Ora, tornando al bucchero, vi fu un tempo che, come ora la Francia, era la Spagna che dava il tòno alle mode, e però ad imitazione del gusto suo, al declinare del secolo XVII e al principio del XVIII, vennero in gran voga i profumi e le essenze odorose. Fra gli odori, il bucchero infanatichiva e tanto se ne estese l'uso che perfino gli speziali e i credenzieri, come si farebbe oggi della vainiglia, lo cacciavano nelle pasticche e nelle vivande. Donde si estraeva questo famoso odore e di che sapeva? Stupite in udirlo e giudicate della stravaganza dei gusti e degli uomini! Era polvere di cocci rotti e il suo profumo rassomigliava a quello che la pioggia d'estate fa esalare dal terreno riarso dal sole; odor di terra, infine, che tramandavano certi vasi detti buccheri, sottili e fragili, senza vernice, dai quali forse ha preso nome il color rosso cupo; ma i più apprezzati erano di un nero lucente. Codesti vasi furono portati in Europa dall'America meridionale la prima volta dai Portoghesi e servivano per bervi entro e per farvi bollir profumi e acque odorose, poi se ne utilizzavano i frantumi nel modo descritto.
rotti e il suo profumo rassomigliava a quello che la pioggia d'estate fa esalare dal terreno riarso dal sole; odor di terra, infine, che tramandavano
Un negoziante di cavalli ed io, giovanotto allora, ci avviammo al lungo viaggio, per que' tempi, di una fiera a Rovigo. Alla sera del secondo giorno, un sabato, dopo molte ore di una lunga corsa con un cavallo, il quale sotto le abilissime mani del mio compagno, divorava la via, giungemmo stanchi ed affamati alla Polesella. Com'è naturale, le prime cure furono rivolte al valoroso nostro animale; poi entrati nello stanzone terreno che in molte di simili locande serve da cucina e da sala da pranzo: — Che c'è da mangiare? — domandò il mio amico all'ostessa. — Non ci ho nulla, — rispose; poi pensandoci un poco soggiunse: — Ho tirato il collo a diversi polli per domani e potrei fare i risi. — Fate i risi e fateli subito — si rispose — che l'appetito non manca. — L'ostessa si mise all'opera ed io lì fermo ed attento a vedere come faceva a improvvisar questi risi.
ed affamati alla Polesella. Com'è naturale, le prime cure furono rivolte al valoroso nostro animale; poi entrati nello stanzone terreno che in molte di
Dopo i mammiferi da macello, gli animali da cortile sono quelli che occupano la posizione più importante nella scala degli alimenti dell'uomo. Particolarmente in momenti eccezionali, come quello di guerra, gli animali da cortile acquistano un' importanza grandissima, sia per la produzione delle uova, sia per l'utilizzazione delle carni, che, se ben preparate, costituiscono sempre cibi nutrienti e gustosissimi. È consigliabile dunque alla massaia, appena le è possibile, di dedicarsi all'allevamento di questi animali e di sacrificare magari il terreno adibito a giardino per costruire il pollaio o la conigliera. La facilità dell'impianto e del mantenimento di questi minimi pollai domestici sono di per se stessi garanzia del successo. Infatti in ogni famiglia, specialmente se numerosa, si effettueranno sempre quotidianamente dei rifiuti di cucina: bucce di frutta, di patate, di pomodori, croste di formaggio, di polenta, foglie di verdura, che potranno essere integrati da granaglie e da cruscame in piccola quantità.
, appena le è possibile, di dedicarsi all'allevamento di questi animali e di sacrificare magari il terreno adibito a giardino per costruire il pollaio
533. Prosciutto. Prendete una coscia di buon majale, colla sua cotenna ben rasata, ed alla quale sia stata tolto lo zampetto; stropicciatela fortemente da ogni lato con sale marino in polvere; mettetela in un sacco; indi scavate una buca di 60 centimetri circa di profondità nel terreno asciutto di una cantina; formatevi in fondo uno strato di paglia, ponete sopra a questo il sacco contenente il prosciutto, e ricoprite colla stessa terra che avete scavata, osservando che sia bene asciutta; anzi, per maggior precauzione, sarà ben fatto che avviluppiate di paglia il sacco che contiene il prosciutto. In capo ad una settimana ritirate il prosciutto; nettatelo del sale quasi liquefatto di che sarà irrigato; stropicciatelo un'altra volta con sale asciutto e fine, e sotterratelo di nuovo dopo averlo chiuso nel solito sacco, che avrete prima fatto asciugare al calore del fuoco. Rinnovate ogni 7 giorni questa operazione, per la durata di un mese; in capo a tal periodo di tempo ritirate il prosciutto, cospargetelo tutto intorno di nuovo sale, e ponetelo fra due tavole con un peso sopra, avvertendo però di non comprimerlo soverchiamente. Trattolo dopo tre giorni da questa specie di strettojo, lo porrete appeso per una settimana sotto la cappa del camino, onde farlo bene asciugare, e lo serberete poi per i bisogni, avvertendo che il vostro prosciutto così preparato comincierà ad esser migliore dopo tre mesi dacchè l'avrete conciato.
