Per quattro persone calcolate 300 grammi di prosciutto cotto, grasso e magro. Tritate molto bene questo prosciutto e se avete la macchinetta passatelo. L'importante è di ottenere un trito molto fino. Mettete in una casseruolina una buona cucchiaiata di burro — circa 40 grammi — e quando sarà liquefatto aggiungete quattro cucchiaiate di farina, mescolate col cucchiaio di legno e bagnate con un bicchiere di latte; continuate a mescolare e fate cuocere questa salsa fino a che vi riesca molto spessa. Conditela con un pochino di pepe e un nonnulla di noce moscata. Il sale non è necessario. Togliete dal fuoco la casseruola e lasciate freddare la salsa. Allora mescolateci due uova intiere e due cucchiaiate di parmigiano grattato, e in ultimo il prosciutto tritato, badando che tutti gli ingredienti siano bene uniti. Imburrate una stampa da budino della capacità di mezzo litro abbondante, infarinatela e poi capovolgetela per togliere via l'eccesso della farina. Versatevi il composto e battete un pochino la stampa affinchè non rimangano vuoti nell'interno. Mettete a cuocere il budino a bagnomaria, mettendo anche un po' di brace sul coperchio. In circa un'ora il budino sarà pronto. Toglietelo dall'acqua, lasciatelo riposare ancora qualche minuto e poi capovolgetelo in un piatto e fatelo portare in tavola.
prosciutto tritato, badando che tutti gli ingredienti siano bene uniti. Imburrate una stampa da budino della capacità di mezzo litro abbondante
Condite tutti gl'ingredienti che sono nella terrinetta con sale, pepe, un po' di noce moscata e un mezzo bicchiere di marsala. Mescolate ogni cosa con un cucchiaio, come se si trattasse di una insalata, coprite con un piatto e lasciate così per un'ora e più affinchè il composto possa ben profumarsi e insaporirsi di marsala. Questo composto forma, se così ci è dato esprimerci, il materiale per l'edificio della galantina, la pietra e i mattoni. Bisogna che questa pietra e questi mattoni siano uniti fra loro da una specie di calce o cemento.
. Bisogna che questa pietra e questi mattoni siano uniti fra loro da una specie di calce o cemento.
La nostra onestà ci vieta d'intitolare questo eccellente piatto freddo: Pâté de foie gras, poiché il foie gras dovrebbe essere costituito dal fegato d'oca. Illusioni, gentili lettrici, poichè il novantanove per cento dei pasticci di fegato grasso che si esibiscono nei grandi alberghi, nelle trattorie e in alcuni negozi di specialità gastronomiche, adunano in sè tutto fuori che il fegato di quell'eccellente bestia il cui nome — ingiustizia umana! — è venuto ad essere simbolo di stupidità. La preparazione di questo pâté non offre nessuna difficoltà. Soltanto sarebbe consigliabile di usare una stampa speciale, che tutto sommato non costa poi un patrimonio, serve a molteplici usi e dà al pâté un aspetto assai fine e distinto. Le stampe da pâté, che si vendono in tutti i negozi di articoli per cucina, sono di due qualità, rotonde e ovali e sono costituite da due pezzi a cerniera, e senza fondo. Chi poi vuole eseguire il pâté senza la speciale stampa usi una stampa liscia da charlotte o anche una casseruola di rame. Il pâté riuscirà d'aspetto meno elegante, ma la sua bontà non muterà per questo. Per un pâté sufficiente a sei persone prendete una diecina di fegatini [immagine e didascalia: Stampa a cerniera per “pâté”] di gallina o la metà di fegatini di tacchino. Nettateli bene nella parte ove aderiva il fiele e metteteli in una scodella con sale, pepe e un pochino di marsala. Se volete arricchire il vostro pâté acquistate anche un tartufo nero o una scatolina di tartufi conservati. I tartufi li taglierete in grossi dadi e li unirete ai fegati. Va con sè che adoperando i tartufi in scatola non c'è bisogno di nettarli, essendo già nettati; se invece si tratterà di tartufi freschi dovrete pulirli accuratamente con acqua calda e spazzolino per toglier loro tutta la terra. I tartufi sono il complemento quasi necessario di questo pâté. Mentre lascerete i fegatini sotto marinata preparerete la farcia, ossia il pesto che servirà a riunire i fegatini nell'interno del pasticcio. Prendete 200 grammi di carne magra di maiale, possibilmente il filetto, e 200 grammi di lardo fresco. Tritate la carne sul tagliere o nella macchinetta e tritate il lardo. Poi riunite questi due ingredienti e pestateli insieme nel mortaio amalgamando bene il tutto. Quando carne e lardo saranno perfettamente uniti condite l'impasto con sale e pepe, un torlo d'uovo e mezzo bicchierino di cognac, e se volete che il pâté riesca più fine passate tutto dal setaccio. Preparata così anche la farcia non resta che confezionare la pasta, che dovrà formare la crosta del pâté. Questa crosta si otterrà impastando sulla tavola cinque cucchiaiate colme di farina con una grossa noce di burro, un pizzico di sale e un dito d'acqua tiepida. Deve risultare una pasta liscia e piuttosto dura che foggerete a forma di palla e lascerete riposare per una mezz'ora allo scopo di farle perdere l'elasticità. Non resta adesso che procedere al dressage del pâté.
