Lasciate bollire per circa un quarto d'ora finchè la zuppa sia ben ristretta e bene insaporita. Guardate allora se c'è bisogno di mettere un po' di sale, in quanto che la carne in scatola è di già per sè sufficientemente salata. Aggiungete un bel pezzetto di burro e mescolate ancora affinchè il burro si amalgami bene al pane. Tirate indietro la casseruola e condite la zuppa con due o tre cucchiaiate di parmigiano grattato, e se credete, completatela con un uovo intiero sbattuto leggermente, aggiunta che è utilissima ma non strettamente necessaria. Mescolate di nuovo affinchè tutti gli elementi si fondano in un'unica nota profumata e promettente, e scodellate la vostra zuppa. Come vedete si tratta di una cosa sbrigativa, gustosa, nutriente, che, per sopra mercato, costa molto ma molto meno della solita minestra in brodo, la quale spesso è talmente insipida da far rimpiangere i molti quattrini che costa.
elementi si fondano in un'unica nota profumata e promettente, e scodellate la vostra zuppa. Come vedete si tratta di una cosa sbrigativa, gustosa, nutriente
Sono queste le frittelle, specialità dei «friggitori» romani. Per fare una trentina di grosse frittelle vi occorreranno: una pagnottina di lievito del peso di 100 grammi, e 150 grammi di farina. Per il lievito potrete seguire due sistemi: o comprare una pagnottina di pasta (pasta di pane) bell'e pronta dal fornaio, o confezionare il lievito in casa, da voi stesse, adoperando lievito di birra, ciò che sarebbe preferibile. I «friggitori» romani usano lievito di pane, ma non è detto che non si possa usare lievito di birra, ciò che anzi comunica una maggiore leggerezza alle frittelle. Dunque, per concludere: se comprerete il lievito dal fornaio, avrete mezzo lavoro fatto: se invece vorrete farlo da voi vi regolerete così. Mettete sulla tavola due cucchiaiate e mezzo di farina, fateci un buco nel mezzo e metteteci 10 grammi di lievito di birra sciolto con due dita di acqua appena tiepida. Impastate il tutto in modo di avere una pasta di giusta consistenza, fatene una palla e mettetela in una terrinetta, che coprirete e porrete in un luogo tiepido. Affinchè questa pasta possa lievitare occorrerà circa un'ora e mezzo. Sia fatta da voi, sia comperata, prendete la pagnottina di pasta e mettetela in una terrinetta piuttosto grande, con 150 grammi di farina (cinque cucchiaiate ben colme) e un pizzico di sale. Avrete preparato un bicchiere scarso di acqua tiepida e con questa, a poco a poco, scioglierete lievito e farina sbattendo energicamente la pasta. Lavorate così con la mano per una ventina di minuti, sempre sbattendo con forza, fino a che la pasta sia diventata vellutata, elastica e si stacchi facilmente, in un sol pezzo, dalle pareti della terrinetta. Il segreto della riuscita è tutto qui. Coprite e lasciate in riposo. Se avrete adoperato il lievito di pane, occorreranno più di sei ore per una perfetta lievitatura delle frittelle, se avrete adoperato il lievito di birra saranno sufficienti quattro ore. Trascorso il tempo stabilito, mettete sul fuoco una padella con abbondante olio. Poi con le dita leggermente bagnate di acqua prendete lungo le pareti della terrinetta dei pezzi di pasta come grosse noci. Per foggiare le frittelle non basta una mano sola, ne occorrono due. Appoggiate nel mezzo delle pallottole di pasta i due pollici e spingendo sotto con i due indici e i due medi, allargate la pasta in modo da avere una ciambella. Allargate con garbo questa ciambella di pasta morbida fino a farle raggiungere il diametro di un piattino da caffè e lasciatela cadere nella padella molto calda; cuocendo, le frittelle si restringono un poco, gonfiano e divengono d'un bel color d'oro. Quando saranno ben colorite e croccanti, toglietele dalla padella, spolverizzate di zucchero e mangiatele calde. Come vedete, non c'è niente di difficile. Provate e non vi sgomentate se le prime frittelle che friggerete vi daranno un po' da fare e non prenderanno subito una bella forma. Lo dice anche il proverbio: non tutte le ciambelle riescono col buco. E i proverbi — si dice — sono la saggezza dei popoli: almeno per quel che riguarda le frittelle...
