È innegabile che da qualche tempo in qua un grande progresso si è verificato anche in cucina. I nuovi metodi di riscaldamento, il diffondersi di utensili pratici ed igienici e sopratutto il salutare ritorno di molte signore alla immediata direzione della casa, hanno portato un evidente risveglio in questa parte tanto importante dell'azienda domestica, da cui principalmente dipende — non ci stancheremo mai di ripeterlo — il benessere e la prosperità della famiglia. La cucina, intesa nella sua vasta complessività, è arte e scienza insieme. E l'affermazione non sembrerà esagerata quando per cucina non s'intenda solamente il fatto più o meno meccanico di allestire qualche pietanza alla buona, ma quell'insieme di cognizioni tecniche che concorrono a fare dell'alimentazione una materia importante, quanto ad esempio, la conoscenza delle lingue o lo studio di uno strumento musicale. Conoscere la cucina non vuol dire mettersi alla stregua di una donna di servizio o di una cuoca, le quali generalmente sono appunto quelle che di cucina s'intendono meno, ma avere anche delle nozioni precise di igiene, di chimica elementare e di disegno: sapere, in altre parole, come si preparano nel miglior modo i cibi più svariati o la buona pasticceria, come si decora un piatto di cucina o una torta, come si fanno i liquori, i gelati, come si conservano le sostanze alimentari d'ogni specie, quali sono le cure da usarsi ai vini, e magari come si disegna un «menu» o si infiora una tavola. Accade spesso in famiglia, che una pietanza la quale generalmente vien bene, riesce qualche volta immangiabile. Come pure accade che un giorno la carne è troppo cruda, un altro troppo cotta; ora c'è troppo condimento, ora ce n'è troppo poco ecc. ecc. Tutto ciò dipende dal fatto semplicissimo che, in genere, si cucina a casaccio, e senza il più elementare raziocinio. Domandate a una donna di cucina perchè prepara una pietanza in quella data maniera; ed ella, novanta volte su cento, non saprà dirvene la ragione, o vi risponderà che fa così, come potrebbe fare in un altro modo. Tutto ciò, retaggio di una cucina empirica, deve scomparire. Se una pietanza riesce una volta, deve riuscire sempre; e la persona che sta al fornello, o per lei chi la dirige, deve sapere e perchè si cucina in quel dato modo, e perchè non si può cucinare che in quel modo. Come tutte le arti, come tutti i mestieri, anche la gastronomia ha le sue leggi, dalle quali non si può e non si deve derogare.
cucina non s'intenda solamente il fatto più o meno meccanico di allestire qualche pietanza alla buona, ma quell'insieme di cognizioni tecniche che
Il «consommé» è il brodo comune, al quale, mediante l'aggiunta di altra carne, si comunica una maggiore sapidità. Il «consommé» non presenta nessuna difficoltà, ma esige, nondimeno, qualche cura, se si vuole che esso abbia i requisiti necessari: profumo, sapore, limpidezza assoluta, tinta ambrata. Per ottenere un litro di «consommé» occorre circa un litro e mezzo di brodo comune. Si prendano da 300 a 400 grammi di carne magra di bue, si tritino finemente sul tagliere, s'impastino con una chiara d'ovo e si mettano in una casseruola con una carota gialla, un pezzo di porro, una costa di sedano tagliati in piccoli pezzi. Versate nella casseruola il brodo freddo e ben sgrassato, sciogliendo man mano la carne pesta con un mestolo di legno; mettete la casseruola su fuoco moderato, e, mescolando frequentemente, portate il brodo all'ebollizione, che manterrete regolare e leggerissima per circa un'ora. La carne pestata avrà comunicato al brodo la sua sostanza, e la chiara d'ovo avrà reso perfettamente limpido il «consommé», al quale i legumi tagliuzzati avranno conferito un gradevole tono aromatico. Il «consommé» sarà dunque pronto: non occorrerà che passarlo attraverso una salvietta e servirlo.
finemente sul tagliere, s'impastino con una chiara d'ovo e si mettano in una casseruola con una carota gialla, un pezzo di porro, una costa di sedano
La pastella — «la pàté à frire» della cucina francese — è generalmente conosciuta da tutti, ma non tutti sanno darle quel carattere di leggerezza che deve essere la caratteristica di una pastella ben fatta. A seconda della quantità di pastella che dovete fare, mettete in una scodella o in una terrinetta qualche cucchiaiata di farina e stemperatela, per mezzo di una piccola frusta o di una forchetta, con acqua fredda sufficiente, così da ottenere un composto liscio e non molto denso. Stemperando la farina con l'acqua fate attenzione di mescolare il puro necessario, senza indugiarvi troppo a lavorare la pastella, la quale riuscirebbe in tal caso elastica e non servirebbe che imperfettamente allo scopo di velare ciò che vi s'immerge prima di friggere. Aggiungete ancora un pizzico di sale, una cucchiaiata o due di olio, e, al momento di friggere, una chiara montata in neve. Mescolate delicatamente per non sciupare la chiara e servitevene. Dosi esattissime non se ne possono dare perchè alcune qualità di farina assorbono più acqua e altre meno. Generalmente per quattro cucchiaiate colme di farina occorrono circa un bicchiere d'acqua, due cucchiaiate di olio e un paio di chiare montate. È bene preparare la pastella qualche tempo prima, coprirla e lasciarla riposare, per poi ultimarla con le chiare.
lavorare la pastella, la quale riuscirebbe in tal caso elastica e non servirebbe che imperfettamente allo scopo di velare ciò che vi s'immerge prima di
Nell'arte della cucina si chiamano chenelle delle piccole preparazioni fatte con farcia. Ottenuta la farcia, servendosi di un cucchiaino se ne prende una piccola quantità e si mette a rassodare nell'acqua bollente: qualche cosa di simile a quello che accade per i gnocchi; ed infatti questi piccoli gnocchi di carne appena rassodati vengono tolti dall'acqua con una cucchiaia bucata e servono a guarnire le pietanze. Notiamo qui incidentalmente che le chenelle possono anche farsi entro piccole stampe imburrate. Ma di ciò a suo tempo, non avendo voluto intanto che spiegare alle lettrici quel che s'intende con la parola chenella. E a questo proposito ci sia consentito di sfiorare una piccola questione linguistica.
le chenelle possono anche farsi entro piccole stampe imburrate. Ma di ciò a suo tempo, non avendo voluto intanto che spiegare alle lettrici quel che s
Le tartelette e le barchette sono piccoli involucri di pasta cotta al forno in stampine speciali e poi riempite con preparazioni varie, come filettini di alici, uova sode tritate, dadini di tonno, insalata russa minutissima, ecc. Si chiamano tartelette o barchette a seconda della loro forma: tartelette se hanno forma rotonda, barchette se ovale, dipendono la forma dal genere di stampina che si adopera. Si prepara una pasta con un ettogrammo di farina, 65 grammi di burro, un pizzico di sale e tre cucchiaiate d'acqua. Si riuniscono i vari ingredienti senza troppo lavorare, si arrotola la pasta in una palla e si lascia riposare un quarto d'ora. Poi si stende piuttosto sottile e con questa pasta si foderano una dozzina di stampine da tartelette o da barchette, previamente imburrate. Si riempiono le stampine foderate con dei fagiuoli secchi allo scopo di impedire che la pasta cuocendo abbia a distaccarsi dalle pareti della stampina. S'infornano, e dopo pochi minuti, quando la pasta sarà rassodata, si estraggono dal forno, si lasciano raffreddare un poco, delicatamente si tolgono via i fagiuoli e si fa uscire l'involucro di pasta dalla stampina. Come abbiamo fatto osservare per i «canapés», anche i modi di guarnire questi involucri di pasta sono numerosissimi e preferiamo lasciare al vostro buon gusto il modo di trarvi facilmente d'imbarazzo. Invece che della pasta descritta più sopra, potrete servirvi per foderare le stampine di ritagli di pasta sfogliata.
