Questo è un pesce di mare, che rassomiglia molto all'Anguilla, ma assai più grosso, e bianco. La sua carne è coriacea, e poco stimata, benchè quando sia infrollita è assai buona. Gli Spagnuoli ne fanno gran caso. Galeno afferma, che il Bronco dà poco nutrimento, e che si digerisce con facilità; benchè alcun'altro dica, che suole cagionare il male della pietra. Gli Antichi Romani lo ingrassavano, onde renderlo più delicato. Il Bronco si prepara esattamente come l'Anguilla. La sua pesca è nell'Estate.
sia infrollita è assai buona. Gli Spagnuoli ne fanno gran caso. Galeno afferma, che il Bronco dà poco nutrimento, e che si digerisce con facilità
Galeno, chiama questo Granchio Paguro fluviatile, il quale differisce da quello marino per avere la spoglia Crostacea più dura, e di un colore di foligine, o bianca. In Francia, e Germania non si trova; e comune peraltro in Grecia, nell'Isole di Candia, e Sicilia, ed in Italia.
Galeno, chiama questo Granchio Paguro fluviatile, il quale differisce da quello marino per avere la spoglia Crostacea più dura, e di un colore di
Varie sono le opinioni intorno alla carne di codeste conchiglie. Galeno dice essere umida, e tenace e che perciò generi un umore denso, crudo, e freddo, che cruda tramandi un sugo salso, quale rilassa il ventre, onde la crede meglio cotta. Al contrario Pllnio asserisce, che cruda da tuono allo stomaco, e toglie la nausea de' cibi. Altri finalmente asseriscono essere più salutifera cruda che cotta, imperocchè cotta rendesi indigesta, e cruda ajuta la digestione, eccita l'appettito, e provoca l'amore: sonovi per altro de' stomachi, che non possono soffrirla cruda, ed il mio è uno di questi.
Varie sono le opinioni intorno alla carne di codeste conchiglie. Galeno dice essere umida, e tenace e che perciò generi un umore denso, crudo, e
Fu il loro uso celebre tra gli Antichi, e si servivano nei pranzi i più magnifici. Celso, ed Archigene dicono che sono grate allo stomaco. Galeno, che il loro sugo lubrica il ventre a guisa del siero di latte. Senocrate che sono dolci, e che si digeriscono più facilmente delle Ostriche. Altri Autori le credano più o meno buone secondo la varietà de' luoghi ove allignano: e cosi Varrone lodava quelle dell'Isola di Scio, Orazio quelle di Taranto; ma le migliori secondo il parere di tutti sono quelle dell'Isola di Malta.
Fu il loro uso celebre tra gli Antichi, e si servivano nei pranzi i più magnifici. Celso, ed Archigene dicono che sono grate allo stomaco. Galeno
La carne di queste conchiglie viene lodata da Epicarmo come di un ottimo sapore, ristora lo stomaco, ed è buona contro gli appetiti disordinati delle donne, ma è alquanto dura a motivo dell'acqua salsa di cui si nutrisce l'animale. Galeno dice che conviene a quelli, che hanno inapetenza de' cibi.
donne, ma è alquanto dura a motivo dell'acqua salsa di cui si nutrisce l'animale. Galeno dice che conviene a quelli, che hanno inapetenza de' cibi.
L'ovaja degli Echini si mangia cruda, ed è stimato il miglior frutto di mare che siavi: ajuta la digestione, eccita l'appetito, e sommistra un nutrimento umidetto, e leggiero, il quale secondo Galeno è valevole ad accomodare, e coroborare lo stomaco; che poi netti il ventre è quasi affermato da tutti i Scrittori; onde si può concludere che non produca alcun cattivo effetto, se non che mangiandone con eccesso.
nutrimento umidetto, e leggiero, il quale secondo Galeno è valevole ad accomodare, e coroborare lo stomaco; che poi netti il ventre è quasi affermato da
Intorno alla loro carne non sono d'accordo i Scrittori se sia di buono, o di cattivo sugo, Celso dice ch'è buono, Galeno asserisce ch'è cattivo. Dioscoride ch'è utile allo stomaco, e Mattioli ch'è più buono, che cattivo; ma nonostante tanti pareri diversi, tutti i moderni medici convengono, che la carne delle Lumache è assai pesante, e difficile a digerirsi; che non pertanto nutrisce molto, ma che facendone un uso troppo grande genera la nera bile.
Intorno alla loro carne non sono d'accordo i Scrittori se sia di buono, o di cattivo sugo, Celso dice ch'è buono, Galeno asserisce ch'è cattivo
Questo è un pesce di mare, che rassomiglia molto all'Anguilla, ma assai più grosso, e bianco. La sua carne è coriacea, e poco stimata, benchè quando sia infrollita è assai buona. Gli Spagnuoli ne fanno gran caso. Galeno afferma, che il Bronco dà poco nutrimento, e che si digerisce con facilità; benchè alcun'altro dica, che suole cagionare il male della pietra. Gli Antichi Romani lo ingrassavano, onde renderlo più delicato. Il Bronco si prepara esattamente come l'Anguilla.
sia infrollita è assai buona. Gli Spagnuoli ne fanno gran caso. Galeno afferma, che il Bronco dà poco nutrimento, e che si digerisce con facilità
Galeno, chiama questo Granchio Paguro fluviatile, il quale differisce da quello marino per avere la spoglia Crostacea più dura, e di un colore di foligine, o bianca. In Francia, e Germania non si trova; e comune peraltro in Grecia, nell'Isole di Candia, e Sicilia, ed in Italia.
