Avendo una carcassa di pollo, o dei colli, o delle ali, si spezzeranno col coltello e si aggiungeranno alla carne di manzo. Anche dei residui di pollo arrostito sono eccellenti per aromatizzare il «consommé». La carne che rimane potrà essere utilizzata per polpette, o per riempire, con opportuni condimenti, zucchine, cavoli, ecc. Se il «consommé» serve per ammalati, si diminuiscono o si eliminano del tutto i legumi. Volendo preparare del «consommé» di pollo, si fa prima un brodo, servendosi di una gallina, si chiarifica e si rinforza come abbiamo detto più sopra, avvertendo di unire alla carne magra di manzo qualche pezzo di pollo, per accentuare il gusto del «consommé». Abbiamo detto che il «consommé» deve avere una bella tinta color d'oro. Questa colorazione si ottiene generalmente con qualche goccia di caramello liquido, che preparerete facilmente nel modo che esponiamo qui appresso.
«consommé» di pollo, si fa prima un brodo, servendosi di una gallina, si chiarifica e si rinforza come abbiamo detto più sopra, avvertendo di unire alla
I fegati di pollame pesano 100 gr., dovrete usare 150 gr. soli di fegato di vitello per arrivare al peso stabilito di gr. 250, quanti ne occorrono per la confezione della farcia, come è stato detto più sopra. Rimettete nella padella anche i dadi di lardo, e condite il tutto con 15 gr. di sale, una forte pizzicata di pepe e una punta di coltello di spezie. Aggiungete anche o dei funghi secchi tritati (già rinvenuti in acqua fredda) o meglio qualche pezzetto di fungo fresco, una mezza cipolla finemente tritata, un pezzettino di foglia di lauro e un pizzico di timo, mescolate, aggiungete un dito di marsala, coprite la padella e lasciate sobollire sull'angolo del fornello per cinque minuti. Rovesciate il tutto su una scolamaccheroni o su un passino, raccogliendo in una scodella il grasso che colerà e subito dopo, un po' alla volta, pestate carne, grasso e fegato, operando il più sollecitamente possibile, poichè l'operazione riesce assai più speditamente quando i vari elementi sono caldi. Quando il tutto sarà ridotto in una pasta fine, aggiungete 50 gr. di burro, due rossi d'uovo e poi, a cucchiaiate, il grasso tenuto in disparte. Perchè l'operazione riesca bene, è necessario di mescolare sempre con un cucchiaio di legno allo scopo di unire bene i vari ingredienti.
mescolare sempre con un cucchiaio di legno allo scopo di unire bene i vari ingredienti.
Pestate nel mortaio la carne, condita con sale e pepe, aggiungendo di quando in quando un pochino di chiara d'uovo. Quando la carne sarà ben pestata passatela dal setaccio, raccogliendo la farcia in una casseruola, che porrete sul ghiaccio per un paio d'ore. Trascorso questo tempo, e sempre tenendo la casseruola sul ghiaccio, condite la carne col sale e pepe necessari e poi incominciate a sciogliere la farcia, aggiungendo poca alla volta la crema di latte e mescolando adagio adagio con un cucchiaio di legno. L'aggiunta della crema va fatta in piccole quantità e con grande delicatezza, come se si trattasse di unire delle chiare montate a un composto dolce. Quando tutta la crema sarà assorbita la farcia sarà fatta. Oltre che col pollame e col pesce questa farcia, si può confezionare con carni diverse, selvaggina e specialmente con crostacei, come gamberi, aragoste, ecc. ecc.
si trattasse di unire delle chiare montate a un composto dolce. Quando tutta la crema sarà assorbita la farcia sarà fatta. Oltre che col pollame e
Questa salsa, giustamente, considerata come la regina delle salse fredde, è di indiscutibile provenienza francese, e viene, negli antichi trattati di cucina, designata, volta a volta, sotto i nomi di: «magnonnaise» «mahonnaise», o «bayonnaise». Alcuni pretendono infatti che essa sia originaria del villaggio di Magnon, altri sostengono che fu ideata dal duca di Richelieu dopo la presa di Port-Mahon, altri ancora affermano — non sappiamo con quanto fondamento — che abbia avuto i suoi natali a Bayonne. Il Gilbert dà un'altra spiegazione secondo la quale essa sarebbe stata creata durante la giornata d'Arques. Il duca di Mayenne era al campo, ed amava alternare lo studio dei piani di guerra, con quello non meno importante dei suoi «menus». Aveva, quel giorno, ordinato, d'accordo col cuoco, una salsa composta d'uovo, olio, aceto ed erbe aromatiche, la quale avrebbe dovuto accompagnare una superba gallina fredda; e si era appunto seduto a mensa, quando le ostilità furono riprese. Intento a discutere col cuoco su alcune modificazioni da portare alla salsa, il duca non si accorse che il tempo volava. Cosicchè quando finalmente si decise ad entrare in combattimento trovò che la cavalleria nemica aveva già sbaragliato i suoi. Non tutti i mali vengono per nuocere!... Il duca di Mayenne aveva perduto la battaglia di Arques, ma aveva creato la regina delle salse fredde: la quale dovrebbe quindi logicamente chiamarsi «Mayennaise». I libri di cucina, scritti per lo più da solennissimi ignoranti, hanno contribuito ad accreditare presso taluni le più strampalate leggende intorno a questa popolare salsa. C'è, ad esempio, chi consiglia di lavorarla sul ghiaccio; chi mette in campo il solito ritornello di girarla sempre da una parte — guai a obliarsi anche un momento solo! — chi raccomanda con grande serietà di non lasciarsi vincere dalla tentazione di aggiungere il sale al principio; chi ammonisce di tener pronti mezzo limone e dell'aceto, e, a guisa di valvole di sicurezza, servirsene per addensare o diluire la salsa, ecc. ecc. Niente di tutto questo. Bisogna tener presente: che il freddo è il più grande nemico della maionese perchè tende a gelare l'olio e a decomporre quindi la salsa; che il girare da una parte o dall'altra non ha nessuna importanza, nè in questo nè in altri casi; che il sale, aggiunto fin del principio, regge anzi le molecole dell'uovo e comunica loro una maggior forza di assimilazione; che limone o aceto hanno l' identico ufficio: quello di diluire la salsa, ma l'aceto è preferibile. L'unico punto capitale da osservare scrupolosamente è di andare pianissimo al principio: niente altro. Nell'inverno, se l'olio fosse gelato, converrà farlo stiepidire vicino al fuoco. In generale le proporzioni sono: un giallo d'uovo, mezzo bicchiere d'olio, un pizzico di sale e un cucchiaino circa d'aceto. Certo non bisogna esagerare nella quantità d'olio, poichè oltre un certo limite l'uovo non ha più forza coesiva e la salsa si decompone. Mettete dunque un torlo d'uovo in una terrinetta, aggiungete un pizzico di sale, e con un, cucchiaio di legno, o una forchetta, o meglio ancora, con una piccola frusta di ferro stagnato — questa è quasi indispensabile — rompete l'uovo e incominciate a girarlo, procurando di mantenerlo nel centro della terrinetta, senza spanderlo troppo. Goccia a goccia, lentissimamente, incominciate a far cadere l'olio sul rosso d'uovo, girando sempre. Ripetiamo: andate adagio adagio in principio, che il segreto è tutto qui. Quando la salsa avrà assorbito un paio di cucchiaiate d'olio, vedrete che tende ad addensarsi troppo. Aggiungete subito qualche goccia d'aceto per riportarla a una densità non eccessiva ed impedirle di decomporsi, ciò che certamente avverrebbe se la salsa continuasse ad addensarsi. Avviata così, continuate a versare l'olio, con un po' di franchezza, ma senza tuttavia eccedere, e avvertendo di diluire la maionese con un po' d'aceto, appena vi sembrerà che diventi troppo spessa. Dovendo fare una maionese di più uova è buona norma unire a queste un torlo d'uovo sodo passato al setaccio, ciò che dà una maggiore forza alla salsa. Se nonostante le nostre avvertenze vi accadesse qualche volta che la salsa si decomponesse mettete in una terrinetta un altro rosso d'uovo, e su questo, goccia a goccia, versate la salsa decomposta, operando come per una nuova maionese. Spesso la salsa decomposta si riprende anche benissimo, lasciando cadere qualche goccia d'acqua sulle pareti della terrinetta, e girando energicamente con la frustina o col mestolo. E finalmente se anche questo tentativo di