a distaccarsi dalle pareti della stampina. S'infornano, e dopo pochi minuti, quando la pasta sarà rassodata, si estraggono dal forno, si lasciano
Trattandosi di una minestra in brodo crediamo che una quindicina di tortellini per scodella potranno bastare. Preparare anzitutto il ripieno. Si prende un bel pezzo di midollo di bue, si trita e si scalda un pochino per averlo ben morbido. A questo midollo si aggiunge, in una terrinetta, una eguale quantità di parmigiano grattato, un pezzetto di burro, un paio di fette di prosciutto e mortadella di Bologna, tritati fini, due rossi d'uovo, un pizzico di sale e un nonnulla di noce moscata. Con un cucchiaio di legno s'impasta bene il tutto e si procede alla confezione della pasta all'uovo. Con una sfoglia di un uovo vengono una cinquantina di tortellini; quindi per 150 tortellini impasterete tre uova con 300 grammi di farina. Procurate che la sfoglia non riesca dura e stendetela piuttosto sottile. Con un tagliapaste del diametro di 4 centimetri o, in mancanza di questo, con la bocca di un bicchierino di marsala tagliate tanti dischetti in ognuno dei quali metterete una puntina del composto preparato. Ripiegate il dischetto in due, una metà sull'altra, spingete con le dita l'orlo affinchè le due parti si chiudano bene, poi rialzate l'orlo stesso e portate le due estremità una sull' altra ottenendo così la tradizionale forma del tortellino. Il quale è più piccolo del cappelletto romano e, quando è chiuso, ha quasi la forma di un anellino. Fatti tutti i tortellini — sarà meglio confezionarli il giorno prima — metteteli allineati su una tavola con un tovagliolo leggermente infarinato sotto e lasciate che si asciughino.
pizzico di sale e un nonnulla di noce moscata. Con un cucchiaio di legno s'impasta bene il tutto e si procede alla confezione della pasta all'uovo. Con
Questa zuppa, veramente sana, appartiene a quel tipo che la cucina francese chiama «paysanne». Il principio su cui si basano questa e le altre preparazioni consimili è quello di far subire ai legumi che compongono la zuppa una lentissima cottura col burro: e per favorire la evaporazione dell'acqua di vegetazione, e per ottenere il massimo profumo dai legumi, che s'impregnano di burro. Per la quantità dei legumi da adoperarsi regolatevi a secondo del numero delle persone. In questo caso un po' più o un po' meno non ha nessuna importanza.
di vegetazione, e per ottenere il massimo profumo dai legumi, che s'impregnano di burro. Per la quantità dei legumi da adoperarsi regolatevi a secondo
Il farro costituisce una minestra non certo fine, ma gustosissima, specialmente se eseguita secondo le regole della cucina romana, che ne fa una vera specialità. Si possono calcolare 100 grammi di farro a persona; per sei persone potrà anche essere sufficiente mezzo chilogrammo. Il farro va mondato come il riso e poi lavato in acqua fresca. Per sei persone prendete un ettogrammo e mezzo di cotenne di maiale. Preferite le cotenne di prosciutto a quelle fresche perchè meno saporite. Raschiate queste cotenne e mettetele sul fuoco in una casseruolina con acqua fredda, fatele bollire un paio di minuti poi scolate l'acqua e risciacquate le cotenne in acqua fresca affinchè perdano il gusto un po' forte e rimangono ben nette. Tagliate le cotenne in pezzi di circa tre centimetri e rimettetele a cuocere coperte, sull'angolo del fornello, con abbondante acqua pulita, fino a completa cottura. Fate sul tagliere un pesto con mezzo ettogrammo di grasso di prosciutto, mezzo spicchio d'aglio e mettetelo a soffriggere in una casseruola con una cucchiaiata di strutto e una cipolla finemente tritata. Quando ogni cosa avrà preso un bel color d'oro, aggiungete mezzo chilogrammo di pomodori spellati, fatti a pezzi e privati dei semi, o, in mancanza di pomodoro fresco, una buona cucchiaiata di salsa. Aggiungete ancora una cucchiaiata di prezzemolo trito, un buon pizzico di maggiorana e due o tre foglie di basilico tagliuzzato. Quando il pomodoro sarà cotto versate nella casseruola le cotenne arrivate di cottura, con tutta l'acqua in cui cossero. Fate rialzare il bollore e poi mettete giù il farro, che condirete con sale e pepe. La cottura del farro è analoga a quella del risotto, e bisogna mescolare continuamente con un cucchiaio di legno affinchè il farro non s'attacchi. Se l'acqua nella casseruola venisse a mancare, aggiungete man mano altra acqua bollente, regolandovi in modo che alla fine della cottura — per la quale occorreranno una ventina di minuti — il farro sia asciutto. Conditelo con parmigiano grattato, o, per rimanere nella ricetta tradizionale, con del pecorino romano.
farro è analoga a quella del risotto, e bisogna mescolare continuamente con un cucchiaio di legno affinchè il farro non s'attacchi. Se l'acqua nella
Il pesto alla genovese se pur non presenta grandi difficoltà d'esecuzione, ha bisogno di molte cure, diligenza e pazienza. Per un paio di persone mettete sul tagliere tre spicchi d'aglio e incominciate a tritarli con la lunetta. Aggiungete allora una grossa manata di foglie di basilico lavate e spremute e continuate a tritare pazientemente, il più fino possibile. Un pizzico di sale unito alle foglie del basilico mentre si tritano conserverà alle foglie il loro bel verde. Quando aglio e basilico saranno tritati a perfezione, si mettono in un mortaio e si aggiunge a poco a poco, sempre pestando, una quantità di parmigiano tale da ridurre il verde intenso del trito primitivo ad un colore verde pisello chiaro. Nel nostro caso ne occorreranno due o tre pugni. Fatto questo s'incomincia a diluire il composto con olio, mescolandolo accuratamente con un cucchiaio in modo da ottenere come una mantechina. Per le proporzioni da noi date occorreranno circa quattro cucchiaiate d'olio. Prima dell'olio si può aggiungere nel pesto un pezzo di burro come una grossa noce ciò che, pur non essendo indispensabile, comunica all'insieme alcunchè di raffinato. Volendo rendere il pesto meno forte si può tritare insieme con l'aglio una noce ben mondata. Al momento di condire le lasagne si diluisce questo pesto con qualche cucchiaiata d'acqua. Questo è il pesto col quale si condiscono la pasta e i gnocchi di patate. Se il pesto invece servirà per il minestrone bisognerà aggiungervi dei funghi secchi cotti a parte e quattro o cinque cucchiaiate di sugo di pomodoro fresco o un po' di salsa. Le massaie genovesi sostengono che non è possibile eseguire il loro pesto senza averlo veduto fare. Avendolo descritto così minuziosamente noi confidiamo che difficoltà non ve ne siano più.
due o tre pugni. Fatto questo s'incomincia a diluire il composto con olio, mescolandolo accuratamente con un cucchiaio in modo da ottenere come una
Il tradizionale piatto di ogni giovedì nelle piccole trattorie romane e il piatto che molti buoni romani prediligono in occasione di qualche riunione famigliare: i gnocchi. Tra coloro che ne sono ghiottissimi e coloro i quali ritengono che sia un peccato sprecare l'abbondante sugo e formaggio necessario per condire... delle patate, noi rimarremo neutrali, limitandoci a dare la ricetta, non certo per le abbonate romane, ma per quelle di altre città. Si mettono a lessare delle patate piuttosto grosse e di qualità farinosa, calcolandone due chilogrammi per sei persone. Appena cotte si sbucciano, si schiacciano e si lasciano un po' raffreddare. S'impastano allora le patate con un po' di farina. È difficile dare dosi esatte di farina perchè alcune qualità assorbono più, altre meno farina; in genere però ne occorreranno circa 200 grammi per ogni chilogrammo di patate. Amalgamate bene le patate con la farina e ottenuta una pasta morbida, si taglia a pezzi, e d'ogni pezzo, sulla tavola infarinata, se ne foggiano dei cannelli della grossezza di un dito, che si ritagliano poi in tanti pezzetti di un paio di centimetri. Si rotola alla svelta ognuno di questi pezzetti tra il tavolo e le dita e per ultimo ci si appoggia la punta del medio facendo su ogni gnocco una piccola fossetta. Si allineano man mano su una tovaglia infarinata e intanto si mette sul fuoco un recipiente con acqua e sale. Quando l'acqua bolle si mettono giù un po' di gnocchi alla volta e appena tornano a galla si estraggono con una cucchiaia bucata, si lasciano sgocciolare bene, e si dispongono a strati in una zuppiera, condendo ogni strato con abbondante sugo d'umido e parmigiano grattato.