Galeno, chiama questo Granchio Paguro fluviatile, il quale differisce da quello marino per avere la spoglia Crostacea più dura, e di un colore di
Varie sono le opinioni intorno alla carne di codeste conchiglie. Galeno dice essere umida, e tenace e che perciò generi un umore denso, crudo, e freddo, che cruda tramandi un sugo salso, quale rilassa il ventre, onde la crede meglio cotta. Al contrario Plinio asserisce, che cruda da tuono allo stomaco, e toglie la nausea de' cibi. Altri finalmente asseriscono essere più salutifera cruda che cotta, imperocchè cotta rendesi indigesta, e cruda ajuta la digestione, eccita l'appettito, e provoca l'amore: sonovi per altro de' stomachi, che non possono soffrirla cruda, ed il mio è uno di questi.
Varie sono le opinioni intorno alla carne di codeste conchiglie. Galeno dice essere umida, e tenace e che perciò generi un umore denso, crudo, e
Fu il loro uso celebre tra gli Antichi, e si servivano nei pranzi i più magnifici. Celso, ed Archigene dicono che sono grate allo stomaco. Galeno , che il loro sugo lubrica il ventre a guisa del siero di latte. Senocrate che sono dolci, e che si digeriscono più facilmente delle Ostriche. Altri Autori le credano più o meno buone secondo la varietà de' luoghi ove allignano: e così Varrone lodava quelle dell'Isola di Scio, Orazio quelle di Taranto; ma le migliori secondo il parere di tutti sono quelle dell'Isola di Malta.
Fu il loro uso celebre tra gli Antichi, e si servivano nei pranzi i più magnifici. Celso, ed Archigene dicono che sono grate allo stomaco. Galeno
La carne di queste conchiglie viene lodata da Epicarmo come di un ottimo sapore, ristora lo stomaco, ed è buona contro gli appetiti disordinati delle donne, ma è alquanto dura a motivo dell'acqua salsa di cui si nutrisce l'animale. Galeno dice che conviene a quelli, che hanno inapetenza de' cibi.
donne, ma è alquanto dura a motivo dell'acqua salsa di cui si nutrisce l'animale. Galeno dice che conviene a quelli, che hanno inapetenza de' cibi.
L'ovaja degli Echini si mangia cruda, ed è stimato il miglior frutto di mare che siavi: ajuta la digestione, eccita l'appetito, e sommistra un nutrimento umidetto, e leggiero, il quale secondo Galeno è valevole ad accomodare, e coroborare lo stomaco; che poi netti il ventre è quasi affermato da tutti i Scrittori; onde si può concludere che non produca alcun cattivo effetto, se non che mangiandone con eccesso.
nutrimento umidetto, e leggiero, il quale secondo Galeno è valevole ad accomodare, e coroborare lo stomaco; che poi netti il ventre è quasi affermato da
Intorno alla loro carne non sono d'accordo i Scrittori se sia di buono, o di cattivo sugo, Celso dice ch'è buono, Galeno asserisce ch'è cattivo. Dioscoride ch'è utile allo stomaco, e Mattioli ch'è più buono, che cattivo; ma nonostante tanti pareri diversi, tutti i moderni medici convengono, che la carne delle Lumache è assai pesante, e difficile a digerirsi; che non pertanto nutrisce molto, ma che facendone un uso troppo grande genera la nera bile.
Intorno alla loro carne non sono d'accordo i Scrittori se sia di buono, o di cattivo sugo, Celso dice ch'è buono, Galeno asserisce ch'è cattivo
Non è ben certo se gli antichi conoscessero lo zuccaro. Dioscoride, Galeno e Plinio, parlano di uno zuccaro che dalle Indie si trasportava nell'Arabia, il quale raccoglievasi dalle canne, coagulato a guisa di gomma. Anche in Lucano troviamo: Quique bibunt tenera dulces ab arundine succos.
Non è ben certo se gli antichi conoscessero lo zuccaro. Dioscoride, Galeno e Plinio, parlano di uno zuccaro che dalle Indie si trasportava nell
La Mora (Rubus fructicosus vulgaris). Mil. Môra. - Fr. Mure de ronce.-Ted. Brombeere.-Ingl. Blackberry) prugnola del rovo il cui arbusto, ovunque diffuso, dà fiori bianchi o rossicci da Maggio avanti, e frutti neri. Nel linguaggio dei fiori: Gelosia, Rimorsi, Invidia. La mora à sapore dolce quando è matura. Una volta serviva a comporre elettuario per le tossi e male di gola, detto sciroppo diamorum. È suscettibile di fermentazione vinosa ed alcoolica e più che ad uso medico, servono a colorare vini e paste zuccherine. I giovani germogli e le foglie sono leggermente stittiche e se ne può usare per gargarismo. Varietà a fiori doppi, frutto bianco, senza spine, foglie screziate, frastagliate, ecc. È della mora che si occupavano gli antichi mentre chiamavano sylvestris il lampone. È tradizione greca che prima questo frutto era bianco, ma che divenne nero del sangue di Piramo e di Tisbe, due amanti della Siria, che non potendo sposarsi si uccisero l'un dopo l'altro sulle more. Galeno raccomanda di mangiare la mora ai viaggiatori assetati e affaticati dal caldo e della strada. Plinio dice che sono rinfrescanti. I Romani la mangiavano dopo il pranzo.
amanti della Siria, che non potendo sposarsi si uccisero l'un dopo l'altro sulle more. Galeno raccomanda di mangiare la mora ai viaggiatori assetati
V'à chi dice che l'albicocco sia stato portato in Europa al principio dell'era volgare, ma i Greci lo conoscevano prima ed i suoi frutti li chiamavano poma precocia (primaticcia) che pronunciavano bericoca e vi venne portato al tempo di Alessandro il Grande. Da bericoca il nome arabo berkouk, e da cui lo spagnolo albaricoque e il nostro italiano albicocca. I Romani lo chiamavano: mela armeniaca. Ne parlarono Dioscoride e Plinio, commendandone l'aroma. — Galeno ed i medici greci asserivano che i frutti suoi sono più salubri di quello del pesco. L'albicocca è piuttosto indigesta e la medicina si serve dei semi della varietà che li à amari, a sostituirli a quelli della Mandorla amara e che del pari possono riescire venefici.