fortemente da ogni lato con sale marino in polvere; mettetela in un sacco; indi scavate una buca di 60 centimetri circa di profondità nel terreno asciutto di
Il Giuggiolo è un arboscello a foglia caduca, che diventa anche albero ramoso, spinosissimo. Vuole esposizione soleggiata e difesa, terreno buono, teme l'umidità, resiste al freddo. Si propaga per polloni, per innesto, vegeta lentamente. Mette le foglie ultimo di tutti, fiori piccoli, gialli, solitari, in Giugno, frutti o bache rosse della forma e grossezza dell'oliva, matura a tardo autunno. Conta alcune varietà. È originario della Siria, si rinviene anche spontaneo nelle siepi delle montagne calcaree di Val di Noto. Nel linguaggio delle piante: Sollievo. Il frutto, benchè più apprezzato della Lazzeruola, è poco utile, perchè da noi non matura abbastanza e però si mangia appassito. Il legno, assai duro, serve all'ebanista, al tornitore e piglia bon pulimento. Sesto Papinio, console sotto Augusto, fu quello che primo lo portò in Italia dall'Africa. Plinio lo chiama jujubas. La giuggiola è digeribile e può conservarsi secca. Se ne fanno decotti soavi e paste pettorali, ma questa è arte superiore. Il popolo che la vede e la mangia quasi sempre immatura dice per ironia: andare in brodo di giuggiole.
Il Giuggiolo è un arboscello a foglia caduca, che diventa anche albero ramoso, spinosissimo. Vuole esposizione soleggiata e difesa, terreno buono
Piccolo arbusto perenne a foglia caduca, che cresce spontaneo in molti paesi d'Europa, e singolarmente nei climi temperati e freddi. Viene in piena terra, vuol terreno fresco, sabbioso, sostanzioso, esposizione di tramontana, ombreggiata alquanto. Dopo 8-10 anni comincia a deperire. Da Maggio a Giugno à fiori rossi o bianchi, pelosi, in piccoli corimbi, ai quali succedono frutti rossi, vellosi. Si moltiplica dividendo le radici in autunno. È detto Rubus idœus dal monte Ida dove i Greci, teste Dioscoride, asseriscono d'averlo scoperto i primi. Nel linguaggio dei fiori: Dolcezza di linguaggio. Deve essere colto appena sia maturo, perchè facilmente si guasta e cade. Il lampone è uno dei frutti più salubri e profumati — è succoso rinfrescante, di sapore gratissimo. Èsuscettibile di fermentazione vinosa, acida alcoolica. Contiene un olio essenziale solubile nell'alcool e nel vino, ma non nell'aqua. Se ne fa sciroppo col succo solo — unendovi l'aceto se ne à l'acetosa: che è gradevole e rinfrescante. Le foglie sono astringenti, i fiori diaforetici. I frutti si mangiano crudi col vino e la panna, collo zuccaro se ne compongono conserve, sorbetti, gelatine, ecc. Si candiscono, danno profumo ad aquavite e liquori — se ne fà aceto e si adoperano per aggiunger forza e fragranza a quello di vino. Il nome di Fambros viene da Ambrosia per il grato sapore che lascia in bocca. Dai Romani era chiamata Mora Vaticana, Sorella del Fambros è,
terra, vuol terreno fresco, sabbioso, sostanzioso, esposizione di tramontana, ombreggiata alquanto. Dopo 8-10 anni comincia a deperire. Da Maggio a
Il Lazzeruolo o Azzerolo è una pianticella a foglia caduca, originaria dei paesi caldi. Viene in piena terra, ama terreno sciolto, luoghi ombrosi. Si propaga per innesto sul bianco spino o sul nespolo. Molte varietà, fra le quali quelle a frutto giallastro, rosso e bianco. Nel linguaggio dei fiori e delle piante significa: Bacio. I suoi frutti aciduli e poco succosi si raccolgono d'ordinario in Settembre. Sono l'amore dei bambini e delle ragazze — riescono più belli alla vista, che opportuni allo stomaco — diventano migliori alcuni giorni dopo il raccolto. Il suo legno si adopera a far strumenti musicali. Una delle 49 varietà è la Oxyacantha dal greco oxyus acuto, e da acantha spina, che è il bianco spino delle nostre siepi, o Lazzeruolo selvatico. (Mil. Scarrion, lazzarin selvadeg. - Fr. Aubepine. - Ted. Mehldorn. Ing. Eglantine). — È uno dei più cari arbusti che colla candidezza e fragranza de' suoi fiori, ci annuncia il prossimo arrivo della Primavera. Si trova copioso nelle siepi che difende, col viluppo de' suoi rami intricati e coll'arma delle pungenti sue spine.
