqua, nella quale si sia messo un po' di bicarbonato di soda — 15 grammi per un chilo di burro — e lo si impasta in quest'acqua, lasciandovelo poi per un paio d'ore. Trascorso questo tempo si estrae, si risciacqua in acqua fresca, si stende un po' sottilmente con le mani, si sala con 50 grammi di sale per ogni chilo, si impasta nuovamente e si conserva in barattoli di terraglia. Chiuderemo queste note insegnandovi un mezzo spicciativo per riconoscere se il burro è puro o è mescolato con altri grassi. Si mette un pezzetto di burro come una nocciola in un tubetto di vetro — una di quelle piccole provette adoperate nei laboratori chimici — o in un altro piccolo recipiente, vi si aggiunge un ugual volume di ammoniaca, e si espone alla fiamma di una lampada a spirito per portare burro e ammoniaca all'ebollizione. Dopo pochi secondi di ebollizione, si aggiunge un volume di ammoniaca leggermente maggiore del primo, si chiude il recipiente e si agita. Se il burro contiene margarina, oppure se è irrancidito, si produce una schiuma persistente, mentre nessuna schiuma si produrrà se il burro è puro e fresco.
in una terrinetta con acqua, nella quale si sia messo un po' di bicarbonato di soda — 15 grammi per un chilo di burro — e lo si impasta in quest
A completare la batteria di cucina occorreranno una pesciera e pochi pezzi di rame, ad esempio una casseruola della capacità di un paio di litri, e una un po' più piccola, un piccolo caldaio, un paio di teglie e, se ci si vuole dedicare anche alla pasticceria, un polsonetto e una macchinetta da gelato. Occorreranno poi due o tre padelle di varia grandezza per insaporire erbe, patate, e per friggere, nonchè una padellina per le frittate, che preferibilmente dovrà essere adoperata soltanto per quest'uso. Ci si provvederà inoltre di una scatola di legno pel sale, di una grattugia, di un setaccino di velato e di uno di crine, di un colabrodo, di un passino per le fritture, e di un piccolo vaglio di latta per il pesce, di una gratella per l'arrosto, di un frusta in ferro per le salse e per montare le uova per la pasticceria, di un paio di stampe da budino. Ci vorranno poi un tagliere, qualche coltello assortito — dal coltello pesante per il battuto al coltellino a punta acuminata — un rullo di legno per stendere la pasta, qualche cucchiaio di legno, un tagliapaste a rotella, una macchinetta tritatutto, una macchinetta per il caffè e un macinino anche da caffè, un piccolo macinino per il pepe, un mortaio di pietra col pestello di legno, un batticarne di ferro e qualche stampina da pasticcini, specie di quelli detti da tartelette, che hanno in cucina una infinità di usi. Volendo completare sempre meglio l'arredo, si potrà avere in cucina anche una bilancia a piatti, una piccola ghiacciaia, qualche vasetto per le droghe, una tasca di tela, con una bocchetta spizzata e una liscia, per la pasticceria, una stampa da bordura, e qualche coprivivande di rete metallica. I mobili siano possibilmente verniciati a smalto bianco, potendosi così lavare più facilmente e bene, e i vari oggetti siano tenuti appesi in ordine e ben netti. Ricordate che non è tanto la quantità degli utensili, quanto l'ordine e la pulizia che debbono caratterizzare la cucina moderna, sia essa anche piccola come quella della bambola.
preferibilmente dovrà essere adoperata soltanto per quest'uso. Ci si provvederà inoltre di una scatola di legno pel sale, di una grattugia, di un