riprendere la salsa fallisse e voi non aveste tempo nè voglia di ricominciare da capo, eccovi il segreto infallibile per il quale la maionese la più stracciata e decomposta torna in pochi secondi unita e liscia come se niente fosse accaduto. Supponiamo che abbiate fatto una maionese di due uova e che l'operazione bene avviata sia stata arrestata a meta da un' improvvisa decomposizione della salsa. Prendete allora una casseruolina, [immagine e didascalia: Frusta in ferro stagnato] metteteci una cucchiaiata scarsa di farina e sciogliete a freddo questa farina con mezzo bicchiere scarso di aceto. Quando il tutto sarà ben sciolto mettete la casseruolina sul fuoco e, mescolando continuamente col cucchiaio o meglio con una piccola frusta di ferro, fate cuocere per qualche minuto fino a che aceto e farina abbiano formato un tutto elastico e densissimo, quasi una colla ristretta. Togliete via dal fuoco, travasate in una terrinetta e lasciate freddare completamente. Su questa farina preparata incominciate allora a gittare una mezza cucchiata della salsa maionese decomposta, girando energicamente con la frusta. Amalgamata la prima mezza cucchiaiata aggiungetene un'altra, e così di seguito fino ad avere esaurita tutta la salsa inservibile. Vedrete che questa volta la maionese... ristabilita in salute non ammalerà più, e voi potrete continuare ad aggiungere liberamente l'olio necessario per portarla alla voluta quantità. Non dimenticate questo piccolo infallibile segreto e ve ne troverete contente.
maionese con un po' d'aceto, appena vi sembrerà che diventi troppo spessa. Dovendo fare una maionese di più uova è buona norma unire a queste un torlo d
Per quattro persone mettete a liquefare in un tegamino mezzo ettogrammo di burro. Fate l'operazione in un angolo del fornello affinchè il burro non abbia a soffriggere. Appena disciolto travasatelo in una piccola insalatiera rotonda e con un cucchiaio di legno incominciate a mescolarlo. Man mano il burro si rassoderà e nello stesso tempo monterà. Quando lo avrete ridotto come una bella crema morbida, aggiungeteci un uovo intiero e poi, quando il primo sarà almagamato, un secondo uovo. Aggiungete ancora, poco alla volta, tre cucchiaiate di farina e quando anche questa sarà bene unita mettete nell'impasto un paio di cucchiaiate di formaggio grattato, un pizzico di sale e un nonnulla di noce moscata. Mescolate ancora per unire tutti gli ingredienti e poi versate questa pasta, che deve risultare non eccessivamente dura, sopra un coperchio di casseruola piuttosto largo. Avrete intanto messo a bollire dell'acqua leggermente salata in un recipiente più largo che alto — una teglia serve benissimo al caso e quando l'acqua bollirà tirate la teglia sull'angolo del fornello in modo che l'acqua continui a bollire insensibilmente e poi, tenendo nella mano sinistra il manico del coperchio della casseruola, lasciate cadere nell'acqua dei pezzettini di pasta grossi come nocciole servendovi di un coltello e procurando di dare alla pasta una forma possibilmente sferica. Questo si ottiene facilmente prendendo un pezzetto di pasta e rimpastandolo sollecitamente sull'orlo del coperchio, adoperando la lama del coltello. È un lavoro molto facile che si fa anche presto. Fate cadere i pezzetti di pasta procurando di non gettarli uno sull'altro e quando avrete esaurito il composto coprite la teglia e lasciate bollire pian piano ancora per un paio di minuti. Nell'acqua le pallottoline si rassodano e gonfiano. Avrete intanto passato il brodo occorrente per la colazione e quando sarà ben caldo tirate su le pallottoline dall'acqua servendovi di una larga cucchiaia bucata, lasciatele sgocciolare bene e passatele nel brodo. Tenetele in caldo ancora per un minuto o due, e poi fate servire la minestra.
nell'impasto un paio di cucchiaiate di formaggio grattato, un pizzico di sale e un nonnulla di noce moscata. Mescolate ancora per unire tutti gli
Queste tagliatelle, vanto della succolenta cucina bolognese, sono poco conosciute fuori della cerchia delle due torri. A differenza di tutte le abituali paste all'uovo che si confezionano in famiglia, codeste tagliatelle sono colorate in verde mediante una piccola aggiunta di spinaci passati al setaccio i quali, oltre all'assicurare alla pasta il caratteristico colore, le comunicano anche un sapore tutto particolare. Di spinaci non ne occorrono molti. Dopo aver lessato come al solito un mazzo di spinaci ne prenderete, per la pasta, una quantità come una piccola mela, li spremerete energicamente per liberarli il più possibile dall'acqua e li passerete a setaccio. Molti si accontentano di tritare gli spinaci lessi sul tagliere, ma in questo caso la pasta non risulta abbastanza fine. Mettete sulla tavola di cucina da trecento a quattrocento grammi di farina, fate la fontana, rompete nel mezzo tre uova, aggiungete gli spinaci passati, un pizzico di sale e impastate il tutto come per la solita pasta all'uovo. È difficile precisare dosi esatte per la farina perchè alcune qualità assorbono più ed altre meno. Regolatevi per il meglio, cercando di ottenere una pasta piuttosto dura e ben lavorata. Stendetela in una o due sfoglie non troppo sottili e mettete ad asciugare le sfoglie su una tovaglia leggermente infarinata. Siccome gli spinaci comunicano un po' di umidità alla pasta, ci vorrà un pochino più di tempo prima che questa asciughi in modo che si possa tagliare senza che si attacchi. Quando dunque vedrete che la pasta è bene asciutta, spolverizzatela di farina, arrotolatela su se stessa e ritagliatela in tante fettuccine di un mezzo centimetro abbondante. Aprite le tagliatelle, e raccoglietele in un vassoio con salvietta perchè finiscano di asciugare. Fatte le tagliatelle bisogna preparare il sugo alla bolognese, il quale, anche, è un po' diverso dal solito sugo di umido. Per la quantità di pasta da noi data e che può bastare a quattro o cinque persone, prendete 150 grammi di carne magra di manzo e tritatela sul tagliere, o meglio passatela alla macchinetta con 50 grammi di pancetta salata (ventresca). Mettete sul fuoco una casseruola con 50 grammi di burro, una cipolla, una carota gialla e una costola di sedano, il tutto minutamente tritato, aggiungete la carne col grasso di maiale, un chiodo di garofano, e fate rosolare finchè carne e legumi abbiano preso un colore piuttosto scuro. Bagnate allora con un po' di brodo o acqua, condite con un po' di sale, aggiungete un cucchiaino da caffè — non più — di conserva di pomodoro, mescolate, coprite la casseruola e fate cuocere pian piano su fuoco moderato. C'è una tradizione bolognese più raffinata che consiglia di bagnare l'intingolo con latte invece che con brodo o acqua. È questione di gusti... e di spesa. Certo è che l'aggiunta di latte comunica alla salsa una maggiore finezza. Quando l'intingolo avrà sobollito per una mezz'ora si potranno aggiungere qualche fegatino di pollo, qualche dadino di prosciutto, qualche fungo secco fatto rinvenire in acqua fredda e qualche fettina di tartufo bianco. Ma tutte queste aggiunte sono facoltative e se ne potrà fare benissimo a meno, ottenendo ugualmente un ottimo risultato. Ultimata anche la salsa, lessate le tagliatelle, scolatele e conditele con l'intingolo, aggiungendo ancora qualche pezzetto di burro e del parmigiano grattato. Potrete mangiarle subito, o meglio lasciarle stufare un pochino nella terrina, coperte e vicine al fuoco affinchè possano insaporirsi meglio. Potendo disporre di qualche cucchiaiata di crema di latte, si può unire alla salsa al momento di condire le tagliatelle. In questo caso non è necessaria l'aggiunta del burro. Ci sono infine altri che dopo aver fatto arrosolare legumi e carne, prima di bagnarli col brodo, l'acqua o il latte, aggiungono nella casseruola una cucchiaiata di farina che serve a legare di più l'intingolo. Queste, le tagliatelle verdi. Crediamo inutile soffermarci sulle comuni tagliatelle alla bolognese, poinon differiscono dalle precedenti che per essere fatte con pasta all' uovo senza spinaci, fermo restando tutto il resto.
