Questa è una zuppa che prescindendo da Napoli, e suo Regno, in altre parti d'Italia non se ne fa uso, non trovandovisi i broccoli di quella natura. Ma qualora ciò si voglia fare con i broccoli Romani, questa si potrà eseguire esattamente come la zuppa sopraccennata di cavoli fiori. Per quella poi de' broccoli di Napoli, si fà un brodo come quello della cicoria, si capano propriamente i broccoli, e senza allessarli, allorchè bolle vi si pongono dentro poco prima di servire, avvertendo che restino verdi, e poco cotti, facendoli bollire a fuoco allegro, e giusti di sale. Quando si servono si leva il prosciutto, e la ventresca, e si digrassano bene.
de' broccoli di Napoli, si fà un brodo come quello della cicoria, si capano propriamente i broccoli, e senza allessarli, allorchè bolle vi si pongono
[ Immagine] IN Italia generalmente si scarseggia molto di buoni Castrati, e particolarmente in Roma, ciò nonostante nè abbiamo qualcuno eccellente, e di ottimo gusto nell'Inverno, che ci vengono recati d'Ascoli, e dalle nostre vicine montagne. II Popolo per altro, e parte della Nobiltà non ne fà uso; nulladimeno viene ricercato, e mangiato volentieri dagli altri, essendo il Castrato, allorchè è di buona qualità, e bene apprestato un dilicato cibo. Per scieglierlo buono dev'esser giovane, mediocremente grasso, di carne oscura, di coscia corta, e di nervo fino, e sopra tutto che non abbia il sapore di becco, o di lana. Le parti, che si impiegano nella cucina sono il Cervello, la Lingua, i Rognoni, i Piedi, la Coda, il Cosciotto, la Sella, il Quarto di dietro, la Spalla, il Carrè, il Petto, il Filetto, l'Armone, il Collo. Il Carrè, ed il Quarto di dietro sono i pezzi migliori, e più stimati.
di ottimo gusto nell'Inverno, che ci vengono recati d'Ascoli, e dalle nostre vicine montagne. II Popolo per altro, e parte della Nobiltà non ne fà
Antrè = Questo si fà esattamente come quello di Castrato, colla sola differenza, che lo bagnarete con due bicchieri di vino bianco bollente, brodo, e sugo di manzo, o vitella, e lo finirete, e servirete nella stessa guisa. Vedete Cotelette di castrato in Aricò Tom. II. pag. 22.
Antrè = Questo si fà esattamente come quello di Castrato, colla sola differenza, che lo bagnarete con due bicchieri di vino bianco bollente, brodo, e
Antrè grande = Vedete Gallinaccio alle Salciccie Tom. II.pag. 165. L'Oca si appresta nello stesso modo, colla sola differenza, che si fà cuocere come l'Oca all'Italiana, e si serve nella stessa maniera.
Antrè grande = Vedete Gallinaccio alle Salciccie Tom. II.pag. 165. L'Oca si appresta nello stesso modo, colla sola differenza, che si fà cuocere come
Molte di queste vivande, dopo che sono tagliate le fettine di petto di Anitra si mettono nella Salsa per farle scaldare senza bollire; oppure allorchè vi è il comodo delle cazzarole di argento vi si aggiustano dentro le fettine ben disposte, e poco prima di servire ci si versa la Salsa ben calda, indi si fà scaldare la cazzarola senza bollire, e si serve con sopra qualche anelletto di mollica di pane fritto di bel colore. Il sugo di arancio conviene assai meglio all'Anitra, che quello di limone. Le Anitrelle si apprestano nello stesso modo, e si spennano all'acqua come i Pollastri, e Piccioni.
, indi si fà scaldare la cazzarola senza bollire, e si serve con sopra qualche anelletto di mollica di pane fritto di bel colore. Il sugo di arancio
Antremè = In moltissime cucine evvi la costumanza di servire alla mensa una certa specie di bicchieri, o secchietti, o picciole cazzaroline d'argento dorato con entro uova, creme, gelatine etc.Per le uova si apprestono tutte esattamente come le precedenti, alla sola riserva, che mai si guarnisce il fondo, e si fanno più delicate, cioè con soli rossi d'uova senza i bianchi, si possono egualmente porre dentro questi utensili tutte sorta d'uova, e creme come si fanno cuocere nel piatto a Bagno maria, mentre non è che il cambiamento della forma che ne fà la differenza. Veggasi l'Articolo delle creme, e gelatine qui appresso.
creme come si fanno cuocere nel piatto a Bagno maria, mentre non è che il cambiamento della forma che ne fà la differenza. Veggasi l'Articolo delle
Antremè = Ponete in una terrina tre fogliette di fiore di latte con un poco d'acqua di cannella, o fiore d'arancio, sbattetela come i bianchi d'uova in fiocca, e a misura che fà la spuma mettetela in un'altra terrina. Quando sarà fatta tutta, aggiungeteci un poco di scorzetta di limone grattata, e zucchero assai fino a proporzione; fatela gelare sopra la neve, e servitela sopra un fondo di pasta di mandorle, con un bordino all'intorno ben decorato.
in fiocca, e a misura che fà la spuma mettetela in un'altra terrina. Quando sarà fatta tutta, aggiungeteci un poco di scorzetta di limone grattata, e
Antremè grande = Questo si fà come quello di mandorle, colla sola differenza, che si pesta metà mandorle, e metà pistacchi, e si finisce e si serve come l'altro glassato di una glassa Reale.
Antremè grande = Questo si fà come quello di mandorle, colla sola differenza, che si pesta metà mandorle, e metà pistacchi, e si finisce e si serve
Rilievo = Fate bollire circa un'ora dell'acqua alquanto carica di sale, con fette di carote, di cipolle, di panè, di radiche, di petrosemolo, qualche scalogna, spicchio d'aglio, pepe, garofani, alloro, basilico, cipollette, e petrosemolo; colate poscia questa specie di salimoja leggermente. Abbiate un bel Rombo chiodato sventrato dalla parte delle garze, e ben pulito, mettetelo in una cazzarola rotonda, con un'anima sotto, copritelo con una salvietta fina, versateci la salimoja, con altrettanto latte di vacca, e un buon pezzo di butirro; fate cuocere a picciolo fuoco senza bollire, e che soltanto il brodo fremisca all'intorno della cazzarola. Quando sarà cotto levatelo con diligenza acciò non si rompa, fatelo scolare, e sdrucciolatelo sopra il piatto, che dovete servire con sotto una salvietta, e guarnitelo all'intorno di petrosemolo ben verde. Nelle buone cucine si hanno delle sottili tavolette, o bislunghe, o rotonde, grandi come la circonferenza del fondo del piatto: queste si avvolgono di una salvietta fina, si pongono sopra il piatto, e sopra ci si serve ogni sorta di pesce cotto al corto-Brodo. Si servono anche sopra queste tavolette involte di una salvietta, e poste sopra il piatto, linguattole, merluzzi, triglie etc. fritti, e serviti per arrosto, come si dirà nel Tomo seguente. Di magro si fà di meno del latte, e si mette meno sale, e vino bianco nel corto-Brodo.
il piatto, linguattole, merluzzi, triglie etc. fritti, e serviti per arrosto, come si dirà nel Tomo seguente. Di magro si fà di meno del latte, e si
Antrè = Questo si fà esattamente come quello di Castrato, colla sola differenza, che lo bagnarete con due bicchieri di vino bianco bollente, brodo, e sugo di manzo, o vitella, e lo finirete, e servirete nella stessa guisa. Vedete Cotelette di castrato in Aricò Tom. II. pag. 139.
Antrè = Questo si fà esattamente come quello di Castrato, colla sola differenza, che lo bagnarete con due bicchieri di vino bianco bollente, brodo, e
Molte di queste vivande, dopo che sono tagliate le fettine di petto di Anitra si mettono nella Salsa per farle scaldare senza bollire; oppure allorchè vi è il comodo delle cazzarole di argento vi si aggiustano dentro le fettine ben disposte, e poco prima di servire ci si versa la Salsa ben calda, indi si fà scaldare la cazzarola senza bollire, e si serve con sopra qualche anelletto di mollica di pane fritto di bel colore. Il sugo di arancio conviene assai meglio all'Anitra, che quello di limone. Le Anitrelle si apprestano nello stesso modo, e si spennano all'acqua come i Pollastri, e Piccioni.