di zucchero e mangiatele calde. Come vedete, non c'è niente di difficile. Provate e non vi sgomentate se le prime frittelle che friggerete vi daranno
Si calcola una conchiglia a persona. Come ripieno si usa del pesce cotto al sauté o lessato. Si può quindi, per questa preparazione, trarre partito da qualche pezzo di pesce che vi fosse avanzato. Le qualità migliori sono la spigola, il dentice, l'ombrina, l'aragosta, ecc. Prendete del pesce già cotto, spinatelo accuratamente e ritagliatelo in pezzi non molto grandi, ma regolari. Mettete adesso una casseruolina sul fuoco con una buona cucchiaiata di burro e quando sarà liquefatto aggiungete una cucchiaiata di farina. Fate cuocere pian piano sull'angolo del fornello sempre mescolando e poi bagnate con un bicchiere e mezzo di latte. Amalgamate il tutto, lasciate bollire insensibilmente per una diecina di minuti, condite con sale e ultimate la salsa fuori del fuoco con del sale, un torlo d'uovo e una cucchiaiata colma di parmigiano grattato. Ungete leggermente di burro le conchiglie, versate nel fondo di ognuna un cucchiaio scarso di salsa e su questa accomodate il pesce calcolandone due o tre pezzetti per ogni conchiglia. Ricoprite il pesce con dell'altra salsa, spolverateci su un po' di pane pesto finissimo e guarnite così tutte le conchiglie. Accomodatele adesso su una grande teglia, mettete su ogni conchiglia qualche pezzettino di burro e lasciatele in forno per una diecina di minuti, affinchè la salsa che ricopre il pesce possa gratinarsi. Si servono generalmente in un piatto grande guernito con salvietta oppure si presenta una conchiglia a ciascun convitato, appoggiandola su un piatto con salviettina. Come vedete è una cosina semplicissima, ma che dà un ottimo risultato.
su un piatto con salviettina. Come vedete è una cosina semplicissima, ma che dà un ottimo risultato.
Si può usare la coratella di abbacchio o di capretto, o di agnello. Questa ultima si differenzia dalle altre per avere il mazzo delle budelline da latte. Tagliate separatamente in piccoli pezzi il polmone, il cuore, il fegato e le budelline. Mondate e tagliate a spicchi quattro o cinque carciofi e metteteli a cuocere in una padella con una cucchiaiata di strutto. Se vedete che i carciofi si coloriscono troppo bagnateli di quando in quando con una cucchiaiata d'acqua. Quando i carciofi saranno cotti prendete una padella grande, metteteci una buona cucchiaiata di strutto e mettetela sul fuoco col polmone e le budelline da latte, dato che la coratella sia di agnello. Fate cuocere per qualche minuto e quando il polmone si sarà arrosolato e manderà quel sibilo caratteristico, aggiungete il cuore. Fate cuocere ancora e allorchè tutto avrà preso una bella tinta scura versate nella padella i carciofi e il fegato. Ravvivate il fuoco; condite con sale e pepe mescolando continuamente con un cucchiaio di legno e quando anche il fegato sarà cotto — il che avviene in pochi minuti — versate nella padella mezzo bicchiere di marsala. Fate dare un altro bollo e mandate immediatamente in tavola la coratella, che dev'essere mangiata caldissima. Se non volete adoperare il marsala potrete spremere sulla coratella, prima di versarla nel piatto, il sugo di un limone.
metteteli a cuocere in una padella con una cucchiaiata di strutto. Se vedete che i carciofi si coloriscono troppo bagnateli di quando in quando con
Occorre un grandissimo vassoio in metallo argentato o un'enorme piatto da portata. Preparate un litro della nostra gelatina sbrigativa, e, prima che si rapprenda versatene un poco sul fondo del piatto in modo da velarlo completamente. Lasciate rapprendere questo strato di gelatina e poi disponeteci sopra in file regolari le seguenti cose: una fila di mezzi piedi di porco (lessati disossati e poi conditi con sale, pepe, olio, limone e un pizzico di senape inglese o un cucchiaino di mostarda francese) una fila di galantina, una fila di «roast-beef», una fila di fette di vitello tartufato arrostito e freddo, e una fila di fette di prosciutto cotto; si contorna il piatto con delle fette di uovo sodo e con delle code di gamberetti sgusciate e si fa una sobria decorazione con fettine di cetriolini, cappelle di funghi sott'olio e qualche fettina di tartufo nero. Si ricopre il tutto di gelatina fusa e si lascia rapprendere. Come vedete è un piatto freddo, non certo difficile a prepararsi, ma che offre ai convitati una serie variata di piccole cose squisite. L'importante è che il piatto sia montato con grande cura e che le file dei vari componenti siano disposte molto bene e a regolari intervalli.
