Per riconoscere il pesce un primo avvertimento, che può sembrare un paradosso: è, cioè, non affidarsi all'odorato. Un pesce anche freschissimo può tramandare un odore poco rassicurante se si sia cibato di speciali erbe marine o di qualche alimento impuro. Ma questo odore si perde immediatamente non appena il pesce sia sventrato e accuratamente lavato; mentre un pesce pescato da un mese e più, sepolto tutte le sere nel ghiaccio, dissepolto tutte le mattine e copiosamente annaffiato durante le poche ore che rimane esposto al pubblico in attesa del disgraziato che se lo porti a casa, non tramanderà, se odorato, niente di sgradevole, ma alla cottura avrà un saporaccio, le carni saranno molli, e quel che è peggio costituirà un alimento malsano, niente affatto nutriente e difficilmente digeribile. Quindi per non sbagliare quasi mai bisogna affidarsi, completamente alla vista. Quando un pesce sarà bello, novantanove volte su cento sarà anche buono.
, niente affatto nutriente e difficilmente digeribile. Quindi per non sbagliare quasi mai bisogna affidarsi, completamente alla vista. Quando un pesce
Se la meticolosità è necessaria nell'acquisto del pesce, questa meticolosità deve essere spinta agli estremi limiti quando si tratta di crostacei e di molluschi. Aragoste, gamberi, granchi, e i frutti di mare a conchiglia come telline, vongole, ostriche ecc., vanno adoperati vivi, poichè se cucinati dopo la loro lunghissima agonia non valgono più nulla, non solo, ma possono cagionare disturbi gastrici punto desiderabili. Al contrario cotti vivi e messi poi in luogo fresco, si possono conservare ottimamente per qualche giorno senza che il loro sapore e la loro composizione venga a essere alterata. Un abilissimo gastronomo, asseriva che avrebbe più volentieri mangiato una aragosta cotta viva e poi conservata in ghiacciaia per otto giorni, anzichè una appena cotta, ma morta dopo lunga agonia. La prima infatti conserverà la carni fresche e sode, mentre la seconda presenterà una carne grigia e flaccida, alla superficie della quale si potranno talvolta osservare delle sfumature nerastre. Procuratevi quindi sempre aragoste vive, rifiutando quelle morte. Nè lasciatevi allettare dalle grossissime aragoste, perchè le loro carni sono spesso coriacee e in proporzioni misere rispetto alla mole della loro carcassa.
e flaccida, alla superficie della quale si potranno talvolta osservare delle sfumature nerastre. Procuratevi quindi sempre aragoste vive, rifiutando
Dovendo friggere col burro è necessario fargli subire un trattamento che gl'impedisca di diventar nero e di comunicare quindi un brutto aspetto alla frittura. Quest'operazione si chiama «chiarificare il burro», cioè privarlo della parte lattiginosa, che durante la cottura va in fondo alla padella e annerisce. Prendete dunque, secondo la quantità di frittura da fare, uno o più ettogrammi di burro. Mettete questo burro in una casseruolina o in una padellina, e fatelo fondere su fuoco leggero. Quando sarà fuso tirate la casseruolina sull'angolo del fornello e lasciatelo cuocere per una diecina di minuti, ma piano, in modo che non si colorisca. Vedrete che il burro si decomporrà in due elementi: una parte liquida limpidissima, e una parte formata di piccoli flocchi grassi. Passate il burro chiarificato da un setaccino finissimo, o meglio a traverso una salviettina, e usatalo per friggere. Il burro così preparato si conserva molto più lungamente del burro fresco.
Dovendo friggere col burro è necessario fargli subire un trattamento che gl'impedisca di diventar nero e di comunicare quindi un brutto aspetto alla
Due sono i metodi per ottenere dell'arrosto: lo spiede o il forno. Dei due metodi, il primo è senza dubbio il migliore. Sarebbe quindi opportuno che in ogni famiglia ci fosse un girarrosto completo: composto cioè della grande conchiglia in ghisa dove si mette il carbone e qualche pezzetto di legna secca, del girarrosto propriamente detto, e della leccarda, sulla quale andranno a cadere i grassi che sgocciolano durante la cottura. Così senza fumo, senza cattivi odori e con una notevole economia di tempo si ottiene un arrosto ben colorito, succoso e profumato. Per questo genere di cottura dovete ricordare che l'intensità della sorgente calorifica deve essere proporzionata ai volume della carne da arrostire, affinchè la cottura della carne e la sua colorazione procedano di pari passo. Ricordate anche di ungere spesso la carne che sta arrostendo. Per l'arrosto al forno deve egualmente osservarsi lo stesso principio, che cioè cottura e colorazione procedano insieme. Mettete sempre le carni da cuocere nel forno già riscaldato, sia esso il forno della cucina a gas o il fornetto a lamiera, detto forno di campagna. Questa precauzione è necessaria per solidificare subito un leggerissimo strato all'esterno e racchiudere così i succhi che altrimenti andrebbero dispersi. Mantenete una giusta intensità di calore al forno, perchè in caso contrario l'arrosto vi risulterebbe insipido e molle come un pezzo di carne lessata.
Due sono i metodi per ottenere dell'arrosto: lo spiede o il forno. Dei due metodi, il primo è senza dubbio il migliore. Sarebbe quindi opportuno che
Chiuderemo l'esame delle varie farcie occupandoci delle finissime farcie della moderna cucina. In questo genere di farcie si è raggiunto il massimo della squisitezza, e con esse la cucina moderna ha segnato una delle sue più belle affermazioni. La confezione delle farcie alla crema non offre difficoltà, anzi potremmo dire che, rispetto alle altre farcie, il lavoro resta assai semplificato. Solamente bisogna operare con un po' di diligenza. Noteremo qui che il procedimento è identico sia che si tratti di confezionare una farcia di pollame, o di pesce, di selvaggina, ecc. ecc. Le nostre lettrici non dovranno quindi che variare il genere di carne, attenendosi sempre alle stesse dosi e allo stesso procedimento. Le proporzioni sono le seguenti: 250 gr. di carne cruda accuratamente mondata, un bianco d'uovo, un bicchiere e mezzo di crema di latte, sciolta ma molto spessa, 4 gr. di sale e un pizzico di pepe bianco.
lettrici non dovranno quindi che variare il genere di carne, attenendosi sempre alle stesse dosi e allo stesso procedimento. Le proporzioni sono le seguenti
Le chenelle da zuppa si ottengono generalmente con una operazione semplicissima. Preparata ad esempio una farcia di pollo come quella già descritta, prelevatene una piccola quantità con un cucchiaino da caffè che terrete nella mano sinistra. Per mezzo di una lama di coltello lisciate la farcia in modo da darle forma bombata, come un piccolo uovo, ed immergete il cucchiaino nell'acqua bollente che avrete preparato in un recipiente più largo che alto. Immergete nell'acqua anche un secondo cucchiaino e insinuando questo tra la farcia e il cucchiaino tenuto nella mano sinistra, staccate dolcemente la chenella, la quale scenderà per un momento in fondo, per risalire tosto alla superficie. Continuate così a formare le vostre chenelle e dopo pochi minuti, quando si saranno ben rassodate, estraetele con una cucchiaia bucata, lasciatele sgocciolare e distribuitele nelle scodelle del consommé, impiegandone ad esempio quattro o cinque per scodella. È necessario che l'acqua del recipiente non abbia al momento della formazione delle chenelle, un bollore dichiarato. Sarà quindi opportuno eseguire l'operazione dopo aver ritirato il recipiente sull'angolo del fornello, in modo che l'acqua sia a qualche grado sotto a quello dell'ebollizione.
bollore dichiarato. Sarà quindi opportuno eseguire l'operazione dopo aver ritirato il recipiente sull'angolo del fornello, in modo che l'acqua sia a
Secondo l'uso cui essa è destinata, se cioè occorre più o meno densa, variano le proporzioni dei componenti: burro, farina e latte. Il procedimento per fare la salsa è molto semplice. Si mette il burro in una casseruolina su fuoco moderato. Quando il burro è liquefatto si aggiunge la farina e si fa cuocere senza farle prendere colore e mescolandola continuamente con un cucchiaio di legno. Dopo un paio di minuti si versa nella casseruola il latte, si stempera bene il composto di farina e burro, si condisce con sale, e un nonnulla di noce moscata, e, senza smettere mai di mescolare, si fa addensare la salsa. Molti la chiamano balsamella. Ciò è improprio. Il nome francese della salsa è «béchamelle» perchè attribuita al marchese di Béchamel, maggiordomo del Re Luigi XIV. Volendo quindi italianizzare il nome, ci sembra più logico tradurlo con besciamella anzichè con balsamella, parola che non significa nulla. Le proporzioni della salsa verranno date volta per volta, secondo i casi. Generalmente le dosi per una salsa di media densità sono le seguenti: burro cinquanta grammi, farina due cucchiaiate (cinquanta grammi) e un bicchiere e mezzo di latte, pari alla terza parte di un litro.