, indi si fà scaldare la cazzarola senza bollire, e si serve con sopra qualche anelletto di mollica di pane fritto di bel colore. Il sugo di arancio
Antremè = Ponete in una terrina tre fogliette di fiore di latte con un poco d'acqua di cannella, o fiore d'arancio, sbattetela come i bianchi d'uova in fiocca, e a misura che fà la spuma mettetela in un'altra terrina. Quando sarà fatta tutta, aggiungeteci un poco di scorzetta di limone grattata, e zucchero assai fino a proporzione; fatela gelare sopra la neve, e servitela sopra un fondo di pasta di mandorle, con un bordino all'intorno ben decorato.
in fiocca, e a misura che fà la spuma mettetela in un'altra terrina. Quando sarà fatta tutta, aggiungeteci un poco di scorzetta di limone grattata, e
Grande Antremè = Questo si fà come quello di mandorle, colla sola differenza, che si pesta metà mandorle, e metà pistacchi, e si finisce e si serve come l'altro glassato di una glassa Reale.
Grande Antremè = Questo si fà come quello di mandorle, colla sola differenza, che si pesta metà mandorle, e metà pistacchi, e si finisce e si serve
Si riproduce per margotte, propagini, innesto e semina. Se ne contano 18 varietà dell'arancio dolce e 7 di quello amaro o selvatico. — Dà frutto il 5° anno nei climi favorevoli — si raccoglie in varie epoche. La pianta dell'arancio à vita secolare. Qui è pianta da serra, ma è coltivata in tutta Italia, da Malta e dalla Sicilia al lago di Garda. A Salò dicesi Portogallo l'arancio a frutto dolce, e arancio quello a frutti amari, coi quali si fà l'acqua distillata. Il così detto napolino, che viene adoperato esclusivamente dal confetturiere, è detto Citrus bigaradia sinensis e chinotto in italiano, chinois o chinettier in francese. In China ve ne sono infinite varietà. Sono chiamati Kiu-Kù ossia frutti d'oro. Il Mandarino è detto Kan, cioè profumo. Anche là si condisce e se ne fà confettura. In Oceania e nelle Isole Fiji, l'arancio raggiunge un'enorme grossezza. La bellezza, il profumo e la dolcezza degli aranci ricordano i pomi dei mitologici orti esperidi, per cui alla specie di questa famiglia alcuni diedero il nome di esperidee e il frutto chiamarono espiridio. Eccettuate le radici, tutte le parti dell'arancio sono corroboranti, stomatiche, cordiali, antisettiche. I fiori e le foglie servono al distillatore, al credenziere. I fiori si colgono in Maggio e Giugno, nè subito dopo la pioggia, nè prima che sia scomparsa la rugiada. Dalle prime anche la farmacia ne estrae un decotto antispasmodico, antiepilettico. Dai fiori, l'acqua distillata chiamata aqua nanfa, calmante, e un olio essenziale detto: essenza di neroli. I fiori servono a coronare le spose. I frutti si confettano con zuccaro, si candiscono, si compongono in mostarda. Mitigano la sete dei febbricitanti, principalmente quando la bocca è affetta da afte, da difterite, da stomacace, malattie contro le quali è particolarmente indicato il sugo d'arancio. La corteccia è tonica, stomatica. Anche colla radice si fanno pallottole di cauteri, le quali hanno il pregio di facilmente rammolirsi e gonfiarsi. A mascherare il cattivo odore e spiacevole sapore di certe medicine fà ottimo effetto il masticare la scorza od una foglia d'arancio. L'arancio entra nella ricetta della famosa Acqua di Colonia. Fra i lodatori dell'arancio è da ricordarsi il milanese Lodovico Settala, professore di medicina a Pavia, poi di filosofia morale a Milano, citato nei Promessi Sposi e del quale il Ripamonti, suo contemporaneo, dice che curava gratuitamente i poveri ed i letterati — pauperes et litteratos. Gli antichi scrittori confusero sempre l'arancio col limone e col cedro. In Roma nel 1500 si chiamavano Melangoli. L'Ariosto nel Furioso C. XVIII, p. 138, adopera la parola Narancio, sulla prima vera provenienza dell'arancio ebbero molto seriamente a questionare i filosofi antichi. — Alcuni, stando col Re Giuba, che lasciò dei commentarj sulle cose di Libia, dicono che l'arancio, chiamato Pomo delle Esperidi, fosse portato in Grecia nientemeno che da Ercole. Difatti abbiamo statue di Ercole presso piante d'arancio e con aranci in mano. Ateneo col filosofo Teofrasto, lo fanno, venire dalla Persia; il poeta Marrone, dalle Indie. Il fatto è, che fu conosciuto in Europa prima del limone, e che la sua venuta rimonta a data antichissima. A coloro che dicono essere stato portato in Italia alla fine del secolo 13° da viaggiatori Veneziani e Genovesi, farò notare che Virgilio dice: Aurea mala decem misi eras altera mittam. Che nel 1200 ve n'era nel convento di Santa Sabina a Roma, che quasi nello stesso tempo si diffuse nel Napoletano e nell'Isola di Sardegna, e che precisamente verso il 1300 cominciò ad essere coltivato in grande. I Genovesi furono i primi che presero a moltiplicarlo e a farne commercio. Nel 1500 esisteva in Francia un solo arancio stato seminato a Pamplona nel 1421 e che vive ancora nell'agrumiera di Versailles.
Italia, da Malta e dalla Sicilia al lago di Garda. A Salò dicesi Portogallo l'arancio a frutto dolce, e arancio quello a frutti amari, coi quali si fà l
Si fà sistematicamente ed in grande in Germania a Durkheim, Glesweiter nel Palatinato, Bingen, Creuznach, Rudesheim ed in generale sulle sponde del Reno da Mainz a Coblenz — in Slesia a Grümberg — in Tiralo a Merano — in Svizzera a Vevey, Montreux, Aigle, ecc. Al tempo della vendemmia i bagni o a meglio dire le fangature di vinaccie sono di uso molto popolare nelle nevralgie, paralisi, reumatiche, affezioni artralgiche, ecc.
Si fà sistematicamente ed in grande in Germania a Durkheim, Glesweiter nel Palatinato, Bingen, Creuznach, Rudesheim ed in generale sulle sponde del
Si conoscono diversi modi più o meno ingegnosi per conservare l'uva. Il più semplice è quello di torcere il peduncolo del grappolo sulla stessa vite e chiudere il grappolo in un sacchetto di carta o di tela. Si sospendono anche i grappoli in una camera asciutta ad una cordicella e per la parte inferiore, onde gli acini si tocchino fra loro per la minore superficie possibile. Si conserva pure essicata al sole o al forno. Le uve passe sono per condimento di cibi, per preparazioni di sciroppi e bevande. Se ne fà principalmente commercio in Calabria, Egitto, Isole Jonie, Morea, Provenza. Vi si adoperano varietà di uve grosse di collina, carnose e molto zuccherine. Quando è matura, si spampina la vite, affinchè il sole la maturi largamente. Allora si raccoglie, si pulisce, si tuffa per alcuni istanti in una bollente liscivia di cenere e calce concentrata a 12, 15 gradi dell'areometro. Gli acini cominciano ad avizzire, lasciatisi sgocciolare, e stendonsi sopra graticci che si espongono al sole in tempo asciutto per 15 o 20 giorni. Eccellenti le uve passe di Malaga, conservate in grappoli e la Sultana d'Egitto.
condimento di cibi, per preparazioni di sciroppi e bevande. Se ne fà principalmente commercio in Calabria, Egitto, Isole Jonie, Morea, Provenza. Vi si
Due secoli fà il caffè in Europa era sconosciuto. Dalle sponde del Mar Rosso venne a Medina, alla Mecca, a Costantinopoli. Si racconta che alcuni pastori osservarono che le capre che mangiavano le cime fiorite di quell'arboscello diventavano più vispe, onde il Priore di un convento in Arabia le diede in manicaretto a' suoi pingui frati, che soffrivano terribilmente di sonnolenza. Il primo a portare il caffè in Europa, fu Prospero Alpino celebre medico di Marostica, su quel di Vicenza, che lo fè conoscere a Venezia nel 1645. Saliman Aga Ambasciatore della Porta e dell'Armenia fu il primo che nel 1669 lo portò in Francia. Un Armeno della sua Ambasciata fu il primo che apri una bottega da Caffè sulla Foire S.t Germain, Quai de l'ècole.