terrina, coperte e vicine al fuoco affinchè possano insaporirsi meglio. Potendo disporre di qualche cucchiaiata di crema di latte, si può unire alla salsa
Una delle specialità della cucina genovese è rappresentata dalle lasagne, di cui in Liguria si fa un larghissimo uso da ogni ceto di persone. Le lasagne si fanno di pasta all'uovo, che si stende all'altezza delle consuete tagliatelle, ritagliandole però in larghi quadrati di una diecina di centimetri di lato. Si lessano come al solito le lasagne in acqua e sale, e dopo averle scolate si condiscono col pesto, il celeberrimo pesto alla genovese. Alcune volte si usa unire alle lasagne delle patate a fette dello spessore di due o tre millimetri. In questo caso qualche minuto prima della pasta si mettono a bollire le patate e quando queste sono piuttosto avanzate di cottura si aggiungono le lasagne in modo che patate e lasagne arrivino di cottura nello stesso punto. La pietanza così modificata si chiama in genovese cappellasci.
. Alcune volte si usa unire alle lasagne delle patate a fette dello spessore di due o tre millimetri. In questo caso qualche minuto prima della pasta si
I ramequins appartengono all'antica cucina. In sostanza sono una varietà di bignè in cui lo zucchero viene sostituito dal formaggio. Quindi si servono generalmente per colazione; o soli, o come contorno di carne e di uova, o infine come varietà in un piatto di fritto misto. Le dosi sono le seguenti: sei cucchiaiate colme di farina — un bicchiere d'acqua — cinque uova intere — un pezzo di burro o di strutto come una noce — un pizzico di sale — una cucchiaiata di prosciutto in piccolissimi pezzi — una cucchiaiata colma di parmigiano grattato. Mettete a bollire in una casseruola l'acqua con il burro, lo strutto e il sale, e appena il liquido bollirà, tirate indietro la casseruola e gittateci d'un colpo tutta la farina, che terrete vicina a voi. Mescolate con un cucchiaio di legno e rimettete la casseruola sul fuoco. Farina, grasso e acqua avranno subito formato una pasta che voi lavorerete sempre. Ben presto la pasta formerà come una palla che si staccherà dal cucchiaio di legno e dalle pareti della casseruola. Lavorate ancora un poco, e quando sentirete che essa farà un leggero rumore, come se friggesse, la pasta sarà fatta. Levate la casseruola dal fuoco e lasciate raffreddare. Quando la pasta avrà perduto il suo calore, rompete nella casseruola un uovo alla volta, lavorando energicamente col cucchiaio di legno e facendo attenzione di non mettere un altro uovo se il precedente non s'è amalgamato alla massa. Non vi stancate di lavorare la pasta, poichè, come per le bignè, dipende principalmente da questo la buona riuscita dei ramequins. Quando la pasta sarà ben vellutata e farà qua e là delle bolle, unite il prosciutto tritato, il parmigiano e un nonnulla di noce moscata grattata. Mescolate un poco per unire anche questi ultimi ingredienti, poi coprite la pasta e lasciatela riposare un pochino in luogo fresco. Preparate una padella con abbondante olio o strutto, e quando il liquido sarà appena tiepido, fate cadere nella padella dei pezzi di pasta come nocciole, procurando di dar loro forma arrotondata. Potrete servirvi efficacemente di due cucchiaini da caffè che terrete uno per mano. Con uno di essi prenderete la pasta dalla casseruola e con l'altro la staccherete e la farete cadere nella padella. Friggete da prima a fuoco moderato, poi, man mano che i ramequins gonfiano, aumentate il calore agitando la padella in senso circolare. Se c'è sufficiente liquido le pallottoline si voliteranno da sè. Quando saranno di un bel colore biondo prendetele con una cucchiaia bucata, lasciatele sgocciolare e toglietele dalla padella. Lasciate che lo strutto o l'olio si freddino un pochino e poi ricominciate, avvertendo di non mettere troppe pallottole per volta. I ramequins dovranno riuscire leggerissimi, vuoti e gustosi e di grandezza un pochino inferiore a quella delle bignè. Con questa dose potrete ottenerne oltre una cinquantina. Nell'antica cucina si usava unire insieme col prosciutto una cucchiaiata di provatura o di qualche altro formaggio fresco tagliato in dadini. Noi l'abbiamo soppresso definitivamente perchè la provatura in contatto della frittura salda si liquefa, si attacca alla padella, brucia e nuoce alla riuscita di queste gustose frittelline rigonfie.
tritato, il parmigiano e un nonnulla di noce moscata grattata. Mescolate un poco per unire anche questi ultimi ingredienti, poi coprite la pasta e
Per una ventina di crocchette lessate un centinaio di grammi di fagioli e passateli dal setaccio, raccogliendo la purè in una scodella. Mettete in una casseruolina la quarta parte di un panino di burro e quando questo sarà liquefatto, aggiungete una cucchiaiata ben colma di farina. Fate cuocere un momento, mescolando con un cucchiaio di legno e poi sciogliete il composto con mezzo bicchiere scarso di latte o di brodo — il latte è preferibile. Fate addensare moltissimo questa salsa, e unitele la purè di fagioli. Condite il tutto con sale e un nonnulla di noce moscata, mescolate bene per unire e asciugare il composto, e poi travasatelo in un piatto aspettando che si freddi. Freddo che sia rovesciatelo sulla tavola infarinata e con le mani foggiatene una specie di maccherone del diametro di un soldo. Dividete questo maccherone in tanti pezzi della lunghezza di circa quattro centimetri, infarinate ogni pezzo, passatelo nell'uovo sbattuto, nel pane pesto, date alle crocchette una forma corretta e friggetene poche alla volta nell'olio o nello strutto bollente finchè abbiano preso un bel colore. È necessario che la padella sia molto calda, altrimenti le crocchette corrono il rischio di rompersi.
