Questa pietanza, di una semplicità e di una esecuzione assolutamente primordiali, non solamente riabilita il polipo, che — sia detto fra parentesi — nelle famiglie dei pesci gode di una fama volgaruccia anzichenò, ma immediatamente solleva lo spregiato mollusco ad altezze che non esiteremmo a chiamare epiche. C'è forse qualcosa di più squisito, di più appetitoso, di più delizioso di un polipo alla luciana? Quale pesce può compiere il prodigio di riempirvi la cucina di un profumo più intenso ? Uno di quei profumi che scendono allo stomaco «per vie non conosciute», come avrebbe detto il buon Stecchetti e che vi fanno venire l'acquolina in bocca. Di più il materiale di cucina occorrente non contribuirà certo a mandarvi in rovina: una pentola di coccio, un pezzo di carta paglia e un po' di spago. L'abbiamo già detto: si tratta di una preparazione primordiale. Il polipo che occorre deve essere di scoglio: quei polipi cioè che hanno una doppia fila di ventose sui tentacoli, e che sono detti a Napoli «veraci». Contrariamente poi a quanto si usa per le altre preparazioni sarà da preferirsi un polipo piuttosto grosso. E non abbiate timore che riesca duro: quando avrete seguito con diligenza i nostri consigli scambierete il vostro polipo per un pezzo di vitellino da latte, tanto sarà tenero. Comperato dunque il polipo, nettatelo bene, togliendo via la vescichetta della tinta, gli occhi e tutta la pelle. Quest'ultima operazione, che a prima vista può sembrare difficile, non lo è in realtà, se vi aiuterete con un piccolo coltello a punta. Fatta dunque un po' di toletta al polipo procedete ad un'altra operazione, che se non è molto gentile è però necessaria: quella della bastonatura; poichè il polipo «ama» di essere bastonato, come si legge in quei libri di cucina a base di strafalcioni. Naturalmente est modus... con quel che segue; e voi badate affinchè nella furia del combattimento il polipo non debba restare massacrato e coi tentacoli in pezzi. Dopo la bastonatura esso avrà perduto la rigidità delle fibre e sarà pronto per la cottura. La quale, come già abbiamo accennato, dovrà farsi in una pentola di terraglia, di capacità tale che il polipo possa occuparne i due terzi dell'altezza. Lavate adesso il polipo e, senza asciugarlo, deponetelo nella pentola. Conditelo con sale e pepe — è molto indicato, se piace, del peperoncino — qualche ciuffo di prezzemolo e abbondante olio (mezzo bicchiere un po' scarso per un polipo di mezzo chilogrammo). Chiudete ora la pentola con un paio di fogli di carta paglia — quella carta gialla usata dai rivenditori di generi alimentari — assicurate la carta con qualche giro di spago che fisserete sotto i manici e in ultimo coprite con un coperchio. Mettete la pentola su poca brace accesa, quasi delle ceneri calde, e lasciate che il polipo cuocia lentamente, insensibilmene, per un paio d'ore, per abbandonarlo poi sul camino fino al momento di mangiare, che esso guadagna ad essere gustato tiepido o freddo affatto. Vi ripetiamo la raccomandazione che il fuoco sia quasi niente, poichè in caso contrario rovinereste tutto. Pian piano, durante la cottura, un profumo allettatore si sprigionerà dalla pentola. Ma voi non vi lasciate vincere dalla tentazione di scoprirla fino a che non sia trascorso il tempo stabilito e sarà giunta l'ora del desinare. Togliete allora la carta, e avrete la sorpresa di vedere che il polipo è diventato come una specie di grosso crisantemo rossastro, tenerissimo, galleggiante in un brodo squisito, che la munifica bestia ha generosamente elargito. Non gli fate l'ingiuria di travasarlo. Adagiate la pentola in un piatto con salvietta, e fatelo portare in tavola così come si trova. È un piatto marinaresco, e va servito senza troppe cerimonie. In tavola dividetelo in pezzi, e fate che ogni commensale condisca il polipo con qualche cucchiaiata del suo brodo, un pochino d'olio e, se piace, qualche goccia di sugo di limone.