Due secoli fà il caffè in Europa era sconosciuto. Dalle sponde del Mar Rosso venne a Medina, alla Mecca, a Costantinopoli. Si racconta che alcuni
Allora quei burloni di medici avevano dato ad intendere che il caffè dimagrisce. Mille diverse opinioni, l'una che fà ai pugni coll'altra, furono emesse circa le proprietà più o meno sanitarie ed igieniche del caffè. Tra il sì ed il no, occupiamoci del modo di mettere insieme una buona tazza di caffè.
Allora quei burloni di medici avevano dato ad intendere che il caffè dimagrisce. Mille diverse opinioni, l'una che fà ai pugni coll'altra, furono
E prima di tutto fate aquisto d'un caffè sano, di vero caffè. Se il vostro droghiere ve lo somministra buono, non cercatene nè la provenienza, nè la qualità: chiudete gli occhi, che vi ingolfereste in un mare di assurdi e di difficoltà. Non comperate mai e poi mai il caffè tostato — peggio poi quello già macinato. Tostatevelo voi, macinatevelo voi. I semi del caffè non sono altro che una sostanza legnosa che nasconde in sè tutta una ricchezza d'aroma. È quell'aroma che si vuole e si deve cavare da quei semi. E il modo di cavarlo è — la tostatura prima, la bollitura poi. Nella prima operazione, la tostatura, si deve, condurre il seme allo stato di maturanza aromatica opportuno. Nella seconda, la bollitura, si segrega l'aroma, si spoglia la parte legnosa di quella sua graziosa proprietà, per dotarne l'aqua. Tutte e due queste operazioni richiedono una speciale attenzione. Tostate il vostro caffè nel tamburino a carbone, non alla fiamma, prima adagio perchè si scaldi, poi in fretta perchè non bruci. Quando comincia a tramandare quel sudore che lo rende lucido, toglietelo in fretta dal tostino, perchè l'aroma, mercè il grado di calore subíto, fa capolino dai tessuti legnosi, nella forma, comune a tutte le essenze, di olio essenziale, che è appunto quel sudore lucente. Se l'aroma, che è volatile, sorte, lo godrà il naso, non la bocca. Quel sudore non deve escire assolutamente. Non lasciatelo scappare — ritirate il vostro caffè che sia di un biondo foncè — color tabacco de' frati. Quando è nero, è bruciato, e bruciato è carbone e col carbone non si fà caffè. Versatelo distendendolo, fatelo raffreddare più presto che potete. Più presto si raffredda, tanto meno aroma si disperde. Il freddo è nemico capitale dell'aroma. Tostato e freddato mettetelo chiuso in vaso o stagnata, in luogo asciutto e volta per volta macinatene il solo bisognevole come volta per volta tostatene solo il bisognevole. La bollitura è quella che dà l'ultima mano a sprigionare l'aroma, a separarlo dal seme. Aspettate che l'aqua sia bollente a mettervi il caffè, rimescolatelo un po' — due bolli solamente — e via dal fuoco, copritelo. Tre piccoli cucchiaj ben colmi generalmente bastano per una tazza. Certo che con poco si fà poco, come con niente si fà niente. Più caffè adunque più aroma e sapore. Il caffè riesce come lo si fà — è un assioma. Il recipiente in cui deve subire l'ebollizione sia d'una pulitezza da cristallo, senza odore di sorta, (guardatelo da quel tanfo di chiuso, che è una cosa orribile) non c'è cosa come il caffè per assumere qualunque piccolo odore, è delicatissimo. Quando il caffè è buono, fresco, tostato convenientemente, messo in dose giusta e fatto, bollire come sopra, farete un caffè squisitissimo anche nel pajolo della massaja. Ma più lo si custodisce e lo si rinchiude, più conserva la natia virtù. Furono inventate mille fogge di macchinette da caffè, a infusione ed a pressione, razionali ed irrazionali, ma quella a pressione atmosferica, quale attualmente si trova presso quasi tutte le famiglie, è la migliore per comodità, poco costo e semplicità. Tale macchinetta, divenuta popolare, fu perfezionata nel 1856 da Monsignor Gius. Nicorini Canc. Ord.
. Quando è nero, è bruciato, e bruciato è carbone e col carbone non si fà caffè. Versatelo distendendolo, fatelo raffreddare più presto che potete. Più
della Metropolitania di Milano. Mercè un tappo a smeriglio si fà salire l'aqua bollente allo staccio superiore, dove s'è messo il caffè lo vi si lascia bollire un po' e ritirata, mercè il vuoto successovi precipita il caffè limpido, saporitissimo. S' abbia però avvertenza: 1° a mettere il caffè sul piccolo staccio solo quando il vapore sorte a sbuffi dallo spiraglio; 2° a tappare lo spiraglio appena vi si è messo il caffè; 3° a tappar bene e non levare il tappo avanti sia precipitato il caffè, perchè se penetra un po' d'aria, addio vuoto e allora depone con tutto suo commodo. Ricordatevi dunque che il caffè si fà col caffè, che il caffè è una cosa di lusso, non è necessario. Non fate caffè gramo, è un vero delitto. Bando assoluto a qualunque sorta di ciurmeria di caffè. Se litigate colla borsa, bevetelo di rado, ma bono, ma fresco, ma che sia vero caffè. Non-offrite mai caffè gramo. Una tazza di caffè perfido, è un sacrilegio — e oltre l'insulto che reca alle papille olfattorie, e gustatorie, oltre i disturbi epatici dei quali può essere potentissima causa, può decidere moltissime volte dell'onorabilità di casa vostra, della stima di una persona, della rottura d' un'amicizia. Il caffè non deve essere mai fatto dalla servitù — deve essere esclusivo monopolio della padrona o della padroncina di casa. Pour la bonne bouche. — Sentite cosa ne disse Delille:
della Metropolitania di Milano. Mercè un tappo a smeriglio si fà salire l'aqua bollente allo staccio superiore, dove s'è messo il caffè lo vi si
Avvi un'altra castagna, detta aquatica, frutto d'una pianta annua, che cresce negli stagni e che richiede almeno 20 pollici d'aqua. Si avvicina alla castagna usuale, è però acre ed astringente. Gli abitanti della Carinzia e del Limosino (Francia) ne fanno anche pane. Dall'Asia ci pervenne portata da Clusio verso la metà del secolo decimosesto, un'altra castagna detta d'India, o Ippocastano, cioè castagna cavallina. È la pianta dei pubblici passeggi, e dà frutti che somigliano le castagne, ma più grosse ed amarissime — vengono mangiate da alcuni animali: — nell'Annover si dà ai cavalli per cibo e nella Turchia a quelli affetti di bolsaggine e per rimedio. I chimici ne traggono un succedaneo della china. La sua corteccia gode virtù tonica febbrifuga. Se ne fà infuso vinoso, tintura ed amido. Raspate nell'aqua, servono assai bene ad imbiancare pannilini e nettare tessuti di lana. Se ne cava eccellente colla, che per la sua amarezza à la proprietà d'allontanare gli insetti. Ridotte in farina se ne può fare pasta cosmetica da toilette — rende la pelle netta e liscia. Il chimico Mousaint à trovato modo mercè una serie di bagni in aqua purissima, di spogliare questa castagna del suo principio amaro, e dissecata al forno, la sua farina è assai nutritiva e si presta a molti usi alimentari. L'Ippocastano fu portato a Vienna nel 1588 e a Parigi fu conosciuto solamente nel 1615.