Il Lazzeruolo o Azzerolo è una pianticella a foglia caduca, originaria dei paesi caldi. Viene in piena terra, ama terreno sciolto, luoghi ombrosi. Si
Fusto arboreo sempre verde, dei climi caldi acclimatizzato da noi, spesso munito di spine, che à fiori d'un bianco roseo quasi continuamente, frutto bislungo, paglierino di colore, polpa abbondante e ricca di sugo acido aromatico aggradevole. Si moltiplica per semi, talee, margotte. Ama terreno argilloso-calcareo-siliceo, clima dolce. Soffre il freddo e il troppo caldo rende il suo frutto stopposo. Cresce sollecitamente. A 20 anni in Sicilia produce circa 1000 limoni — vive dai 60 ai 70 anni. Si coltiva come gli aranci. Se ne contano 16 varietà. In China evvi la varietà cheilocarpa, il cui frutto rappresenta una mano, che i Chinesi dicono quella del loro Dio, lo chiamano: Fo-chu-kan, cioè mano odorante. Nel linguaggio delle piante: Sono sempre presente. Il limone vuolsi originario della Persia. Si narra che un re di quel paese ne facesse dono agli Ateniesi, d'onde si sparse poi in Europa. Plinio parla d'un frutto detto Pomo di Media che i greci chiamavano Kitrion. Si vorrebbe che ai tempi di Plinio il limone non fosse ancor portato in Italia, scrivendo egli stesso: Sed nisi apud Medos et in Perside nasci noluit. Abbiamo però Virgilio che ne celebrò le lodi nella 2a Georgica:
bislungo, paglierino di colore, polpa abbondante e ricca di sugo acido aromatico aggradevole. Si moltiplica per semi, talee, margotte. Ama terreno
L'Albicocco è albero originario dell'Armenia, indigeno da noi — à foglia caduca. Ama terreno leggero, fresco, bona esposizione, viene meglio in spalliera. Si moltiplica per semi, deperisce dopo i 20 anni. Fiorisce in Marzo — dà frutti in Giugno e Luglio. Nel linguaggio delle piante significa: Primizia. L'albicocco è selvatico in China e sono usitatissimi i suoi chicchi per ricavarne olio. Se ne contano molte varietà: Le primaticcie sono l'albicocca pesca e la nostrale con nocciolo amaro. Le migliori per grossezza e sapore sono quelle di Nancy. La qualità più grossa di Germania è anche più insipida. L'al- bicocca o meliaca, matura è di una delicatezza superlativa, ma la sua maturanza passa prestissimo. Si mangia fresca o si fa essicare al forno dividendola in due e levandone il nocciolo. Cocendola se ne fà marmellata, gelatina, sciroppo. Celebre la sua confettura di Clermont-Ferrant. Si conserva nell'aquavite, si candisce. Della mandorla dolce se ne fà ingrediente di pasticceria e condimento a leccornerie da dessert.