'aroma. — Galeno ed i medici greci asserivano che i frutti suoi sono più salubri di quello del pesco. L'albicocca è piuttosto indigesta e la medicina
Il Cotogno è pianta indigena, a foglia caduca, originaria dalla Grecia. Vuol terreno sciolto, fresco, clima caldo, teme il vento. Si propaga per barbatelle, semi, tallee. Conta poche varietà: il comune, o cotogno di China (Cydonia Sinensis) a frutto piriforme ed oblungo molto grosso — ed il cotogno di Portogallo (C. lusitania) che è il migliore. In Aprile e Maggio, dà grandi fiori bianchi o di un rosso pallido. Frutti gialli in Ottobre. Nel linguaggio delle piante: Fastidioso. La cotogna, è frutto grosso come una mela ordinaria, carnoso, giallo anche nella polpa, di odore penetrante, che facilmente comunica agli oggetti vicini e sì forte che non si può, senza incomodo, tenerlo nelle camere d'abitazione. À sapore sì astringente ed agro, che è impossibile mangiarlo crudo, lo perde però colla stagionatura, coll'essicazione, colla cottura ed allora aquista un gusto molto aggradevole. Cotonea cocta soaviora, disse Plinio. Questo frutto non dura molto. Si condisce, se ne fa sciroppo, ed una pasta nota sotto il nome di cotognata, chiamata dal Palladio Cydonitem, e di uso volgare nelle affezioni cattarali di petto. Entra nella mostarda. Un buon credenziere li serve in mille maniere, li coce nell'aqua, nel vino, li abbrustolisce sotto le ceneri, ne fa torte pasticci ed offelle. À virtù astringente. Da' suoi semi ovali, accuminati, se ne cava una mucilagine, che Pareira chiamò cidonina, che la medicina adopera internamente a mitigare i dolori delle fauci e dell'esofago prodotti da qualche acre corrodente sostanza — esternamente a modo di collirio nelle infiammazioni delle palpebre congiuntive — questa mucilagine à virtù analoghe alla glicerina. I parucchieri la vendono molto cara, sotto il nome di bandoline per lisciare e fissare i capelli. Il suo nome Cydonia da Cydon città dell'Isola di Creta, fondata da Cidone, figlio di Apolline. Venne in Italia dalla Grecia, dove era celebre per la grossezza, e Catone fu il primo che la chiamò cotonea. Teofrasto e Plinio ne parlano coll'aquolina in bocca, anzi Plinio insegna a cocerli nel miele. Galeno e Paolo Egineta lo magnificano come migliore delle poma, e non solo gli decretano summam auctoritatem in mensis, et culinis , ma anche come medicamentum. Al tempo di Galeno erano celebri i cotogni della Soria e dell'Iberia. Nel bon tempo passato, si dava alla cotogna, il privilegio di regalare figliuoli di genio, di guarir dalla scrofola, e alla sua radice di far scomparire il gozzo.
chiamò cotonea. Teofrasto e Plinio ne parlano coll'aquolina in bocca, anzi Plinio insegna a cocerli nel miele. Galeno e Paolo Egineta lo magnificano
Allium, dal celtico ali, caldo, bruciante. Bulbo conosciuto di odore e sapore acutissimo, vuolsi originario dall'Egitto e dalla Persia. Se ne contano 96 specie. L'aglio non fiorisce quasi mai. Si piantano gli spicchi dell'aglio in febbraio e marzo in luna piena, si raccoglie in settembre e si conserva in luogo asciutto per l'inverno; per piantarlo, preferite gli spicchi esterni a quelli del centro. Nel linguaggio dei fiori: Sta lontano. L'aglio è l'acciuga del povero, Galeno lo chiamava la triaca dei contadini. L'uso culinario dell'aglio è antichissimo. Gli Egizi l'avevano divinizzato colle cipolle; gli Ateniesi ne erano grandi consumatori; Anaxilao, filosofo, lo mangiava crudo; i Celti ne usavano come preservativo nei malefizî. Era cibo usitato presso i Romani tutti. E Virgilio:
è l'acciuga del povero, Galeno lo chiamava la triaca dei contadini. L'uso culinario dell'aglio è antichissimo. Gli Egizi l'avevano divinizzato colle
V'à chi dice, che l'albicocco sia stato portato in Europa al principio dell'era volgare, ma i Greci lo conoscevano prima, ed i suoi frutti li chiamavano poma precocca (primaticcia) che pronunciavano bericoca e vi venne portato al tempo di Alessandro il Grande. Da bericoca il nome arabo berkouk, e da cui lo spagnolo albaricoque e il nostro italiano albicocca. i Romani lo chiamavano: mela armeniaca. Al tempo di Plinio era rarissima. Egli con Dioscoride ne commenda l'aroma. Galeno ed i medici greci asserivano che questo frutto è più salubre della pesca:
Dioscoride ne commenda l'aroma. Galeno ed i medici greci asserivano che questo frutto è più salubre della pesca:
Plutarco asserisce che fino da tempo immemorabile si praticava mangiare questo vegetabile sano, piacevole e di grande consolazione per chi sospira la verdura. Tutti gli scrittori, da Galeno a Catone, da Columella a Plinio, ne parlano coll'aquolina in bocca. In Italia erano rinomatissimi quelli di Ravenna, onde Marziale:
verdura. Tutti gli scrittori, da Galeno a Catone, da Columella a Plinio, ne parlano coll'aquolina in bocca. In Italia erano rinomatissimi quelli di