, si schiacciano e si lasciano un po' raffreddare. S'impastano allora le patate con un po' di farina. È difficile dare dosi esatte di farina perchè
Mettete in una casseruola 50 grammi di burro, mezza cipolla finemente tritata e 250 grammi di riso di buona qualità. Mettete la casseruola sul fuoco e mescolate affinchè il riso s'intrida bene di burro e senta un po' di calore. Dopo due o tre minuti bagnate il riso con un litro di brodo bollente, coprite la casseruola, mettetela in forno di moderato calore e, senza più mescolare lasciate che il riso cuccia per dieciotto minuti. Generalmente basta il sale contenuto nel brodo per dare giusta sapidità al riso. Quando il riso sarà cotto, travasatelo sul piatto di servizio o in una legumiera, aggiungendoci altri 50 grammi di burro diviso in piccoli pezzi. Mescolate leggermente con una forchetta per non schiacciate i chicchi e fate servire. La caratteristica di questa pietanza di origine orientale è che, per la speciale cottura, il riso deve conservare tutti i suoi chicchi sciolti, e non amalgamati come invece accade per i comuni risotti.
e mescolate affinchè il riso s'intrida bene di burro e senta un po' di calore. Dopo due o tre minuti bagnate il riso con un litro di brodo bollente
È questa la famosa Soupe à l'oignon, una delle istituzioni della Paris qui s'amuse. Ciò non vuol dire che invece di degustarla nei varii restaurants notturni parigini non la si possa mangiare tranquillamente in casa propria, e senza attendere il pallido sorriso dell'alba. È una zuppa squisita, sana e nutriente. Si sbucciano e si tagliano in fette sottili due cipolle di media grandezza, si mettono in una casseruola con mezzo panino abbondante di burro, e quando la cipolla incomincia ad imbiondirsi leggermente si aggiunge un cucchiaino da caffè di farina. Si fa cuocere un minuto o due, e si bagna con un litro di acqua. Si condisce con sale, una presina di pepe bianco e si fa bollire adagio per mezz'ora. Intanto si taglia in fette un filoncino di pane, si abbrustoliscono le fette sul fuoco, e si grattano un po' di gruyère e un po' di parmigiano. Si prende una zuppiera, si fa uno strato di fette di pane, si cospargono di formaggio grattato, e si continua a fare degli strati di pane e formaggio, a seconda del numero dei commensali. Fatto questo, e trascorsa la mezz'ora di bollore regolare, si versa piano piano il brodo di cipolle nella zuppiera facendolo passare da un colabrodo, si copre e si lascia stufare per una diecina di minuti prima di mangiare. Con le dosi da noi date, e con un filoncino di pane, si possono avere tre buone zuppe.
È questa la famosa Soupe à l'oignon, una delle istituzioni della Paris qui s'amuse. Ciò non vuol dire che invece di degustarla nei varii restaurants
Calcolate due cuscinetti a persona. Prendete un pane a cassetta, tagliategli intorno intorno la crosta e dividetelo in fette alte mezzo centimetro che ritoglierete ancora in rettangoletti un po' più piccoli di una carta da gioco. Su ogni rettangoletto mettete qualche fettina di provatura (o di mozzarella, o di qualsiasi formaggio fresco) e qualche fettina di prosciutto. Coprite con un altro uguale rettangoletto di pane, in modo da formare tanti sandwichs. Pochi minuti prima di andare in tavola si prendono delicatamente questi sandwichs si immergono uno alla volta per un momento solo in un po' di latte tiepido, s'infarinano, si passano nell'uovo sbattuto e si friggono a padella calda con abbondante olio o strutto.
' di latte tiepido, s'infarinano, si passano nell'uovo sbattuto e si friggono a padella calda con abbondante olio o strutto.
ha bisogno, per riuscire a dovere, di molte cure e di molta attenzione. Si prendono, a seconda delle persone, un certo numero di provature — in genere se ne calcolano due a persona — si dividono in fette piuttosto spesse e si condiscono con sale e pepe. Da un pane a forma di filoncino si tagliano tante fette quante sono le fette di provatura, più due cantucci che serviranno a reggere alle due estremità, la fila dei crostini. Si prende uno spiede, e s'incomincia coll'infilzare uno dei cantucci, alternando poi una fetta di provatura e una di pane per terminare con l'altro cantuccio. Fate accendere una fornellata di carbone e disponetelo con la paletta su un lungo letto di cenere in fondo al camino. Alle due estremità di questa striscia di brace accesa, mettete due ferri da stiro diritti o due mattoni appoggiati sulla costa e su questi appoggiate la punta e il manico dello spiede che girerete continuamente, avvertendo di ungere di quando in quando i crostini con un po' di burro liquefatto. E quando vedrete che la provatura sarà ben liquefatta e il pane abbrustolito e croccante, sfilate i crostini dallo spiede, accomodateli in un piatto lungo antecedentemente riscaldato, e versate sui crostini del burro liquefatto nel quale avrete stemperato con un cucchiaio di legno, qualche alice lavata e spinata. Per cinquanta grammi di burro bastano due o tre alici. I crostini vengono bene anche nel forno, ma certo il miglior modo resta sempre l'antico, quello che vi abbiamo descritto nella sua primordiale semplicità. S'intende che se avete il girarosto, tanto meglio.
, e s'incomincia coll'infilzare uno dei cantucci, alternando poi una fetta di provatura e una di pane per terminare con l'altro cantuccio. Fate
I piatti d'uova sono le amenità più... amene dei libri di cucina. Ogni autore culinario fa a gara per offrirne ai lettori una serie numerosa, quanto inutile. Un famoso cuoco ha perfino pubblicato un volume nel quale s'insegnano mille modi di cucinare le uova! È evidente che tutte queste preparazioni, fredde o calde, di uova, siano sul piatto, fritte, sode, affogate, rapprese, in frittata, ecc. ecc. non differiscono l'una dall'altra che per particolari insignificanti. Noi, quindi, fedeli al nostro programma, ispirato a criteri pratici, risparmieremo alle gentili signore che ci leggono, la noia di una interminabile raccolta di ricette su per giù uguali, e ne citeremo, senz'altro, poche, ma buone e variate.
inutile. Un famoso cuoco ha perfino pubblicato un volume nel quale s'insegnano mille modi di cucinare le uova! È evidente che tutte queste
Conoscete il pesce S. Pietro? Certo nella famiglia dei pesci non brilla per soverchia bellezza: scuro di aspetto, con un muso piuttosto imbronciato e delle ispide spine sulla groppa. Ma il S. Pietro può infischiarsene della sua poca venustà, e per due ragioni: la prima perchè è un pesce storico, la seconda perchè possiede una carne deliziosa. Si dice infatti che questo pesce fu toccato dalle mani dell'Apostolo pescatore, che non solo gli lasciò il suo nome, ma gli lasciò anche due segni visibili delle sante dita, segni che si riscontrano, uno di qua e uno di là, nel bel mezzo del dorso. Quanto alla squisitezza della sua carne, non è un mistero per i buongustai. Bollito o fritto il S. Pietro è buono, molto buono. E poichè della gente buona in questo tristo mondo ci si approfitta sempre, molti trattori e molti albergatori costruiscono coi filetti di S. Pietro, che costa meno, dei magnifici filetti di sogliole, che costano di più. È un ramo d'industria non troppo onesto, per quanto assai rimunerativo; e il S. Pietro, forse in omaggio al nome del grande Apostolo, cristianamente si rassegna, e lascia che la sua carne venga gabellata per filetti di sogliola alla Walenska. Réjane, Saint-Germain, Pompadour, Orly, Otéro, Mogador, ecc. Noi rifuggiamo dalle mistificazioni. Vi daremo dunque la ricetta per una squisita zuppa di pesce S. Pietro, zuppa che ha anche il pregio di uscire un po' dalla noia del consueto. Per otto persone acquistate un bel S. Pietro che pesi da un chilogrammo e mezzo a due. Nettatelo bene e risciacquatelo abbondantemente, e poi con un coltellino affilato sfilettatelo, staccando cioè dalla spina principale tutta la parte carnosa. L'operazione è facile e si eseguisce molto bene incominciando col fare un'incisione lunga e profonda su tutto il dorso e staccando poi con la lama del coltello tutta la carne dalla spina, prima da una parte e poi dall'altra. Se poi crederete che l'operazione sia troppo lunga, affidatela al negoziante che vi venderà il pesce, il quale vi caverà rapidamente d'impaccio. Mettete da parte la carne e tagliate in pezzi la testa e i cascami. Ponete una casseruola sul fuoco e in essa mettete un po' d'olio, una noce di burro, qualche aroma, come cipolla, carota gialla, prezzemolo, sedano, ecc., il tutto tritato, aggiungendo anche, se ne avete, un pizzico di funghi secchi. Appena i legumi saranno imbionditi mettete nella casseruola i cascami del pesce, e dopo che anche questi saranno rosolati bagnate ogni cosa con un litro e mezzo d'acqua ai quali aggiungerete un bicchiere di vino bianco. Condite con sale e pepe e lasciate bollire moderatamente. Dopo una mezz'ora prendete un'altra casseruola, metteteci una buona cucchiaiata di burro, e quando il burro sarà liquefatto aggiungete due cucchiaiate di farina, mescolate e lasciate cuocere pian piano per quattro o cinque minuti, sempre mescolando. Allora, per mezzo di, un colabrodo, passate il brodo del pesce nell'altra casseruola dove è la farina col burro, mescolate ancora per sciogliere bene la farina e continuate ad aggiungere il brodo di pesce fino a completo esaurimento. Rimettete il brodo sul fuoco e fate bollire nuovamente per un'ora, sull'angolo del fornello, togliendo man mano, con una cucchiaia bucata, la schiuma e le altre impurità che man mano verranno a galla. Quest'operazione, in termine di cucina, si chiama spogliare. Avvicinandosi l'ora del pranzo, prendete la carne del pesce lasciata in disparte, togliete la pelle e dividete i filetti in tanti pezzetti quadrati di un paio di dita di lato. Metteteli sul fuoco in una teglia con un po' di burro, conditeli con sale e pepe, bagnateli con un po' di vino bianco e lasciateli stufare, coperti, per qualche minuto. Appena cotti toglieteli dal fuoco mantenendoli in caldo vicino al fornello. Al momento di andare in tavola, mettete un paio di rossi d'uovo in una zuppiera, sbatteteli con una forchetta, stemperandoli con un po' di sugo di limone e conditeli con una cucchiaiata di prezzemolo trito. Su queste uova travasate il brodo di pesce, mescolate per amalgamare bene ogni cosa, poi distribuite nelle varie scodelle i quadratini di pesce cotto aggiungendo anche dei dadini di pane fritto, o più semplicemente, dei crostini abbrustoliti. Completate ogni scodella col brodo e fate portare in tavola.