L'Albicocco è albero originario dell'Armenia, indigeno da noi — à foglia caduca. Ama terreno leggero, fresco, bona esposizione, viene meglio in
L'Olivo è pianta indigena sempre verde. Ama esposizione asciutta, soleggiata, difesa dai venti, terreno buono, sabbioso, concimato. Teme il gelo (resiste fino a 7 gradi) e la grande siccità. Fiorisce lentamente, si moltiplica per semi, talee, polloni ed innesto. Comincia a produrre verso il 150 anno di vita, e aumenta fino ai 50 — à vita secolare. Molte le varietà a seconda dei paesi. In Italia è coltivato lungo le costiere marittime. Abbonda nel Lucchese e nella Romagna, lo si trova sulle rive bene esposte del Lago Maggiore, di Garda, di Como. Era coltivato nel resto della Lombardia, ma il forte disboscamento delle Alpi lo distrusse. Nel linguaggio delle piante: Pace, Riposo, Sicurezza. I frutti dell'Olivo non sarebbero perfettamente maturi che nel Maggio seguente alla fioritura, quando ànno aquistato un color rosso nerastro, ma si colgono in Novembre e Dicembre, perchè non maturando tutti alla medesima epoca, il raccolto andrebbe perduto. Raccolte le olive si mettono in casse o tini perchè non vi penetri aria o succeda fermentazione e si coprono a garantirle dal freddo. Così si può ritardare l'estrazione dell'olio fino a primavera e ottenerne una maggior quantità. Appartiene alla famiglia dell'olivo, l'olea fragrans, che dà i fiorellini così soavemente profumati. L'olio che si cava dalle bache è vergine quando è fatto col frutto maturo a pressione e si distingue dall'altro che si ottiene colla bollitura. Il primo è assai migliore. L'olio d'oliva fino dev'essere insaporo. Gode del primato in Italia quello di Lucca. È facilmente adulterato con quello di semi di cotone, di sesamo (1), di arachide e d'altri semi.
L'Olivo è pianta indigena sempre verde. Ama esposizione asciutta, soleggiata, difesa dai venti, terreno buono, sabbioso, concimato. Teme il gelo
Il Pero è un albero piramidale, indigeno europeo, a foglia caduca. Ama il clima temperato, ma sopporta i freddi dell'Italia Settentrionale. Vuol terreno alquanto calcareo e profondo. Si propaga per semi, barbatelle ed innesto. In Aprile dà fiori bianchi in mazzetti, matura i frutti a seconda delle varietà da Luglio ad Ottobre. À vita lunga. Le sue varietà si contano a centinaja, e però altre sono precoci ed altre tardive, altre danno frutto mangiabile appena colto, altre lo maturano d'inverno e sono chiamate invernenghe. Con raffinata coltura in Francia si ànno pera che maturano ogni mese dell'anno. Il nome pero, dal greco pyr che vuol dire fuoco, dalla forma che à il pero di piramide, di fiamma accuminata. Nel linguaggio delle piante: Ardore costante. La pera è frutto squisito, di facile digestione, quando è matura, offre i più svariati sapori. Si mangia fresca e cotta giuleppata come la poma e le altre frutta ed insieme a loro. Da noi la pera è consumata quasi interamente allo stato fresco, ma si fà pure essicare e si conserva per l'inverno. Anche anticamente serviva a dare un liquore spiritoso, spumante analogo al sidro delle poma, ma alquanto più alcoolico. La pera estiva dà anche maggior quantità di sugo che non la poma ben matura. Se ne estrae aquavita bonissima. Il legno del pero è durissimo, unito, compatto e viene adoperato dai tornitori ed ebanisti — che lo colorano in nero per darci il falso ebano, dà un fuoco forte. La Scuola Salernitana dice del pero:
terreno alquanto calcareo e profondo. Si propaga per semi, barbatelle ed innesto. In Aprile dà fiori bianchi in mazzetti, matura i frutti a seconda delle
È un grande albero a foglia caduca, originario delle Indie Orientali, della Persia, dell'Arabia e della Siria. Fra Damasco ed Aleppo ve ne ànno selve intere. Da noi è fatto indigeno in Toscana, nel Genovesato e nella Sicilia. Nelle provincie meridionali della Francia vegeta pure con prosperità. Non resiste d'inverno in piena terra nei paesi settentrionali. Vuol terreno sostanzioso, leggero e parche irrigazioni. Si moltiplica per semi, che si fanno nascere sotto cuccia, porta in primavera fiori piccoli, giallognoli, a cui succedono frutti ovali lunghi, secchi, con polpa sottilissima, e grossi quanto una oliva, contenenti un nocciolo che apresi in due valve, entro le quali trovasi una mandorla verde coperta d' una pellicola rossastra, d'un sapor dolce, soave, grato, pingue. Nel linguaggio dei fiori e piante: Accoglienza benevola. Questo frutto è mangereccio e per i pregi ed i diffetti è da mettersi insieme al pignolo. Contiene molto olio, che è facile estrarre con semplice pressione. Serve a preparare alcune emulsioni, affatto simili a quelle delle màndorle dolci, prescritte nelle infiammazioni degli intestini e delle vie orinarie. I confetturieri ne fanno grande uso in paste e confetti. I salumai ne regalano le galantine e certi salami a cuocersi. I cuochi lo mettono nei polpettoni e nei croquants, che i fiorentini chiamano Pistacchiata. Se ne fa pure una eccellente conserva. Gli Arabi lo chiamano Pustach, gli Spagnuoli Alfogico, e gli Olandesi Pistassies. Vuolsi che chi lo portò in Italia fosse il Console romano Lucio Vitellio sotto Tiberio, di ritorno dalla Siria, come Fiacco Pompeo, suo commilitone, lo portò pel primo in Spagna.