fusa e si lascia rapprendere. Come vedete è un piatto freddo, non certo difficile a prepararsi, ma che offre ai convitati una serie variata di
Su questi carciofi c'è tutta una leggenda di difficoltà, assolutamente immaginarie, poichè non c' è forse una preparazione più semplice. Uno solo è il punto su cui si basa la riuscita: la quantità d'olio necessaria per friggere. Chi ha paura di mettere olio nella padella rinunzi a fare i carciofi «alla giudìa» in casa, e si accontenti di andarli a mangiare in uno dei tanti locali romani che la moda ha consacrato. I carciofi vengono mondati, leggermente battuti sulla tavola per allargarne un po' le foglie, spolverizzati di sale nell'interno, e messi in padella, col torsolo in alto, in modo che l'olio li ricopra quasi interamente. Man mano che cuociono si schiacciano leggermente, e se ce n'è bisogno, si voltano. Debbono diventare color d'oro scuro, e ben croccanti all'esterno. Come vedete, una cosa di una semplicità primordiale. Del resto la questione dell'olio è in gran parte apparente. Adoperando infatti una discreta quantità d'olio, questo non si brucierà come accade quando ce n'è troppo poco ma vi servirà per molte volte, permettendovi, a rigor di logica, di realizzare anzi una piccola economia.
scuro, e ben croccanti all'esterno. Come vedete, una cosa di una semplicità primordiale. Del resto la questione dell'olio è in gran parte apparente
Del panettone, il famoso dolce specialità milanese, esistono numerose ricette, e ci è anche occorso di leggerne alcune, amenissime, a base di cremore e bicarbonato. Vi offriamo, secondo la nostra consuetudine, la ricetta milanese autentica, non nascondendovi che la lavorazione è piuttosto lunga e difficile e che condizione essenziale per la riuscita è di disporre di un forno a mattoni. Le dosi sono le seguenti: Farina kg. 1, lievito di pane gr. 500, burro gr. 250, zucchero gr. 250, sale gr. 9, gialli d'uovo n. 6, uova intiere n. 3, qualche cucchiaiata di uva sultana e cedro candito a dadi. Il panettone di Milano è tra le poche preparazioni nelle quali si impiega il lievito di pane. Il lievito dev'essere tenuto piuttosto forte, perchè la pasta, a causa delle uova, dello zucchero e del burro viene ad essere molto ingrassata. La preparazione del lievito ha un'importanza principale. Si prendono 100 grammi di pasta di pane, si aggiungono un paio di cucchiaiate di farina e di acqua tiepida tanto da ottenere una pasta un po' dura, se ne fa una pallottola sulla quale si tracciano due tagli in croce. Si mette una salviettina infarinata sul fondo di un recipiente, ci si pone sopra la palla di lievito, si copre e si lascia lievitare in un luogo tiepido per circa tre ore. Trascorso questo tempo si pesa il lievito e si rimpasta con una quantità di farina uguale al suo peso, aggiungendo naturalmente acqua tiepida in proporzione. Si lavora bene la pasta, se ne fa nuovamente una palla, si taglia in croce e si rimette a lievitare per altre tre ore, trascorse le quali si ripesa il lievito e si rimpasta con un uguale peso di farina, regolandosi come si è detto prima. Quando il lievito sarà cresciuto per la terza volta è pronto per essere adoperato