Arboscello odoroso annuale, originario dalle IndieOrientali e dalla Persia. Ve ne sono 22 varietà. Tra queste il Grandiflorum (dall'Africa), che è perenne, e il Minimum annuale dell'Isola di Ceylan. Generalmente si coltiva la specie Ocymum. La Minimum però, è la più graziosa. Nel linguaggio dei fiori: Odio. Si semina in aprile e maggio, in buona terra, esposizione meridiana. Il seme germina fino ad 8 anni. Tanto i fiori che le foglie servono per condimento, per confettura e anche per profumo. È molto usato nella cucina genovese. In Persia se ne usa per aromatizzare le bibite. Crisippo lo reputava non solo inutile, ma eccitante l'insania, e come era disprezzato dalle capre, doveva fuggirsi dagli uomini. E così predicò Galeno, ma i popoli della Mauritania lo avevano per un'esilarante. Il Basilico selvatico, detto Brunella (Brunella vulgaris officinalis), è vantato nelle malattie degli organi respiratorii e nella diarrea. Messe le foglie nell'insalata, si voleva guarisse le emorroidi. Dal Basilico se ne cava un'olio essenziale. I Genovesi lo conservano nell'olio in vasi o alberelli ben chiusi. E fanno così: pigliano il basilico fresco, lo lavano per pulirlo dalla terra, l'asciugano con una salvietta, vi distaccano le foglie, gettano via i gambi e lo pongono in un alberello che si riempie d'olio e si chiude ermeticamente. Così conservato, mantiene tutte le sue qualità aromatiche, nè si distingue da quello fresco.
reputava non solo inutile, ma eccitante l'insania, e come era disprezzato dalle capre, doveva fuggirsi dagli uomini. E così predicò Galeno, ma i popoli
seme darà 10 anni. Si educano pure nelle cantine per averne foglie più bianche, o rosse e più tenere. La selvatica, detta da nei zuccoria selvadega (intybus), è la leontodon (dal greco leon, leone, e odùs, dente). — In franc.: Pissenlit, ted.: Lövenzahan; ingl.: Dandelion; spagn.: Diente de leon — cresce nei luoghi umidi sabbiosi, e viene adoperata al principio della primavera come insalata, è amarissima. Della cicoria si mangiano tanto le foglie che la radice; è più digeribile quanto più tenera. Da noi si ciba cruda, ma in Francia si fanno molti piatti caldi. Si può metterla nelle zuppe e minestre e usarla generalmente quando è scottata nell'acqua bollente come gli spinacci. La cicoria fu detta dai latini ambuleja, dagli egizi cicorium, e dai greci hedynois. I Magi, popolo del Caucaso, per la grande sua utilità la chiamarono chreston e pancration. Galeno l'odiava e Virgilio la trovava molto amara. —
dai greci hedynois. I Magi, popolo del Caucaso, per la grande sua utilità la chiamarono chreston e pancration. Galeno l'odiava e Virgilio la trovava
Tale il precetto salernitano, sentito il parere di Dioscoride, Galeno e Tralliano. Ma s' avvertano i divoratori di cipolle che mangiandone in quantità, fanno doler la testa, mettono sete, li fanno diventar rossi come i peperoni, promovono loro la saliva e più di tutto fanno perdere il
Tale il precetto salernitano, sentito il parere di Dioscoride, Galeno e Tralliano. Ma s' avvertano i divoratori di cipolle che mangiandone in
Galeno le proibiva ai letterati. Di tutto questo però, la scienza moderna, che è scettica, crede un bel nulla. Si limita a dire che la cipolla è un efficace diuretico e che, applicata fresca alla cute, è un energico rubefaciente. In Francia, oggigiorno, la si dà ai bambini nell'epidemia del croup e della difterite, la si ritiene eccellente nei reumi e nelle malattie di stomaco. Il sugo della cipolla fa sparire le lentiggini. Gli ortolani di Napoli adoperano un'infusione di cipolle a cacciare il bruco dai cavoli. La sapienza popolare ad indicare coloro che, come disse il Manzoni, sono semplici come i serpenti, dice:
Galeno le proibiva ai letterati. Di tutto questo però, la scienza moderna, che è scettica, crede un bel nulla. Si limita a dire che la cipolla è un
si fa nascere su letto caldo e si trapianta in aprile in luna vecchia. Avvene molte varietà: Il bianco grosso, da insalata, il piccolo, per aceto, il giallo precoce, il tondo a pelle ruggine ricamata, che à carne fina bianchissima, il verde lungo inglese, quello d'Atene, ecc. Il citriolo à odore suo proprio, raccogliesi il frutto acerbo, o mal maturo, e ridotto in fette si mangia in insalata con olio, aceto, sale e pepe. I piccoli si mettono in conserva nell'aceto, per mangiarli colla carne a lesso. I citrioli, per molti sono indigesti, per molti altri, rinfrescanti. Se cotti amano il lardo. Si fanno farciti come le zucche e servono come guarnizione. Dei citrioli tutti ne dissero male. Fu sempre reputato un cibo difficile a digerirsi. Galeno voleva che si abolisse dai cibi dell'uomo, come la più iniqua delle vivande, e Plinio asseriva che gli restava sullo stomaco fino al giorno dopo. Nerone ne era ghiottissimo e Tiberio ne mangiava ogni giorno, ma cotti. I milanesi per dire che una cosa vai poco, ànno il proverbio: la var trii cocùmer e un peveron. E per dare dell'imbecille ad alcuno lo chiamano un cocùmer. I citrioli erano una delle dolci rimembranze egiziane degli Ebrei nel deserto. Una ricetta di Dumas:
. Galeno voleva che si abolisse dai cibi dell'uomo, come la più iniqua delle vivande, e Plinio asseriva che gli restava sullo stomaco fino al giorno dopo
. Tutti gli scrittori greci ebbero pure lodi per il fico. Era tradizione che fosse la passione di Ercole. Platone era sopranominato l'amante delle uve e dei fichi. Galeno, che non mangiava frutto alcuno aveva delle tenerezze pel fico e per l'uva, che chiamava meno inutili, e ne proclama le virtù, tra le quali
uve e dei fichi. Galeno, che non mangiava frutto alcuno aveva delle tenerezze pel fico e per l'uva, che chiamava meno inutili, e ne proclama le virtù
La Môra (Rubus fructicosus vulgaris). Mil.: Mòra. — Fr.: Mure de ronce. — Ted.: Brombeere. — Ingl.: Blackberry. — Spagn.: Mora. Prugnola del rovo il cui arbusto, ovunque diffuso, dà fiori bianchi o rossicci da maggio in avanti, e frutti neri. Nel linguaggio dei fiori: Gelosia, Rimorsi, Invidia. La môra à sapore dolce quando è matura. Una volta serviva a comporre elettuario per le tossi e male di gola, detto sciroppo diamorum. È suscettibile di fermentazione vinosa ed alcoolica e più che ad uso medico servono a colorare vini e paste zuccherine. I giovani germogli e le foglie sono leggermente stittiche e se ne può usare per gargarismo. Varietà a fiori doppi, frutto bianco, senza spine, foglie screziate, frastagliate, ecc. È della môra che si occupavano gli antichi mentre chiamavano sylvestris il lampone. È tradizione greca che prima questo frutto era bianco, ma che divenne nero del sangue di Priamo e di Tisbe, due amanti della Siria, che non potendo sposarsi si uccisero l'un dopo l'altro sulle môre. Galeno raccomanda di mangiare la môra ai viaggiatori assetati e affaticati dal caldo e dalla strada. Plinio dice che sono rinfrescanti. I Romani la mangiavano dopo il pranzo.
di Priamo e di Tisbe, due amanti della Siria, che non potendo sposarsi si uccisero l'un dopo l'altro sulle môre. Galeno raccomanda di mangiare la
Borc pretende che gli antichi prima di cocerle lasciassero loro subire un principio di germinazione onde svilupparne meglio il principio zuccherino come si fa oggi coll'orzo tallito. La lente ebbe dei detrattori. Socrate e Galeno ne dissero assai male, niente altro che è autrice delle più grandi malattie e tra le altre del cancro, del sciro, della lebbra e della cataratta, decisamente come, dopo tanto tempo, Martin Lauzer assicura che la lente guarisce da 26 malattie, tra le quali la gotta, la cefalogia, l'afrodismo ed il vaiuolo. Al principio del 600 in Lombardia, teste Francesco Gallina medico torinese, correva il proverbio: Chi mangia lenticchie caga una secchia. Stile del 600. E però la lente è un legume saporito, nutriente e che si digerisce meglio passata allo staccio e spoglia di buccia. Roques dopo aver date molte ricette a cucinar le lenti,
come si fa oggi coll'orzo tallito. La lente ebbe dei detrattori. Socrate e Galeno ne dissero assai male, niente altro che è autrice delle più grandi
Pianta annua dell'Asia, Africa ed America, il cui frutto è bislungo, cilindrico, color pavonazzo, giallo o bruno, a norma delle varietà. È detto anche ovo vegetale. Il seme germoglia fino agli 8 anni. Si semina in aprile e maggio, si coglie in agosto e settembre. L'Ovigerum, varietà a frutto bianco, à la forma dell'uovo, e dai Milanesi è detto Œuf de pola. Vuole buon terreno, molto sole e frequenti irrigazioni. Gli ovali sono i più delicati. La polpa della melanzana è bianca e succosa. Levata la sua innata amarezza mediante infusione nell'acqua, costituisce un cibo abbastanza grato, nutritivo e di facile digestione. Conviene spogliarla dalla buccia. Concilia il sonno, nel linguaggio delle piante significa appunto: mi fai venir sonno. Si taglia a fette per le zuppe e minestre. Nei paesi caldi, immatura, si mangia in insalata e cruda coll'olio e pepe, e cotte si mettono in aceto. In Egitto si coce sotto cenere. Nel genovesato si riempie come le zucchette. Altrove, pelata, si taglia a fette, si triffola, si imborag[gia] coll'ovo e farina e si frigge. Pelata e bollita in acqua per due minuti, si secca al forno e si conserva per l'inverno. Colle foglie si fanno decotti, cataplasmi, e questi anche colla polpa del frutto. Il suo nome Melanzana, dal latino Mela insana, perchè la dicevano di diffìcile cottura e digestione. I Greci, al dire di Galeno, la usavano pochissimo. Dioscoride ne predica il gusto innocente. Teofrasto lo accusa di essere di nessun nutrimento. Il Durante le dedica un verso calunnioso e bugiardo:
dire di Galeno, la usavano pochissimo. Dioscoride ne predica il gusto innocente. Teofrasto lo accusa di essere di nessun nutrimento. Il Durante le