resiste d'inverno in piena terra nei paesi settentrionali. Vuol terreno sostanzioso, leggero e parche irrigazioni. Si moltiplica per semi, che si
Nel linguaggio dei fiori: Asinaggine è perenne e dura fino a 12 anni si semina da Marzo a tutto Settembre, preferisce terreno umido ed ombroso si moltiplica per mezzo di radici. Se ne contano molte specie, la più coltivata è la R. acetosa. Cresce nelle campagne, ma è da preferirsi quella coltivata nell'orto. Se ne mangiano le foglie verdi. I semi anno virtù produttiva per 4 anni. Preparasi in varie maniere come cibo: col burro e panna, colle uova, nelle frittate, nelle salse verdi, colla carne, nelle zuppe, negli intingoli; si mescola coll'insalata, massime alla lattuga serve a togliere il puzzore alle carni, principalmente di pecora e castrato. Varietà: la patientia, detta anche acetosa spinacio (nel linguaggio dei fiori Pazienza) è indigena, si semina in Marzo e Aprile, dà fiori verdicci. Le acetose servono ad uso medicinale, in decotto nelle febbri, sono antiscorbutiche e contengono molto acido ossalico, che fra tutti gli acidi vegetabili, è il più ricco di ossigeno convengono in tutte le malattie infiammatorie. Dall'acetosella si prepara il noto sale di tal nome. L'acetosa, a' tempi andati fu detta anche erba alleluja, perchè fiorisce verso le feste pasquali. Impastata coll'aceto e seccata serve all'occorrenza per cambiare in poco tempo il vino in aceto masticata scioglie i denti intorpiditi per aver mangiato frutte acerbe. La sua radice seccata e bollita dà una tinta rossa. Unita alla grassa di porco, presso i Romani, era adoperata come cauterio efficacissimo. Come mangereccia è menzionata da Plauto:
Nel linguaggio dei fiori: Asinaggine è perenne e dura fino a 12 anni si semina da Marzo a tutto Settembre, preferisce terreno umido ed ombroso si
L'Albicocco è albero originario dell'Armenia, indigeno da noi à foglia caduca. Ama terreno leggero, fresco, bona esposizione, viene meglio in spalliera. Si moltiplica per semi, deperisce dopo i 20 anni. Fiorisce in marzo dà frutti in giugno e luglio. Nel linguaggio delle piante significa: Primizia. L'albicocco è selvatico in China e sono usitatissimi i suoi chicchi per ricavarne olio. Se ne contano molte varietà: le primaticcie sono l'albicocca pesca e la nostrale con nocciolo amaro. Le migliori per grossezza e sapore sono quelle di Nancy. La qualità più grossa di Germania, è anche più insipida. L'albicocca, o meliaca matura, è di una delicatezza superlativa, ma la sua maturanza passa prestissimo. Si mangia fresca o si fa essicare, di videndola in due e levandone il chicco. Cocendola se ne fa marmellata, gelatina, sciroppo. Celebre la sua confettura di Clermont-Ferrant. Si conserva nell'aquavite, si candisce. Della mandorla dolce se ne fa ingrediente di pasticceria e condimento a leccornerie da dessert.