per il panettone. Si fa la fontana con la farina già pesata (1 chilogrammo) e nel mezzo si mette il sale e 500 grammi del lievito preparato (se vi avanzerà del lievito lo terrete in serbo per altri usi). Sul lievito si versa il burro sciolto vicino al fuoco e s'incomincia ad impastare, aggiungendo i rossi d'uovo e le uova intere, poi lo zucchero sciolto in poca acqua tiepida. Se vedete che c'è bisogno di acqua aggiungetene poca alla volta. Lavorate energicamente la pasta a lungo, in modo che risulti piuttosto dura, lucida ed asciutta. Per ultimo si aggiunge l'uvetta e il cedro candito tagliato in piccoli dadi. Si lascia riposare la pasta per un'ora e poi si taglia in tanti pezzi per quanti panettoni si vogliono fare. Ogni pezzo si rotola con entrambe le mani e se ne fa una palla, che si dispone su carta unta e infarinata. Molti usano circondare il panettone con una striscia alta di carta unta affinchè possa crescere molto in altezza. Si mettono a lievitare i panettoni in luogo tiepido per circa 6 ore e quando essi saranno aumentati di volume e soffici al tatto, si fa su ognuno un leggerissimo taglio in croce e si passano in forno ben caldo. Man mano che prendono colore si portano alla bocca del forno e sollecitamente si sollevano con le dita i quattro angoli dove fu fatto il taglio, mettendo nel mezzo un pezzetto di burro. Si rimettono i panettoni in forno, si chiude, applicando sulla bocca del forno stesso uno strofinaccio bagnato, allo scopo di sviluppare nel forno un po' di vapore, che darà lucentezza al. panettone.
zucchero sciolto in poca acqua tiepida. Se vedete che c'è bisogno di acqua aggiungetene poca alla volta. Lavorate energicamente la pasta a lungo, in
Questa operazione dovrà durare per circa una mezz'ora, fino a che vedrete che i rossi d'uovo saranno ben montati, faranno qua e là delle bollicine e la massa spumosa, lasciata cadere dal cucchiaio, verrà giù morbidamente a nastro, senza spezzarsi. Montate allora in neve, con una frusta di ferro stagnato, le quattro chiare che avrete messo in una insalatiera. Sbattetele bene: esse dovranno divenire bianchissime e sostenute. A questo punto aggiungete nei rossi d'uovo un ettogrammo di fecola, mischiate bene, e in ultimo aggiungete le chiare montate. Fate attenzione di non mischiare il composto con molta forza, perchè sciupereste le chiare e la torta perderebbe molto della sua morbidezza. Dovrete unire le chiare leggermente, adoperando un cucchiaio di legno. Imburrate e infarinate con la fecola una teglia di rame del diametro di circa venti centimetri e dell'altezza di cinque o più centimetri, rovesciatela per farne uscire il di più della farina e metteteci il composto. Appena questo sarà nella teglia ponetelo subito in forno di giusto calore e lasciate cuocere la torta per una trentina di minuti. Sfornatela, toglietela dalla teglia, ponetela su un setaccio per farla asciugare e freddare, poi inzuccheratela. Questa torta può mantenersi per parecchi giorni. Conviene allora avvolgerla nella stagnuola. Come vedete è una delle tante imitazioni della famosa torta precedentemente descritta, che però non ha nulla a che vedere con la vera torta del paradiso.