Conoscete il pesce S. Pietro? Certo nella famiglia dei pesci non brilla per soverchia bellezza: scuro di aspetto, con un muso piuttosto imbronciato e
È una ricetta che figura spessissimo nei menu dei grandi restaurants, ed è veramente buona nella sua semplicità. Dopo aver ben nettato le sogliole — calcolandone una a persona — e aver portato via la pelle nera, s'infarinano, si passano nell'uovo sbattuto, si panano e si friggono. Si accomodano su un piatto con salvietta e sopra ogni sogliola si mette un pezzo di burro alla mâitre-d'hôtel.
— calcolandone una a persona — e aver portato via la pelle nera, s'infarinano, si passano nell'uovo sbattuto, si panano e si friggono. Si accomodano su
Molti hanno una ingiustificata avversione per il baccalà, che è invece un elemento prezioso nell'alimentazione. La poca simpatia di taluni dipende dal fatto che non si portano al baccalà tutte le cure necessarie: da cui l'odore poco simpatico, l'eccessivo gusto salato, e la carne spesso stoppacciosa. Il baccalà va bagnato in casa un paio di giorni prima di cucinarlo, e gli va tolta la pelle prima di metterlo in bagno. Mettetelo in un recipiente con abbondante acqua e cambiategliela spesso, oppure tenetelo sotto la fontanella dell'acquaio ad acqua corrente. Levategli poi le spine principali, le pinne, dividetelo in pezzi, e vedrete che questo cibo merita tutta la considerazione. Quando dovrete scegliere una qualità di baccalà preferite il Labrador perchè più fine. Anche eccellente è il francese, ma non si trova sempre sul mercato. Il così detto S. Giovanni, di carne più scura, ha il torto di tramandare un odore forte; e l'Islanda, che è il più diffuso e il più a buon mercato, riesce troppo spesso insipido e sfilaccioso. Per otto persone sarà sufficiente un chilo di baccalà secco. Quando sarà bene bagnato, levategli quante più spine potrete e poi dividetelo in piccoli pezzi quadrati o rettangolari che metterete ad asciugare in un tovagliolo. Infarinate questi pezzi e friggeteli nell'olio, nel quale avrete fatto soffriggere uno spicchio di aglio. Friggete il baccalà di bel color d'oro e ben croccante. Accomodatelo in un piatto e ricopritelo con una salsa densa fatta con aglio, olio e pomodoro, e ultimata con una cucchiaiata di prezzemolo trito.
Labrador perchè più fine. Anche eccellente è il francese, ma non si trova sempre sul mercato. Il così detto S. Giovanni, di carne più scura, ha il
Per fare questo speciale sandwich si adopera uno di quei pani rettangolari detti «a cassetta», del quale si utilizzano solamente la parte superiore e l'inferiore, lasciando alle due fette lo spessore di un centimetro circa. Si spalma abbondantemente il pane di burro. Intanto si fa arrostire sui ferri una bistecca di filetto, si condisce con sale e pepe, e si lascia freddare. Quando è ben fredda si spalma di mostarda, si pone tra le due fette di pane preparate, s'involge in un foglio di carta asciugante bianca, e si mette sotto un peso piuttosto forte. Dopo una mezz'ora il sandwich è pronto: lo si svolge dalla carta asciugante, e lo si mette in una scatola porta-sandwichs, o lo si avvolge con della carta bianca pesante. Fatene l'esperienza, signore gentili; e dopo una bella passeggiata campestre, allorchè l'aria e il sole avranno avvivato il color roseo delle vostre gote, sedetevi sul prato, e coi minuscoli dentini assalite risolutamente il delizioso sandwich. Il quale è conosciuto in Inghilterra col nome di «Sandwich del bookmaker».
pane preparate, s'involge in un foglio di carta asciugante bianca, e si mette sotto un peso piuttosto forte. Dopo una mezz'ora il sandwich è pronto
È necessario rinunciare alla spalla e scegliere un bel coscetto o la parte della rognonata. L'abbacchio va privato delle ossa, o per lo meno, conviene togliergli tutte le ossa più grandi. E poi si taglia la carne in tanti pezzetti quadrati spessi circa un centimetro e della grandezza di una mezza carta da gioco, si condisce con sale e pepe e intanto si tagliano da uno sfilatino o meglio da un pane a cassetta raffermo tanti crostini per quanti sono i pezzi di abbacchio, più uno. Si prende poi uno spiede e s'incomincia con l'infilzare un crostino, una foglia di salvia, una fettolina di prosciutto, una foglia di salvia e un crostino. E così di seguito fino a completo esaurimento della carne. Allestito tutto lo spiede, si unge abbondantemente ogni cosa con olio o con burro o strutto liquefatto, e poi si mettono a cuocere i crostini per una ventina di minuti, girandoli ed ungendoli di quando in quando. Chi possiede il girarrosto semplificherà assai il suo lavoro; ma anche senza il girarrosto, potrà cavarsela ugualmente bene mettendo un po' di cenere sul camino, stendendo su questa della brace bene accesa e appoggiando lo spiede su due ferri da stiro messi diritti. Volendo ancora semplificare la cosa, invece di guarnire un lungo spiede coi crostini, potrete fare tanti spiedini di canna e cuocere i crostini al forno. Però in questo caso non otterrete un risultato così fine come cuocendo i crostini girati. Appena la carne sarà ben colorita e il pane sarà diventato croccante togliete i crostini dallo spiede e mandateli in tavola subito, poichè questa pietanza va mangiata appena fatta, senza attendere un solo minuto.
sono i pezzi di abbacchio, più uno. Si prende poi uno spiede e s'incomincia con l'infilzare un crostino, una foglia di salvia, una fettolina di
C'è in giugno una festa tradizionale romana, la festa della notte di S. Giovanni, la quale pur avendo perduto, a traverso tanti anni, gran parte della sua vivacità caratteristica, rimane tuttavia la meta verso cui convergono, da tutte le parti di Roma, gioconde comitive desiderose di perpetuare, tra il profumo dei garofani e della spighetta, tra mille luci multicolori e concertini ambulanti di chitarre e mandolini, il rito popolare. E poichè, come suol dirsi, tutti i salmi finiscono in gloria, il popolo prende volentieri d'assalto le osterie, le trattorie e le tante baracche improvvisate, per consumare specialmente il piatto tradizionale: le lumache, pretesto non ultimo per tracannare un goccetto di vino dei castelli: intendendo per goccetto una misura assai elastica variabile da uno a parecchi e svariatissimi litri. Il piatto classico della notte di S. Giovanni è costituito dalle lumache, di cui diamo qui la ricetta assolutamente autentica, quale si tramanda nelle famiglie romane e che, naturalmente, dà un risultato ben superiore a quello offerto la notte di S. Giovanni nelle osterie locali, dove, a quel che si dice...