, maggiordomo del Re Luigi XIV. Volendo quindi italianizzare il nome, ci sembra più logico tradurlo con besciamella anzichè con balsamella, parola che
Portate ogni cosa sull'angolo del fornello. Rompete nella salsa un rosso d'uovo e con un frullino di legno o con una piccola frusta di ferro stagnato incominciate a lavorare la composizione, aggiungendo di quando in quando un pezzettino di burro. In sostanza si tratta di fare una specie di maionese a caldo adoperando il burro invece dell'olio. Quindi non mettete un altro pezzettino di burro se il precedente non si è bene amalgamato alla massa. Di burro ne dovete impiegare un ettogrammo. Vedrete che man mano, lavorando sempre la salsa, questa si gonfia e assume morbidezza di crema. Quando sarà ben montata, levatela dal bagnomaria, mescolateci un paio di cucchiaiate di crema di latte montata (chantilly senza zucchero), spremeteci su qualche goccia di sugo di limone e versatela nella salsiera.
a caldo adoperando il burro invece dell'olio. Quindi non mettete un altro pezzettino di burro se il precedente non si è bene amalgamato alla massa
Trattandosi di una minestra in brodo crediamo che una quindicina di tortellini per scodella potranno bastare. Preparare anzitutto il ripieno. Si prende un bel pezzo di midollo di bue, si trita e si scalda un pochino per averlo ben morbido. A questo midollo si aggiunge, in una terrinetta, una eguale quantità di parmigiano grattato, un pezzetto di burro, un paio di fette di prosciutto e mortadella di Bologna, tritati fini, due rossi d'uovo, un pizzico di sale e un nonnulla di noce moscata. Con un cucchiaio di legno s'impasta bene il tutto e si procede alla confezione della pasta all'uovo. Con una sfoglia di un uovo vengono una cinquantina di tortellini; quindi per 150 tortellini impasterete tre uova con 300 grammi di farina. Procurate che la sfoglia non riesca dura e stendetela piuttosto sottile. Con un tagliapaste del diametro di 4 centimetri o, in mancanza di questo, con la bocca di un bicchierino di marsala tagliate tanti dischetti in ognuno dei quali metterete una puntina del composto preparato. Ripiegate il dischetto in due, una metà sull'altra, spingete con le dita l'orlo affinchè le due parti si chiudano bene, poi rialzate l'orlo stesso e portate le due estremità una sull' altra ottenendo così la tradizionale forma del tortellino. Il quale è più piccolo del cappelletto romano e, quando è chiuso, ha quasi la forma di un anellino. Fatti tutti i tortellini — sarà meglio confezionarli il giorno prima — metteteli allineati su una tavola con un tovagliolo leggermente infarinato sotto e lasciate che si asciughino.
una sfoglia di un uovo vengono una cinquantina di tortellini; quindi per 150 tortellini impasterete tre uova con 300 grammi di farina. Procurate che la
I veri vermicelli con le vongole sono facilissimi, ma non tutti, specie i non napolitani, li sanno cucinare a perfetta regola d'arte. Questi vermicelli non tollerano elementi estranei di nessun genere: non debbono esser fatti che con olio, un po' d'aglio, vongole e pomodoro; e soprattutto niente alici, che taluni erroneamente aggiungono. Per riuscire bene, bisogna che i vermicelli abbondino in sugo e in vongole. Per quattro persone noi vi consiglieremmo quindi un chilogrammo di questi saporitissimi frutti di mare. Un nemico capitale da evitare a qualunque costo è la rena; quindi prima di ogni altra cosa mettete le vongole in una catinella piena d'acqua e lavatele energicamente; cambiando, se occorre, l'acqua. Fatto ciò passatele in una padella piuttosto grande con una cucchiaiata d'olio, copritele e mettetele sul fuoco. Fate saltellare le vongole affinchè possano sentire tutte ugualmente il calore. Vedrete che in due o tre minuti saranno aperte. Levate allora la padella dal fuoco e aiutandovi con un cucchiaino staccate a una a una le vongole dal guscio. I gusci li getterete, le vongole le raccoglierete in una scodella. Se vi accorgeste che le vongole contenessero ancora molta rena, potrete lavarle un'altra volta con un ramaiolo d'acqua appena tiepida, poi tirarle su, e passarle in un'altra scodella pulita. Quando avrete sgusciato tutte le vongole, vedrete che nella padella sarà rimasto un abbondante liquido dall'aspetto torbido. Guardate di non gettarlo via perchè è appunto quello che darà il profumo alla pietanza. Prima di adoperarlo però voi dovrete aspettare un pochino, per dar modo alla rena di posarsi sul fondo della padella. Soltanto allora inclinate leggermente questa e decantate il sugo in una tazza, avvertendo che il fondo terroso rimanga nella padella. Dopo questa operazione principale, prendete un tegame di terracotta o una padella o anche una casseruola di rame, ove metterete mezzo bicchiere d'olio e uno spicchio d'aglio. Portate sul fuoco, e appena l'aglio incomincia a soffriggere toglietelo, e aggiungete tre o quattro cucchiaiate di salsa di pomodoro in scatola o un chilogrammo abbondante di pomodori freschi passati dal setaccio. Condite con sale e pepe, aggiungete il sugo delle vongole, un pochino di acqua, se ce n'è bisogno, e fate cuocere la salsa. Quando questa sarà addensata aggiungete le vongole, e lasciatele bollire per due o tre minuti, affinchè non induriscano troppo. Avrete messo intanto a cuocere la quantità di vermicelli necessaria — per quattro persone circa mezzo chilogrammo. — Teneteli piuttosto duri di cottura, scolateli, conditeli con la salsa preparata, finiteli con un pizzico di pepe e una cucchiaiata o due di prezzemolo trito ben verde.
consiglieremmo quindi un chilogrammo di questi saporitissimi frutti di mare. Un nemico capitale da evitare a qualunque costo è la rena; quindi prima di ogni
Gli antipasti caldi sono piccole preparazioni, le quali, in un pranzo, seguono immediatamente le minestre e servono di transizione tra queste e i grossi pezzi. La caratteristica assoluta di queste preparazioni deve essere la leggerezza. Come ebbe a dire il Maestro Escoffier, gli antipasti caldi, dal punto di vista della logica gastronomica, sono un pleonasmo e nulla, se non l'abitudine, ne ha giustificato l'uso. Non debbono quindi essere considerati che come una specie di piacevole intermezzo. Bisogna dunque studiarsi di fare delle preparazioni minuscole e graziose, qualche cosa come uno speciale petit-four, che, in un certo modo, possa solleticare gradevolmente l'appetito del convitato senza aggravarne lo stomaco. Infinite le preparazioni che possono figurare negli antipasti caldi, purchè si tenga presente quanto abbiamo già esposto nei riguardi della leggerezza, della grazia e della esattezza. La cucina moderna accoglie di preferenza tra gli antipasti caldi le barchette, riservate generalmente a guarniture di pesci, molluschi e crostacei, le tartelette, impiegate di preferenza per preparazioni a base di pollame, di caccia, ecc., le bouchées, più conosciute da noi col nome di petitspatés — ricordando che quando debbono servire per antipasti queste bouchées si faranno di misura assai più piccola dei soliti petits-patés — e i cannelloni, specie di cannoncini di pasta sfogliata, di cui le lettrici, come per le bouchées, troveranno il modo di esecuzione nel capitolo dei dolci.
, dal punto di vista della logica gastronomica, sono un pleonasmo e nulla, se non l'abitudine, ne ha giustificato l'uso. Non debbono quindi essere
Queste crocchette si possono fare tanto con gli usuali capellini quanto con della pasta all'uovo tagliata molto fine. Si cuociono i capellini in acqua e sale, avvertendo di tenere la cottura relativamente breve; si scolano, si candiscono con un po' di burro e parmigiano e si allargano in un piatto piuttosto largo. Quando sono quasi tiepidi se ne prende un po' nel cavo della mano, ci si mette in mezzo un piccolo ripieno che può essere fatto sia con pezzetti di prosciutto, sia con formaggio fresco, sia con prosciutto e formaggio fresco insieme, sia con regaglie di pollo, pezzettini di carne cotta, ecc. Si chiude dando la forma di una usuale crocchetta e si mette in un piatto lungo dove si lascia freddare completamente. Si continua così fino ad esaurire tutti i capellini disponendo man mamo le crocchette ultimate una vicina all'altra nel piatto l'ungo. Pochi momenti prima dell'ora di colazione si prendono ad una ad una le crocchette, si passano nella farina, poi nell'uovo sbattuto e quindi nel pane pesto procurando di dar loro una buona forma. Si friggono poche alla volta in padella molto calda e appena di bel color d'oro si levano dalla padella e si lasciano sgocciolare. Si accomodano a piramide in un piatto con salviettina.
colazione si prendono ad una ad una le crocchette, si passano nella farina, poi nell'uovo sbattuto e quindi nel pane pesto procurando di dar loro una buona
Con mezzo ettogrammo di burro, due cucchiaiate ben colme di farina e un bicchiere di latte fate una besciamella molto densa, canditela con sale, poca noce moscata e lasciatela freddare. Prendete una grossa palla di spinaci lessati, spremetela per mandar via tutta l'umidità che contiene e passatela dal setaccio. Incorporate gli spinaci, alla besciamella aggiungete due rossi d'uovo, due cucchiaiate di parmigiano grattato e mischiate bene. Prendete una cucchiaiata alla volta del composto, foggiatene delle crocchette che passerete prima nella farina, poi nell'uovo sbattuto (se volete economizzare potrete servirvi delle sole chiare rimaste) e quindi nel pane grattato. Friggete le crocchette a padella calda.
potrete servirvi delle sole chiare rimaste) e quindi nel pane grattato. Friggete le crocchette a padella calda.