febbrifuga. Se ne fà infuso vinoso, tintura ed amido. Raspate nell'aqua, servono assai bene ad imbiancare pannilini e nettare tessuti di lana. Se ne
Si conservano essicate per l'inverno, si fanno cocere e fresche ed essicate, se ne fà giulebbe e la così detta marennata, o zuppa di amarasche, che cotte nel vino con zuccaro e droghe, si versano sul pane. Facendole fermentare, se ne ottiene una specie di vino, non forte, ma gradevole. Distillandone il succo già fermentato misto a noccioli contusi e a qualche porzione di foglie ammaccate abbiamo il così detto Kirchen-wasser (aqua di ciliege). Il migliore è quello della Selva Nera e del Voralberg, dei quali luoghi se ne può dire il principale prodotto. Se ne fabbrica pure nella Savoja francese e nelle nostre Alpi. Unito a spirito di lamponi, alcool, zuccaro e ad una certa quantità d'aqua, si ottiene il maraschino specialità della Dalmazia e propriamente di Zara. Macerando le marasche e distillandole con vino aleatico, aromi e zuccaro, si fà pure dell'eccellente ratafià, celebre quello d'Andorno. I gambi o peduncoli, costituiscono un volgare rimedio diuretico. Se ne fà decotto in proporzione di 30 grammi in un litro d'aqua. Plinio asserisce che il primo che introdusse in Italia il ciliegio fu Lucullo l'anno 680 dalla fondazione di Roma, e ve lo portò da Ceresunto, città sulla spiaggia del Mar Nero: Cerasi ante victoriam Mithridaticam L. Luculli non fuere in Italia. Può essere che da Ceresunto, dove a detta degli scrittori il ciliegio era superlativo, avesse il suo nome. Ma che il ciliegio ce l'abbia portato Lucullo è una delle tante bale romane. Un certo Difilo Sifnio, ricordato da Ateneo, che viveva molto prima di Lucullo, sotto il regno di Lisimaco, uno dei generali di Alessandro il Macedone, parlava già delle ciliege della Campania coll'aquolina in bocca. Nelle torbiere di Dax, nelle Lande, si riconosce perfettamente il tronco del ciliegio. Chi ne volesse sapere di più, legga la Cersalogia medica (Basilea 1717), monografia scritta dal celebre Dollfuss. Ad indicare un individuo che si posa a uomo serio e d'importanza, il popolo milanese dice: el par quel che à taccaa el pìccol ai scires. E dalle ciliege abbiamo pure il proverbio:
Si conservano essicate per l'inverno, si fanno cocere e fresche ed essicate, se ne fà giulebbe e la così detta marennata, o zuppa di amarasche, che
Fico d'India (cactus opuntia vulgaris, Ficus Indica). — È originario dall'India e dall'Africa, da noi cresce in Sicilia e nelle Provincie Meridionali in luoghi asciutti ed aridi. È un alberetto dai 2 ai 3 metri, che vive fino ai 50 anni, dà fiori giallastri, frutti rosei da Agosto a Dicembre, della forma del fico. Contengono una polpa refrigerante, salubre, mangiabile, purchè se ne sputino i semi, e rende l'orina color rosso sangue. Sono alquanto scipiti. Le sue foglie tagliate a metà ed applicate sulle parti dolenti per artrite e pleurisia, danno spesso ottimo risultato. Sono adoperati per fabbricare alcool e forniscono una salsa che per il povero sostituisce quella del pomodoro. Se ne fà pure mostarda, e se ne estrae una materia colorante color cremisino
fabbricare alcool e forniscono una salsa che per il povero sostituisce quella del pomodoro. Se ne fà pure mostarda, e se ne estrae una materia
Il Ginepro è un arboscello che diventa anche albero dell'altezza di cinque, sei metri, sempre verde, indigeno, ama esposizione poco soleggiata, terreno leggero, resiste a qualunque freddo. Non vegeta bene in luogo umido, anzi vi perisce, vuol vivere e crescere nelle più aride ed alte montagne, fra ciottoli e pietre. Dà fiori giallicci in Maggio cui seguono, sugli arboscelli femmine, frutti sferici piccoli di un azzurro nericcio, che maturano l'anno susseguente. Si propaga per seme ed innesto. I Botanici ne contano 85 varietà, fra le quali il comunis che è quella dei nostri monti. Il suo nome dalla radicale celtica nup, che significa aspro, ruvido. Nel linguaggio delle piante: asilo, soccorso. Le sue bacche o frutti ànno un gusto aromatico, dolce-amaretto e contengono della vera tiberintina. Si usano in cucina per aromatizzare le carni, principalmente quelle che si vogliono conservare, come lingue, coppe, ecc. Si mettono nella salamoja, in salse e conce, e servono a dar gusto ai selvatici, e a far diventare tordi i merli. I tordi e le grive ne sono ghiottissimi e la loro carne à sapore di ginepro. Il liquorista ne usa per aromatizzare liquori, vini, birra. Se ne fà un estratto, un'aquavita di ginepro detto gin molto in uso in Inghilterra — da noi se ne fà della buona sul Bergamasco. Il ginepro dà un olio essenziale, di cui è ricchissimo, adoperato in distilleria e farmacia. Dai vecchi tronchi del ginepro geme una resina secca e trasparente, di odor soave che si brucia, nota sotto il nome di sandracca, la quale viene adoperata anche per fare una vernice liquida. Il legno, tenace assai e durevole, quasi incorruttibile, serve per molti lavori da falegname ed intersiatore. La medicina assegna alle sue bacche virtù toniche, stimolanti, diuretiche, diafaretiche, antierpetiche. Ne fà un infusione col vino e coli' aqua e le distilla, ne compone un rob attivissimo nelle inappetenze e flatulenze. Fanno parte di molti composti e segreti polifarmaci e costituiscono la base principale del vino diuretico Trousseau. Si usano le frizioni coll'olio contro i dolori reumatici e le contusioni. Bruciato il suo legno insieme alle foglie ed alle bacche dà una fiamma viva allegrissima, sparge una grata fragranza, serve a disinfettare camere e locali, ad allontanare le zanzare, ed il cotone e le lane imbevute del suo fumo si applicano con frutto a doglie reumatiche e gottose. I montanari bruciano il ginepro alla vigilia di Natale per allegria. Le ceneri ànno pure virtù diuretica, dovuta ai sali che contengono. Giobbe ridotto all'ultima miseria, si lamenta che vien deriso anche da quelli che miserabili alla lor volta si cibavano perfino delle radici di ginepro. (Cap.30,4).
grive ne sono ghiottissimi e la loro carne à sapore di ginepro. Il liquorista ne usa per aromatizzare liquori, vini, birra. Se ne fà un estratto, un
Piccolo arbusto perenne a foglia caduca, che cresce spontaneo in molti paesi d'Europa, e singolarmente nei climi temperati e freddi. Viene in piena terra, vuol terreno fresco, sabbioso, sostanzioso, esposizione di tramontana, ombreggiata alquanto. Dopo 8-10 anni comincia a deperire. Da Maggio a Giugno à fiori rossi o bianchi, pelosi, in piccoli corimbi, ai quali succedono frutti rossi, vellosi. Si moltiplica dividendo le radici in autunno. È detto Rubus idœus dal monte Ida dove i Greci, teste Dioscoride, asseriscono d'averlo scoperto i primi. Nel linguaggio dei fiori: Dolcezza di linguaggio. Deve essere colto appena sia maturo, perchè facilmente si guasta e cade. Il lampone è uno dei frutti più salubri e profumati — è succoso rinfrescante, di sapore gratissimo. Èsuscettibile di fermentazione vinosa, acida alcoolica. Contiene un olio essenziale solubile nell'alcool e nel vino, ma non nell'aqua. Se ne fa sciroppo col succo solo — unendovi l'aceto se ne à l'acetosa: che è gradevole e rinfrescante. Le foglie sono astringenti, i fiori diaforetici. I frutti si mangiano crudi col vino e la panna, collo zuccaro se ne compongono conserve, sorbetti, gelatine, ecc. Si candiscono, danno profumo ad aquavite e liquori — se ne fà aceto e si adoperano per aggiunger forza e fragranza a quello di vino. Il nome di Fambros viene da Ambrosia per il grato sapore che lascia in bocca. Dai Romani era chiamata Mora Vaticana, Sorella del Fambros è,
profumo ad aquavite e liquori — se ne fà aceto e si adoperano per aggiunger forza e fragranza a quello di vino. Il nome di Fambros viene da Ambrosia per il
L'Albicocco è albero originario dell'Armenia, indigeno da noi — à foglia caduca. Ama terreno leggero, fresco, bona esposizione, viene meglio in spalliera. Si moltiplica per semi, deperisce dopo i 20 anni. Fiorisce in Marzo — dà frutti in Giugno e Luglio. Nel linguaggio delle piante significa: Primizia. L'albicocco è selvatico in China e sono usitatissimi i suoi chicchi per ricavarne olio. Se ne contano molte varietà: Le primaticcie sono l'albicocca pesca e la nostrale con nocciolo amaro. Le migliori per grossezza e sapore sono quelle di Nancy. La qualità più grossa di Germania è anche più insipida. L'al- bicocca o meliaca, matura è di una delicatezza superlativa, ma la sua maturanza passa prestissimo. Si mangia fresca o si fa essicare al forno dividendola in due e levandone il nocciolo. Cocendola se ne fà marmellata, gelatina, sciroppo. Celebre la sua confettura di Clermont-Ferrant. Si conserva nell'aquavite, si candisce. Della mandorla dolce se ne fà ingrediente di pasticceria e condimento a leccornerie da dessert.