C'è in giugno una festa tradizionale romana, la festa della notte di S. Giovanni, la quale pur avendo perduto, a traverso tanti anni, gran parte
Calcolate un filetto a persona. Dopo aver tolto il nervo ai filetti si battono leggermente con una larga lama di coltello bagnata d'acqua per dar loro bella forma e spianarli un pochino, ma non troppo. S'infarinano, si passano nell'uovo sbattuto, nel pane pesto finissimo e si friggono di bel colore nel burro, avvertendo di non prolungare troppo la cottura. Si saranno preparate intanto delle fettine di prosciutto per quanti sono i filetti, e della stessa forma di questi. Appena i filetti saranno cotti adagiate su ognuno una fetta di prosciutto e sul prosciutto disponete a leggera cupola una mezza cucchiaiata di parmigiano grattato. Allineate tutti i filetti in un piatto resistente al fuoco: di porcellana o di metallo argentato, mettete su ogni monticello di parmigiano qualche piccolissimo pezzetto di burro e infornate il piatto a fuoco fortissimo e per un tempo minimo, quanto è necessario perchè il parmigiano fonda. All'uscita dal forno decorate le due punte del filetto mettendo da una parte un mezzo cucchiaio di salsa di pomodoro densissima e dall'altra un uguale quantità di foglie di prezzemolo tritate. Fate servire sollecitamente. Se non avete il piatto resistente al forno infornate i filetti in una teglia, trasportandoli poi sul piatto di servizio.
loro bella forma e spianarli un pochino, ma non troppo. S'infarinano, si passano nell'uovo sbattuto, nel pane pesto finissimo e si friggono di bel colore
Si adoperano di preferenza polli molto giovani, teneri e bene in carne. Si spezza il pollo e si fanno: due pezzi di ogni coscia, due pezzi di ogni ala, quattro pezzi del petto, che si taglia prima in lungo e poi si ridivide trasversalmente a metà, e infine si fanno quattro o cinque pezzi della groppa. Si mettono questi pezzi in una terrinetta, si condiscono con sale, pepe, prezzemolo, olio, sugo di limone, e si lasciano stare così in marinata almeno per un'ora. Poi si asciugano in un pannolino, s'infarinano, si passano nell'uovo sbattuto, e si friggono nell'olio o nello strutto a padella moderata. Debbono cuocere per una diecina di minuti e riuscire di un bel color d'oro.
almeno per un'ora. Poi si asciugano in un pannolino, s'infarinano, si passano nell'uovo sbattuto, e si friggono nell'olio o nello strutto a padella
Avendo del pollo avanzato lesso o arrosto, potrete utilizzare molto bene questo residuo, trasformandolo in una nuova pietanza appetitosissima. Si divide il pollo in pezzi e ogni pezzo s'immerge in una salsa Villeroy (vedi: Costolette di abbacchio alla Villeroy). Lasciate che i diversi pezzi si freddino completamente in un piatto o sul marmo di cucina; poi staccateli con garbo, passateli nella farina, nell'uovo sbattuto, nel pane pesto, e infine friggeteli a padella vivace, perchè essendo il pollo già cotto, non si tratta che di far fare subito la crosta alla panatura e riscaldare la carne col suo involucro di crema. Accompagnate il pollo fritto con qualche spicchio di limone.
divide il pollo in pezzi e ogni pezzo s'immerge in una salsa Villeroy (vedi: Costolette di abbacchio alla Villeroy). Lasciate che i diversi pezzi si
Si taglia il fegato in pezzi non troppo grandi che si condiscono con sale e pepe, s'avvolgono in un pezzetto di rete e si infilzano allo spiede, alternandoli con foglie d'alloro e crostini di pane. Si unge il tutto con strutto liquefatto e si fa cuocere sulla brace bene accesa. Invece che allo spiede, i fegatini si possono cuocere al forno e, in caso disperato, in padella o in teglia.
Si taglia il fegato in pezzi non troppo grandi che si condiscono con sale e pepe, s'avvolgono in un pezzetto di rete e si infilzano allo spiede
Il fegato di montone, cucinato nel modo che vi descriveremo, perde le tracce della sua umile origine e rassomiglia, sia pure un po' da lontano, al petto della cacciagione. Si taglia il fegato in fettine piuttosto sottili, dello spessore di un mezzo centimetro, e s'infarinano queste fettine, che si fanno cuocere poi bene allinate, in una teglia con un pochino d'olio. Appena cotte da una parte si rivoltano dall'altra, e si condiscono con sale e pepe. La cottura avviene rapidamente, in pochi minuti; anzi è bene non eccedere, perchè altrimenti il fegato si indurisce. Prima di togliere la teglia dal fuoco versate sul fegato una pizzicata di foglie di salvia, e un paio di cucchiaiate di aceto. Lasciate insaporire un momento, accomodate in un piatto e fate portare subito in tavola. Mezzo chilogrammo di fegato può essere sufficiente a sei persone.
petto della cacciagione. Si taglia il fegato in fettine piuttosto sottili, dello spessore di un mezzo centimetro, e s'infarinano queste fettine, che si
La trippa alla romana si può fare in due modi: uno, il più costoso, è quello veramente tradizionale, l'altro il più economico, è quello generalmente adottato nelle famiglie, ed è ugualmente buono e raccomandabile In sostanza i due metodi differiscono soltanto in questo: nel primo s'insaporisce la trippa in un buon sugo d'umido di manzo, mentre nel secondo ci si accontenta d'insaporirla in un «sugo così detto «finto». Si scelga il primo o il secondo sistema, l'operazione fondamentale rimane sempre la stessa. Per sei persone si prende un chilogrammo di trippa, si netta bene, si risciacqua abbondantemente, poi si taglia in pezzi piuttosto grandi e si mette a cuocere, in acqua fredda, in una pentola con sale, una mezza cipolla, un po' di sedano e una carota gialla. Si schiuma diligentemente la pentola e si lascia bollire su fuoco moderato fino a cottura, ciò che avverrà in circa cinque ore. Quando la trippa è cotta si taglia in fettuccie larghe circa un dito e s'insaporisce. Se avete del buon sugo d'umido denso non avrete che passare la trippa tagliata in una casseruola per farla sobbollire una mezz'ora nel sugo d'umido. Altrimenti farete così: mettete in una casseruola un po' di cipolla finemente tagliata e un pesto di lardo, prezzemolo e una puntina d'aglio. Aggiungete anche qualche fettina di prosciutto grasso e magro e quando la cipolla sarà imbiondita mettete ancora un paio di cucchiaiate colme di salsa di pomodoro, e un pochino di acqua. Quando il pomodoro sarà cotto e la salsa ristretta mettete giù la trippa tagliata come si disse sopra, lasciatela sobbollire lentissimamente sull'angolo del fornello per una mezz'ora, per darle il tempo d'insaporirsi perfettamente. Verificate se sta bene di sale e mandatela in tavola ben calda, facendo servire insieme del parmigiano grattato, nel quale si saranno poste delle foglioline tagliuzzate di menta romana. L'accompagnamento di parmigiano e menta è obbligatorio, e costituisce una caratteristica di questa famosa pietanza.
adottato nelle famiglie, ed è ugualmente buono e raccomandabile In sostanza i due metodi differiscono soltanto in questo: nel primo s'insaporisce la
Prendete una noce di vitello molto bianca e molto tenera e lardellatela con dei dadi di lingua e di tartufi neri. Una scatolina di tartufi conservati servirà egregiamente allo scopo. I tartufi in scatola sono già nettati: quindi non c'è da fare altro che aprire la scatolina, ritagliare i tartufi in dadi e lardellarci il vitello. Però nel nostro caso sarà bene che con un coltellino portiate via la corteccia esterna del tartufo mettendo da parte queste rifilature le quale, come vedremo, ci serviranno in seguito. Quando avrete lardellato la noce di vitello con la lingua e i tartufi (s'intende lingua allo scarlatto che si vende dai salsamentari o in mancanza di questa, lardelli di prosciutto crudo) legatela per mantenerla in forma e poi mettetela a cuocere in una casseruola con burro un po' di cipolla poco sedano, carota gialla e prezzemolo. Fate rosolare carne e legumi e quando questi saranno diventati biondi, condite con sale e pepe e poi bagnate la noce con brodo o acqua, coprite la casseruola e lasciate cuocere pian piano. Quando l'acqua o il brodo saranno evaporati e la carne sarà cotta, bagnate ancora con un bicchiere di buon marsala e fate continuare a cuocere pian piano, affinchè la carne possa ben profumarsi. A cottura completa il sugo deve essere ridotto a quasi nulla, essere denso e avviluppare la carne di un lucido mantello saporito. Estraete allora la noce di vitello e senza scioglierla dalla sua legatura appoggiatela sul marmo di cucina o su un piatto, copritela con un altro piatto, mettete su quest'ultimo uno o due ferri da stiro o un altro peso corrispondente, e lasciate freddare completamente.