L'Albicocco è albero originario dell'Armenia, indigeno da noi à foglia caduca. Ama terreno leggero, fresco, bona esposizione, viene meglio in
Radice biennale indigena carnosa, tonda, zuccherina, originaria dalle coste eurepee dell'Atlantico e del Mediterraneo. Principali varietà: la campestre, rossa all'esterno, screziata di bianco e roseo all'interno, e la gialla oblunga e rotonda che servono specialmente per il bestiame. Le mangiereccie sono: la bianca di Slesia bianca all'interno ed all'esterno detta Beta Cycla (in francese Navet) che è quella che contiene maggior quantità di zuccaro, e la rossa preferita per gli usi domestici ed è la più nutritiva, ma è pur quella che ingrossa meno. La barbabietola contiene il 88 % di acqua. Si spargono i semi in febbraio e marzo, in terreno fresco, profondo, pingue. I semi ànno virtù geminatrice fino ai 6 anni. Si colgono i frutti in agosto. Si mangia cotta (meglio al forno) condita in insalata, col sedano, la patata, le cipolle, col crescione. Serve di horsd'oeuvre, colle olive, le sardine, ecc. La vogliono alquanto indigesta. Dalla barbabietola Cycla, quando è novellina, se ne levano le foglie dette da noi erbette che si mangiano bollite, e servono nella minestra e a marinare le zuppe. I suoi nervi, quando è invecchiata, diconsi da noi cost (in francese còtes de poirèesj, e si mangiano concie con burro, sale e cacio, richiedono molto condimento e le foglie (bied) vengono pure usate nelle zuppe e negli erbolati (scarpazza) e nelle medicazioni vescicatorie. La barbabietola attualmente è coltivata in grande, onde cavarne zuccaro. Troviamo nominata la barbabietola da antichissimi autori, ma con poca lode.
spargono i semi in febbraio e marzo, in terreno fresco, profondo, pingue. I semi ànno virtù geminatrice fino ai 6 anni. Si colgono i frutti in agosto
Il Carciofo, della famiglia dei cardoni, è un caule di 5 o 6 piedi, biennale, indigeno. Vuole esposizione meridionale, essere difeso dai freddi, terreno lavorato, asciutto, ricco. Ama molt'acqua, il gelo l'uccide. Si propaga per semi, getti, o meglio per polloni dei vecchi carciofi, in marzo ed aprile ed anche in maggio, in luna vecchia. Nel linguaggio delle piante: Sei noioso. Il seme conserva la sua virtù produttiva fino a sei anni e più. È una verdura delle più delicate, sana, saporita e ghiotta. Quello che si mangia è il fiore immaturo, che è fatto a scaglie ed à la figura d'una pigna. Sono rinomati quelli di Genova, migliori quelli di Sardegna. Si mangiano tenerelli crudi con pepe ed olio, per antipasto, cotti all'olio, al burro, si lessano, si friggono impannati alla padella, alla grata, si accoppiano ad ogni piatto, ai quali servono anche di elegante e saporito ornamento. Sono nutrienti e contengono molto tannino. Se il carciofo è giunto alla sua perfetta maturanza e grossezza normale, lasciatelo riposare due giorni prima di mangiarlo, sarebbe troppo irritante. Va lavato in grand'acqua, e messo a cocere in acqua bollente e salata, coperto solo per tre quarti, non lasciarlo stracocere. Il carciofo cotto all'acqua, freddo che sia, è eccellente coll'olio. Dei ricettacoli del carciofo cavasi amido.
, terreno lavorato, asciutto, ricco. Ama molt'acqua, il gelo l'uccide. Si propaga per semi, getti, o meglio per polloni dei vecchi carciofi, in marzo ed
Il suo nome dal greco Daucus che vuol dire bruciare, perchè i semi della carota si ritenevano molto riscaldanti. Vuolsi originaria dalle sponde del Mar Rosso. Nel linguaggio dei fiori: bontà. È una radice indigena annuale succosa, carnosa. Oltre la selvatica, abbiamo la varietà bianca, rossa, violacea e gialla. Da noi specialmente si coltiva la rossa e la gialla, ma la più stimata di tutte è la bianca o moscatella, che sembra essere lo Staphylinos di Galeno e di Dioscoride. vuole terreno grasso e lavorato. Si semina alla fine di marzo, e il seme à virtù produttiva fino ai 5 anni e più. In ottobre e novembre si raccolgono le radici e si custodiscono entro la sabbia per gli usi domestici, oppure si lasciano nel terreno, purchè ben esposto e difeso dal gelo. Nella seguente primavera si ottiene la semente. In Inghilterra e nel napoletano si coltiva in grande anche per foraggio ai cavalli. La carota è una verdura ricca di amido e di zuccaro, che dà un cibo sano ed aromatico, che ingrassa. Piccola