forno dividendola in due e levandone il nocciolo. Cocendola se ne fà marmellata, gelatina, sciroppo. Celebre la sua confettura di Clermont-Ferrant. Si
Màndorle alla perlina. — Si sciolgono due parti di zuccaro raffinato, in una d'aqua, in una pentola a bascule non stagnata, si fà cocere a consistenza di perla, poi vi si aggiungono tre parti di màndorle dolci spelate; si lasciano così due minuti poi con spatola di legno si rimescola continuamente finchè lo zuccaro sia perfettamente tosto insieme alle mandorle e loro vi sia ben aderente. Poi si riversano sopra carta e si conservano in recipiente asciutto. Lo zuccaro rimasto nella pentola può servire per un'altra volta.
Màndorle alla perlina. — Si sciolgono due parti di zuccaro raffinato, in una d'aqua, in una pentola a bascule non stagnata, si fà cocere a
Conserva d' albicocchi. — Si fanno passare allo staccio con spatola di legno. Sugo e polpa espressa, si mette in bottiglia chiusa con boni turaccioli e assicurata con cordicella, si fà bollire in bacino d'acqua per 15 o 17 minuti. Dopo si toglie il bacino dal fuoco e si lascia raffreddare l'acqua prima di togliere le bottiglie, che si conservano poi in cantina.
e assicurata con cordicella, si fà bollire in bacino d'acqua per 15 o 17 minuti. Dopo si toglie il bacino dal fuoco e si lascia raffreddare l'acqua
Il Pesco è pianta a foglia caduca, indigena, originaria dall'Asia e più propriamente, come lo indica il suo nome, della Persia. Cresce in terreni buoni, caldi, ad esposizioni meridionali, difese dai venti. Vive anche nei climi freddi, ma non dà frutti. Si moltiplica per seme ed innesto sul Mandorlo, sul Pruno e sul Cotogno. Vuolsi che dia frutti migliori e più belli piantando la pesca intera colla sua polpa. Cresce rapidamente, dopo due o tre anni dà frutto, ma presto invecchia e deperisce — pochi peschi passano i 20 anni. Si allunga la loro vita innestandoli sul mandorlo. A fiori rosei prima delle foglie, che sono distrutti facilmente dalle brine e dalle forti pioggie primaverili. Dà frutti maturi da Luglio ad Ottobre, a seconda delle varietà, che sono numerose assai. I botanici dividono il pesco in due famiglie, quello a frutto coperto di pelurie, e quelle a frutto liscio — ambedue suddividonsi alla lor volta, in frutto a polpa e carne succosa, spiccaciola, che facilmente abbandona il nocciolo, e in frutto a polpa consistente duracina, che non si stacca dal nocciolo. La pesca è matura, quando dal lato dell'ombra od a tramontana mostra la pelle gialla — in tal momento tramanda la sua fragranza e profumo particolare. Non fatene la prova col tatto, perchè la minima contusione forma una macchia, che in breve tempo la guasta e fà marcire. L'Erera, botanico spagnolo, dice che se si adaqueranno i persici, con latte di capra per tre sere continue quando sono in fiore — vi nasceranno pesche grossissime. In China il pesco è l'albero a - frutta più importante e che per la sua fioritura jemale, ne à fatto il simbolo dell'amore e della fedeltà. La pesca colà si crede procuri l'immortalità al felice che ne mangia. Nel linguaggio delle piante presso noi significa: Contento, vita beata, non cercar troppo. Il suo raccolto deve farsi a mano. Quelle destinate al commercio si devono cogliere qualche giorno prima della sua completa maturanza, onde siano più resistenti. La pesca, è frutto giocondo che ricorda le guancie paffute e rosee dei bimbi e delle bimbe. È squisitissimo, salubre, profumato di facile digestione, si mangia fresco e si fà seccare per l'inverno, e allora si chiamano da noi veggitt. I cuochi ne fanno fritture, polpettine, persicata, sorbetti, marmellate. Il loro delicato aroma è sì sfuggevole che invano si tenta fissarlo completamente nelle conserve, nei liquori. In America, dove molto abbonda, se ne fa eccellente aquavita. I nostri vecchi dicevano che del persico tutto va mangiato fuorchè il duro dell'osso: Malum quod implicuit persicum nucleus explicat. Diceva un antico proverbio latino, il che vuol dire che bisogna mangiarne anche l'amanda. Certe signorine troppo schifiltose non possono soffrire la lanuggine della sua pelle ed è precisamente nella sua pelle che si conserva il massimo tesoro della sua fragranza, come è nella pellicola dalla sua amanda che maggiormente si raccoglie l'amaro che possiede. Si ricordino del proverbio: all'amico pela il fico, al nemico il persico. Per saporire la pesca va mangiata senza pelarla e senza tagliarla. Le foglie ed i fiori del pesco sono velenosi, contenendo acido idrocianico, tuttavia in medicina se ne fà uso qualche volta come contro stimolanti e vermifughi. I fiori e le foglie recenti, ànno inoltre una virtù purgativa, se ne fà infusione e sciroppo, perdono molto coll'essicazione. In caso di avvelenamento coi fiori, foglie o mandorle de' suoi frutti, si soccorre con etere al quale s'aggiungono una ventina di goccie di laudano. Coi frutti ben maturi, che passano facilmente alla fermentazione, se ne può ricavare un vino leggero, assai piacevole a bersi. La gomma che scorre dal suo tronco e da' suoi rami può adoperarsi invece della gomma arabica. La Scuola Salernitana sentenzia:
sua fragranza e profumo particolare. Non fatene la prova col tatto, perchè la minima contusione forma una macchia, che in breve tempo la guasta e fà
Albero dell'Europa Meridionale, che erge la sua cima fino a 30 metri a forma di ombrello. Porta foglie numerose lunghe da 10 a 15 centim., di un bel verde. Fiorisce in Maggio e produce coni grossi durissimi contenenti mandorle triangolari lunghe due centimetri. Nel linguaggio delle piante: Tenacità. Quei coni si rompono, o si mettono al fuoco e allora s'aprono e lasciano la mandorla, aromatica e di grato sapore. Tale mandorla è molto in uso fra noi, serve ai cuochi per salse, ripieni, condimento a certe vivande e verdure, ai pasticcieri per torte, paste, ecc. In Italia l'abbiamo dalla Pineta di Ravenna. Il pino era consacrato a Cibele la quale cangiò Atys in pino. Dai Greci i pinocchi erano chiamati Pityides. Se ne facevano un unguento per togliere le rughe della faccia a quelle signore che se le lasciavano venire. Sono nutrienti, stimolanti, indigesti. È pasto graditissimo dei canarini che li fà cantare. Molti devono ricordarsi dei maestri che facevano fare i pigneu cioè unire insieme la punta delle cinque dita per batterle colla bacchetta — e pensare che si stava là mogi ad aspettare quel regalo.
che li fà cantare. Molti devono ricordarsi dei maestri che facevano fare i pigneu cioè unire insieme la punta delle cinque dita per batterle colla
Il medesimo Brillat-Savarin suggerisce che una tazza di cioccolatta dopo il pranzo, invece del caffè è cosa che à il suo merito — e quel gastronomo la sapeva alla lunga. Non so darmi pace al pensare, come il fabbricante cioccolatta, da noi, sia stato preso come tipo di sciempiaggine, sicchè ne rimase il proverbio Fà una figura de ciccolattee, e come la parola ciccolati serva al nostro popolo quale sinonimo di rabbuffo. La cioccolatta da noi è considerata come bevanda esclusivamente clericale.
rimase il proverbio Fà una figura de ciccolattee, e come la parola ciccolati serva al nostro popolo quale sinonimo di rabbuffo. La cioccolatta da noi è
Salsa di capperi cruda. La si fà con olio fino, capperi e sugo di limone — cotta stemperate dell'inchioda in olio e burro a fuoco indi ponetevi capperi, erborine trite ed aceto.