freddare, poi inzuccheratela. Questa torta può mantenersi per parecchi giorni. Conviene allora avvolgerla nella stagnuola. Come vedete è una delle tante
Rompete in una terrinetta un uovo intero e due rossi, sbatteteli con due cucchiaiate di zucchero in polvere e diluiteli con un bicchiere di latte tiepido aromatizzato con una corteccia di limone tenuta in infusione, o con un nonnulla di vainiglina. Il latte va versato sulle uova, una cucchiaiata alla volta mescolando con un cucchiaio di legno o con una frusta di ferro stagnato. Passate la crema a traverso un setaccino, levate con cura tutta la schiuma che si sarà formata e versate il composto in una stampa liscia imburrata e della capacità di mezzo litro. Mettete a cuocere la crema in un recipiente pieno di acqua caldissima — l'acqua deve arrivare a un dito dall'orlo della stampa — coprite con un coperchio, mettendo qualche pezzetto di carbone acceso sul coperchio stesso. Fate attenzione che l'acqua del bagnomaria, pure essendo per bollire, non bolla mai, altrimenti la crema si straccerebbe e rovinereste tutto. Al primo accenno di bollore, versate nell'acqua un po' d'acqua fredda, riportando così la temperatura del bagnomaria di qualche grado indietro. La crema dovrà cuocere per circa un'ora. Quando constaterete che si sarà rappresa, toglietela dal fuoco, lasciatela riposare una diecina di minuti, poi, dopo avere asciugato la stampa, rovesciatela su un piatto. Questa dose è per quattro o cinque persone. Se desiderate una cosa un pochino più complicata fate la crema al caramello. Il procedimento è identico, meno che invece di imburrare la stampa, vi si fa una camicia di zucchero caramellato, che poi fondendosi, forma una specie di salsa sul dolce, rendendolo più buono. L'operazione non presenta difficoltà. Mettete un paio di cucchiaiate di zucchero in un polsonetto, inumidite lo zucchero con un pochino d'acqua in modo che resti appena colante, e fate cuocere. Se in casa avete del cremor di tartaro mettetene una puntina di coltello, e sarete più sicuri che lo zucchero non granirà. Appena vedete che lo zucchero prende una leggera colorazione bionda toglietelo dal fuoco e versatelo nella stampa, che avrete tenuto in caldo vicino al fuoco. Girate sollecitamente la stampa in tutti i versi, così che lo zucchero caramellato possa velarne il fondo e le pareti, e lasciate che si freddi. Aggiungete poi la crema e procedete come si disse più innanzi. Lo zucchero caramellato deve essere appena biondo, e non bruciato. Alcuni hanno l'abitudine di velare la stampa con zucchero passato di cottura, che comunica uno sgradevole sapore amaro alla crema.
avete del cremor di tartaro mettetene una puntina di coltello, e sarete più sicuri che lo zucchero non granirà. Appena vedete che lo zucchero prende
Le gelatine al liquore rappresentano un dolce della cucina classica; e ancora adesso, in occasione di qualche grande buffet, è frequente il caso di vedere far bella mostra di sè codesti dolci, nei più svariati colori. Diremo subito che l'oblìo in cui queste gelatine sono un po' cadute è affatto ingiustificato, in quanto che alla loro preparazione non concorrono difficoltà di procedimenti, nè spesa eccessiva, mentre il risultato è attraentissimo alla vista e molto accetto al palato. Si tratta di fare una gelatina dolce, ben chiarificata, alla quale si aggiunge un profumo a piacere o un liquore. Si potranno dunque confezionare gelatine al limone o all'arancio, o alla vainiglia, oppure alla chartreuse, all'alckermes al rhum o, come più comunemente si fa, al maraschino. Scegliamo dunque un liquore a piacere, ad esempio del rhum, e vediamo quale è il procedimento per la confezione del dolce. Basandosi sul procedimento che descriveremo, le nostre lettrici potranno poi a loro piacere variare il liquore o l'essenza, e quindi anche il colore della gelatina. Premettiamo che le gelatine dolci vanno confezionate in stampe col buco in mezzo e piuttosto lavorate, ciò che le rende assai eleganti. Le dosi di base sono queste: acqua litri uno; zucchero grammi 400; 50 grammi di gelatina «marca oro»; 3 bianchi d'uovo; 4 bicchierini di liquore. Le dosi di base che noi abbiamo dato sono sufficienti per fare una grandissima gelatina dolce. Se vorrete fare una gelatina più piccina, sufficiente a sei persone, ridurrete le dosi nel modo seguente: Due bicchieri d'acqua; 5 cucchiaiate e mezzo di zucchero; 17 grammi di gelatina; un bianco d'uovo; un bicchierino e mezzo di liquore. Come vedete si tratta della formula base ridotta su per giù ad un terzo. Mettete i fogli di gelatina in bagno in una casseruola con acqua fredda e lasciate così