o grossa, fresca o conservata, la carota è sempre sana, agisce direttamente sul fegato ed è di aiuto a conservare la bella ciera. Il Tanara, vuole che la parola carota venga dal latino caro optala, o da caro radix, perchè cotta in brodo nutrisce come la carne. Si fa cuocere colle carni per dar loro sapore, si mescola in molti intingoli, allegra la busecca milanese, serve di letto alle salsiccie, è la sorella, direi quasi la gemella, del Sedano: dove va l'uno, va quasi sempre anche l'altra. Si fa cuocere in acqua e brodo, tagliata a fettuccie, si condisce col burro ed è eccellente piatto di verdura, si mangia in insalata. Colla sua polpa se ne fanno puree e torte, entra in molte salse. Le foglie verdi servono ad allontanare le cimici, mettendole nel pagliericcio o strofinando con esse le lettiere. La carota infusa nell'alcool dà un liquore nominato Olio di Venere. Se ne può cavare un'acquavite migliore di quella dei cereali. I suoi semi sono aromatici e lievemente stimolanti. In Inghilterra se ne fa un grato infuso teiforme. Nel nord della Germania sono usati nella fabbricazione della birra, le danno maggior grazia e forza. Gli Arabi li adoperano per fare buon alito e ritengono che il loro aroma rafforzi le gengive. Plinio e Dioscoride dicono che la carota mette appetito. Fin dall'antichità si dava ai convalescenti. Areteo lo consigliava nell'elefantiasi. Più tardi ne usarono i medici contro il cancro e le ulceri, nell'asma, nella bronchite, fino nella tisi. È rimedio volgare nelle scottature. Esternamente, la polpa si usa raschiata cruda: internamente, il roob, lo sciroppo. In Turchia se ne preparano col suo succo biscotti e pane in polvere per i bambini.
Staphylinos di Galeno e di Dioscoride. vuole terreno grasso e lavorato. Si semina alla fine di marzo, e il seme à virtù produttiva fino ai 5 anni e più. In
Vicia da vincia, che si attorciglia, o con più ragione dal greco faga, mangiare, perchè gli antichi ne mandavano prima d'ogni altro legume. La fava è legume annuale, originario del mar Caspio e della Persia. Vuol terreno argilloso, sostanzioso, a mezzodì. Si semina d'autunno a febbraio. Due varietà: la invernenga e la marzuola detta cavallina, più piccola. Celebre la fava di Nizza. Nel linguaggio dei fiori: Corbellare. La fava fresca, da noi si chiama bagiana, si mangia in minestra. Essa si macina e serve anche pel bestiame, e conserva la virtù germinante per sei anni. La fava è feculenta e flatulenta, deve essere mangiata di rado e tenera. La fava specialmente secca, è cibo da carrettiere. È il più grosso dei nostri legumi mangerecci. Gli inglesi dicono che tutti i feculenti fortificano, la fava più d'ogni altro, e quegli agricoltori ànno un proverbio che dice: Cavallo che mangia avena parte bene, ma quello che mangia fave ritorna meglio. I gusci delle fave sono diuretici: 200 grammi di questi in un litro d' acqua, bolliti per due o tre ore, danno uno dei più lenti diuretici. I fiori sono ottimi per le api. Le fave secche si mettono a cocere in acqua fredda. Le galline che mangiano le fave, fanno l'ovo col guscio molto fragile.
legume annuale, originario del mar Caspio e della Persia. Vuol terreno argilloso, sostanzioso, a mezzodì. Si semina d'autunno a febbraio. Due varietà
venta anche albero ramoso, spinosissimo. Vuole esposizione soleggiata e difesa, terreno buono, teme l'umidità, resiste al freddo. Si propaga per polloni, per innesto, vegeta lentamente. Mette le foglie ultimo di tutti, fiori piccoli, gialli, solitari, in giugno, frutti o bacche rosse della forma e grossezza dell'oliva, matura a tardo autunno. Conta alcune varietà. È originario della Siria, si rinviene anche spontaneo nelle siepi delle montagne calcaree di Val di Noto. Nel linguaggio delle piante: Sollievo. Il frutto, benchè più apprezzato della Lazzeruola, è poco utile, perchè da noi non matura abbastanza e però si mangia appassito. Il legno, assai duro, serve all'ebanista, al tornitore e piglia bon pulimento. Sesto Papinio, console sotto Augusto, fu quello che primo lo portò in Italia dall'Africa. Plinio lo chiama jujubas. La giuggiola è digeribile e può conservarsi secca. Se ne fanno decotti soavi e paste pettorali, ma questa è arte superiore. Il popolo che la vede e la mangia quasi sempre immatura dice per ironia: andare in broda di giuggiole.