. Fate addensare moltissimo questa salsa, e unitele la purè di fagioli. Condite il tutto con sale e un nonnulla di noce moscata, mescolate bene per unire
Per due persone mettete in una padella un po' d'olio o di strutto, una zucchina tagliata a tocchetti e la parte bianca di un piccolo sedano che avrete accuratamente nettato dalla terra e tagliato in pezzetti. Fate cuocere un poco e aggiungete due o tre pomodori spellati e fatti in pezzi, sale e pepe. Quando il tutto sarà cotto rompete in una terrinetta tre uova, aggiungete due cucchiaiate di parmigiano e un pugno di basilico trito, sbattete bene ogni cosa, versate nella padella, mescolate per unire bene il tutto e fate la frittata come il solito.
ogni cosa, versate nella padella, mescolate per unire bene il tutto e fate la frittata come il solito.
Queste costolettine, le quali sono sempre assai gradite in una colazione o in un pranzo, godono presso talune mammine una ingiustificata nomea di difficoltà. Niente di più esagerato! Seguendo le nostre semplicissime istruzioni, ognuna delle lettrici riuscirà a preparare in modo impeccabile queste appetitose costolette. Per sei persone occorrono sei costolette doppie di abbacchio, cioè comprendenti due costole, oppure dodici costolette semplici. Il negoziante stesso è quello che generalmente prepara le costolette, quindi fatele tagliare da lui. L'operazione è del resto molto semplice. Si tratta di dividere col coltello le costole, una per una, o due per due, a seconda si desiderano delle cotolette semplici o doppie, di fare col coltello un piccolo intacco nella parte superiore della costola e tirare giù la pelle per mettere a nudo l'ossicino, avvolgendo poi questa pelle intorno all'altra estremità carnosa, quella che costituisce la costoletta. Una energica spianata con lo spianacarne e la costoletta è pronta. Ma, ripetiamo, chi trovasse l'operazione troppo difficile, la faccia fare direttamente dal negoziante. Mettete un pezzo di burro o una cucchiaiata di strutto in una teglia; ponetela sul fuoco e in essa cuocete le costolette. Regolatevi che il fuoco non sia troppo forte. Condite con sale e pepe, e quando saranno cotte spruzzateci sopra un bicchierino di marsala. Quest'addizione è facoltativa, ma noi la consigliamo perchè comunica un più gradevole sapore alla pietanza. Quando il marsala si sarà asciugato, estraete le costolette, e mettetele sul marmo di cucina — che avrete ben pulito in antecedenza — tutte coll'osso nel centro, in modo che formino una rosa. Copritele con un coperchio, e su questo mettete un paio di ferri da stiro o qualunque altro peso a vostro piacere. Mentre le costolette si freddano sotto peso, preparate una salsa besciamella. Fate liquefare in una casseruolina la metà di un panino di burro da un ettogrammo e mettete poi nel burro liquefatto due cucchiaiate colme di farina. Mescolate, badando di non far prendere colore alla farina, e dopo un paio di minuti versate nella casseruolina un bicchiere e mezzo di latte. Condite con sale, pepe e un nonnulla di noce moscata, e mescolate sempre, finchè avrete una salsa spessa, vellutata e senza grumi. Toglietela allora dal fuoco e amalgamateci prestamente un torlo d'uovo e una cucchiaiata di parmigiano grattato. Le costolette, freddandosi sotto il peso, saranno rimaste ben spianate. Prendetele una alla volta tenendole per l'ossicino e immergetele nella salsa calda in modo che si rivestano da ambo le parti di uno strato di crema. Tornate ad appoggiare man mano le costolette sul marmo e lasciatele freddare così. Dopo un'oretta, e quando sarà il momento di andare in tavola, con una lama di coltello staccate le costolette col loro involucro di salsa rappresa, passatele nella farina, nell'uovo sbattuto, e quindi nel pane grattato. Con la lama stessa del coltello procurate di dar loro una bella forma, e, delicatamente, immergetele in una padella con abbondante strutto od olio. La padella dovrà essere molto calda, poichè essendo le costolette già cotte, non si tratta che di riscaldarle, e di fissare colla panatura la salsa intorno ad esse. Se la padella fosse troppo fredda, la panatura scoppierebbe e la salsa andrebbe a passeggio per la padella. La salsa besciamella dovrà essere di giusta consistenza, non troppo liquida ma nemmeno troppo elastica, perchè in questo caso non si attaccherebbe sulla costoletta. Deve avere la densità di una crema ben rappresa. Se vorrete fare una Villeroy ancor più fine, potrete unire nella salsa dei dadini piccolissimi di prosciutto o di lingua, od anche di tartufa neri.
Villeroy ancor più fine, potrete unire nella salsa dei dadini piccolissimi di prosciutto o di lingua, od anche di tartufa neri.
Nel secondo metodo, quello casalingo, si cerca invece di ottenere il maggior profitto dalla lingua. Si passa sulla fiamma, si spella, si risciacqua e poi si mette a lesso. Una lingua ha un peso che generalmente oscilla da un chilogrammo e duecento a due chili. Con essa dunque, con o senza una piccola aggiunta di carne di manzo, si otterrà un brodo assai buono, specialmente se si avrà cura di abbondare in legumi. Questo brodo in una famiglia non troppo numerosa può servire anche un paio di volte: togliendosi così un pensiero a chi presiede alla direzione della cucina. Quando la lingua sarà cotta, ma non troppo — ci vorranno sempre un paio d'ore — estraetela dal brodo, e toglietele la seconda pelle, che verrà via molto facilmente. Se in famiglia non si è in troppi, una lingua di peso normale basterà comodamente per due pasti, e allora una volta potrà mangiarsi bollita con la salsa verde e in un altro pasto farla in agro-dolce nel modo facilissimo che insegniamo qui appresso. Tagliate la lingua in fette di mezzo centimetro e mettete queste fette in un piatto. Prendete un tegame piuttosto largo sia esso di rame o di terraglia, metteteci una cucchiaiata di strutto o di burro, un po' di cipolla finemente tritata, e un pezzettino di carota gialla. Aggiungete anche qualche fettina di grasso di prosciutto tritata sul tagliere con mezzo spicchio d'aglio e una cucchiaiata di prezzemolo, e quando la cipolla sarà leggermente colorita mettete nel tegame le fette di lingua procurando che non stiano troppo sovrapposte. Fate insaporire per qualche minuto, e poi spolverizzate le fette di lingua con una mezza cucchiaiata di farina; aggiungete ancora un nonnulla di sale e una pizzicata di pepe; voltate delicatamente le fette e poi bagnatele con mezzo bicchiere d'aceto e un bicchiere d acqua o meglio di brodo. Aggiungete ancora un paio di cucchiaiate di zucchero in polvere e un paio di cucchiaiate colme di cioccolato grattato, una foglia di alloro, che poi toglierete, un pugno di pinoli, e, se credete, qualche viscida secca che avrete tenuto a rinvenire in acqua tiepida e a cui avrete tolto il nocciolo. Mescolate adagio per unire tutti questi ingredienti e fate sobbollire dolcemente per una diecina di minuti affinchè la lingua possa insaporirsi perfettamente e la salsa restringersi a punto. Assaggiate la salsa e se vi parrà troppo forte aggiungete un altro pochino di zucchero; altrimenti correggete con poco aceto. Però è bene mantenerla piuttosto dolciastra. Va con sè che non avendo i pinoli e le visciole potrete farne a meno senza che il risultato finale ne venga menomamente compromesso. Accomodate le fette di lingua in un piatto, ricoprendole con la loro salsa che dovrà essere piuttosto densa, scura e vellutata.