Generalmente lo spauracchio del tifo trattiene molti dal gustate crudo lo squisito mollusco. È perciò consigliabile di cuocere le ostriche per evitare apprensioni o rimorsi postumi, tanto più che anche cotte le ostriche si prestano a gustosi manicaretti Per la seguente ricetta calcolate tre o quattro ostriche a persona. Apritele, estraetele dal guscio e fatele sobollire per pochi minuti con un po' d'acqua e sale alla quale aggiungerete l'acqua delle ostriche che si raccoglie mentre si aprono. Con una ventina di grammi di burro, una cucchiaiata abbondante di farina e mezzo bicchiere abbondante di latte fate una salsa besciamella densa che condirete con sale, pepe e un nonnulla di noce moscata. In questa salsa immergerete le ostriche una ad una per mezzo di una forchetta in modo che rimangano mascherate di salsa e appoggiatele a distanza sul tavolo di cucina aspettando si freddino completamente. Quando saranno ben fredde e la salsa avrà quindi formato intorno alle ostriche un bel rivestimento piuttosto duro, staccatele con garbo, passatele nella farina, nell'uovo sbattuto e quindi nel pane pesto procurando di dare loro bella forma. Friggetele nell'olio o nello strutto a padella molto calda e disponetele in piramide su un piatto con salviettina.
completamente. Quando saranno ben fredde e la salsa avrà quindi formato intorno alle ostriche un bel rivestimento piuttosto duro, staccatele con garbo
Per una dozzina di pizzette, sufficienti a quattro persone, mettete in un'insalatiera 250 grammi di farina stacciata, sgretolateci in mezzo una quindicina di grammi di lievito di birra, aggiungete un pizzico di sale e poi sciogliete il tutto con dell'acqua tiepida. Mettete l'acqua poca alla volta sciogliendo il lievito tra le dita ed impastando la farina. La pasta dovrà essere molto morbida, sul tipo di quella per il babà. Perciò aggiungete piano piano dell'acqua fino alla consistenza necessaria. Sbattete energicamente la pasta con la mano e non vi stancate poichè dovendo essere, come vi abbiamo detto, questa pasta assai morbida è necessaria lavorarla molto per farle acquistare dell'elasticità e quindi della consistenza. Dopo una diecina di minuti la pasta dovrà essere elastica e vellutata e dovrà staccarsi in un sol pezzo dalle pareti della terrinetta. Fino a che non avrete ottenuto questo risultato non dovrete cessare di sbattere. Quando la pasta sarà al suo giusto punto di lavorazione, copritela e lasciatela lievitare in luogo tiepido per un'ora abbondante. Vedrete che aumenterà di molto il suo volume. Mentre la pasta lievita preparate il condimento. Prendete mezzo chilogrammo di bei pomodori, tuffateli un momento in acqua bollente, spellateli, privateli dei semi, tagliateli in filetti e cuoceteli in una padellina con dell'olio. Portate la cottura a fuoco vivace affinchè i filetti restino interi. Conditeli con sale e pepe, e metteteli da parte. Tagliate in dadini un ettogrammo di mozzarella napolitana o di provatura romana. Lavate, spinate e fate in pezzetti tre o quattro alici salate e raccogliete alici, mozzarella e pomodoro in una scodella, ultimando il composto con una forte pizzicata di origano.
abbiamo detto, questa pasta assai morbida è necessaria lavorarla molto per farle acquistare dell'elasticità e quindi della consistenza. Dopo una diecina
I piatti d'uova sono le amenità più... amene dei libri di cucina. Ogni autore culinario fa a gara per offrirne ai lettori una serie numerosa, quanto inutile. Un famoso cuoco ha perfino pubblicato un volume nel quale s'insegnano mille modi di cucinare le uova! È evidente che tutte queste preparazioni, fredde o calde, di uova, siano sul piatto, fritte, sode, affogate, rapprese, in frittata, ecc. ecc. non differiscono l'una dall'altra che per particolari insignificanti. Noi, quindi, fedeli al nostro programma, ispirato a criteri pratici, risparmieremo alle gentili signore che ci leggono, la noia di una interminabile raccolta di ricette su per giù uguali, e ne citeremo, senz'altro, poche, ma buone e variate.
particolari insignificanti. Noi, quindi, fedeli al nostro programma, ispirato a criteri pratici, risparmieremo alle gentili signore che ci leggono, la noia
Prendete un piatto piuttosto profondo e versateci della gelatina di carne liquefatta, che farete scorrere sul fondo in modo da avere uno strato regolare. Fate rapprendere la gelatina. Intanto preparate il numero occorrente di uova affogate che terrete però un pochino più cotte delle consuete uova. Lasciate freddare queste uova, e con la punta di un coltellino o con un tagliapasta togliete via quelle sbavature che eventualmente si fossero formate. Ponete ogni uovo sopra una fetta di prosciutto cotto tagliata in forma circolare, ma un po' più grande dell'uovo e, procedendo con garbo, allineate le varie uova sul piatto, disponendole sullo strato di gelatina rappresa. Su ogni uovo mettete una fettina di tartufo nero, e poi, sempre procedendo con attenzione, versate nel piatto altra gelatina fusa, tanta da ricoprire le uova. Mettete il piatto sul ghiaccio o in luogo freddo e lasciate rapprendere. Specialmente opportuno è in questo caso, servirsi di un piatto d'argento, che comunica una maggiore distinzione alla preparazione. Abbiamo detto di guarnire ogni uovo con una fettina di tartufo. È una aggiunta che sta molto bene, ma di cui, volendo, si può fare anche a meno. Il merito di questa pietanzina consiste sopratutto nella sua eleganza. Quindi è bene servirsi di due tagliapaste rotondi: uno di cinque centimetri per pareggiare le uova e uno di sette per ritagliare i dischi di prosciutto cotto.
questa pietanzina consiste sopratutto nella sua eleganza. Quindi è bene servirsi di due tagliapaste rotondi: uno di cinque centimetri per pareggiare le
Ponete delle sogliole (ne calcolerete una a persona), bene nettate e lavate, in una teglia imburrata. Aggiungete nella teglia un poco di cipolla tagliata finemente, salate le sogliole, spruzzatele leggermente di vino bianco, copritele con un foglio di carta imburrato e mettetele in forno vivace per due o tre minuti, il tempo necessario per rassodare la carne. Toglietele dalla teglia e lasciatele raffreddare su un panno. Passatele poi nell'uovo sbattuto e quindi nella mollica di pane fresco grattata in cui avrete aggiunto una cucchiaiata di lingua e prosciutto cotto, tagliati a pezzettini. Deponete le sogliole così preparate in uno di quegli eleganti piatti di porcellana resistenti al fuoco, che avrete imburrato, sgocciolatevi sopra un pochino di burro fuso e mettetele nuovamente in forno ben caldo, finchè le sogliole abbiano preso un bel color d'oro. Levate il piatto dal forno, gettatevi dentro qualche dadino di mollica di pane, e innaffiate abbondantemente ogni cosa con burro, nel quale farete liquefare sul fuoco due o tre alici.
sbattuto e quindi nella mollica di pane fresco grattata in cui avrete aggiunto una cucchiaiata di lingua e prosciutto cotto, tagliati a pezzettini
Si calcola una conchiglia a persona. Come ripieno si usa del pesce cotto al sauté o lessato. Si può quindi, per questa preparazione, trarre partito da qualche pezzo di pesce che vi fosse avanzato. Le qualità migliori sono la spigola, il dentice, l'ombrina, l'aragosta, ecc. Prendete del pesce già cotto, spinatelo accuratamente e ritagliatelo in pezzi non molto grandi, ma regolari. Mettete adesso una casseruolina sul fuoco con una buona cucchiaiata di burro e quando sarà liquefatto aggiungete una cucchiaiata di farina. Fate cuocere pian piano sull'angolo del fornello sempre mescolando e poi bagnate con un bicchiere e mezzo di latte. Amalgamate il tutto, lasciate bollire insensibilmente per una diecina di minuti, condite con sale e ultimate la salsa fuori del fuoco con del sale, un torlo d'uovo e una cucchiaiata colma di parmigiano grattato. Ungete leggermente di burro le conchiglie, versate nel fondo di ognuna un cucchiaio scarso di salsa e su questa accomodate il pesce calcolandone due o tre pezzetti per ogni conchiglia. Ricoprite il pesce con dell'altra salsa, spolverateci su un po' di pane pesto finissimo e guarnite così tutte le conchiglie. Accomodatele adesso su una grande teglia, mettete su ogni conchiglia qualche pezzettino di burro e lasciatele in forno per una diecina di minuti, affinchè la salsa che ricopre il pesce possa gratinarsi. Si servono generalmente in un piatto grande guernito con salvietta oppure si presenta una conchiglia a ciascun convitato, appoggiandola su un piatto con salviettina. Come vedete è una cosina semplicissima, ma che dà un ottimo risultato.
Si calcola una conchiglia a persona. Come ripieno si usa del pesce cotto al sauté o lessato. Si può quindi, per questa preparazione, trarre partito
Le ciriole del Tevere hanno la pelle molto delicata e quindi non vanno spellate. Si privano della testa, si nettano accuratamente e si ta-gliano in pezzi di circa cinque centimetri. Per un chilogrammo di ciriole mettete in una casseruola un pochino d'olio, mezzo spicchio d'aglio tritato e quattro o cinque cipolline novelle finemente tritate. Quando la cipolla avrà preso una bella colorazione bionda, mettete giù le ciriole accuratamente risciacquate, conditele con sale e pepe e lasciatele insaporire. Quando ogni traccia di umidità sarà scomparsa, bagnatele con mezzo bicchiere di vino bianco e una cucchiaiata di salsa di pomodoro. Mescolate e quasi subito dopo aggiungete mezzo chilogrammo di pisellini sgranati. Mescolate, coprite la casseruola e lasciate cuocere, aggiungendo, se il bagno si asciugasse troppo, qualche cucchiaiata d'acqua. A cottura completa fate servire ben caldo.