bene il tutto. Quando carne e lardo saranno perfettamente uniti condite l'impasto con sale e pepe, un torlo d'uovo e mezzo bicchierino di cognac, e
Mettete in una terrinetta due ettogrammi di burro — se fosse molto duro converrebbe prima scaldarlo un po' in una piccola casseruola a bagno-maria — e con un cucchiaio di legno lavoratelo per circa un quarto d'ora in modo da averlo bianco e soffice. Aggiungete allora un rosso d'uovo, e continuate a girare. Quando l'uovo si sarà amalgamato al burro aggiungetene un altro, e così di seguito sino a mettere in tutto cinque rossi. Torniamo a raccomandarvi di non aggiungere un altro uovo se il precedente non si è bene amalgamato. Le chiare le conserverete da parte in un piccolo caldaino per servirvene dopo. Senza smettere mai di girare aggiungete nel burro montato, una alla volta, sette cucchiaiate ben colme di zucchero in polvere (200 grammi), ed ognuna di queste cucchiaiate le farete cadere in pioggia, leggermente. Dopo lo zucchero mettete nella terrinetta venti grammi di lievito di birra sciolti in un dito d'acqua appena tiepida, un pizzico di sale, e finalmente cinque cucchiaiate di farina gialla (140 grammi). Il lievito potrete scioglierlo in un bicchiere, servendovi di un cucchiaino da caffè. La farina gialla va accuratamente setacciata. Lavorate ancora un altro pochino la massa e quando tutti gl'ingredienti saranno bene uniti versate nella terrinetta le cinque chiare montate in neve ben ferma. Mescolate adagio col cucchiaio di legno per non sciupare troppo i bianchi d'uovo, procurando tuttavia che si incorporino perfettamente al composto, ed in ultimo grattateci dentro con un pezzetto di vetro, la corteccia di un limone. Imburrate e infarinate una stampa liscia col buco e della capacità di circa un litro e mezzo, versateci il composto, mettete in forno di moderato calore e fate cuocere per una quarantina di minuti. Rovesciate poi il dolce su un setaccio, e quando sarà freddo accomodatelo in un piatto con salviettina, spolverizzandolo leggermente di zucchero al velo. Il composto non deve superare i due terzi della stampa, poichè cuocendo, per l'azione del lievito e dei bianchi d'uovo, salirà fino all'orlo della stampa stessa. Se non avete la stampa potrete anche cuocere questo dolce in una piccola fortiera di circa venti centimetri di diametro e a bordi piuttosto alti. Invece di averlo in forma di budino lo avrete in questo caso in forma di torta. Il risultato sarà ugualmente ottimo. È questo uno dei più fini dolci che si possono avere con la farina di meliga.
quando tutti gl'ingredienti saranno bene uniti versate nella terrinetta le cinque chiare montate in neve ben ferma. Mescolate adagio col cucchiaio di
I fichi migliori per seccare sono quelli calabresi. Ma si possono fare ugualmente bene con altre qualità. I fichi debbono essere raccolti a buona maturità — in Calabria si dice: fichi con la cammisa sciancata, ossia con la buccia lacerata in più punti. Non si sbucciano, e si aprono in due con le mani, verticalmente, dal sotto in su, in modo da non separarli, ma lasciandoli uniti per il picciolo. Fatto questo si mettono al sole su graticci di canna, sì che la parte interna del fico sia quella che rimane esposta al sole. Dopo un giorno si voltano e si rimettono al sole, e si ripete l'operazione per tanti giorni fino a che il fico avrà assunto quella speciale consistenza che caratterizza questa preparazione. In agosto, e nei paesi molto caldi, occorreranno circa sei giorni. Alla sera è bene ritirare i graticci in casa, facendo attenzione che una pioggia improvvisa, non infrequente nell'estate, li abbia a bagnare. Quando saranno pronti si richiudono, si premono con le dita per riunirli bene e s'infilzano su spiedini di canna, oppure si lasciano sciolti. Dopo ciò si può procedere alla disinfezione, cosa che a rigor di termini non è necessarissima, ma che è bene fare. Per procedere a questa operazione si mette a bollire dell'acqua in un caldaio. Si raccolgono tutti i fichi infilzati legando tra loro le estremità delle canne, e si tuffano per un attimo nell'acqua bollente. Si lasciano scolare un poco e si rimettono al sole per un'altra mezza giornata. Se i fichi non sono stati infilzati, si mettono in un grande scolamaccheroni e, tenendo questo per i manici, si tuffano nell'acqua bollente mettendoli poi ad asciugare come si è detto più sopra. I fichi sciolti poi si accomodano nelle cestine. Se invece si volessero passare i fichi nel forno, appena chiusi si dispongono su delle grandi lastre di latta e si passano a forno leggero per un po' di tempo. Dopo avere disinfettato i fichi nell'acqua bollente è bene, riesponendoli al sole, di coprirli con dei veli, affinchè le mosche non abbiano più ad insudiciarli.
mani, verticalmente, dal sotto in su, in modo da non separarli, ma lasciandoli uniti per il picciolo. Fatto questo si mettono al sole su graticci di