avrete tolto il nocciolo. Mescolate adagio per unire tutti questi ingredienti e fate sobbollire dolcemente per una diecina di minuti affinchè la lingua
Per sei persone, tagliate in fette larghe ma sottili, 500 grammi di fegato di buona qualità. Infarinate queste fette, passatele nell'uovo sbattuto, nel pane pesto e friggetele in una teglia larga con un po' di burro. Quando il fegato avrà preso una bella tinta bionda, levatelo dalla teglia, nella quale metterete un altro pezzetto di burro e una cucchiaiata scarsa di zucchero. Fate fondere piano piano lo zucchero senza farlo bruciare, e poi, fuori del fuoco, spremeteci su il sugo di un limone. Mescolate per unire la salsa, rimettete il fegato nella teglia, voltandolo per farlo bene imbeverare della salsa, accomodate in un piatto e mandate subito in tavola.
, fuori del fuoco, spremeteci su il sugo di un limone. Mescolate per unire la salsa, rimettete il fegato nella teglia, voltandolo per farlo bene imbeverare
Mondate una dozzina di carciofi, spuntatene l'estremità superiore, e mozzate il torsolo vicino all'attaccatura delle foglie in modo che possano tenersi ritti. Stropicciateli con un pezzo di limone affinchè non anneriscano, slargate un po' con le dita le foglie, e condite l'interno con sale e pepe. Adesso preparate il ripieno. Mettete in una casseruola mezzo bicchiere abbondante d'olio con una cipolla piccola tagliata sottile, mezzo spicchio di aglio schiacciato, e una cucchiaiata di prezzemolo tagliuzzato. Intanto abbrustolite in una padellina con un po' d'olio quattro cucchiaiate di pane grattato, e, a parte, servendovi di una lama di coltello, impastate bene un ettogrammo di burro con quattro o cinque alici, lavate e spinate. Quando la cipolla che sta cuocendo avrà preso un color biondo molto scuro, unite nella casseruola il pane abbrustolito, il burro d'alici, un pizzico di sale (regolatevi che le alici sono già salate) e un buon pizzico di pepe. Mescolate per unire tutti gli ingredienti, e poi, con un cucchiaio, distribuite il ripieno tra i dodici carciofi, in modo che esso occupi la parte centrale, e colmi gli interstizi delle foglie. Mettete man mano i carciofi riempiti in una casseruola dove possano stare comodamente, e in un solo strato, aggiungete due ramaioli d'acqua, e fate ancora sgocciolare sui carciofi un filo d'olio. Coprite la casseruola, e cuocete lentamente, con moderato fuoco, sotto e sopra.
(regolatevi che le alici sono già salate) e un buon pizzico di pepe. Mescolate per unire tutti gli ingredienti, e poi, con un cucchiaio, distribuite il
Prendete un chilogrammo di farina, impastatela con acqua, sale, una cucchiaiata di olio fine e lavoratela energicamente fino ad avere una pasta molto morbida, che dividerete in venticinque pezzetti uguali e serberete da una parte della madia con un po' di farina sotto. Coprite questi pezzi con una salvietta umida e con un'altra asciutta sopra. Prendete poscia due grandi mazzi di spinaci, mondateli, lavateli e fateli lessare; poscia spremeteli bene, tritateli sul tagliere colla mezzaluna e poneteli al fuoco in una casseruola entro cui avrete già fatto rosolare non molto burro, alquanta cipolla e prezzemolo ben tritati. Dopo due o tre minuti, levateli e metteteli a raffreddare in un recipiente di terra. Indi preparate mezzo chilogrammo abbondante di ricotta sciogliendola bene con tre cucchiaiate di farina, sale necessario e due bicchieri di latte, aggiungendovi poi cinque uova intere, un pizzico di pepe, e rimescolando il tutto. Ungete il fondo d'una teglia, prendete poscia uno dei pezzetti di pasta, e col rullo di legno prima, indi con le mani (ciò non si può fare bene da una persona sola), tiratene una sfoglia trasparente di cui coprirete tutta la teglia. Ungete la sfoglia d'olio, procurando non isquarciarla, sovrapponete a questa, ungendole sempre (sia con olio che con burro liquefatto) altre nove sfoglie. Indi sull'ultima stenderete il composto di ricotta che avrete unito e rimescolato agli spinaci, formandone uno strato uguale dello spessore di due dita. Torno torno a questo ripieno formate col cucchiaio 8 o 10 fossettine (la quantità è a piacere), e dentro queste fossettine rompete un uovo fresco, spolverizzate di sale e poco pepe, e mettete un dadino di burro; indi ricominciate a stendere e a sovrapporre tutte le rimanenti sfoglie, avvertendo sempre di ungerle bene. Terminata l'operazione, tagliate col coltello la pasta pendente attorno alla teglia, in modo che sopravanzi di un dito, avvoltolate questo bordo a modo di cordone tutto attorno, e schiacciatelo poi con i denti d'una forchetta. Ungete un'ultima volta la sfoglia e fatela cuocere in forno. Questa torta si fa pure di carciofi, bietole, ecc., preparandola come quella di spinaci. Molti genovesi, anzichè unire la ricotta alla verdura, preferiscono averla separata. In tal caso, la ricotta si scioglie con la farina e il latte, ma non vi si uniscono le uova. Si mettono gli spinaci sopra la sfoglia, poi lo strato di ricotta come detto più sopra, e quindi si praticano le fossettine ove si romperanno le uova a volontà. A Genova si adopera da taluni anche non ricotta, ma quagliata; però questa è di un gusto acidino che non tutti preferiscono.
torta si fa pure di carciofi, bietole, ecc., preparandola come quella di spinaci. Molti genovesi, anzichè unire la ricotta alla verdura, preferiscono
I fiori di zucca sono dei fiori alquanto disgraziati, perchè contrariamente a quanto avviene pei loro confratelli che abbelliscono i giardini, nessuno vuol prenderli sul serio. È un torto dell'umanità, la quale ne ha anche dei peggiori sulla coscienza. Del resto questi modesti fiori, così spesso e volentieri presi in giro, si prendono la loro brava rivincita offrendo un cibo molto simpatico. Per lo più i fiori di zucca si fanno fritti, semplici o ripieni. In un caso come nell'altro è necessario che essi siano freschissimi e non molto aperti. La loro toletta culinaria è assai semplice. Se ne spunta un po' il gambo, si liberano da qualche filamento, si lavano, si asciugano in un panno, ed eccoli pronti. Se volete friggerli al naturale non dovete far altro che immergerli in una pastella d'acqua e farina e metterli in padella. Se volete invece riempirli potrete seguire diversi sistemi. Potrete infatti, dopo averli delicatamente privati dell'anima, infarcirli con della mollica di pane grattata e impastata con olio, prezzemolo trito, qualche acciuga in pezzettini e un pizzico di pepe; oppure con delle fettine di mozzarella o provatura, e prosciutto; oppure con provatura e alici. Potrete anche riempirli con un po' di besciamella, nella quale si possono unire, a scelta, dei dadini di gruyère, o una fettina di carne arrostita e tritata, o dei funghi cotti e tritati. Non avete dunque che l'imbarazzo di scegliere. Riempiti i fiori di zucca, si immergono nella pastella, o meglio ancora si passano nella farina e nell'uovo sbattuto, e si friggono.