Il Nasturzio, o Lepidio, è pianticella annuale indigena, conosciuta e coltivata nei giardini e negli orti pei suoi fiori giallo-scuri e rossi. Nel linguaggio dei fiori: Mi importuni. Si moltiplica seminando i suoi frutti a primavera, fiorisce fino all'Ottobre, ama terreno grasso e inaffiamenti. I semi germogliano fino ai 5 anni. Avvi una varietà a larghe foglie (lepidium latifolium) che si coltiva come la precedente. Il nome di lepidio, da lepis squama, perchè si usava a rimedio delle impettigini squamose. Anche presso di noi il volgo lo usò molto tempo per distruggere i vermi ai ragazzi. La pianta è diuretica, i fiori si mangiano colla insalata, che rendono più allegra e saporita per un certo acre tra il rafano e la senape che le comunica. I semi possono supplire ai capperi, conservansi verdi nell'aceto e se ne fa salse. I Greci lo chiamavano Hardamon e lo mangiavano principalmente colla lattuga. Egineta e Zenofonte asseriscono che serviva di companatico ai Persiani. I Latini lo chiamarono Nasturtium, a nasi tormento, oppure da nasus tortus, dice Plinio, perchè fa arricciare il naso od eccita le papille nasali come la senape. Ne dissero mirabilia Dioscoride, Galeno, Avicenna. Gli antichi gli assegnarono la virtù di infondere coraggio, e di chiarificare le idee, onde il precetto:
nasus tortus, dice Plinio, perchè fa arricciare il naso od eccita le papille nasali come la senape. Ne dissero mirabilia Dioscoride, Galeno, Avicenna. Gli
(Deut., 24, 20): Galeno insegnava a mangiare le olive col pane, e fino dal tempo di Paolo Egineta mettevano appetito e si mangiavano per antipasto. Erano molto ricercate e ghiotte quelle condite con aceto od oximele, che era una salsetta piccante fatta di aceto, miele e acqua marina. Celebri una volta quelle di Spagna e da noi quelle di Ascoli. Le grosse, spogliate prima, mediante liscivia, del principio amaro, si conservano in salamoia e si usano ancora a stuzzicare l'appetito per antipasto e condimenti diversi. Sono migliori se appena colte verdi si schiacciano, si toglie loro il nocciolo, si pongono in bagno di acqua per tre giorni, cambiando ogni giorno l'acqua, e finalmente si coprono con forte salamoia aromatizzata. Queste ulive non durano più di un mese, ma sono ghiottissime e si mangiano tali e quali sono, o si condiscono a foggia d'insalata. Orazio, in uno dei suoi accessi d'amore per l'aurea mediocrità, non desiderava altra cosa, per esser felice, che un po' di olive, di cicoria e di malva:
(Deut., 24, 20): Galeno insegnava a mangiare le olive col pane, e fino dal tempo di Paolo Egineta mettevano appetito e si mangiavano per antipasto
(Ezech.). Di tale opinione è pure S. Gerolamo (vedi In Isaiam) dove pure ci dice che i cinque pani coi quali il Redentore saziò la turba, erano d'orzo. Lo stesso S. Gerolamo asserisce, aver visto in Siria un'eremita che visse trent'anni con orzo ed acqua sporca. Galeno ne scrisse lungamente in un libro tutto dedicato al decotto: De Phtisana hordacea. Il parroco bavarese Kneipp lo regala al prossimo come eccellente caffè. Che bon prossimo !
'orzo. Lo stesso S. Gerolamo asserisce, aver visto in Siria un'eremita che visse trent'anni con orzo ed acqua sporca. Galeno ne scrisse lungamente in un
Al tempo di Galeno, erano celebri i cotogni della Soria e dell'Iberia. Nel bon tempo passato si dava alla cotogna il privilegio di regalare figliuoli di genio, di guarir dalla scrofola, e alla sua radice di far scomparire il gozzo.
Al tempo di Galeno, erano celebri i cotogni della Soria e dell'Iberia. Nel bon tempo passato si dava alla cotogna il privilegio di regalare figliuoli
Solone aveva ordinato che alla mensa delle nozze fossero apprestati dei pomi cotogni, agli sposi. Questo frutto non dura molto. Si candisce, se ne fa sciroppo ed una pasta nota sotto il nome di cotognata, chiamata dal Palladio Cydonitem, e di uso volgare nelle affezioni catarrali di petto. Entra nella mostarda. Un buon credenziere li serve in mille maniere, li coce nell'aqua, nel vino, li abbrustolisce sotto la cenere, ne fa torte, pasticci ed offelle. À virtù astringente. Da' suoi semi ovali, accuminati, se ne cava una mucilagine che, Pareira, chiamò cidonina, che la medicina adopera internamente a mitigare i dolori delle fauci e dell'esofago, prodotti da qualche acre, corrodente sostanza; esternamente, a modo di colirio nelle infiammazioni delle palpebre congiuntive; questa mucilagine à virtù analoghe alla glicerina. I parucchieri la vendono molto cara, sotto il nome di bandoline per lisciare e fissare i capelli. Teofrasto e Plinio ne parlano coll'aquolina in bocca; anzi, Plinio insegna a cocerli nel miele, Galeno e Paolo Egineta lo magnificano come migliore delle poma, e non solo gli decretano summam auctoritatem in mensis, et culinis, ma anche come medicamentum.
lisciare e fissare i capelli. Teofrasto e Plinio ne parlano coll'aquolina in bocca; anzi, Plinio insegna a cocerli nel miele, Galeno e Paolo Egineta
Opera sul cervello e modifica la pazzia. Galeno, nativo di Bergamo, venuto in Roma per ordine dell'imperatore Aurelio, fece brillanti cure colla satureja, in ispecie sui letterati. I suoi fiori sono ghiotto cibo delle api.