queste rifilature le quale, come vedremo, ci serviranno in seguito. Quando avrete lardellato la noce di vitello con la lingua e i tartufi (s'intende
Lessate mezzo chilogrammo di patate di media grandezza, e tagliatele in fette. Preparate in una teglia, o in uno di quegli eleganti tegami bassi di porcellana che possono presentarsi anche in tavola, una salsa besciamella piuttosto liquida con mezzo ettogrammo di burro, un cucchiaio non colmo di farina e mezzo litro di latte, sale e noce moscata. Appena la salsa s'è leggermente addensata, versate nel tegame le patate in fette, fatele insaporire per qualche minuto. Aggiungete un paio di cucchiaiate di prezzemolo trito e, fuori del fuoco, spremeteci il sugo di mezzo limone. Mescolate con garbo, e usatele come contorno di bistecche, vitello arrostito, ecc.
farina e mezzo litro di latte, sale e noce moscata. Appena la salsa s'è leggermente addensata, versate nel tegame le patate in fette, fatele insaporire
Una variante assai graziosa si può ottenere dando al composto, invece della forma di crocchetta, quella di una piccola pera, forma che si ottiene assai facilmente modellando con le mani la pasta. In questo caso mentre si foggia la pera si introduce nella sommità di essa un pezzo di gambo di prezzemolo di tre o quattro centimetri, naturalmente senza foglia. Si spinge dentro con le dita in modo che ne esca fuori dalla pera appena un pezzetto di due o tre millimetri. S'infarinano e si dorano le pere e quando saranno cotte e ben colorite si tira su delicatamente il gambetto nascosto nell'interno, il quale sarà rimasto verde e formerà il picciolo di questa pera di patate, completando in modo elegante e simpatico questa semplicissima preparazione.
due o tre millimetri. S'infarinano e si dorano le pere e quando saranno cotte e ben colorite si tira su delicatamente il gambetto nascosto nell'interno
Si mondano i carciofi e si tagliano per lungo, in fette piuttosto fine, che s'infarinano, si dorano e si friggono nell'olio o nello strutto. Si unge poi di burro una teglietta o un piatto di porcellana che vada al fuoco, si fa uno strato di carciofi, su questo si mette una buona cucchiaiata di sugo d'umido, o di sugo così detto finto, un po' di parmigiano, qualche fettina di provatura e qualche foglia tagliuzzata di basilico fresco. Si fa poi un altro strato di carciofi con sugo, provatura, ecc., e via via fino alla fine, procurando di dare al tortino una forma leggermente arrotondata in alto. Quando avrete terminato tutti i carciofi, versate sulla cupola il sugo che vi è rimasto, spolverizzate di parmigiano e mettete qua e là dei pezzetti di burro. Passate la teglia a forno brillante per una diecina di minuti e mangiate il tortino caldo e filante.
Si mondano i carciofi e si tagliano per lungo, in fette piuttosto fine, che s'infarinano, si dorano e si friggono nell'olio o nello strutto. Si unge
Dopo aver nettato e lavato in più acque gli spinaci si lessano in poca acqua: e, cotti che siano, si passano in acqua fresca. Si scolano, si spremono bene per estrarne l'acqua e si tritano minutamente con un coltello. Fatto ciò si insaporiscono in una padella con burro, sale e pepe, e, fuori del fuoco, si finiscono con una cucchiaiata di parmigiano grattato. Poi si lasciano raffreddare in un piatto. Una diecina di minuti prima di servire, si prende una piccola teglia, o, meglio, un tegame di porcellana resistente al fuoco, s'imburra abbondantemente e vi si dispongono gli spinaci. Si mette ancora qua e là qualche pezzettino di burro e si spolverizzano abbondantemente gli spinaci di parmigiano grattato. Si passa il tegame in forno piuttosto caldo e appena il formaggio, per l'azione del fuoco si sarà sciolto e gli spinaci saranno gratinati, si fanno servire.
prende una piccola teglia, o, meglio, un tegame di porcellana resistente al fuoco, s'imburra abbondantemente e vi si dispongono gli spinaci. Si mette
Si sbucciano, si tagliano in pezzi, s'infarinano, si passano nell'uovo sbattuto e si friggono. Fatte così, le melanzane ricordano assai da vicino i funghi ovoli fritti. Si possono friggere senza uovo passandole semplicemente in una pastella di acqua e farina.
Si sbucciano, si tagliano in pezzi, s'infarinano, si passano nell'uovo sbattuto e si friggono. Fatte così, le melanzane ricordano assai da vicino i
Dopo averli puliti bene e spazzolati, si spalmano con sale e pepe e s'avvolgono con carta spessa, insieme a fettine di lardo. Si bagna la carta e si mette sotto la cenere calda. Dopo un'ora si levano dalla carta, si asciugano e si servono.
Dopo averli puliti bene e spazzolati, si spalmano con sale e pepe e s'avvolgono con carta spessa, insieme a fettine di lardo. Si bagna la carta e si
Fatto questo s'incomincia ad eseguire il lavoro così detto dei giri. L'operazione è molto semplice. Si stende col rullo la pasta in una striscia rettangolare, allungandola davanti a sè, in modo che risulti circa 10 centimetri per 20 (fig. 2a) procurando di stenderla ad uguale spessore di circa un centimetro. Si dispone allora la striscia davanti a sè per largo, invece che per lungo come era prima (fig. 3a) e si porta il lato A B a due terzi della lunghezza della striscia, cioè su E F, e il lato G H su C D. Avrete così ottenuto una specie di libro a tre fogli, come chiaramente risulta dalla figura 4a. Questa operazione si dice dare un giro alla pasta. Ristendete allora davanti a voi la pasta in rettangolo come la prima volta, riportatela orizzontale e ripiegatela ancora in tre. Avrete dato due giri alla pasta. Dopo questi primi due giri lasciatela riposare [immagine e didascalia: Fig.1] [immagine e didascalia: Fig.2]
Fatto questo s'incomincia ad eseguire il lavoro così detto dei giri. L'operazione è molto semplice. Si stende col rullo la pasta in una striscia
[immagine e didascalia: Fig.3] al fresco per dieci minuti e poi date altri due giri. Altri dieci minuti di riposo — come al circo equestre — e poi date i due ultimi e definitivi giri. E la pasta sfogliata è pronta. Questa operazione metodica dei giri ha per scopo di distribuire il burro uniformemente nella pasta, ed è appunto questo che durante la cottura solleva la pasta in quei foglietti che costituiscono poi la sfogliata. Il riposo ogni due giri è necessario per far perdere alla pasta l'elasticità che acquista lavorandola col rullo di legno. Se si facesse la lavorazione senza riposo la pasta risulterebbe elastica e durante la cottura tenderebbe a ritirarsi. Durante l'operazione dei giri spolverizzate sempre leggermente la pasta e la tavola di un velo di farina. Procurate inoltre di stendere e piegare la pasta il più geometricamente possibile affinchè il burro possa ripartirsi uniformemente e assicurare uguale sviluppo in tutti i punti della sfogliata durante la cottura. Tenete l'impasto al fresco, ma mai direttamente sul ghiaccio perchè il burro s'indurirebbe troppo e non si legherebbe che difficilmente alla pasta, mentre abbiamo già detto che burro e pasta debbono avere la stessa consistenza. Dopo i sei giri di prescrizione la pasta sfogliata è pronta e potrete stenderla come più vi piace per confezionarne pasticcini, dolci, vol-au-vents, ecc. tutte cose che troverete qui appresso.