anche riempirli con un po' di besciamella, nella quale si possono unire, a scelta, dei dadini di gruyère, o una fettina di carne arrostita e tritata
La pasta frolla senza uova? Sicuro; e così fine e squisita, che quando ne avrete imparata la facilissima esecuzione, non vorrete più saperne della pasta frolla comune. Eccone le dosi: Due cucchiai colmi di farina — due cucchiai di farina di patate — quattro cucchiaini da caffè colmi di zucchero al velo — un ettogrammo molto scarso di burro — un po' di buccia di limone raschiata. Ossia, per chi desiderasse la ricetta in grammi: farina grammi 60 — fecola grammi 60 — zucchero grammi 35 — burro grammi 80. Impastate prima il burro con lo zucchero e il profumo di limone, servendovi un po' delle mani e un po' di una larga lama di coltello; e poi aggiungete le due farine che avrete precedentemente mescolate insieme. In principio, specie in inverno, vi sembrerà che la pasta tenda e sgretolarsi: ma, pian piano, continuando ad unire con cura i vari ingredienti, otterrete un impasto perfetto. Di questa pasta frolla senza uovo vi servirete per tutti gli usi della pasta frolla comune.
, vi sembrerà che la pasta tenda e sgretolarsi: ma, pian piano, continuando ad unire con cura i vari ingredienti, otterrete un impasto perfetto. Di
Questa operazione dovrà durare per circa una mezz'ora, fino a che vedrete che i rossi d'uovo saranno ben montati, faranno qua e là delle bollicine e la massa spumosa, lasciata cadere dal cucchiaio, verrà giù morbidamente a nastro, senza spezzarsi. Montate allora in neve, con una frusta di ferro stagnato, le quattro chiare che avrete messo in una insalatiera. Sbattetele bene: esse dovranno divenire bianchissime e sostenute. A questo punto aggiungete nei rossi d'uovo un ettogrammo di fecola, mischiate bene, e in ultimo aggiungete le chiare montate. Fate attenzione di non mischiare il composto con molta forza, perchè sciupereste le chiare e la torta perderebbe molto della sua morbidezza. Dovrete unire le chiare leggermente, adoperando un cucchiaio di legno. Imburrate e infarinate con la fecola una teglia di rame del diametro di circa venti centimetri e dell'altezza di cinque o più centimetri, rovesciatela per farne uscire il di più della farina e metteteci il composto. Appena questo sarà nella teglia ponetelo subito in forno di giusto calore e lasciate cuocere la torta per una trentina di minuti. Sfornatela, toglietela dalla teglia, ponetela su un setaccio per farla asciugare e freddare, poi inzuccheratela. Questa torta può mantenersi per parecchi giorni. Conviene allora avvolgerla nella stagnuola. Come vedete è una delle tante imitazioni della famosa torta precedentemente descritta, che però non ha nulla a che vedere con la vera torta del paradiso.
con molta forza, perchè sciupereste le chiare e la torta perderebbe molto della sua morbidezza. Dovrete unire le chiare leggermente, adoperando un
Mettete in una terrinetta quattro rossi d'uovo con 100 grammi di zucchero in polvere e una puntina di vainiglina e con un cucchiaio di legno lavorate a lungo le uova affinchè montino bene. Quando le uova saranno ben spumose uniteci le quattro chiare montate in neve molto ferma. Ultimate il dolce con 73 grammi di cioccolata grattata, 50 grammi di farina e 15 grammi di fecola di patate. Mescolate delicatamente per unire tutti gli ingredienti, poi imburrate una teglia di una ventina di centimetri di diametro, spolverizzatela di zucchero in polvere, rovesciate la teglia per far cadere lo zucchero superfluo, e in questa teglia così preparata versate il composto, che metterete a cuocere subito, in forno di calore moderato, per una mezz'ora abbondante. È una specie di fine e squisito pan di Spagna al cioccolato, che vi raccomandiamo per la facilità della preparazione e per il suo buon gusto.
con 73 grammi di cioccolata grattata, 50 grammi di farina e 15 grammi di fecola di patate. Mescolate delicatamente per unire tutti gli ingredienti, poi
Mettete in una insalatierina 200 gr. di ricotta e lavoratela un poco con un cucchiaio di legno per scioglierla bene. Aggiungeteci 50 gr. di mollica di pane che avrete tenuto in bagno nel latte e poi spremuta, 50 gr. di zucchero in polvere, due rossi di uovo e la raschiatura di un po' d'arancio. Mescolate per unire bene ogni cosa. Prendete delle mezze cucchiaiate di questo composto, passatele nella farina e poi nell'uovo sbattuto e finalmente friggete le frittelline nello strutto o nell'olio. Quando saranno d'un bel colore d'oro chiaro toglietele dalla padella, lasciatele sgocciolare e poi accomodatele in un piatto con salvietta, spolverizzandole di zucchero. Siccome il composto è molto morbido, dovrete infarinarle con molto garbo, allo scopo di mantenerle in forma. Avendo le due chiare d'uovo avanzate, potrete sbatterle un poco e servirvi di esse per dorare le frittelline. Sono buone tanto calde che fredde, ma calde sono innegabilmente più gustose. Con questa dose ne vengono circa una ventina.
. Mescolate per unire bene ogni cosa. Prendete delle mezze cucchiaiate di questo composto, passatele nella farina e poi nell'uovo sbattuto e finalmente
Mettete in una terrinetta un ettogrammo di burro. Nella stagione fredda, converrà prima mettere un paio di ramaioli di acqua bollente nel recipiente, allo scopo di riscaldarlo, poi gettare via l'acqua ed asciugarlo. Così il burro si ammorbidirà più facilmente. Con un cucchiaio di legno lavorate bene questo burro in modo che diventi soffice e cremoso. A questo punto aggiungete 100 grammi di zucchero in polvere. Lavorate sempre col cucchiaio di legno per montare bene il composto e poi, sempre lavorando, aggiungete uno alla volta quattro rossi di uovo e poi 100 grammi di pane che avrete ritagliato in fette, tostato nel forno, poi pestato nel mortaio e finalmente passato dal setaccio in modo che questo pane risulti una granellina leggerissima. Aggiungete ancora due cucchiaiate colme di cioccolata grattata e un pizzico di cannella. Continuate a lavorare il composto e quando sarà ben rigonfio ultimatelo con quattro bianchi d'uovo montati in neve. Mescolate con leggerezza per unire bene le chiare e poi ungete di burro una stampa da budino liscia e senza buco in mezzo. In questa stampa versate il composto facendo attenzione che esso arrivi ai tre quarti della stampa. Mettete il budino a bagnomaria, copritelo con un coperchio e sul coperchio mettete anche qualche pezzettino di brace. Lasciatelo cuocere per un tempo che varierà dai tre quarti d'ora ad un'ora e quando sentirete che il budino sarà bene rassodato, toglietelo dal bagnomaria. Lasciatelo riposare quattro o cinque minuti al caldo, poi sformatelo sul piatto di servizio e fatelo portare subito in tavola, facendolo accompagnare con una salsiera di zabaione.