Le ciriole del Tevere hanno la pelle molto delicata e quindi non vanno spellate. Si privano della testa, si nettano accuratamente e si ta-gliano in
Una delle preparazioni più appetitose del vitello è certamente il cosidetto «vitello tonné» di cui ci sono un gran numero di ricette. Per l'esperienza più volte fattane, riteniamo migliore di tutte la seguente, la quale se è un pochino più costosa delle altre, dà in compenso, un ottimo risultato. Mettete in una casseruola un bel pezzo di vitello magro del peso di circa un chilogrammo, 300 grammi di tonno sott'olio tagliuzzato, una cipolla in fette sottili, quattro alici lavate, spinate e fatte in pezzi, sale e pepe e mezzo litro di vino bianco. Regolatevi che la casseruola sia proporzionata alla quantità del vitello e che quindi non sia nè troppo grande, nè troppo piccola. Mettete la casseruola su fuoco moderato, copritela bene e fate cuocere dolcemente il vitello. Quando la carne sarà cotta, mettetela in una terrinetta, passate al setaccio tutto quello che è rimasto nella casseruola e diluite questa poltiglia con mezzo bicchiere di olio e il sugo di due limoni. Versate la salsa così ottenuta sulla carne, aggiungete una cucchiaiata di cetriolini sotto aceto, tagliati in fettine, coprite la terrinetta, e non mangiate il vitello tonné che dopo qualche ora, o meglio il giorno appresso, affinchè possa avere il tempo di insaporirsi bene. Tenete la terrina col vitello in un luogo fresco, e man mano che vi occorre affettatelo. Si conserva parecchi giorni.
alla quantità del vitello e che quindi non sia nè troppo grande, nè troppo piccola. Mettete la casseruola su fuoco moderato, copritela bene e fate
Queste costolettine, le quali sono sempre assai gradite in una colazione o in un pranzo, godono presso talune mammine una ingiustificata nomea di difficoltà. Niente di più esagerato! Seguendo le nostre semplicissime istruzioni, ognuna delle lettrici riuscirà a preparare in modo impeccabile queste appetitose costolette. Per sei persone occorrono sei costolette doppie di abbacchio, cioè comprendenti due costole, oppure dodici costolette semplici. Il negoziante stesso è quello che generalmente prepara le costolette, quindi fatele tagliare da lui. L'operazione è del resto molto semplice. Si tratta di dividere col coltello le costole, una per una, o due per due, a seconda si desiderano delle cotolette semplici o doppie, di fare col coltello un piccolo intacco nella parte superiore della costola e tirare giù la pelle per mettere a nudo l'ossicino, avvolgendo poi questa pelle intorno all'altra estremità carnosa, quella che costituisce la costoletta. Una energica spianata con lo spianacarne e la costoletta è pronta. Ma, ripetiamo, chi trovasse l'operazione troppo difficile, la faccia fare direttamente dal negoziante. Mettete un pezzo di burro o una cucchiaiata di strutto in una teglia; ponetela sul fuoco e in essa cuocete le costolette. Regolatevi che il fuoco non sia troppo forte. Condite con sale e pepe, e quando saranno cotte spruzzateci sopra un bicchierino di marsala. Quest'addizione è facoltativa, ma noi la consigliamo perchè comunica un più gradevole sapore alla pietanza. Quando il marsala si sarà asciugato, estraete le costolette, e mettetele sul marmo di cucina — che avrete ben pulito in antecedenza — tutte coll'osso nel centro, in modo che formino una rosa. Copritele con un coperchio, e su questo mettete un paio di ferri da stiro o qualunque altro peso a vostro piacere. Mentre le costolette si freddano sotto peso, preparate una salsa besciamella. Fate liquefare in una casseruolina la metà di un panino di burro da un ettogrammo e mettete poi nel burro liquefatto due cucchiaiate colme di farina. Mescolate, badando di non far prendere colore alla farina, e dopo un paio di minuti versate nella casseruolina un bicchiere e mezzo di latte. Condite con sale, pepe e un nonnulla di noce moscata, e mescolate sempre, finchè avrete una salsa spessa, vellutata e senza grumi. Toglietela allora dal fuoco e amalgamateci prestamente un torlo d'uovo e una cucchiaiata di parmigiano grattato. Le costolette, freddandosi sotto il peso, saranno rimaste ben spianate. Prendetele una alla volta tenendole per l'ossicino e immergetele nella salsa calda in modo che si rivestano da ambo le parti di uno strato di crema. Tornate ad appoggiare man mano le costolette sul marmo e lasciatele freddare così. Dopo un'oretta, e quando sarà il momento di andare in tavola, con una lama di coltello staccate le costolette col loro involucro di salsa rappresa, passatele nella farina, nell'uovo sbattuto, e quindi nel pane grattato. Con la lama stessa del coltello procurate di dar loro una bella forma, e, delicatamente, immergetele in una padella con abbondante strutto od olio. La padella dovrà essere molto calda, poichè essendo le costolette già cotte, non si tratta che di riscaldarle, e di fissare colla panatura la salsa intorno ad esse. Se la padella fosse troppo fredda, la panatura scoppierebbe e la salsa andrebbe a passeggio per la padella. La salsa besciamella dovrà essere di giusta consistenza, non troppo liquida ma nemmeno troppo elastica, perchè in questo caso non si attaccherebbe sulla costoletta. Deve avere la densità di una crema ben rappresa. Se vorrete fare una Villeroy ancor più fine, potrete unire nella salsa dei dadini piccolissimi di prosciutto o di lingua, od anche di tartufa neri.
. Il negoziante stesso è quello che generalmente prepara le costolette, quindi fatele tagliare da lui. L'operazione è del resto molto semplice. Si
Prendete sei quaglie e dopo averle ben pulite e fiammeggiate togliete loro il collo, le punte delle ali e le estremità delle zampe. Apritele poi praticando un taglio lungo tutto il dorso, e dopo averle ben ripulite anche nell'interno risciacquatele ed asciugatele in una salvietta. Quindi, premendo su ognuna con la mano, schiacciatele in modo da allargarle un poco ed appiattirle: nè più nè meno di come si usa per il pollo alla diavola. Se durante questa operazione ci fosse qualche osso che sporgesse, potrete toglierlo. Condite le quaglie con sale e pepe e poi indoratele in un uovo sbattuto insieme con mezzo cucchiaio di olio. Passatele poi nel pane grattato, o meglio nella mollica di pane grattata, e un quarto d'ora prima di mangiare disponetele su una gratella e fatele cuocere su della brace voltandole spesso affinchè il pane non bruci. Appena cotte accomodatele in un piatto innaffiandole con la seguente salsa. Mettete in una casseruolina mezzo bicchiere di brodo o di acqua e scioglieteci sul fuoco un buon cucchiaino da caffè di estratto di carne in vasetti. Levate la casseruolina dal fuoco e mischiateci, un pezzetto alla volta, mezzo ettogrammo abbondante di burro lavorando sempre la salsa con un mestolino o anche con una piccola frusta e non aggiungendo un pezzetto di burro se il primo non si è amalgamato. Si deve operare come se si trattasse di montare una maionese. Ripetiamo che questa operazione va fatta fuori del fuoco altrimenti la salsa non monta. Quando tutto il burro sarà amalgamato aggiungete ancora qualche goccia di sugo di limone, una cucchiaiata di prezzemolo trito, un buon pizzico di pepe bianco o meglio una puntina di pepe rosso di Caienna e una puntina di aglio schiacciato.
praticando un taglio lungo tutto il dorso, e dopo averle ben ripulite anche nell'interno risciacquatele ed asciugatele in una salvietta. Quindi, premendo
La beccaccia trova nello spiede uno dei modi più felici per mettere in valore tutta la sua finezza e il profumo della sua carne. Spiumate la beccaccia, fiammeggiatela e poi toglietele tutte le interiora che vanno serbate a parte e serviranno per fare degli appetitosissimi crostini che accompagneranno la delicata selvaggina. Risciacquate la beccaccia, asciugatela, conditela nell'interno con un pizzico di sale, cucitela per mantenerla in bella forma e attraversatene il corpo col becco, che deve passare vicino all'attaccatura delle cosce. Poi con due fette larghe e sottili di lardo fasciatele il petto assicurando il lardo con qualche passata di spago. Spolverizzate la beccaccia di sale e infilatela nello spiedo. Con un pennello ungetela di burro liquefatto o strutto o olio e esponetela alla fiamma del girarrosto, fiamma che deve essere piuttosto brillante, poichè la beccaccia non deve cuocere a lungo ma colorirsi esternamente per rimanere appena sanguinante nell'interno. Dovrete tenerla al fuoco da venticinque a trenta minuti non più, sempre che il fuoco sia abbastanza gaio da poter assicurare la cottura. Le beccacce vanno cotte all'ultimo momento e vanno servite ben calde, quindi regolatevi nel metterle a cuocere affinchè non abbiano ad attendere troppo. Un'operazione che invece richiede un pochino più di tempo è quella dei crostini, che, come sapete, accompagnano deliziosamente la beccaccia. Con le interiora di ogni beccaccia vengono sei crostini. Quindi regolatevi in conseguenza a seconda del numero delle beccacce che dovrete cucinare. Da un pane a cassetta possibilmente raffermo, ritagliate delle fette di pane spesse un centimetro scarso e della grandezza di una carta da giuoco. Prendete una teglia in cui i crostini possono stare allineati in un solo strato, mettete del burro in questa teglia, fatelo soffriggere e quando sarà ben sciolto e fumante friggete i crostini da una sola parte avvertendo che il pane non dovrà abbrustolirsi ma prendere una leggerissima colorazione bionda: quindi i crostini debbono stare pochissimo al fuoco. Quando avrete fritto tutte le fette di pane, estraetele e lasciate il burro nella teglia perchè servirà ancora. Mettete adesso sul tagliere tutte le interiora della beccaccia e cioè i polmoni, il cuore, il fegato e le budelline, mettete anche sul tagliere due fegatini di pollo o tre se sono piccini e tritate il tutto grossolanamente. Mettete adesso un po' di burro in una padellina, passateci il trito di fegatini di pollo e interiora di beccaccia, condite con sale e pepe, mezza foglia di lauro, un ramoscello di timo e un pizzico di maggiorana. Fate cuocere mescolando e quando i fegati saranno ben cotti, passate il tutto in un mortaio e pestate ogni cosa. Dopo pestato passate il composto attraverso un setaccio, forzando con un cucchiaio di legno e raccogliete la farcia in una scodella. Mettete adesso sul fuoco una piccola casseruolina o un tegamino con un dito d'acqua e nell'acqua sciogliete un cucchiaino scarso di estratto di carne in vasetti. Mettete in un bicchiere un dito d'acqua fredda e in essa sciogliete mezzo cucchiaino di fecola di patate. Quando l'acqua della casseruolina bollirà e l'estratto di carne si sarà ben sciolto versate in questo sugo un po' della farina di patate disciolta, fino a che la salsa diventerà molto spessa. Mescolatela e quando vedrete che è bene infittita, toglietela dal fuoco e mischiateci una cucchiaiata di buon marsala. Ripetiamo che questa salsa deve essere molto densa. Travasate questa salsa ottenuta nella scodella della farcia, aggiungete un rosso d'uovo e mescolate bene per amalgamare ogni cosa. Con un cucchiaio distribuite in parti uguali questa farcia sui crostini appoggiandola sulla parte del pane che è stata fritta. Con una lama di coltello pareggiate bene la farcia dandole una forma bombata e poi allineate i crostini nella teglia che avrete lasciata in disparte, dove deve esserci ancora del burro avanzato dalla prima cottura dei crostini. Se questo burro non fosse in quantità sufficiente aggiungetene un altro pochino. Dieci minuti prima di servire la beccaccia, infornate la teglia affinchè la parte inferiore del pane possa colorirsi a sua volta, e nello stesso tempo, la farcia possa rassodarsi e colorirsi leggermente. Al momento di mandare in tavola, togliete dallo spiede la beccaccia, liberatela dalle fettine di lardo poste sul petto, e ai lati del piatto, accomodate i crostini guarnendo la vivanda con qualche ciuffo di crescione, risciacquato, bene asciugato e non condito. Se i crostini fossero molti, li farete servire in un altro piatto, a parte. La dose che noi abbiamo dato è per la interiora di una sola beccaccia. Regolatevi quindi in proporzione.