Salsa di capperi cruda. La si fà con olio fino, capperi e sugo di limone — cotta stemperate dell'inchioda in olio e burro a fuoco indi ponetevi
Il paese originario del frumento, non si conosce, perchè non si è mai trovato allo stato selvaggio. Vi sono molte specie e varietà di frumento a seconda dei paesi, del clima e delle annate. Il frumento è il cereale più nobile, prezioso ed utile. È il principale cibo dell'uomo e piace a tutti gli animali. La farina del grano del frumento (vedi Farina), serve a fare il pane, le paste da minestra e da credenza, si mescola a mille manicaretti. Se ne fà colla, amido , cipria. Dal grano del frumento se ne cava birra, aquavita, spirito. La paglia serve per foraggio alle bestie e per mille ingegnose manifatture. Da Adamo in poi fu conosciuto da tutto il genere umano. Era dagli antichi consacrato a Cerere, da qui la parola cereale. I più grandi mercati del frumento in Europa sono nella Crimea, nell'Ungheria, nell'Olanda e ad Amburgo in Germania. Nel linguaggio, dei fiori frumento dice: Opulenza.
fà colla, amido , cipria. Dal grano del frumento se ne cava birra, aquavita, spirito. La paglia serve per foraggio alle bestie e per mille ingegnose
Plinio dice al lib. 25 cap. 2: « Hyssopum in oleo contritum phthyriasi resistit et prurigini in capite. » Non traduco la sentenza di Plinio per rispetto alle gentili lettrici. Anche oggi in Persia viene usato l'infuso come cosmetico. Ne parlò Salomone (Regum,3). I Giudei ricinsero d'isopo la spugna colla quale abbeverarono d'aceto il Redentore. L'isopo è di rito nelle benedizioni di chiese e camposanti. Non è ben certo che il nostro isopo sia quello ricordato dal re Davide: Asperges me hyssopo et mundabor. Si vuole che quell'isopo sia una pianta affatto scomparsa e non dei nostri paesi. Un canonico di Como stampò un volume per simile vertenza. Ma se il nostro non è il medesimo, è per lo meno un suo prossimo parente, perchè ne à le stesse proprietà. La massaja lo taglia in autunno lo fà seccare all'ombra in piccoli fascetti e lo conserva per gli usi culinari dell'inverno. Il suo aroma giusta il detto della salernitana colorisce graziosamente la faccia e dà buon umore.
proprietà. La massaja lo taglia in autunno lo fà seccare all'ombra in piccoli fascetti e lo conserva per gli usi culinari dell'inverno. Il suo aroma
Pianticella annuale originaria della Mesopotamia che dà il noto legume coltivato molto in Francia e nel Vallese. Vuol terreno sciolto, asciutto, non molto grasso. Si semina in primavera e si colgono i frutti appena maturi perchè non cadano. Due varietà principali: la gialla e la rossiccia, questa più saporita. Si conservano per l'inverno in luogo asciutto e prima di usarne, si lasciano macerare in acqua onde si gonfino e diventino tenere. Se ne fa farina ed è molto leggera e buona pei malati. Le lenti si mangiano in minestra, come i fagioli, si mettono cotte negli umidi, accompagnano i salami cotti principalmente quello di fegato, la mortadella. Se ne fa purèe e flan di sapore delizioso. Al tempo antico dovevano essere molto più saporite d'adesso. Esaù le rese celebri cedendo per un piatto di esse la sua primo- genitura. Sono di un uso molto antico e generale. Ovidio dà la palma a quelle di Pelusio in Egitto. Ateneo da il menu d'una cena con queste parole: « mangiammo un piatto di lenti, poi ne venne un altro, poi ce ne servirono di nuovo ben condite in aceto. » Allora si servivano le lenti come oggi si fà della patata in Svizzera. Difilo comico, fà dire ad un suo personaggio: « la tavola era pulitamente disposta, noi avevamo ciascuno un piatto ben colmo di lenti. » Zenone, il fondatore della setta stoica, dice, essere uno dei caratteri del saggio quello di saper condir bene le lenti. Ecco il suo dogma - Sapientem omnia recte agere et lentem diligenter condire. La famiglia dei Lentuli doveva il suo nome a degli antenati venditori di lenti. Marziale ne parla in Xeniis:
nuovo ben condite in aceto. » Allora si servivano le lenti come oggi si fà della patata in Svizzera. Difilo comico, fà dire ad un suo personaggio
Zuppa di lenti. - Mettete dell'acqua a bollire, e al primo bollore, gettatevi un quarto di litro di lenti secche ben mondate, levate quelle che si portano a galla e lasciate cuocere le altre, fino a che si schiaccino sotto la dita, indi mettetele a sgocciolare in un crivello. Preparate intanto in una casseruola dell'olio fino con prezzemolo e foglie di salvia e qualche acciuga tutto tritato alla mezzaluna. Preso il color d'oro unitevi le lenti, rimestatele, bagnatele con sugo d'olio e lasciatele cuocere al fuoco lento, scuotendole di tanto in tanto, Dopo pochi minuti versate brodo e lenti su delle fette secche di pane tostato alla gratella. Così si fà Pure coi fagioli secchi, avvertendo che questi devono essere messi nell'acqua tepida a macerare la sera prima. (Vedi avvertenza in Cece).
delle fette secche di pane tostato alla gratella. Così si fà Pure coi fagioli secchi, avvertendo che questi devono essere messi nell'acqua tepida a
Pianticella gramignacea annuale, originaria delle Indie. Se ne contano 3 varietà, secondo il colore del seme, bianco gialliccio e nero. Da noi si coltiva solamente il gialliccio e vuol terreno sciolto, pingue, solatio. Si semina raro in Giugno e Luglio, dopo la messe. Si chiama miglio dai mille semi che produce. Anche il miglio dà farina per alimento. Lo stesso nome antico di panicum indica che serviva a far pane. Da noi si dice ancora pan de mej perchè una volta anche da noi se ne usava, onde il sonetto del Burchiello: Perchè a Milan si mangia pan di miglio? Plinio al lib. 28 cap. 10 dice: Milio campania gaudet præcipuo, pultemque candidam ex eo facit: fit et panis prœdulcis. Appare da qui che ai tempi di Plinio si coltivava la varietà bianca, e che fino d' allora il miglio serviva per chicche da offelleria. In Asia se ne fà una certa polenta che si mangia con olio e grasso di porco. Del resto era usato come farina da pane nell'Etiopia, nell'Egitto, Persia, Siria e nell'Arabia. I semi del miglio si possono cocere in minestra col brodo e massime col latte, se ne fà torte. Ridotto in farina è buono a far polenta e pane che appena uscito dal forno è saporitissimo e non isdegnato dai gusti più delicati. La farina serve pure in pasticceria. Col miglio si alimentano i pulcini, le galline, il pollame e molti uccelli. I selvaggi lo arrostiscono. In Tartaria se ne compone una specie di birra e una certa aquavite che chiamano Bysa. Il miglio dev'essere conservato in luogo assai asciutto e dura così più d'ogni altro grano.