Opera sul cervello e modifica la pazzia. Galeno, nativo di Bergamo, venuto in Roma per ordine dell'imperatore Aurelio, fece brillanti cure colla
. In Grecia, teste Galeno, lo si mangiava in insalata: oleo et aceto confecto: ma da molti veniva creduto produrre epilessia e cecità. Plutarco ci ricorda che era proverbio: abbisognare di sedano quelli che sono male in gamba: qui deplorata sunt valetudine. I Romani s'incoronavano di sedano nei conviti onde preservarsi dall'ebbrezza. Il sedano lo si vuole un leggero eccitante, lo si può ritenere non solo sano, ma un vero medicamento. In Inghilterra lo si prescrive in uso giornaliero alle persone nervose, onde fortificarle. Calma e combatte le palpitazioni, ed è utilissimo nelle affezioni reumatiche. Alle tavole inglesi si trova la polvere dei semi di sedano grattugiata come il cren, macerata nell'aceto con un poco di sale. Da noi il sedano lo si mangia per gradito antipasto. Con la polvere del suo seme, meglio del selvatico, se ne fa un unguento per i pidocchi.
. In Grecia, teste Galeno, lo si mangiava in insalata: oleo et aceto confecto: ma da molti veniva creduto produrre epilessia e cecità. Plutarco ci
ed asciutti ed in terreni poco profondi. Il sesamo non reggerebbe nei paesi montuosi anche per i venti. Vuolsi originario dell'Asia Minore, e precisamente dalla Paflagonia, dove esisteva pure la città di Sesamon, chiamata poi Amastris, della quale parla Plinio. In Bologna se ne sono fatte molte esperienze, notate nel Giornale d'Italia di scienze naturali. Coi suoi semi, in Egitto, se ne fa una minestra saporita. In Sicilia lo si metteva nel pane. Oggi ancora si mangiano arrostiti e cotti come quelli del riso e dell'orzo, e macinati forniscono una farina grossolana, ma di cui i pasticcieri si servono assai. Era conosciuto il sesamo in Oriente sino dai tempi più remoti. Da Plinio fu messo il sesemo fra i cereali, da Columella fra i legumi, da Teofrasto fra i grani che non ànno nome. Ateneo, nel libro XVI, dice che i Greci lo mangiavano torrefatto col miele. Galeno, che lo si metteva nel pane, ma che era di sua natura calido. In Egitto i semi del sesamo servono a preparare una pasta biancastra che si usa per mantenere la freschezza e la bellezza della pelle.
, da Teofrasto fra i grani che non ànno nome. Ateneo, nel libro XVI, dice che i Greci lo mangiavano torrefatto col miele. Galeno, che lo si metteva nel
Non è ben certo se gli antichi conoscessero lo zuccaro. Dioscoride, Galeno e Plinio parlano di uno zuccaro, che dalle Indie si trasportava nell'Arabia, il quale raccoglievasi dalle canne, coagulato a guisa di gomma. Anche in Lucano troviamo:
Non è ben certo se gli antichi conoscessero lo zuccaro. Dioscoride, Galeno e Plinio parlano di uno zuccaro, che dalle Indie si trasportava nell
Ma pare servisse solò in medicina (Galeno, De Simpl. Med. Fac., cap. 120). L'epoca vera della prima introduzione dello zuccaro in Europa è oscura. Era ramo di commercio fra l'Indostan, la Persia e l'Arabia. Dalla Mecca per Bassora e Magdad discese al basso Egitto, poi in Grecia e nell'Asia Minore, di là in Europa. Vogliono alcuni che gli Spagnoli e i Portoghesi lo scoprissero per la prima volta nelle Isole Canarie ed a Madera. Ma la cosa pare invece all'incontrario. L'arundo saccarifera nel 996 fu portata la prima volta; dall'Oriente a Venezia, e prosperava dopo il 1000 in Sicilia, tanto che nel 1419 l'Università di Palermo assegnava aque per la sua coltivazione. Secondo Merini prima ancora del 1319 se ne spedì da Venezia in Inghilterra per 100.000 libbre e 10.000 di candito. I Portoghesi, prendendo possesso di Madera, vi piantarono la canna dello zuccaro, facendola venire dalla Sicilia, da dove penetrò pure in Spagna. Nel 1440, Pietro Speciale lo piantò nelle campagne di Ficaruzzi su quel di Palermo. Nel 1550, un viaggiatore descrive i trappeti (aje) dello zuccaro a Carini, Trabia, Casalbianco, Modica, ecc. Ciò riferisce Albert Aqueus, lib. V, 37. Dopo
Ma pare servisse solò in medicina (Galeno, De Simpl. Med. Fac., cap. 120). L'epoca vera della prima introduzione dello zuccaro in Europa è oscura
Arboscello odoroso annuale, originario dalle Indie Orientali e dalla Persia. Ve ne sono 22 varietà. Tra queste il Grandiflorum (dall'Africa), che è perenne, e il Minimum annuale dell'Isola di Ceylan. Generalmente si coltiva la specie Ocymum. La Minimum però è la più graziosa. Nel linguaggio dei fiori: Odio. Si semina in Aprile e Maggio in buona terra, esposizione meridiana. Tanto i fiori che le foglie servono per condimento, per confettura e anche per profumo. È molto usato nella Cucina Genovese. In Persia se ne usa per aromatizzare le bibite. Crisippo lo reputava non solo inutile, ma eccitante l'insania, e come era disprezzato dalle capre, doveva fuggirsi dagli uomini e così predicò Galeno, ma i popoli della Mauritania lo avevano per un' esilarante. Il Basilico selvatico detto Brunella, (Brunella vulgaris officinalis) è vantato nelle malattie degli organi respiratori e nella diarrea. Messe le foglie nell'insalata si voleva guarisse le emorroidi. Dal Basilico se ne cava un'olio essenziale. I Genovesi lo conservano nell'olio in vasi o alberelli ben chiusi. E fanno così: pigliano il basilico fresco lo lavano per pulirlo dalla terra, l'asciugano con una salvietta, vi distaccano le foglie, gettano via i gambi e lo pongono in un alberello che si riempie d'olio e si chiude ermeticamente. Così conservato mantiene tutte le sue qualità aromatiche, nè si distingue da quello fresco.