, sempre che il fuoco sia abbastanza gaio da poter assicurare la cottura. Le beccacce vanno cotte all'ultimo momento e vanno servite ben calde, quindi
Scegliete una bella pollastrina giovane e grassoccia, nettatela, bruciacchiatene la peluria, risciacquatela e mettetela in una casseruola in cui vada quasi giusta. Ricopritela d'acqua e mettetela sul fuoco. L'acqua non deve essere troppa, allo scopo di conservare alla gallina il massimo sapore. Su per giù ne dovrete impiegare un litro; ed è per questo che bisogna scegliere un recipiente in cui la gallina non stia troppo larga. Man mano che l'acqua si riscalda schiumate accuratamente la casseruola e quando il bollore si sarà dichiarato condite la gallina con del sale, una cipolla in cui avrete conficcato un chiodo di garofano, una carota gialla, un nonnulla di sedano e un ciuffo di prezzemolo. Coprite la casseruola, diminuite il fuoco e fate bollire pian piano fino a cottura della gallina, la quale non dovrà essere sfatta ma cotta a punto giusto. In meno di un'ora la pollastrina sarà pronta e voi la lascerete in caldo vicino al fuoco coperta del suo brodo. Una ventina di minuti prima della colazione mettete in una casseruola una mezza cipolla tritata sottilmente e una cucchiaiata di burro e fate cuocere questa cipolla su fuoco debolissimo, in modo che non abbia a colorirsi, ma si disfaccia quasi nel burro. A questo punto aggiungete il riso mondato; lasciatelo insaporire un momento, mescolandolo perchè non si attacchi, e poi bagnatelo col brodo del pollo. Portate adesso la cottura a fuoco brillante, fino alla fine. Verificate la sapidità, e se credete aggiungete al risotto un nonnulla di noce moscata grattata, per finirlo poi con un altro po' dì burro e abbondante parmigiano. Tagliate in pezzi regolari la pollastrina, che avrete tenuto sempre in caldo in un po' di brodo, accomodate ì pezzi in un piatto e circondateli col riso. Tenete presente che il risotto ha qui solo il compito di accompagnare la pollastrina. Non ne dovrete fare quindi una quantità eccessiva, poichè la quantità andrebbe necessariamente a scapito della bontà del risultato finale. Il brodo della pollastrina che serve per cuocere COME SI CUCE UN POLLO
il compito di accompagnare la pollastrina. Non ne dovrete fare quindi una quantità eccessiva, poichè la quantità andrebbe necessariamente a scapito
Tutto il pollame destinato ad essere cotto intiero (arrostito, lessato, ecc.) va cucito allo scopo di mantenerne la forma durante la cottura. Dopo aver vuotato e bruciacchiato il pollo si incide la pelle del collo all'attaccatura della testa, tirando giù la pelle si mette a nudo il collo e si taglia alla sua attaccatura. Si tagliano le zampe molto in alto asportando solamente le dita. Si risciacqua quindi il pollo e si asciuga in una salvietta. Servendosi di un grosso ago e di un po' di spago si procede alla cucitura nel modo seguente:
taglia alla sua attaccatura. Si tagliano le zampe molto in alto asportando solamente le dita. Si risciacqua quindi il pollo e si asciuga in una salvietta
Tagliate delle fettine di fegato spesse mezzo centimetro e piuttosto lunghe. Allineatele in un piatto, conditele con sale, pepe, olio, un po' di prezzemolo trito e lasciatele marinare così per circa un'ora. Al momento di andare in tavola passate le fette di fegato nella farina, quindi nell'uovo e in ultimo nel pane grattato, regolandovi come se si trattasse di preparare delle costolette. Mettete poi in una teglia un pezzo di burro (per economia si può mettere metà olio e metà burro) e friggete il fegato di bel colore. Appena cotto aggiustate le fette in un piatto, gettate un po' di prezzemolo nel burro rimasto nella teglia e sgocciolate il grasso sul fegato. Guarnite il piatto con spicchi di limone e fate portare subito in tavola.
prezzemolo trito e lasciatele marinare così per circa un'ora. Al momento di andare in tavola passate le fette di fegato nella farina, quindi nell'uovo e
Il fegato alla veneziana è notissimo e non necessita quindi lunghe spiegazioni. Si mette a imbiondire in una padella delia cipolla affettata con un po' d'olio e quando la cipolla è ben rosolata si aggiunge il fegato, si condisce con sale e pepe e si fa cuocere pochi minuti a fuoco forte affinchè resti morbido. Se ne calcola generalmente un ettogrammo a persona.
Il fegato alla veneziana è notissimo e non necessita quindi lunghe spiegazioni. Si mette a imbiondire in una padella delia cipolla affettata con un
Il costo di questa rete è minimo. Generalmente la rete viene stesa e lasciata asciugare, di modo che quando si acquista ha l'aspetto di un foglio di pergamena. In genere con una rete si possono fare un paio di galantine. Il pezzo avanzato si arrotola, si lega con uno spago e si sospende all'aria: si conserva così lungamente. Per fare una bella galantina per dodici e più persone prendete un filetto di maiale (lombello) tagliatelo in dadi di un paio di centimetri di lato, e mettete questi dadi in una terrinetta. Comperate un ettogrammo di prosciutto magro, tagliato in una sola fetta, un ettogrammo di lingua salata e ritagliate lingua e prosciutto in grossi dadi che unirete al filetto di maiale nella terrinetta. Tagliate poi in dadi un ettogrammo di lardo, mettetelo in una casseruola, ricopritelo di acqua bollente e lasciatelo così sull'angolo del fornello per una mezz'ora, poi versate questi dadi nell'acqua fredda; e quindi scolateli e aggiungeteli agli ingredienti della terrinetta. In questa terrinetta avremo dunque il filetto di maiale crudo, il prosciutto, la lingua, il lardo, il tutto a dadi. Aggiungete ancora, se credete, un pizzico di pistacchi, i quali vanno messi un pochino in acqua bollente per poterne facilmente levare la buccia, e, se lo stimerete opportuno, un tartufo nero tagliato anch'esso in dadi.
questi dadi nell'acqua fredda; e quindi scolateli e aggiungeteli agli ingredienti della terrinetta. In questa terrinetta avremo dunque il filetto di
Per eseguire bene questa pietanza sarebbe necessaria una terrina in porcellana da fuoco, cioè una specie di casseruola rotonda o ovale a pareti diritte, da potersi chiudere col suo coperchio. Però, in mancanza dell'utensile in porcellana potrete servirvi di una comune casseruola rotonda o ovale. Le dosi sono sufficienti per otto ed anche dieci persone. Potrete quindi diminuirle in proporzione.
dosi sono sufficienti per otto ed anche dieci persone. Potrete quindi diminuirle in proporzione.