bianca, e che fino d' allora il miglio serviva per chicche da offelleria. In Asia se ne fà una certa polenta che si mangia con olio e grasso di porco
La Pastinacca, dal latino pastus, nutrimento, per le sue qualità alimentari è una radice che somiglia la carota, carnosa, bianchiccia, aromatica, biennale. Si semina in Marzo, Aprile, Maggio, in terreno sostanzioso e lavorato profondamente. Ama essere inaffiata d'estate. Si conserva benissimo anche in terra, non teme il gelo. Fiorisce nel Luglio ed Agosto del secondo anno che è stata seminata. Cresce naturalmente nei prati, nei pascoli e tappeti erbosi. Si coltiva negli orti ad alimento. In Italia è poco coltivata. La radice grossa della pastinacca coltivata è saporitissima, si usa cotta in minestra, accomodata col burro ed in insalata. Oltre le radici che sono molto nutritive si mangiano pure le foglie che sono assai buone ed aromatiche. Mérat dice: C' est a notre avis la racine la plus nourissante, celle qui approche le plus de la substance animale sous ce rapport. - Gli Inglesi vogliono che le pastinacche troppo vecchie cagionino il delirio e la follia, onde le chiamano allora Pastinacche matte. Questa gustosissima radice è appunto quella che tagliata a piccoli pezzetti, comunica quel gusto così particolare ed aggradevole che à la Julienne, miscela di vari legumi e verdure disseccate per uso di zuppa che proviene dalla Francia. Se ne fà in Francia una marmellata, che inzuccherata eccita l'appetito, ed è assai propria per i convalescenti. L'imperatore Tiberio amava la pastinacca ed ogni anno ne faceva venire dalla Germania, precisamente da Gelder località renana ove era prelibata, e dove la si pagava come tributo ed imposta. Dioscoride la dichiarò delicata - origratam, ed eccitante l'appetito. Così Plinio ed altri eruditi, la dichiararono utile ai convalescenti e agli ubbriachi - ad vinum transeuntibus. È buon foraggio per le mucche ed il bestiame, ma indebolisce i cavalli e gli asini e fà perdere la vista ai muli.
disseccate per uso di zuppa che proviene dalla Francia. Se ne fà in Francia una marmellata, che inzuccherata eccita l'appetito, ed è assai propria per i
La patata, o pomo di terra, o solano (dal latino solanum, sollievo), nel linguaggio dei fiori: beneficenza. È una radice tuberosa originaria dall'America e precisamente dal Chili e dal Perù, dove si trova ancora allo stato selvaggio. Fu importata colla Dalia, e, curioso! questa per il tubero, la patata per il fiore. Propriamente il nome di patata appartiene ad altra pianta, la vera patata ipomea o convolvulus patata, che viene solo nei climi caldi. Vuole terreno pingue, vegeta in tutti i climi, nelle più basse pianure come a 4000 metri sopra il mare (nell'America e nella Svizzera), sotto l'Equatore (Quinto) come nella Siberia. Da noi si raccolgono i tuberi dall'Agosto al Settembre, à fiori bianchi e violetti. Si propaga per seme o meglio si piantano i così detti occhi che sono le parti della patata accennanti al germoglio, cessato il gelo da metà Marzo in avanti. Si conservano per tutto inverno, ma al caldo fioriscono, all'umido marciscono, al freddo gelano, e temono la luce. Fu portata in Europa dagli Spagnuoli. Pedro Cicca fu il primo a parlarne nel 1553, e nel medesimo anno Fiorentino Fiaschi ne scriveva da Venenzuola a suo fratello. Il Cardano ne fà menzione nel 1557. Nel 1565 fu portata in Irlanda da Hawkins e poi introdotta in Francia. Prima che Releigh e Drake dalla Virginia la trasportassero in Inghilterra, era coltivata in Toscana, ne fà fede il frate Magazzini, e il Redi che nel 1667 ne mangiava in Firenze alla corte di Cosimo II. Le patate in Italia dapprincipio si chiamavano tartuffoli. Nella Germania s'introdusse nel 1710 e dovunque nel 1772 era coltivato negli orti botanici e nei giardini come pianta di lusso. Ma la sua diffusione, come tubero alimentare fu lenta e contrastata. I codini d'allora, la avversarono come pianta sospetta, venefica. Ai codini si unirono i medici più celebri, che la incolparono della degradazione fisica e morale delle popolazioni, e fomite di tutte le malattie. Ai codini ed ai medici fecero coro i frati ed i parroci che dai pulpiti la chiamarono radice del diavolo. Figuratevi il popolo! Anche oggi la coltura della patata è interdetta in Corea. Non fu che sulla fine del secolo passato che potè trionfare.
primo a parlarne nel 1553, e nel medesimo anno Fiorentino Fiaschi ne scriveva da Venenzuola a suo fratello. Il Cardano ne fà menzione nel 1557. Nel 1565
Gli sforzi fatti da Parmentier per convincere gli ostinati sono incredibili. Il 25 agosto 1785, proprio un secolo fà, il giorno della sua festa, Luigi XVI lo ammise alla mensa reale e Maria Antonietta al ballo della medesima sera ne ornò i suoi biondi capelli.
Gli sforzi fatti da Parmentier per convincere gli ostinati sono incredibili. Il 25 agosto 1785, proprio un secolo fà, il giorno della sua festa
Ed ora la patata è l'amica del povero e del ricco, del medico e del prete. Certamente la patata non è squisita come la pesca, nè nutriente come un beeftek ma è sana e saporita anch'essa, e anch'essa sazia la fame del povero. Se ne fà farina e pane mista a frumento. La si mangia sola, lessata, cotta sotto la cenere. In cucina serve in mille modi, a tavola fà capolino in tutte le vivande, in tutti i piatti; caccia il naso perfino nella pasticceria. La patata è il pane degli Inglesi. Non si può immaginare Svizzera senza kartoffeln. La cucina tedesca è basata sulla patata. Non c'è brodo, minestra, intingolo o vivanda ove la patata non ne sia il principale costituente. Ogni città, ogni borgata le dà nomignoli particolari di tenerezza: Tüfken, Töffelken, Toffeln, Tartuffeln, Tartoffeln, Erdtuffeln, Erdäppel, Erdbirnen, Grundbirnen, Erdbohnen, Bataten, Patatos, Potatos, Kartoffeln, ecc. Se non ci fosse la patata bisognerebbe inventarla per loro. Dalla sua fermentazione se ne cava un' acquavite nociva che ubbriaca ed abbrutisce i poveri Irlandesi e gli schiavi dell'America. Colla patata si fà birra e carta. Raschiata e scaldata lentamente nell'acqua forma una specie di saponata che dà lucentezza e bianchezza alle lingerie. Serve di foraggio ai quadrupedi, di cibo ingrassante al pollajo. Sotto l'aspetto medico; Redi scriveva: « Hanno le patate nome d'essere un po' ventose, a me però non è paruto, ch'abbiano questo difetto, ma può essere che lo abbiano se sieno mangiate soverchiamente. » Sono un antiscorbutico, servono crude raschiate come cataplasma nelle piaghe cancrenose, sono rimedio volgare nelle scottature. Gordon in China viveva giorni e giorni di sole patate. Ma se la patata è sanissima quando è sana, quando incomincia a germogliare, si spoglia della fecola e allora è nociva, sviluppandosi pure la solanina che è veleno. Vi sono stati casi di avvelenamento di patata che si manifesta coll'idrope e piaghe cancrenose all'estremità.