perchè il burro s'indurirebbe troppo e non si legherebbe che difficilmente alla pasta, mentre abbiamo già detto che burro e pasta debbono avere la
La prima parte dell'operazione non presenta difficoltà serie. Ciò che è un po' più difficile è la seconda parte, specialmente difficile a dirsi, che in pratica è molto più semplice di quanto sembri. Mettete nel polsonetto 250 grammi di zucchero, possibilmente in pezzi, un cucchiaio da tavola di glucosio e poca acqua: tanta che possa inzuppare lo zucchero. Non disponendo di glucosio mettete nello zucchero un mezzo cucchiaino da caffè di cremor di tartaro. Il glucosio è però preferibile perchè comunica al fondant una maggiore pastosità. Mettete il polsonetto sul fuoco e appena lo zucchero bollirà passatelo da un colino fino. Rimettetelo nel polsonetto e incominciate la cottura. La quale dovrà essere arrestata al grado della bolla (vedi «Cottura dello zucchero»), quando cioè immergendo un po' di zucchero — preso col dito bagnato o con uno stecchino — in una scodella piena d'acqua, lo zucchero si raccoglierà in una pallina morbida e trasparente. Spruzzate allora un po' di acqua sullo zucchero e rovesciatelo sulla tavola di marmo, ben nettata precedentemente e bagnata d'acqua. Spruzzate ancora un altro po' d'acqua sullo zucchero e lasciatelo freddare un pochino. Prendete [immagine e didascalia: Griglia da pasticceria] poi una robusta spatola di legno e incominciate a lavorare lo zucchero spingendolo dinanzi a voi e poi rovesciandolo sempre verso il centro. L'operazione è un po' simile a quella del muratore quando impasta la calce. Occorreranno per impastare bene lo zucchero circa una ventina di minuti di lavoro. Man mano che lo zucchero s'impasta si sbianchisce e diviene sempre più duro ed elastico. Poi a un tratto si snerva, si allarga e s'indurisce. Il fondant è fatto. Si raccoglie in una palla, si mette in una terrinetta, si copre con una salviettina umida e si conserva. Quando si vuole adoperare se ne prende una parte o tutto, secondo la necessità del lavoro, si mette in una piccola casseruola e si scalda leggermente. II calore deve essere appena sensibile: immergendo un dito nel fondant non si deve sentire un eccessivo calore. Risulterà come una crema densa. Il fondant da noi descritto è bianco latteo. Per averlo in altre tinte basterà metterci qualche goccia dei soliti colori innocui da pasticceria.
una ventina di minuti di lavoro. Man mano che lo zucchero s'impasta si sbianchisce e diviene sempre più duro ed elastico. Poi a un tratto si snerva
Prendere 500 grammi di farina, 250 grammi di strutto, 125 grammi di zucchero al velo, un cucchiaino scarso di cannella in polvere, tre quarti di un bicchiere comune di vino bianco nel quale si farà bollire una scorza d'arancio. Il vino deve ridursi a metà. Si toglie la buccia e si getta via, e il vino s'impasta con la farina e il resto, fino ad ottenere una pasta omogenea. Senza lavorarla molto, col rullo di legno si riduce all'altezza di un mezzo centimetro e con un tagliapaste rotondo liscio se ne ricavano tanti piccoli dischi. I ritagli si rimpastano e si formano altri dischi fino a consumazione. Finita questa operazione si prende un foglio di carta paglia e su esso si mettono i bollos, che si fanno cuocere a fuoco moderato, spolverizzandoli poi di zucchero al velo quando saranno freddi. Con questa dose ne vengono circa sessanta. Invece dello strutto ci si potrà servire del burro.
vino s'impasta con la farina e il resto, fino ad ottenere una pasta omogenea. Senza lavorarla molto, col rullo di legno si riduce all'altezza di un
Le dosi: Un panino di burro da un ettogrammo — due cucchiaiate colme di farina — Due cucchiaiate colme di farina gialla finissima — Due cucchiaiate di zucchero in polvere — Un uovo intero — La raschiatura di un limone. — Si lavora prima sul tavolo, lo zucchero, il burro e l'uovo, facendone un impasto. In inverno converrà tenere prima il burro in un luogo un po' tiepido, per ammorbidirlo, senza tuttavia esagerare. Fatto l'impasto aggiungerete la raschiatura del limone, ottenuta con un pezzetto di vetro, e in ultimo le farine mescolate insieme. Non lavorate troppo con le mani, ma cercate d'impastare servendovi piuttosto di una larga lama di coltello. Le pastine di meliga che si vendono dai pasticceri hanno forma di ciambelline rigate e si ottengono facendo uscire la pasta da una speciale siringa con un disco a stella. La siringa è un utensile di latta a forma cilindrica con due grandi manici e una specie di stantuffo di legno che entra perfettamente nel vuoto della siringa stessa. Ognuno di questi utensili viene venduto con un piccolo corredo di dischi anche di latta, in mezzo ai quali è un intaglio a forme differenti: cuori, stelle, rettangolini, tondini, ecc. Il disco si applica facilmente alla bocca della siringa. Si arrotola la pasta in modo da farne un grosso cannello, che s'introduce nella siringa. Si mette a posto lo stantuffo di legno è tenendo la siringa con ambedue le mani e pei due manici, si appoggia l'estremità superiore dello stantuffo sul braccio e propriamente sul muscolo bicipite, spingendo col braccio stesso la pasta, la quale compressa fra lo stantuffo e il disco forato, è costretta ad uscire dal foro del disco prendendone la forma. Si fanno uscire così delle strisce lunghe sul tavolo leggermente infarinato, si ritagliano col coltellino in pezzi di una dozzina di centimetri e si chiudono in forma di ciambelline.
facilmente alla bocca della siringa. Si arrotola la pasta in modo da farne un grosso cannello, che s'introduce nella siringa. Si mette a posto lo
Per questa preparazione si prende un po' di «fondant» e si aromatizza con una goccia d'essenza, o più semplicemente con della raschiatura di limone o di arancio. Aromatizzato il «fondant», s'impasta sulla tavola con zucchero al velo, se ne fa un cannello e si ritaglia in pezzi che si rifiniscono col cioccolato di copertura, come si è detto più sopra.
di arancio. Aromatizzato il «fondant», s'impasta sulla tavola con zucchero al velo, se ne fa un cannello e si ritaglia in pezzi che si rifiniscono
Sono degli squisiti «bonbons» che si confezionano con la crema «prince» descritta più avanti. Ottenuta la crema «prince», ben montata e ben fredda, vi si mescolano: o pezzettini piccolissimi di scorzetta d'arancio o granellina di nocciole (non tostate), o di mandorle, o di pistacchi. Si stende la crema sul tavolo sopra uno strato di zucchero al velo, s'impasta sollecitamente lavorandola il meno possibile con le mani, se ne foggia un cannello, e da questo si ritagliano dei pezzetti come grosse nocciole che si rotolano nello zucchero al velo e poi si allineano su un setaccio. Si prende ora un pezzo di cioccolato da «copertura» che è uno speciale cioccolato finissimo destinato ai lavori di bomboneria e si fa sciogliere in una piccola casseruola a bagnomaria.
crema sul tavolo sopra uno strato di zucchero al velo, s'impasta sollecitamente lavorandola il meno possibile con le mani, se ne foggia un cannello, e
Parecchi sono i sistemi per fare lo zabaione, ma il miglior metodo, purchè trattisi di piccole quantità, è sempre quello antico, del frullo di legno. Prendete un «bagnomaria per salse», o, in mancanza di questo, un secchietto comune da latte, e per ogni rosso d'uovo metteteci un cucchiaio di zucchero e due di marsala o di vino bianco. Dovendo fare uno zabaione col frullino è consigliabile di non fare più di tre o quattro rossi d'uovo alla volta. Per maggiori quantità è meglio adoperare una frusta in fil di ferro. Si mette il recipiente in un altro recipiente più grande che contenga acqua calda. Si porta ogni cosa sul fuoco e girando il frullino fra le mani s'incomincia a lavorare lo zabaione. Per l'azione del fuoco e del frullo, l'uovo diventa dapprima spumoso, poi monta e finalmente si rapprende in una massa soffice e leggera. Non avendo il frullino potrete servirvi di una piccola frusta di fil di ferro. In questo caso è necessario lavorare in un recipiente più largo, ma sempre immerso nell'acqua calda. C'è chi fa anche lo zabaione a fuoco nudo, lavorandolo direttamente sulla brace, ma il bagnomaria è preferibile. Lo zabaione può essere aromatizzato con vainiglia, liquori forti, corteccia di arancio e di limone grattate, ecc.