Prendete una noce di vitello molto bianca e molto tenera e lardellatela con dei dadi di lingua e di tartufi neri. Una scatolina di tartufi conservati servirà egregiamente allo scopo. I tartufi in scatola sono già nettati: quindi non c'è da fare altro che aprire la scatolina, ritagliare i tartufi in dadi e lardellarci il vitello. Però nel nostro caso sarà bene che con un coltellino portiate via la corteccia esterna del tartufo mettendo da parte queste rifilature le quale, come vedremo, ci serviranno in seguito. Quando avrete lardellato la noce di vitello con la lingua e i tartufi (s'intende lingua allo scarlatto che si vende dai salsamentari o in mancanza di questa, lardelli di prosciutto crudo) legatela per mantenerla in forma e poi mettetela a cuocere in una casseruola con burro un po' di cipolla poco sedano, carota gialla e prezzemolo. Fate rosolare carne e legumi e quando questi saranno diventati biondi, condite con sale e pepe e poi bagnate la noce con brodo o acqua, coprite la casseruola e lasciate cuocere pian piano. Quando l'acqua o il brodo saranno evaporati e la carne sarà cotta, bagnate ancora con un bicchiere di buon marsala e fate continuare a cuocere pian piano, affinchè la carne possa ben profumarsi. A cottura completa il sugo deve essere ridotto a quasi nulla, essere denso e avviluppare la carne di un lucido mantello saporito. Estraete allora la noce di vitello e senza scioglierla dalla sua legatura appoggiatela sul marmo di cucina o su un piatto, copritela con un altro piatto, mettete su quest'ultimo uno o due ferri da stiro o un altro peso corrispondente, e lasciate freddare completamente.
servirà egregiamente allo scopo. I tartufi in scatola sono già nettati: quindi non c'è da fare altro che aprire la scatolina, ritagliare i tartufi in
L'insalata Francillon o insalata giapponese è dovuta, nientemeno, ad Alessandro Dumas hls, il quale, con una trovata che a quei tempi poteva sembrare audace, la descrisse nella seconda scena del primo atto della sua Francillon. Quindi per offrirvi proprio la ricetta autentica, ve la trascriviamo togliendola dalla commedia stessa. Signore mie, un po' di silenzio ed attenzione: è Dumas che parla!
audace, la descrisse nella seconda scena del primo atto della sua Francillon. Quindi per offrirvi proprio la ricetta autentica, ve la trascriviamo
Private il carciofo di tutte le foglie, levate il fieno nell'interno, e aiutandovi con un coltellino tagliate il torsolo e tornite accuratamente il girello del carciofo che dovrà rimanere come una scodellina. Passate i girelli nell'acqua fresca acidulata con qualche goccia di sugo di limone e quando ne avrete preparati una quindicina gettateli nell'acqua bollente salata, e lasciateli bollire per tre minuti. Sgocciolateli, asciugateli delicatamente in una salvietta pulita e riempiteli col seguente composto che intanto avrete preparato. Tritate sul tagliere un paio di ettogrammi di petto di pollo o di tacchino lessato o arrostito (questo piatto potrete farlo, per esempio, quando vi è avanzato del pollo o del tacchino) e mettetelo poi in una terrinetta unendo tre cucchiaiate di salsa besciamella fredda, un rosso d'uovo, un po' di parmigiano grattato, sale, pepe e una puntina dì coltello di noce moscata, nonchè qualche dadino di prosciutto. Riempiti che siano i carciofi li passerete delicatamente nella farina, poi nell'uovo sbattuto, nel pane grattato, e quindi li friggerete avvertendo che giungano in tavola ben caldi. Nella ricetta è detto: petto di pollo o di tacchino. Non avendo nè l'uno nè l'altro si potrà adoperare del vitello o, nella peggiore delle ipotesi, del manzo arrostito: la pietanza rimarrà ugualmente buona. Spetta, naturalmente, al criterio di chi dirige di sapere qualche volta adattare la ricetta ai mezzi di cui si può disporre.
pane grattato, e quindi li friggerete avvertendo che giungano in tavola ben caldi. Nella ricetta è detto: petto di pollo o di tacchino. Non avendo nè
È questa una delle creme più fini della pasticceria moderna. Si rompe in pezzi una tavoletta di cioccolato e si mette in una casseruolina bagnandola con pochissima crema di latte sciolta. Si scalda per liquefare la cioccolata e con un piccolo cucchiaio di legno si scioglie perfettamente. Quindi si travasa in una terrinetta e si lascia freddare. Si prende poi una piccola frusta di filo di ferro e si lavora energicamente la crema fino ad averla leggera e ben montata. Lavorandola imbianchisce un poco. Serve per farcire delle torte e anche delle piccole paste dolci.
con pochissima crema di latte sciolta. Si scalda per liquefare la cioccolata e con un piccolo cucchiaio di legno si scioglie perfettamente. Quindi si
Questa torta finissima è una specialità della pasticceria viennese e prende, dalla ditta fabbricante, il nome di Sacker Tort. Naturalmente la ricetta che vi offriamo oggi è una imitazione di quella originale, ma è tra le limitazioni migliori: cosi da costituire un dolce di una finezza singolare. È la vera torta aristocratica, destinata ai palati eletti; e a questo proposito conviene aggiungere che è relativamente costosa e di un rendimento piuttosto mediocre: ma... è una cosa squisita che potrete eseguire di quando in quando allorchè avrete il desiderio di gustare o di far gustare alle vostre amiche una ghiottoneria di prima classe. Per questo genere di pasticceria il mediocre va inesorabilmente bandito; quindi tutti i componenti della torta dovranno essere sceltissimi: dal burro alla farina, dalle uova al cioccolato. La dose che stabiliamo è per una torta sufficiente a dodici porzioni regolari, tenuto conto del valore nutritivo della torta della quale sarebbe inopportuno abusare.
amiche una ghiottoneria di prima classe. Per questo genere di pasticceria il mediocre va inesorabilmente bandito; quindi tutti i componenti della
Mettete in una insalatiera 200 grammi di farina passata dal setaccio, 250 grammi di zucchero in polvere, un ettogrammo di cacao in polvere non zuccherato, la raschiatura della buccia di un arancio (procurate di raschiare soltanto la parte gialla!) un buon pizzico (2 grammi) di cannella in polvere, 4 grammi di bicarbonato di soda e 4 grammi di cremore di tartaro. Diluite con un quarto di litro di latte e amalgamate tutti questi ingredienti, servendovi di un cucchiaio di legno, fino ad avere un composto senza grumi, liscio e vellutato come una crema, e, senza troppo lavorare l'impasto, travasatelo in una teglia a bordi alti, avente una ventina di centimetri di diametro. Il lavoro dell'impasto si fa rapidamente: bastano al massimo tre o quattro minuti. La teglia va imburrata e poi spolverata di pane finemente grattato. Girate la teglia in tutti i versi, affinchè il pane copra bene le pareti della teglia e poi rovesciatela per far cadere il pane superfluo. Messo giù il composto, passate la teglia in forno piuttosto caldo e lasciate cuocere la torta per una, mezz'ora: forse meno che più. Non deve riuscire molto dura,,quindi estratela dal forno senza farla troppo prosciugare, e quando cioè constaterete al tatto che la pasta, pure essendo ben cotta, conserva una certa morbidezza. Sformate la torta su una griglia da pasticceria o su un largo setaccio e quando sarà fredda accomodatela in un piatto.
cuocere la torta per una, mezz'ora: forse meno che più. Non deve riuscire molto dura,,quindi estratela dal forno senza farla troppo prosciugare, e quando
Si lavora il burro, si aggiungono man mano: lo zucchero, le uova, i rossi la farina, l'uvetta, i canditi, e finalmente il carbonato d'ammoniaca. Invece di foderare la stampa con la carta, si può, più semplicemente, imburrare e infarinare. Un'ora e mezzo di forno temperato. Il Manfredi, come si vede, abbonda nell'uva e nei canditi: ciò che ci sembra logico, dato il nome e il carattere del dolce. Con questa dose si ha un Plum-cake per molte persone. Al'occorenza si potrà ridurre, in proporzione. Il carbonato di ammoniaca si può comperare in qualunque farmaceutica. È innocuo. Ricordiamo alle lettrici, le quali non avessero la bilancia, che, su per giù, una cucchiaiata ben colma di farina pesa circa 30 grammi, e una cucchiaiata colma di zucchero ha lo stesso peso. È quindi facile regolarsi.
zucchero ha lo stesso peso. È quindi facile regolarsi.
Se non disponete della siringa e non annettete grande importanza alla forma delle pastine fate più semplicemente così: Ottenuto l'impasto spolverizzate la tavola di farina, dividete la pasta in quattro pezzi e rotolate questi pezzi uno alla volta con le mani in modo da formare dei cannelli come un grosso maccherone. Potrete quindi formare delle ciambelline del diametro di quattro o cinque centimetri. Disponete con cura le pastine su una teglia leggerissimamente imburrata — appena un velo — e cuocetele in forno di buon calore, fino a che avranno preso un bel colore biondo. All'uscita dal forno lasciatele raffreddare su una griglia da pasticceria o su un setaccio, e poi conservatele in una scatola ben chiusa. Perchè queste pastine possano spiegare tutta la loro finezza è necessario che attendano un paio di giorni prima di essere mangiate.
grosso maccherone. Potrete quindi formare delle ciambelline del diametro di quattro o cinque centimetri. Disponete con cura le pastine su una teglia
Questi biscotti, che hanno nella pasticceria tante utili applicazioni, sono in particolar modo adatti per i bambini. Per una quindicina di savoiardi occorrono le seguenti proporzioni: zucchero in polvere gr. 40, farina gr. 20, farina di patate gr. 20, uova n. 2, un pizzico di sale. E per chi non avesse la bilancia: un paio di cucchiaiate di zucchero, un cucchiaio di farina, uno di fecola, avvertendo che queste cucchiaiate non siano troppo colme. Separate i bianchi dai rossi. I bianchi li metterete da parte, i rossi li passerete in una terrinetta con lo zucchero in polvere. Non occorre lavorarli molto, basteranno tre o quattro minuti: il tempo cioè di ben mescolare zucchero ed uova. Unite allora al composto le due farine, e lasciate riposare. Fatto ciò, montate le chiare in neve, servendovi di una frusta in ferro stagnato; ma guardate che le chiare sieno sostenutissime, perchè è da questo che dipende la buona riuscita dei biscotti. Quindi non vi stancate di sbattere. Quando le chiare saranno montate unitele delicatamente ai rossi, servendovi di un cucchiaio di legno e sollevando il composto affinchè i bianchi non si sciupino troppo. Prendete due fogli di carta spessa; ungete leggermente di burro l'uno, e fate un cartoccio con l'altro. Mettete il composto nel cartoccio, chiudete questo e spuntatene l'estremità in modo da lasciare un'apertura di un centimetro di diametro. Premendo delicatamente sulla sommità del cartoccio, fate uscire sul foglio di carta unto, tanti bastoncini grossi come un dito e lunghi una diecina di centimetri, facendo attenzione di non farli troppo vicini uno all'altro. Quando avrete esaurito la pasta mettete il foglio di carta sopra una teglia e spolverizzate i biscotti con zucchero al velo. Lo zucchero dovrà essere messo sui biscotti o con uno spolverizzatore, o facendolo cadere da un setaccino.