, tenerissimo, galleggiante in un brodo squisito, che la munifica bestia ha generosamente elargito. Non gli fate l'ingiuria di travasarlo. Adagiate la
Preparata e spezzata fa lepre come precedentemente, si fa una marinata nel modo seguente. Prendete una casseruola dove metterete due o tre cucchiaiate d'olio, una cipolla tritata, uno spicchio d'aglio intiero, una carota gialla in pezzetti, un po' di sedano tagliuzzato, due o tre chiodi di garofani, due foglie di salvia, una foglia d'alloro, un ramoscello di timo, un pizzico di rosmarino, un paio di foglie di basilico. Una buona pizzicata di maggiorana e una diecina di grani di ginepro. Voi direte che è molta roba; ma noi vi risponderemo che solamente dalla unione di tutti questi ingredienti potrete ottenere una marinata che profumerà la cucina prima, il lepre poi e sarà il degno preludio di codesta vostra preparazione culinaria. Mettete la casseruola su fuoco debolissimo e lasciate appassire (non rosolare!) le erbe e i legumi per circa un quarto d'ora mescolando di quando in quando; aggiungete del sale a sufficienza e una forte pizzicata di pepe e poi bagnate con un bicchiere di vino rosso di buona qualità e un dito di aceto. Mescolate ancora, fate levare il bollore, togliete la casseruola dal fuoco e quando la marinata sarà tiepida versatela con tutte le erbe sui pezzi del lepre, che avrete intanto risciacquato in molta acqua, asciugato in un pannolino e accomodato in una insalatiera. Lasciate stare così fino al giorno dopo. Il giorno dopo preparate una casseruola piuttosto grandetta con un pochino di strutto o d'olio, estraete i pezzi del lepre dalla marinata e passateli in casseruola, facendoli andare a fuoco brillante, allo scopo di asciugarli subito e di farli ben rosolare. Quando la casseruola incomincerà a friggere aggiungete, un po' per volta, i legumi e le erbe della marinata, che tirerete su con una cucchiaia bucata. Quando i vari pezzi saranno rosolati ben scuri spolverizzateli con una cucchiaiata di farina; mescolate e dopo un minuto versate nella casseruola, a cucchiaiate, il liquido della marinata. Il profumo incomincerà a sprigionarsi dalla cassemola, invaderà la cucina, si propagherà per la casa, si diffonderà dalle finestre, susciterà languori negli stomachi dei vicini e degli eventuali passanti... Non ci badate e continuate ad esaurire tutto il liquido. E quando questo, simile alle illusioni degli umani, se ne sarà andato in fumo e il lepre sarà rimasto all'asciutto, bagnatelo con un ramaiolo o due di acqua, coprite la casseruola, diminuite il fuoco e lasciate finir di cuocere dolcemente. Una mezz'ora prima di servire il lepre estraete i pezzi dalla casseruola e con un cucchiaio staccate il fondo della cottura, aggiungendo un pochino d'acqua.. Se ci fosse molto grasso galleggiante, cosa improbabile, lo toglierete con un cucchiaio inclinando leggermente la casseruola. Passate la salsa da un colabrodo e con un mestolo di legno pigiate i legumi per estrarne tutto il sugo. Rimettete la salsa passata nella casseruola, aggiungete una cucchiaiata di gelatina di ribes e una pizzicata di filettini di scorza d'arancio ottenuti tagliando un pezzo di corteccia d'arancio senza portar via la parte bianca, e ritagliando questa buccia in listelline sottilissime. Fate sciogliere la gelatina di ribes, rimettete nella casseruola i pezzi della lepre, mescolate, e fate riscaldare su fuoco leggero fino al momento di mandare in tavola.
staccate il fondo della cottura, aggiungendo un pochino d'acqua.. Se ci fosse molto grasso galleggiante, cosa improbabile, lo toglierete con un cucchiaio
Preparate un filetto di bue, contornatelo di due piedini di vitello, levate loro l'osso della tibia, rompeteli nel mezzo, e fateli bollire per 20 minuti nell'acqua, unitevi 10 pomidoro ben maturi, ma senza semi e senza acqua, versandovi una bottiglia di Marsala, copritela allora e con un po' di pasta all'uovo chiudete il contorno del coperchio, fatelo cuocere a fuoco lento per 3 ore, poi levategli l'unto galleggiante, ponete tanto il filetto che i piedini in un altro recipiente, passatevi sopra il liquido allo staccio, e ben bollente, servitelo su di un piatto, circondato dai piedini con la salsa ben calda.