ultimatelo con quattro bianchi d'uovo montati in neve. Mescolate con leggerezza per unire bene le chiare e poi ungete di burro una stampa da budino
Per dieci persone, mettete in una terrinetta otto rossi d'uovo con 150 grammi di zucchero e con un cucchiaio di legno montate il tutto fino a che avrete ottenuto un composto soffice e rigonfio che si staccherà dal cucchiaio in un lungo nastro ininterrotto. Aggiungete allora 125 grammi di burro fuso, avvertendo che questo burro sia appena tiepido e non caldo, che in questo caso sciupereste le uova montate. Mescolate per unire il burro alle uova e poi fate cadere a pioggia sul composto 80 grammi di farina che unirete anche alla massa. Montate in neve molto ferma le otto chiare rimaste e unitele con grande delicatezza al rimanente, ultimando con un pizzico di vainiglina.
, avvertendo che questo burro sia appena tiepido e non caldo, che in questo caso sciupereste le uova montate. Mescolate per unire il burro alle uova e
Mettete in una casseruola 100 grammi di farina di prima qualità, 50 grammi di burro e 50 di zucchero. Aggiungete la raschiatura di un limone e una presina piccolissima di sale. Sciogliete il tutto con un quarto di litro di latte. Mettete la casseruola sul fuoco e, sempre mescolando, fate che il composto si addensi e divenga liscio e vellutato come una crema. A questo punto togliete la casseruola dal fuoco e unite altri 50 grammi di burro, 50 grammi di zucchero, e poi, uno alla volta, 5 rossi d'uovo, mescolando sempre e non aggiungendo un altro uovo se il primo non si è bene unito alla massa. Mescolate con delicatezza, poichè si tratta soltanto di unire bene tutti gli ingredienti e non di ottenere un composto lavorato che abbia poi a crescere, sul tipo delle bignè. Quando ogni cosa sarà unita sbattete in neve ben ferma le 5 chiare d'uovo rimaste e procedendo con grande delicatezza unitele al composto. Mettete adesso in un polsonetto 100 grammi di zucchero in polvere, e fatelo fondere, senza aggiunta di acqua, su fuoco moderato fino a che abbia preso un bel colore d'oro. Avrete pronta una stampa da budino a pareti liscie e senza buco in mezzo, che terrete vicino al fuoco per stiepidirla. Quando lo zucchero sarà pronto versatelo nella stampa e girando questa in tutti i versi fate che lo zucchero possa aderire su tutta la parete interna della stampa. Consigliamo appunto di tenere la stampa tiepida per facilitare questa operazione, poichè se la stampa fosse fredda lo zucchero tenderebbe a rapprendersi subito rendendo l'operazione più difficile. Lasciate raffreddare lo strato di zucchero e poi versate nella stampa il composto preparato. Battete leggermente la stampa su uno strofinaccio affinchè non abbiano a rimanere vuoti, e poi mettete a cuocere il pudding a bagno-maria per circa un'ora, avvertendo che l'acqua del bagnomaria non levi mai un bollore dichiarato. Sarà bene, per assicurare sempre meglio la riuscita, di coprire la stampa con un coperchio e di mettere su questo un po' di brace. Il composto non dovrà occupare tutta la stampa, ma rimanere circa a due terzi. Quando il pudding sarà rassodato togliete la stampa dall'acqua, lasciate riposare quattro o cinque minuti vicino al fuoco, e poi sformate il vostro dolce sul piatto di servizio. Lo zucchero caramellato, fondendosi, avrà avviluppato il dolce di una attraente vernice brunastra, costituendo inoltre una squisita e bene appropriata salsa. Chi non volesse caramellare la stampa potrà semplicemente accontentarsi di imburrarla.
. Mescolate con delicatezza, poichè si tratta soltanto di unire bene tutti gli ingredienti e non di ottenere un composto lavorato che abbia poi a
Le gelatine al liquore rappresentano un dolce della cucina classica; e ancora adesso, in occasione di qualche grande buffet, è frequente il caso di vedere far bella mostra di sè codesti dolci, nei più svariati colori. Diremo subito che l'oblìo in cui queste gelatine sono un po' cadute è affatto ingiustificato, in quanto che alla loro preparazione non concorrono difficoltà di procedimenti, nè spesa eccessiva, mentre il risultato è attraentissimo alla vista e molto accetto al palato. Si tratta di fare una gelatina dolce, ben chiarificata, alla quale si aggiunge un profumo a piacere o un liquore. Si potranno dunque confezionare gelatine al limone o all'arancio, o alla vainiglia, oppure alla chartreuse, all'alckermes al rhum o, come più comunemente si fa, al maraschino. Scegliamo dunque un liquore a piacere, ad esempio del rhum, e vediamo quale è il procedimento per la confezione del dolce. Basandosi sul procedimento che descriveremo, le nostre lettrici potranno poi a loro piacere variare il liquore o l'essenza, e quindi anche il colore della gelatina. Premettiamo che le gelatine dolci vanno confezionate in stampe col buco in mezzo e piuttosto lavorate, ciò che le rende assai eleganti. Le dosi di base sono queste: acqua litri uno; zucchero grammi 400; 50 grammi di gelatina «marca oro»; 3 bianchi d'uovo; 4 bicchierini di liquore. Le dosi di base che noi abbiamo dato sono sufficienti per fare una grandissima gelatina dolce. Se vorrete fare una gelatina più piccina, sufficiente a sei persone, ridurrete le dosi nel modo seguente: Due bicchieri d'acqua; 5 cucchiaiate e mezzo di zucchero; 17 grammi di gelatina; un bianco d'uovo; un bicchierino e mezzo di liquore. Come vedete si tratta della formula base ridotta su per giù ad un terzo. Mettete i fogli di gelatina in bagno in una casseruola con acqua fredda e lasciate così almeno per un quarto d'ora. A parte, in una terrinetta, mettete lo zucchero con i due bicchieri d'acqua tiepida e lasciate che lo zucchero si sciolga bene. Prendete adesso una casseruola piuttosto grande, ben netta, e in questa mettete la chiara d'uovo che sbatterete un poco con la frusta di fil di ferro affinchè rimanga ben sciolta e spumosa, ma non montata in neve. Versate allora a cucchiaiate sulla chiara l'acqua zuccherata, continuando sempre a sbattere per unire bene il composto. Quando avrete versato tutto lo sciroppo di zucchero prendete la gelatina che era nell'acqua fredda e che intanto si sarà ben rammollita, strizzatela un po' tra le mani e aggiungetela nella casseruola. Mettete tutto su fuoco moderato e, sempre sbattendo con la frusta, portate il liquido all'ebollizione. Appena questa si sarà verificata tirate la casseruola sull'angolo del fornello, quasi fuori del fuoco, coprite il recipiente, mettendo qualche pezzettino di brace sul coperchio e lasciate riposare la gelatina per una ventina di minuti. La chiara d'uovo portata all'ebollizione, si sarà coagulata assorbendo tutte le impurità del liquido, che apparirà negli interstizi limpidissimo. Mentre la gelatina riposa vicino al fuoco, prendete una seggiola di cucina, appoggiatela capovolta sul tavolo, e sulle quattro zampe distendete una salvietta che assicurerete con quattro legature di spago, una per ogni zampa della