calda. Si porta ogni cosa sul fuoco e girando il frullino fra le mani s'incomincia a lavorare lo zabaione. Per l'azione del fuoco e del frullo, l'uovo
Punch è parola derivante dall'indiano «panch», ossia cinque, per allusione ai cinque elementi che compongono questa bevanda: tè, zucchero, cannella, limone, rhum. Il punch è presentemente una bevanda nella quale entra un po' di tutto: rhum, alchermes, cognac, arac, cannella, garofani, coriandoli, limone, arancio, tè e chi più ne ha ne metta. C'è il punch forte dove predominano il rhum o l'arac, e il punch dolce in cui invece si abbonda in alchermes. Generalmente al punch si aggiunge del tè, e questa consuetudine ci pare apprezzabile, tenuto conto anche dell'origine della bevanda, in cui il tè figura tra gli elementi costitutivi. Per preparare il punch si mettono in una tazza di metallo o in una terrinetta tante cucchiaiate di rhum per quanti sono gli ospiti; s'inzucchera il rhum, secondo si desidera più o meno dolce, e si unisce la buccia sottilmente tagliata di un limone o di un arancio. Questa infusione si distribuisce poi nei bicchieri speciali, completando la bevanda con tè o acqua bollente. Molti amano dar fuoco al punch, nel qual caso si rende necessaria la tazza di metallo. Non volendo dar fuoco al punch si può preparare direttamente nei bicchieri, aggiungendo, secondo i casi, qualche pezzettino di cannella dell'alchermes, ecc.
quanti sono gli ospiti; s'inzucchera il rhum, secondo si desidera più o meno dolce, e si unisce la buccia sottilmente tagliata di un limone o di un
Con lo stesso sistema delle bottiglie potrete conservare anche una salsa densa di pomodoro. Si fanno cuocere i pomodori con qualche aroma, si passano dal setaccio, si fa restringere ancora sul fuoco la salsa, e quando sarà ben densa s'imbottiglia e si procede in tutto come sopra.
dal setaccio, si fa restringere ancora sul fuoco la salsa, e quando sarà ben densa s'imbottiglia e si procede in tutto come sopra.
Si scelgono delle belle prugne, grosse e non sfatte, si prepara un piccolo caldaio con acqua, e quando l'acqua bollirà vi s'immergono le prugne, che si terranno nell'acqua pochi minuti fino a che verranno a galla e la loro buccia si sarà screpolata. Tiratele su con un mestolo bucato e disponetele su dei grandi setacci o su delle tavole di legno, al sole. Quando si asciugheranno da una parte voltatele, e lasciatele così per qualche giorno, fino a che si saranno completamente essicate. Chiudetele allora in un sacchettino e conservatele. Avrete cura, mettendo le prugne al sole, di ritirarle in casa durante la notte, perchè l'umidità non faccia ritardare il processo di asciugamento.
Si scelgono delle belle prugne, grosse e non sfatte, si prepara un piccolo caldaio con acqua, e quando l'acqua bollirà vi s'immergono le prugne, che
I fichi migliori per seccare sono quelli calabresi. Ma si possono fare ugualmente bene con altre qualità. I fichi debbono essere raccolti a buona maturità — in Calabria si dice: fichi con la cammisa sciancata, ossia con la buccia lacerata in più punti. Non si sbucciano, e si aprono in due con le mani, verticalmente, dal sotto in su, in modo da non separarli, ma lasciandoli uniti per il picciolo. Fatto questo si mettono al sole su graticci di canna, sì che la parte interna del fico sia quella che rimane esposta al sole. Dopo un giorno si voltano e si rimettono al sole, e si ripete l'operazione per tanti giorni fino a che il fico avrà assunto quella speciale consistenza che caratterizza questa preparazione. In agosto, e nei paesi molto caldi, occorreranno circa sei giorni. Alla sera è bene ritirare i graticci in casa, facendo attenzione che una pioggia improvvisa, non infrequente nell'estate, li abbia a bagnare. Quando saranno pronti si richiudono, si premono con le dita per riunirli bene e s'infilzano su spiedini di canna, oppure si lasciano sciolti. Dopo ciò si può procedere alla disinfezione, cosa che a rigor di termini non è necessarissima, ma che è bene fare. Per procedere a questa operazione si mette a bollire dell'acqua in un caldaio. Si raccolgono tutti i fichi infilzati legando tra loro le estremità delle canne, e si tuffano per un attimo nell'acqua bollente. Si lasciano scolare un poco e si rimettono al sole per un'altra mezza giornata. Se i fichi non sono stati infilzati, si mettono in un grande scolamaccheroni e, tenendo questo per i manici, si tuffano nell'acqua bollente mettendoli poi ad asciugare come si è detto più sopra. I fichi sciolti poi si accomodano nelle cestine. Se invece si volessero passare i fichi nel forno, appena chiusi si dispongono su delle grandi lastre di latta e si passano a forno leggero per un po' di tempo. Dopo avere disinfettato i fichi nell'acqua bollente è bene, riesponendoli al sole, di coprirli con dei veli, affinchè le mosche non abbiano più ad insudiciarli.
'estate, li abbia a bagnare. Quando saranno pronti si richiudono, si premono con le dita per riunirli bene e s'infilzano su spiedini di canna, oppure si
Per i sandwichs bisogna provvedersi di uno speciale pane rettangolare, detto pane a stampa o a cassetta. È bene che il pane non sia freschissimo, ma sia raffermo almeno di un giorno. Questo per facilitare l'operazione del taglio. Si toglie via tutta la crosta al pane e s'incomincia a spalmare la prima fetta con burro precedentemente impastato con una puntina di senape sciolta in un nonnulla d'acqua; spalmata la fetta, con un coltello largo e ben tagliente, si taglia via dal pane conservandole lo spessore di mezzo centimetro; si ripete l'operazione per la seconda fetta, e così di seguito fino ad esaurire tutto il pane. Contate il numero delle fette ottenute e sulla metà di esse ponete del condimento a vostro piacere che può esser lingua allo scarlatto, prosciutto crudo o cotto, alici, petto di pollo, ecc. Ricoprite ogni fetta guarnita con un'altra fetta semplicemente imburrata, pigiate leggermente con la mano per riunire le due fette e poi con un coltello molto affilato dividete queste grandi fette accoppiate in tanti rettangoletti: i sandwicks. Prendete una salvietta, bagnatela, strizzatela e riapritela e con essa foderate l'interno di una casseruola piuttosto grande, in modo che i lembi della salvietta ricadano al di fuori. Incominciate a disporre i sandwichs bene allineati e a strati regolari nell'interno della casseruola e quando li avrete tutti sistemati ripiegate verso il centro le quattro cocche della salvietta così da chiudere perfettamente i sandwichs. Su questi appoggiate un leggero peso e lasciate così sino al momento di servirli. Con questo sistema i sadwichs acquistano il loro particolare carattere di morbidezza che li differenzia dalla solita fetta di pane e prosciutto.
sia raffermo almeno di un giorno. Questo per facilitare l'operazione del taglio. Si toglie via tutta la crosta al pane e s'incomincia a spalmare la
La «Chantilly» si può ottenere in casa con discreta facilità. L'importante è procurarsi del fiore di latte. Avendo del latte munto di fresco, lo si versa in un recipiente largo e basso, e lo si lascia in riposo per qualche ora, al fresco ed all'oscuro. Meglio sarebbe far mungere il latte la sera e lasciarlo tutta la notte in riposo. Al mattino si troveranno alla superficie dei grumi cremosi che costituiscono appunto il fiore di latte o panna di latte. Facendo passare un cucchiaio alla superficie del latte si raccoglie completamente la crema, cioè si screma il latte. Questa panna, così com'è, sarebbe ottima per il burro, ma non altrettanto adatta per la «Chantilly» a causa della sua granulosità. Bisogna quindi passare la panna da un setaccino possibilmente di seta, e poi diluire questa crema passata con qualche cucchiaiata di latte in modo da averla liscia e piuttosto liquida. Si mette allora un caldaino sul ghiaccio con la crema dentro e quando questa crema è ben fredda s'incomincia a sbatterla adagio adagio con una frusta in fil di ferro, senza mai smettere fino a che la crema avrà raggiunto quel grado di sofficità che caratterizza la «Chantilly». L'operazione è di sicuro esito. Conviene tuttavia non oltrepassare il giusto limite altrimenti la crema si straccerebbe, ingiallirebbe e si convertirebbe in burro. A facilitare l'operazione si usa talvolta mettere nella crema che si sta montando un pizzico di gomma adragante in polvere. La «Chantilly» così ottenuta si dolcifica coll'aggiunta di zucchero al velo (qualche cucchiaiata) che si fa piovere da un setaccino, mescolando pian piano per non sciupare la crema. Volendo si può anche aromatizzare con qualche goccia di rhum, di cognac, di maraschino, ecc. ecc.
allora un caldaino sul ghiaccio con la crema dentro e quando questa crema è ben fredda s'incomincia a sbatterla adagio adagio con una frusta in fil di