pasta all'uovo chiudete il contorno del coperchio, fatelo cuocere a fuoco lento per 3 ore, poi levategli l'unto galleggiante, ponete tanto il filetto che
Procuratevi 2 chilogrammi di fiori e cime di levanda, poneteli in un piccolo lambicco colla diaframma in fondo; in mancanza di questa metterete della paglia o dei vimini con 4 litri d'acqua e 150 grammi di sale da cucina. Fate però attenzione che il liquido non oltrepassi i tre quarti del lambicco, altrimenti non potrebbe operare; dopo 2 giorni apparecchiate il lambicco sul fornello, chiudete bene e sue giunture con della carta ammollata nel pastello, fatto questo con chiara d'uova e farina bianca, tenendo sempre fresca l'acqua del capitello e della serpentina; il primo quintino circa che escirà sarà la flemma che si tralascerà, poi involgerete l'estremità del cannello della serpentina che entra nella bottiglia, in un piccol strofinaccio di cotone, onde non esali l'odore dell'estratto; l'acqua deve uscire a goccie precipitate; la prima che escirà sarà limpida, poi lattosa, ma gradatamente, e quando uscirà nuovamente chiara, sospendete l'operazione perchè è segno non esservi più olio volatile. Dopo 4 ore circa, l'essenza si troverà galleggiante, e con una specie di pipetta, come adottano i toscani a levare l'olio dai fiaschi, ritirerete l'essenza, mettendola in una piccola bottiglia ma ben turata, conservandola in luogo privo di luce. L'acqua poi servirà per uso di tavoletta o per altra distallazione in luogo dell'acqua pura. — Se la distallazione la farete a bagno maria, cioè mettere il lambicco in un altra caldaia coll'acqua in ebollizione, sarà allora più sicura l'operazione. — Coll'istesso metodo potrete estrarre le essenze con altre qualità di scorze: di cedro, di bergamotto, di aranci, ovvero di fiori di rose, di garofano, foglie di lauro ceraso, di cedronella, di basilico, di menta, ecc. Circa poi ai generi secchi, come canella, chiovi di garofano, anice stellato, vaniglia, radice angelica, noce moscata, bacchi di ginepro, ecc., si dovranno prima pestare nel mortaio e lasciarli 4 o 5 giorni nella loro fusione, adoperandoli in piccola dose, cioè 200 grammi per ogni litro d'acqua.
galleggiante, e con una specie di pipetta, come adottano i toscani a levare l'olio dai fiaschi, ritirerete l'essenza, mettendola in una piccola
Adoperando del zuccaro in pane di prima qualità, non fa d'uopo chiarificarlo, essendo questo già raffinato, solo che nell'ebollizione vi metterete qualche goccia di aceto bianco lambiccato o del sugo di limone. Quando lo zuccaro invece è greggio, bisogna chiarificarlo così: Sbattete 2 chiara di uova con 3 quinti d'acqua in un recipiente; posta poi una casseruola da credenza con 2 o 3 chilogramma circa di zuccaro, mescetelo con due terzi della suddetta acqua, mettetela sul fornello e vicina all'ebollizione, levategli tutta la schiuma galleggiante, versatevi poco alla volta la rimanenza dell'acqua albuminosa e continuate a schiumare fin che si sarà ben purificato, fatelo passare dal filtro, rimettendo la casseruola sul fornello e facendolo bollire. Purificando, per esempio, 10 chilogramma di zuccaro, basteranno solo 4 chiara.
suddetta acqua, mettetela sul fornello e vicina all'ebollizione, levategli tutta la schiuma galleggiante, versatevi poco alla volta la rimanenza dell
Per ritrovare l'alcool amilico in un vino se ne agita un dato volume con uno pari di etere, ed il doppio di acqua distillata; si decanta l'etere galleggiante e si lascia evaporare; si ottiene per residuo alcool amilico riconoscibile all'odore nauseoso caratteristico dell'acido valerianico, che esala quando si scalda con acido solforico e bicromato potassico.
galleggiante e si lascia evaporare; si ottiene per residuo alcool amilico riconoscibile all'odore nauseoso caratteristico dell'acido valerianico, che