almeno per un quarto d'ora. A parte, in una terrinetta, mettete lo zucchero con i due bicchieri d'acqua tiepida e lasciate che lo zucchero si sciolga bene. Prendete adesso una casseruola piuttosto grande, ben netta, e in questa mettete la chiara d'uovo che sbatterete un poco con la frusta di fil di ferro affinchè rimanga ben sciolta e spumosa, ma non montata in neve. Versate allora a cucchiaiate sulla chiara l'acqua zuccherata, continuando sempre a sbattere per unire bene il composto. Quando avrete versato tutto lo sciroppo di zucchero prendete la gelatina che era nell'acqua fredda e che intanto si sarà ben rammollita, strizzatela un po' tra le mani e aggiungetela nella casseruola. Mettete tutto su fuoco moderato e, sempre sbattendo con la frusta, portate il liquido all'ebollizione. Appena questa si sarà verificata tirate la casseruola sull'angolo del fornello, quasi fuori del fuoco, coprite il recipiente, mettendo qualche pezzettino di brace sul coperchio e lasciate riposare la gelatina per una ventina di minuti. La chiara d'uovo portata all'ebollizione, si sarà coagulata assorbendo tutte le impurità del liquido, che apparirà negli interstizi limpidissimo. Mentre la gelatina riposa vicino al fuoco, prendete una seggiola di cucina, appoggiatela capovolta sul tavolo, e sulle quattro zampe distendete una salvietta che assicurerete con quattro legature di spago, una per ogni zampa della seggiola. Questo sistema di improvvisare un filtro, per quanto possa sembrare strano a chi non lo conosce è il più comodo e il più sicuro, e viene praticato da tempo immemorabile in ogni cucina. Preparata così la salvietta, mettete sotto ad essa una insalatiera grande, versate sulla salvietta la gelatina e lasciate che filtri. Otterrete così un liquido limpidissimo. Se non vi sembrasse tale ripetete l'operazione del filtramento un paio di volte. Quando avrete raccolta tutta la gelatina filtrata, lasciatela freddare un pochino, uniteci il rhum o il maraschino, mescolate con un cucchiaio, e poi versate nella stampa, la quale non va unta, ma adoperata asciutta. Quando la gelatina sarà fredda mettetela con la stampa in una catinella e circondatela di ghiaccio lasciandola così per due o tre ore. Al momento di mandare in tavola estraete la stampa dal ghiaccio ed immergetela per due o tre secondi in una casseruola grande contenente acqua calda, ritirate subito la stampa, asciugatela alla svelta e poi capovolgete la gelatina su un piatto, preferibilmente di cristallo. S'immerge la stampa nell'acqua calda per liquefare un piccolissimo strato di gelatina e sformare il dolce con facilità. Regolatevi dunque che la permanenza nell'acqua calda sia per il tempo strettamente necessario, altrimenti correreste il rischio di liquefare tutto e di ricominciare l'operazione da capo. La gelatina al maraschino è bianca limpida. Se invece adoperate del rhum l'avrete bruna, e se il liquore scelto sarà invece l'alckermes otterrete una gelatina rossa di bellissimo effetto. Potrete anche fare una gelatina a due colori, dividendo a metà la gelatina appena filtrata e profumandone una parte col maraschino e una parte con alckermes. Metterete allora nella stampa prima la gelatina bianca col maraschino, farete congelare in ghiaccio e soltanto allora aggiungerete l'altra gelatina rossa, fredda ma non ghiacciata. Batterete leggermente la stampa affinchè la seconda gelatina non lasci spazi vuoti, e poi rimetterete tutto in ghiaccio fino a completo congelamento. Sono piccoli lavori supplementari che costano poca fatica e che danno un risultato più grazioso. È questione di un po' di pazienza e di un po' di diligenza. Se vorrete invece fare una gelatina al limone o all'arancio, unirete fin dal primo momento allo zucchero, gelatina e bianco d'uovo, anche il sugo di quattro limoni (quattro [immagine e didascalia: Coltellino speciale per togliere sottilmente la buccia dagli aranci e dai limoni] limoni bastano per la dose grande di un litro d'acqua). Se sarà invece all'arancio mettere il sugo di tre aranci e quello di un limone. Insieme col sugo metterete a bollire anche le cortecce dei frutti tagliate finemente con un coltellino, in modo da non lasciare nessuna traccia della parte bianca della corteccia. Come sapete la corteccia dell'arancio e del limone contengono un olio essenziale, che è quello che comunica il maggior profumo. Per toglier via sottilmente le cortecce c'è uno speciale coltellino comodissimo, col quale si lavora assai speditamente e bene.
bicchierino e mezzo di liquore. Come vedete si tratta della formula base ridotta su per giù ad un terzo. Mettete i fogli di gelatina in bagno in una