seggiola. Questo sistema di improvvisare un filtro, per quanto possa sembrare strano a chi non lo conosce è il più comodo e il più sicuro, e viene praticato da tempo immemorabile in ogni cucina. Preparata così la salvietta, mettete sotto ad essa una insalatiera grande, versate sulla salvietta la gelatina e lasciate che filtri. Otterrete così un liquido limpidissimo. Se non vi sembrasse tale ripetete l'operazione del filtramento un paio di volte. Quando avrete raccolta tutta la gelatina filtrata, lasciatela freddare un pochino, uniteci il rhum o il maraschino, mescolate con un cucchiaio, e poi versate nella stampa, la quale non va unta, ma adoperata asciutta. Quando la gelatina sarà fredda mettetela con la stampa in una catinella e circondatela di ghiaccio lasciandola così per due o tre ore. Al momento di mandare in tavola estraete la stampa dal ghiaccio ed immergetela per due o tre secondi in una casseruola grande contenente acqua calda, ritirate subito la stampa, asciugatela alla svelta e poi capovolgete la gelatina su un piatto, preferibilmente di cristallo. S'immerge la stampa nell'acqua calda per liquefare un piccolissimo strato di gelatina e sformare il dolce con facilità. Regolatevi dunque che la permanenza nell'acqua calda sia per il tempo strettamente necessario, altrimenti correreste il rischio di liquefare tutto e di ricominciare l'operazione da capo. La gelatina al maraschino è bianca limpida. Se invece adoperate del rhum l'avrete bruna, e se il liquore scelto sarà invece l'alckermes otterrete una gelatina rossa di bellissimo effetto. Potrete anche fare una gelatina a due colori, dividendo a metà la gelatina appena filtrata e profumandone una parte col maraschino e una parte con alckermes. Metterete allora nella stampa prima la gelatina bianca col maraschino, farete congelare in ghiaccio e soltanto allora aggiungerete l'altra gelatina rossa, fredda ma non ghiacciata. Batterete leggermente la stampa affinchè la seconda gelatina non lasci spazi vuoti, e poi rimetterete tutto in ghiaccio fino a completo congelamento. Sono piccoli lavori supplementari che costano poca fatica e che danno un risultato più grazioso. È questione di un po' di pazienza e di un po' di diligenza. Se vorrete invece fare una gelatina al limone o all'arancio, unirete fin dal primo momento allo zucchero, gelatina e bianco d'uovo, anche il sugo di quattro limoni (quattro [immagine e didascalia: Coltellino speciale per togliere sottilmente la buccia dagli aranci e dai limoni] limoni bastano per la dose grande di un litro d'acqua). Se sarà invece all'arancio mettere il sugo di tre aranci e quello di un limone. Insieme col sugo metterete a bollire anche le cortecce dei frutti tagliate finemente con un coltellino, in modo da non lasciare nessuna traccia della parte bianca della corteccia. Come sapete la corteccia dell'arancio e del limone contengono un olio essenziale, che è quello che comunica il maggior profumo. Per toglier via sottilmente le cortecce c'è uno speciale coltellino comodissimo, col quale si lavora assai speditamente e bene.
chiara l'acqua zuccherata, continuando sempre a sbattere per unire bene il composto. Quando avrete versato tutto lo sciroppo di zucchero prendete la
Ecco dunque come bisogna procedere per candire le scorze d'arancio. Si tagliano le bucce in quattro spicchi, si staccano dagli aranci e si mettono per due o tre giorni in una catinella ad acqua corrente, allo scopo di far perdere alle bucce tutto l'amaro. Si mette poi sul fuoco un grande recipiente con acqua, e quando l'acqua bollirà vi si gettano le bucce, che dovranno cuocere per circa un quarto d'ora, cioè fino a quando si possono attraversare facilmente con uno stecchino. È bene però non eccedere nella cottura. Si rimettono le bucce cotte in acqua fresca, si scolano bene e poi si accomodano in un tegame. Intanto si preparerà uno sciroppo con mezzo chilogrammo di zucchero e un litro d'acqua, sciroppo che risulterà a circa 20 gradi. Si fa bollire e così bollente si versa sulle scorze d'arancio. Si copre il recipiente e si ripone fino al giorno dopo. Il giorno dopo scolate lo sciroppo e siccome misurandone i gradi troverete che la densità è molto scesa, dovrete aggiungere dello zucchero affinchè lo sciroppo torni verso i 22 gradi. Fatelo bollire e versatelo così bollente sulle scorze. Ripetete ogni giorno l'operazione portando lo sciroppo con l'aggiunta di zucchero prima a 27, poi a 30 e finalmente a 34 gradi. Arrivati ai 30 gradi sarà bene unire allo sciroppo un po' di glucosio, che impedisce allo zucchero di granire. L'ultimo giorno portate lo sciroppo a 36 gradi facendo scaldare in esso anche le bucce. I vostri canditi sono pronti. Se vorrete adoperarli subito mettete le scorze in un vaso di vetro, se poi vorrete conservarli provvedetevi di scatole di latta da un litro, accomodateci le bucce, ricopritele di sciroppo; aggiungete un altro po' di glucosio, fate saldare le scatole dallo stagnaio e cuocetele per un'ora a bagno-maria.
, poi a 30 e finalmente a 34 gradi. Arrivati ai 30 gradi sarà bene unire allo sciroppo un po' di glucosio, che impedisce allo zucchero di granire. L
Avendo abbondanza di frutta noi vi consigliamo di fare qualche bottiglia di polpa di albicocca, utilissima specie a chi ha dei bambini. Queste bottiglie si conservano lungamente, e sono veramente preziose per fare durante tutto l'anno marmellate o gelati. Passate dal setaccio la polpa cruda delle albicocche, e travasatela in bottiglie da Champagne ben nette, sterilizzate con un pochino d'alcool di buona qualità. Riempitele fino al principio del collo lasciando un vuoto di almeno quattro dita, tappatele, possibilmente con la macchinetta, e legatele solidamente in croce. Involtatele poi con paglia, o carta, o qualche strofinaccio, mettetele diritte in un caldaio e in questo versate dell'acqua fredda, che dovrà arrivare fino al collo delle bottiglie. Portate dolcemente l'acqua all'ebollizione, fate bollire le bottiglie per un'ora e lasciatele raffreddare nella stessa acqua. Poi estraetele dal caldaio, chiudetele con la ceralacca e tenetele in un luogo fresco. Quando durante l'inverno avrete bisogno di un po' di marmellata non avrete da fare altro che aprire una bottiglia, pesare la polpa, mettere altrettanto zucchero e cuocere. Se poi desiderate fare un ottimo gelato di frutta vi servirete ugualmente di questa polpa. Invece di far bollire le bottiglie — operazione abbastanza lunga — si può passare la polpa a crudo, e per ogni chilogrammo di essa unire un grammo di acido salicilico. Mescolare, mettere in bottiglie, chiudere semplicemente con un tappo di sughero e conservare in dispensa. In un modo o nell'altro, potrete conservare in bottiglia oltre le albicocche, le pesche, le fragole, il ribes, ecc.
chilogrammo di essa unire un grammo di acido salicilico. Mescolare, mettere in bottiglie, chiudere semplicemente con un tappo di sughero e conservare in