eccitante l'insania, e come era disprezzato dalle capre, doveva fuggirsi dagli uomini e così predicò Galeno, ma i popoli della Mauritania lo avevano per un
Moltissimo fu scritto sui cavoli. Dai Greci furono detti Cramben da Coramblen, nocivi agli occhi, e perturbatori del sonno. Tale il parere di Galeno che asseriva:
Moltissimo fu scritto sui cavoli. Dai Greci furono detti Cramben da Coramblen, nocivi agli occhi, e perturbatori del sonno. Tale il parere di Galeno
Tale il precetto salernitano, sentito il parere di Dioscoride, Galeno e Tralliano. Ma s'avvertano i divoratori di cipolle che mangiandone in quantità, fanno doler la testa, mettono sete, li fanno diventar rossi come i peperoni, promovono loro la saliva e più di tutto fanno perdere il nominepatris: rationum ledunt. Galeno le proibiva ai letterati. Di tutto questo però, la scienza moderna che è scettica, crede un bel nulla. Si limita a dire che la cipolla è un efficace diuretico e che applicata fresca alla cute è un energico rubefaciente. Gli ortolani di Napoli adoperano un'infusione di cipolle a cacciare il bruco dai cavoli. La sapienza popolare ad indicare coloro che come disse il Manzoni sono semplici come i serpenti, dice:
Tale il precetto salernitano, sentito il parere di Dioscoride, Galeno e Tralliano. Ma s'avvertano i divoratori di cipolle che mangiandone in quantità
Il Nasturzio, o Lepidio, è pianticella annuale indigena, conosciuta e coltivata nei giardini e negli orti pei suoi fiori giallo-scuri e rossi. Nel linguaggio dei fiori: Mi importuni. Si moltiplica seminando i suoi frutti a primavera, fiorisce fino all'Ottobre, ama terreno grasso e inaffiamenti. Avvi una varietà a larghe foglie (lepidium latifolium) che si coltiva come la precedente. Il nome di lepidio da lepis squama, perchè si usava a rimedio delle impettigini squamose. Anche presso di noi il volgo lo usò molto tempo per distruggere i vermi ai ragazzi. La pianta è diuretica, i fiori si mangiano colla insalata, che rendono più allegra e saporita per un certo acre tra il rafano e la senape che gli comunica. I semi possono supplire ai capperi, conservansi verdi nell'aceto e se ne fa salse. I Greci la chiamavano Cardamon, lo mangiavano principalmente colla lattuga. Egineta e Zenofonte asseriscono che serviva di companatico ai Persiani. I latini lo chiamarono Nasturtium, a nasi tormento, oppure da nasus tortus, dice Plinio, perchè fa arricciare il naso ed eccita le papille nasali come la senape. Ne dissero mirabilia Dioscoride, Galeno, Avicenna. Gli antichi gli assegnarono la virtù di infondere coraggio, e di chiarificare le idee, onde il precetto: homines secordes et somnolentes nasturtium edere jubeamus. l milanesi ad indicare piedi lunghi e larghi alla moda inglese chiamano le scarpe dei loro fortunati possessori: cassett de Nasturzi.
arricciare il naso ed eccita le papille nasali come la senape. Ne dissero mirabilia Dioscoride, Galeno, Avicenna. Gli antichi gli assegnarono la virtù di
Allium, dal celtico all, caldo, bruciante. Bulbo conosciuto di odore e sapore acutissimo, vuoisi originario dall'Egitto e dalla Persia. Se ne contano 96 specie. Si piantano gli spicchi dell'aglio in Febbrajo e Marzo in luna piena e si raccoglie in Settembre e si conserva in luogo asciutto per l'inverno. Nel linguaggio dei fiori: Sta lontano. L'aglio è l'acciuga del povero, Galeno lo chiamava la triaca dei contadini. L'uso culinario dell'aglio è antichissimo. Gli Egizi l'avevano divinizzato colle cipolle, gli Ateniesi ne erano grandi consumatori, Anaxilao filosofo lo mangiava crudo, i Celti ne usavano come preservativo nei malefizi. Era cibo usitato presso i Romani tutti, ma i ricchi sotto l'impero, cominciavano a sdegnarlo, ed Orazio, lo abborriva come il veleno.
'inverno. Nel linguaggio dei fiori: Sta lontano. L'aglio è l'acciuga del povero, Galeno lo chiamava la triaca dei contadini. L'uso culinario dell'aglio è