questo che dipende la buona riuscita dei biscotti. Quindi non vi stancate di sbattere. Quando le chiare saranno montate unitele delicatamente ai rossi
Incominciate col lessare 500 grammi di castagne alle quali avrete tolta la buccia. Quando saranno cotte togliete loro la pelle e passatele dal setaccio di fil di ferro. Riducete in polvere un ettogrammo e mezzo di cioccolato. Unite la cioccolata alla purè, aggiungete mezzo ettogrammo di burro, due cucchiaiate di zucchero, una cucchiaiata di liquore a vostra scelta e impastate ben bene. Appena la pasta sarà amalgamata prendetene un pezzetto alla volta e formatene delle palline della grandezza di una piccola noce. Prendete un ettogrammo di mandorle dolci, togliete loro la pelle, facendole bollire un minuto in una casseruolina coperte d'acqua, e tritatele finemente. Queste mandorle tritate le metterete in una teglia e le farete leggermente imbiondire nel forno. Appena le palline saranno pronte rotolatele nella granella di mandorle e accomodate i bonbons in cestelli di carta pieghettata e quindi allineateli su dei vassoi. Con questa dose otterrete una quarantina di bonbons.
quindi allineateli su dei vassoi. Con questa dose otterrete una quarantina di bonbons.
Prendete mezzo chilogrammo di albicocche non eccessivamente mature, apritele senza spaccarle intieramente, togliete via l'osso e fatele sobbollire per cinque o sei minuti in un po' d'acqua nella quale avrete aggiunto qualche cucchiaiata di zucchero. Guardate che non abbiano a sfarsi, estraetele e lasciatele sgocciolare. Avrete preparato una cinquantina di grammi di riso cotto con un bicchiere di latte, e che ultimerete con un nonnulla di sale e una cucchiaiata di zucchero. Aprite delicatamente le albicocche e nel mezzo di ognuna, al posto dell'osso, mettete un cucchiaino da caffè di riso dolce. Richiudete le albicocche, infarinatele, passatele nell'uovo sbattuto e quindi nella mollica di pane grattata e per ultimo friggetele di color biondo. Accomodatele in piramide nel piatto, e, prima di mandarle in tavola, versateci sopra una salsetta che otterrete facendo restringere lo sciroppo in cui cossero le albicocche, nel quale stempererete una cucchiaiata di marmellata a vostro piacere, meglio se di albicocca o di pesca o di fragola. Nel caso voleste presentare il dolce in modo ancor più elegante, potrete cuocere una maggior quantità di riso, su per giù 150 grammi, e dopo aver riempito le albicocche, passare il rimanente riso in una piccola bordura liscia, unta di burro. Battete la bordura, lasciate riposare un momento il riso e poi sformatelo nel mezzo del piatto. Potrete mettere allora le albicocche nel centro e ai lati della bordura e innaffiare il tutto colla salsa.
dolce. Richiudete le albicocche, infarinatele, passatele nell'uovo sbattuto e quindi nella mollica di pane grattata e per ultimo friggetele di color
Prendete una casseruolina ben pulita, rompete in essa due uova intiere ed aggiungete gr. 125 di zucchero, pari a quattro buone cucchiaiate. Sbattete un poco con la frusta di ferro e stemperate il tutto con mezzo litro di latte tiepido. Portate quindi la casseruola su fuoco moderato e con un mestolino di legno girate accuratamente la crema fino a che questa veli il cucchiaio e si sia un poco addensata. Fate attenzione che la crema non bolla altrimenti le uova si straccerebbero e dovreste buttar via ogni cosa. Fatta la crema toglietela dal fuoco ed unitele gr. 15 di gelatina marca oro che avrete in antecedenza messo in bagno in acqua fredda per una diecina di minuti. Mescolate bene e versate in un altro recipiente perchè la crema si freddi un poco. Intanto a parte in una scodella mettete gr. 125 di ricotta, tre cucchiaiate di zucchero, tre cucchiaiate di latte, un bicchierino scarso di rhum e lavorate la ricotta fino a ridurla come una Chantilly, morbida e vellutata. A questo punto, quando anche la crema è un po' fredda, unite la ricotta preparata alla crema, mescolate bene e versate questo composto di bavarese in una stampa da charlotte della capacità di tre quarti di litro. La stampa deve essere in antecedenza oleata con un sottile strato di olio fine o di olio di mandorle dolci. Ponete la stampa sul ghiaccio. Dopo un paio d'ore sformate la bavarese e ponetela su un piatto guarnito di salvietta. Questa dose può bastare anche ad otto persone.
un poco con la frusta di ferro e stemperate il tutto con mezzo litro di latte tiepido. Portate quindi la casseruola su fuoco moderato e con un
Questo eccellente liquore è del tipo di quello che è in commercio e che va sotto il nome di Vov. È buonissimo, nutriente e formerà la delizia vostra e delle vostre amiche. Come avviene anche per quello del commercio, questo liquore ha bisogno di essere agitato prima di essere servito, avendo i vari elementi tendenza a dissociarsi. Sarà quindi opportuno tenerlo in anforette di terraglia di quelle generalmente usate per il curacao, e di servirlo anche in bicchierini di porcellana colorata, proprio come fa la casa produttrice del Vov. Un'altra raccomandazione. Il liquore si conserva bene; però se volete gustarlo in tutto il suo profumo non prolungate enormemente la conservazione. Preparate magari una minore quantità per volta, ma usate la preparazione fresca. Ed ora veniamo alla ricetta facilissima con la quale otterrete un litro di liquore. Rompete quattro tuorli d'uovo in una terrinetta e sbatteteli con due ettogrammi di zucchero in polvere. Fate intanto bollire due bicchieri di latte con due ettogrammi di zucchero. Appena il latte bollirà versatelo pian piano, così bollente, sulle uova sbattute, mescolando energicamente con un cucchiaio o meglio con una piccola frusta di ferro. Sciolta bene tutta la massa, lasciatela raffreddare. Aggiungete allora mezzo bicchiere di marsala (100 gr.) di prima qualità e un bicchiere scarso di alcool puro (100 gr.) nel quale avrete sciolto mezzo grammo di vainiglina. Il liquore è ultimato, e non resta che metterlo in una bottiglia ben tappata. Come abbiamo detto, è necessario prima di servirlo di agitare un po' la bottiglia.
elementi tendenza a dissociarsi. Sarà quindi opportuno tenerlo in anforette di terraglia di quelle generalmente usate per il curacao, e di servirlo
I tartufi si trovano nelle selve, nei campi, presso le rive dei fiumi, nei prati, fra le zolle e fra gli scogli. Sono di tre specie: Tuber magnatum, Tuber albidum, Tuber nigrum. Il Tuber magnatum si trova generalmente dalla fine di agosto alla metà di gennaio e viene chiamato anche Tartufo bianco. La sua forma varia col variare della terra in cui si trova e la sua superficie esterna molto sinuosa e di un colore giallognolo grigio, molte volte porta dei segni che attestano il lavoro dei topi. L'interno ha delle venature bianche, il suo volume varia e il suo peso da pochi grammi può arrivare qualche volta agli 800 grammi. Il Tuber magnatum si trova in maggior quantità e se ne fa quindi il maggior commercio; ha una sapore squisitissimo ed una fraganza straordinaria. Il Tuber albidum si trova dai primi di gennaio alla fine di aprile. Vien chiamato comunemente Bianchetto o Mazzola; non è troppo voluminoso e non raggiunge certamente il peso dei magnatum. La sua superficie è di un bianco giallognolo e internamente ha delle venature biancastre. I Bianchetti hanno uno discreta fragranza ma — ils ont un petit goût d'ail — che li rende poco piacevoli. Il Tuber nigrum si trova da settembre ad aprile. La sua superficie esterna è pressochè sagrinata e nera. Generalmente la sua forma è tondeggiante e neanche il suo volume arriva a quello dei magnatum. Internamente è marmorizzato da venature bianche e nere, il suo profumo è intenso, ma il sapore è certamente meno gustoso di quello dei tartufi bianchi, Il tartufo trova infinite applicazioni nella gastronomia. Quindi sarebbe buona regola prepararne in casa qualche scatola nella stagione propizia.
qualche volta agli 800 grammi. Il Tuber magnatum si trova in maggior quantità e se ne fa quindi il maggior commercio; ha una sapore squisitissimo ed una
Condizione essenziale della perfetta conservazione è la pulitura del tartufo. Questo va pulito accuratamente con uno spazzolino leggero ed acqua fredda, indi asciugato in un pannolino. Si sparge poi, sul tartufo asciugato, del sale fino. Ne uscirà un poco di acqua che sarà di nuovo asciugata, togliendo quindi anche l'eccesso del sale. Se si desidera conservare il tartufo soltanto per qualche giorno si taglia a fette sottilissime, si mette in un tegame con abbondante olio d'olivo e un pizzico di sale, e si fa bollire pochi secondi. L'olio che rimarrà è ottimo condimento per varie pietanze, giacchè si appropria di un delicato profumo. Per assicurare invece ai tartufi una conservazione di anni, si procede così. Dopo averli nettati e asciugati come si è detto, si mettono in scatole di latta non troppo grandi. Dagli stagnai sì trovano delle piccole scatole espressamente fabbricate per la conservazione dei tartufi. Queste scatole vanno prima sterilizzate, immerse cioè per un momento in acqua in ebollizione, oppure accuratamente nettate nel loro interno con un batuffolo d'ovatta bagnato in alcool di buona qualità (non quello industriale!). Aggiustati i tartufi nella scatola in modo da lasciare un po' di spazio, si riempie la scatola fino a un dito dall'orlo, con eccellente vino bianco o, meglio ancora, vin santo o marsala. Mettete ad ogni scatola il suo coperchio, e fatelo saldare perfettamente. Immergete le varie scatole confezionate in un piccolo caldaio con acqua fredda e un pugno di sale, scaldate pian piano l'acqua fino all'ebollizione e fate bollire le scatole per quindici minuti, lasciandole freddare nell'acqua stessa. Quando l'acqua sarà fredda estraete le scatole, asciugatele e riponetele in dispensa.