beeftek ma è sana e saporita anch'essa, e anch'essa sazia la fame del povero. Se ne fà farina e pane mista a frumento. La si mangia sola, lessata, cotta
Pianticella annuale gramignacea, acquatica, originaria della China e delle Indie Orientali, che dà il grano da tutti conosciuto. Il suo nome, riso dal greco Oryza, derivato anch'esso dall'arabo Eruz. Dopo il frumento è l'alimento più sano e nutritivo. Il riso nasce, vegeta e matura nell'acqua, ed ama tutta la pompa del sole: non può vivere senz'acqua e senza sole. Nel linguaggio dei fiori: Ricchezza. Si coltiva dappertutto. Il riso per esser buono, dev' essere novo, ben mondato, ben netto, grosso, bianco, che non sappia di polvere nè d'altri odori. Il riso di più difficile cottura è il più saporito. Col riso si fà pane, il quale è assai bianco e di bon gusto, ma non s'inzuppa bagnandolo. Ma l'uso principale del riso è nella cucina. Nazioni intere se ne fanno il loro pascolo quotidiano. Il Pilao dei Cinesi non è che il riso. Si cuoce da noi ogni giorno in minestra, al grasso, al magro, col burro, col latte, coll'olio. Si mescola con ogni sorta di legumi, erbaggi e carnami se ne fanno torte, pasticci, frittelli, tortelli. Universalmente lo si fà cuocere sino all'intero disfacimento, solo dai noi si mangia, come si dice al dente. Sarà forse per effetto di assuefazione, ma da noi lo si trova più saporito così. La cucina Milanese à dato al mondo col riso quel capolavoro, che si chiama Risotto, il vero monopolio del quale, per quanto si sia fatto, non si è ancor tolto dalle mani dei veri Milanesi. Alcuni asseriscono che da noi il riso venne introdotto nel secolo XVI, ma è certo che in Italia, invece era anticamente conosciuto. Plinio scrive che in Italia, «maxima est copia, (oryza) ubi ex ea phtisana fiebat,quam reliqui mortales ex hordeo conficiebant». Teofrasto, che lo chiama pure oryzon, attesta che ai suoi tempi era seme peregrino. Il Bolognese Crescenzio nel 1301 parlando del riso lo chiama tesoro delle paludi. Nel IX secolo era già coltivato in Sicilia. Nel 1481 il riso è annoverato fra i prodotti del Mantovano. Nel 1521 fra quelli di Novara e Vercelli. Da noi il migliore è il Milanese, il Novarese e quello delle Puglie. I medici gli danno virtù calmanti, astringenti, anti etiche. Gli Indiani ne cavano un liquore spiritoso che chiamano Arak, liquore che si fa anche in America sotto il medesimo nome. La paglia del riso serve a molte ingegnose manifatture. Se ne fa carta leggerissima e finissima anche per sigarette. L'acqua di riso fa diventar bianca e morbida la pelle. I Milanesi dicono che il riso nasce nell'acqua e deve morire nel vino. Il riso è la ricchezza dei nostri fittajoli: Fittavol de ris, fittavol de paradis, dice un proverbio.
saporito. Col riso si fà pane, il quale è assai bianco e di bon gusto, ma non s'inzuppa bagnandolo. Ma l'uso principale del riso è nella cucina. Nazioni
Il suo nome da ros, rugiada e marinus marina, - rugiada di mare, - nascendo spontaneo sulle rive di questo in tutta l'Europa Meridionale. Nel linguaggio dei fiori : La tua presenza mi consola. Lo Rosmarino o Ramerino è un arboscello perenne, indigeno, originario dell'Oriente. Ama essere addossato ad un muro ad esposizione di meriggio e levante, terra leggera, piuttosto sabbiosa. Teme i venti e massime il freddo. Si moltiplica per divisioni di radici, per getti ed anche per via di margote. Varietà: l'augusti folius, l'argenteus, l'auratus e il latifolius. Tutta la pianta à odore forte aromatico e balsamico. Sapore acre, amaretto. Il rosmarino si adopera in cucina a dar sapore agli arrosti, e alle carni che si mettono in infusione. In medicina è stimato come stomachevole, stimolante, emmenagogo. Se ne cava un olio essenziale, che nelle spezierie chiamasi Oleum Anthos. Dai cauli fioriti si compone l'acqua così detta della Regina d'Ungheria contro l'isterismo, ecc. In profumeria entra quale componente di varie acque odorose tra le altre della famosa Acqua di Colonia. Dai Greci veniva chiamato Libantide Coronaria, perchè serviva ad intessere corone. Oltre i soliti scrittori di cose naturali ne fà cenno Virgilio:
Il sedano o selino è pianticella erbacea, biennale, indigena à radice tuberosa, di sapor forte, piccante, odore aromatico, nasce naturalmente nelle paludi torbose del Po, si semina in primavera, si trapianta. Ama bona esposizione, terra grassa, copiosi inaffìamcnti. S'imbianchisce rivestendolo e rincalzandolo di terra, si difende dal freddo coprendolo collo strame. Diverse varietà, le migliori il bianco e violetto a costa ripiena, il sedano rapa (apium radice rapacea) à la radice che si gonfia e raggiunge ragguardevoli proporzioni. Il sedano è della famiglia del prezzemolo e serve tanto la foglia che la radice, a condire convesso e a dar sapore a legumi, verdure, carni, ecc. entra in molte salse. Lo si mangia crudo con pepe sale ed olio ed in insalata. Lo si frigge, massime il sedano rapa, (del quale si mangia solo la radice), lo si cuoce in stufato, se ne fà un delicatissimo purè. A Napoli lo si chiama accio (da Appio). Il sedano e massime il seme è eccitante e per alcuni indigesto. In Oriente è usato il seme contro il mal di mare. Fino dal tempo di Ippocrate, veniva usato per soffumigi contro l'emicrania: in nares cerebro bile infestato. In Grecia, teste Galeno, lo si mangiava in insalata: oleo et aceto confecto: ma da molti veniva creduto produrre epilessia e cecità. Plutarco ci ricorda era proverbio, — abbisognare di sedano quelli che sono male in gamba: qui deplorata sunt valetudine. I Romani s'incoronavano di sedano nei conviti onde preservarsi dall'ebbrezza. Oggi il sedano nei conviti si mangia per antipasto. Colla polvere del seme di sedano, meglio del selvatico, se ne fà un unguento contro i pidocchi.
in insalata. Lo si frigge, massime il sedano rapa, (del quale si mangia solo la radice), lo si cuoce in stufato, se ne fà un delicatissimo purè. A
La segale è pianticella germinacea, annua indigena. È il cereale dei paesi freddi, montuosi. Si semina in Autunno e raccogliesi nell' estate vegnente. Nel linguaggio dei fiori: bisogno. Matura più presto del frumento, vuole terreno sciolto, viene anche negli sterili, negli alpestri, dove non alligna il frumento. La segale è meno nutritiva del frumento e meno atta a far del pane che riesce umidiccio e di difficile digestione. Viene nullameno usata a far pane nel Belgio, nell'Olanda, nella Germania settentrionale e specialmente in Russia dai poveri contadini. Mista però alla farina di frumento rende il pane più bianco e saporito e lo conserva fresco più a lungo. Viene pure mescolata col melgone. Messa nell'acqua la farina di segale, serve per bevanda rinfrescante e nutriente per il bestiame. La farina di segale è pure adoperata in medicina per uso esterno come mollificante e risolutivo. In Russia se ne fabbrica una specie di birra nazionale, chiamata Quass. In Groenlandia questa birra la chiamano Tollwasser (aqua che fà impazzire. La paglia lunga e forte, per la molta silice che contiene, è utilissima a coprire capanne campestri, tettoje, grondaje, ecc. Una specie di malattia che sopraviene al grano della segale, dà una grande importanza a questa, nella medicina, sia come generatrice di morbi, sia come potentissimo sussidio terapeutico ed ostetrico, ed è quella conosciuta sotto il nome di segale cornuta o chiodo segalino, in francese ergót. Il suo nome dal celtico segai che significa falce, d'onde in latino il nome generico segestes alle biade, che si falciano, mentre i legumi e le frutta si colgono. La segale non pare fosse conosciuta dai Greci, nessuno dei loro scrittori ne parla. Dei Latini il solo Plinio ne fà menzione, ma come di grano infimo e di nessun conto.
. In Russia se ne fabbrica una specie di birra nazionale, chiamata Quass. In Groenlandia questa birra la chiamano Tollwasser (aqua che fà impazzire. La
Patate in salsa. Con cipolla rinvenuta si fà una salsa dorata lasciandola bollire con un po' d'aceto, timo ed una foglia di lauro, s'aggiungono delle patate allesse, tagliate calde a fette o quadrelli, oppure si condiscono queste soltanto con maggiorana.
Patate in salsa. Con cipolla rinvenuta si fà una salsa dorata lasciandola bollire con un po' d'aceto, timo ed una foglia di lauro, s'aggiungono delle