, togliendo quindi anche l'eccesso del sale. Se si desidera conservare il tartufo soltanto per qualche giorno si taglia a fette sottilissime, si mette in un
Tra le massaie parecchi sono i sistemi di conservare il pomodoro per l'inverno: asciugandolo al sole, e mettendolo in vasi con sale e olio, o condensandolo a fuoco per poi finirlo al sole, e farne dei piccoli pani o dei rotoli, ecc., ecc. Ma il miglior metodo di conservazione casalinga è, senza dubbio, quello delle bottiglie, col quale si riesce ad avere per tutto l'anno del pomodoro ottimo che non differisce menomamente da quello fresco. Durante il mese di agosto in cui il pomodoro raggiunge la sua perfetta maturità, vi consigliamo di arricchire la vostra dispensa di molte di queste bottiglie. Fatene tre o quattro ogni giorno, e così, senza nessuna fatica, e pochissima spesa, vi troverete, alla fine del mese, ad averne messe insieme una quantità considerevole. Si scelgono delle bottiglie da Champagne, che sono le più adattate, si nettano bene e si lasciano sgocciolare. Si tagliano i pomodori a pezzi, e si raccolgono in un tegame di terraglia o in una insalatiera di porcellana — bisogna evitare possibilmente il rame e lo stagno. — Quindi si fanno entrare i vari pezzi nelle bottiglie, avvertendo di non riempirle troppo, arrivando appena al principio del collo. La parte liquida che rimarrà non va gettata via, ma distribuita un po' per bottiglia poichè da recenti studi fatti sembra che quel che dà il maggior sapore alla salsa è appunto la parte acquosa del pomodoro. Si fanno intanto bollire dei sugheri nuovi, ciò che ha il duplice scopo di ammorbidirli e di sterilizzarli, e per mezzo della macchina, o, in mancanza di questa, con una di quelle macchinette di legno che costano pochi soldi, tappate le bottiglie, badando che il sughero penetri bene; e quindi legatele solidamente con una legatura in croce fatta sul collo della bottiglia e passante sul turacciolo. Avvolgete poi le bottiglie con carta, o paglia, o strofinacci vecchi, e mettetele in un piccolo caldaio con acqua fredda, la quale deve arrivare fino al collo delle bottiglie. Portate l'acqua adagio adagio all'ebollizione, che farete, continuare per un'ora. Guardate che le bottiglie, dopo chiuse, siano messe subito a fuoco, perchè il pomodoro facilmente fermenta. Le bottiglie potrebbero anche bollire un po' meno di un'ora, ma è meglio eccedere in precauzioni, ed essere sicuri della riuscita, anzichè poi trovare le bottiglie fermentate. Del resto, quando il fuoco è acceso e l'acqua del caldaio bolle, tenere le bottiglie al fuoco qualche minuto di più non costa proprio nulla. Quando le bottiglie avranno bollito il tempo stabilito si lasciano freddare nella loro acqua; poi si estraggono dal caldaio, si asciugano, si chiudono col mastice o con la paraffina e si ripongono al fresco. Quando vorrete servirvi di una bottiglia non dovrete fare altro che aprirla, versarne il contenuto su un setaccio, con un recipiente sotto, passarlo e servirvene come se il pomodoro fosse fresco. In ogni bottiglia entra circa un chilogrammo di pomodoro.
. — Quindi si fanno entrare i vari pezzi nelle bottiglie, avvertendo di non riempirle troppo, arrivando appena al principio del collo. La parte liquida che
Il modo di seccare i funghi è dei più semplici. La migliore qualità è il fungo porcino. Trattandosi di funghi che si conservano per proprio uso è meglio mondarli con la massima cura togliendo via ogni più piccola traccia di terra, la barba verde e tutte le parti anche lievemente intaccate dai vermi. Sarà tanta fatica risparmiata quando si metteranno in bagno per adoperarli, poichè non ci sarà da riguardarli troppo nè da risciacquarli una infinità di volte come accade per i funghi che si comperano. Si tagliano dunque in fette grandi, poichè seccando diminuiscono assai di volume, si mettono su delle tavole e si espongono al sole rivoltandoli ad intervalli di cinque o sei ore. Vedrete che dopo la prima giornata di sole diminuiranno molto e si faranno leggeri. Potrete quindi, man mano, radunarli in una sola tavola e lasciarli bene asciugare. Quando saranno secchi fate dei piccoli sacchetti di velato bianco e conservateli lì dentro, appesi all'aria. Quando vorrete usarli non avrete che metterli in bagno per un po' di tempo in acqua fredda.
faranno leggeri. Potrete quindi, man mano, radunarli in una sola tavola e lasciarli bene asciugare. Quando saranno secchi fate dei piccoli sacchetti
Ognuno può farsi in casa, assai economicamente, una piccola provvista di filetti di aringhe. Togliete la testa alle aringhe e poi con le dita spellatele. La pelle vien via facilissimamente senza ricorrere al fuoco che rende le aringhe diabolicamente salate. Spellate che siano, fate loro con un coltellino un'incisione lungo il dorso, e procedendo con garbo, e aiutandovi con la mano e col coltellino dividetele in due. Mettete da parte le uova o il cosidetto «latte», togliete la spina dell'aringa, le pinne dorsali e col coltello levate via la parte inferiore del ventre, formata solamente di pelle e spine e quindi immangiabile. Avrete così ottenuto due grossi filetti spinati, che ritaglierete in due per lungo, e poi trasversalmente a metà, in modo da avere da ogni aringa otto pezzi. Se l'aringa fosse piccola accontentatevi di quattro filetti solamente. Mettete questi filetti in una terrinetta, aggiungete le uova o il «latte» messi da parte, e condite con abbondante olio. I filetti preparati così si mantengono per moltissimo tempo.
pelle e spine e quindi immangiabile. Avrete così ottenuto due grossi filetti spinati, che ritaglierete in due per lungo, e poi trasversalmente a metà, in
Se a mensa sono invitati solamente degli ospiti di sesso maschile, chi serve a tavola presenterà per tutta la durata del pranzo sempre per primo il piatto alla padrona di casa, servendo man mano gli altri ospiti, incominciando dal più ragguardevole, che siederà alla destra della padrona di casa, e lasciando per ultimo il padrone di casa. Maggiore oculatezza occorre quando insieme agli uomini siedono a mensa delle signore. In questo caso se tra queste signore ce n'è una che per condizione sociale, o nobiltà o età avanzata sia nettamente al di sopra delle altre, sarà sempre da costei che incomincerà il servizio, il quale passerà poi alla padrona di casa e alle altre signore, per seguitare cogli uomini e finire al padrone di casa. Se però le signore sono, come generalmente accade, tutte di eguale condizione sociale, la cameriera incomincerà ogni volta da una signora differente, servirà subito dopo la padrona di casa e passerà quindi a servire le altre signore. Ultimi verranno gli uomini e quindi il padrone di casa. Rammentiamo che una volta serviti si deve incominciare subito a mangiare, senza attendere che siano serviti gli altri. La regola dell'antico galateo è stata dunque completamente abolita dal galateo moderno, e questo sistema, che potrà sembrare discutibile, è stato invece accettato affinchè gli ospiti possano gustare le vivande calde e quindi nel miglior modo che possa mettere in rilievo i loro pregi.
subito dopo la padrona di casa e passerà quindi a servire le altre signore. Ultimi verranno gli uomini e quindi il padrone di casa. Rammentiamo che una
La «Chantilly» si può ottenere in casa con discreta facilità. L'importante è procurarsi del fiore di latte. Avendo del latte munto di fresco, lo si versa in un recipiente largo e basso, e lo si lascia in riposo per qualche ora, al fresco ed all'oscuro. Meglio sarebbe far mungere il latte la sera e lasciarlo tutta la notte in riposo. Al mattino si troveranno alla superficie dei grumi cremosi che costituiscono appunto il fiore di latte o panna di latte. Facendo passare un cucchiaio alla superficie del latte si raccoglie completamente la crema, cioè si screma il latte. Questa panna, così com'è, sarebbe ottima per il burro, ma non altrettanto adatta per la «Chantilly» a causa della sua granulosità. Bisogna quindi passare la panna da un setaccino possibilmente di seta, e poi diluire questa crema passata con qualche cucchiaiata di latte in modo da averla liscia e piuttosto liquida. Si mette allora un caldaino sul ghiaccio con la crema dentro e quando questa crema è ben fredda s'incomincia a sbatterla adagio adagio con una frusta in fil di ferro, senza mai smettere fino a che la crema avrà raggiunto quel grado di sofficità che caratterizza la «Chantilly». L'operazione è di sicuro esito. Conviene tuttavia non oltrepassare il giusto limite altrimenti la crema si straccerebbe, ingiallirebbe e si convertirebbe in burro. A facilitare l'operazione si usa talvolta mettere nella crema che si sta montando un pizzico di gomma adragante in polvere. La «Chantilly» così ottenuta si dolcifica coll'aggiunta di zucchero al velo (qualche cucchiaiata) che si fa piovere da un setaccino, mescolando pian piano per non sciupare la crema. Volendo si può anche aromatizzare con qualche goccia di rhum, di cognac, di maraschino, ecc. ecc.
, sarebbe ottima per il burro, ma non altrettanto adatta per la «Chantilly» a causa della sua granulosità. Bisogna quindi passare la panna da un