venta anche albero ramoso, spinosissimo. Vuole esposizione soleggiata e difesa, terreno buono, teme l'umidità, resiste al freddo. Si propaga per
Piccolo arbusto perenne a foglia caduca, che cresce spontaneo in molti paesi d'Europa, e singolarmente nei climi temperati e freddi. Viene in piena terra, vuol terreno fresco, sabbioso, sostanzioso, esposizione di tramontana, ombreggiata alquanto. Dopo 8-10 anni comincia a deperire. Da Maggio a Giugno à fiori rossi o bianchi, pelosi, in piccoli corimbi, ai quali succedono frutti rossi, vellosi. Si moltiplica dividendo le radici in autunno. È detto Rubus idoeus dal monte Ida dove i Greci, teste Dioscoride, asseriscono d'averlo scoperto i primi. Nel linguaggio dei fiori: Dolcezza di linguaggio. Deve essere colto appena sia maturo, perchè facilmente si guasta e cade. Il lampone è uno dei frutti più salubri e profumati; è succoso, rinfrescante, di sapore gratissimo. È suscettibile di fermentazione vinosa, acida alcoolica. Contiene un olio essenziale solubile nell'alcool e nel vino, ma non nell'acqua. Se ne fa sciroppo col succo solo; unendovi l'aceto se ne à l'acetosa che è gradevole e rinfrescante. Le foglie sono astringenti, i fiori diaforetici. I frutti si mangiano crudi col vino e la panna, collo zuccaro se ne compongono conserve, sorbetti, gelatine, ecc. Si candiscono, danno profumo ad acquavite e liquori — se ne fa aceto e si adoperano per aggiunger forza e fragranza a quello di vino. Il nome di Fambros viene da Ambrosia per il grato sapore che lascia in bocca. Dai Romani era chiamata Mora Vaticana e la mangiavano condita di molto zuccaro.
terra, vuol terreno fresco, sabbioso, sostanzioso, esposizione di tramontana, ombreggiata alquanto. Dopo 8-10 anni comincia a deperire. Da Maggio a
Il lazzeruolo o azzerolo è una pianticella a foglia caduca, originaria dei paesi caldi. Viene in piena terra, ama terreno sciolto, luoghi ombrosi. Si propaga per innesto sul bianco spino o sul nespolo. Molte varietà, fra le quali quelle a frutto giallastro, rosso e bianco. Nel linguaggio dei fiori e delle piante significa: Bacio. I suoi frutti acidoli e poco succosi si raccolgono d'ordinario in settembre. Sono l'amore dei bambini e delle ragazze — riescono più belli alla vista, che opportuni allo stomaco — diventano migliori alcuni giorni dopo il raccolto. Il suo legno si adopera a far strumenti musicali. Una delle 49 varietà è la Oxyacantha, dal greco oxyus acuto, e da acantha spina, che è il bianco spino delle nostre siepi, o Lazzeruolo selvatico. (Mil.: Scarrion, lazzarin selvadeg. — Fr.: Aubepine. — Ted.: Mehldorn. — Ingl.: Eglantine). — È uno dei più cari arbusti che colla candidezza e fragranza de' suoi fiori, ci annuncia il prossimo arrivo della primavera. Si trova copioso nelle siepi che difende, col viluppo de' suoi rami intricati e coll'arma delle pungenti sue spine. Dà fiori bianchi, numerosi, odorosi disposti in mazzetti in aprile, e coccole ranciate in luglio. Le sue spine nel linguaggio delle piante significano: Proibizione, ed i fiorellini: Dolci speranze. Il legno del lazzeruolo, è forte, tenacissimo — viene usato nei lavori di tornio ed anche di scoltura, giacchè si leviga benissimo e tiene con costanza le tinte.
Il lazzeruolo o azzerolo è una pianticella a foglia caduca, originaria dei paesi caldi. Viene in piena terra, ama terreno sciolto, luoghi ombrosi. Si
Fusto arboreo sempre verde, dei climi caldi, acclimatizzato da noi, spesso munito di spine, che à fiori d'un bianco roseo quasi continuamente, frutto bislungo, paglierino di colore, polpa abbondante e ricca di sugo acido aromatico aggradevole. Si moltiplica per semi, talee, margotte. Ama terreno argilloso-calcareo-siliceo, clima dolce. Soffre il freddo e il troppo caldo rende il suo frutto stopposo. Cresce sollecitamente. A 20 anni in Sicilia produce circa 1000 limoni; vive dai 60 ai 70 anni. Si coltiva come gli aranci. Se ne contano 16 varietà. In China avvi la varietà cheilocarpa, il cui frutto rappresenta una mano, che i Chinesi dicono quella del loro Dio, lo chiamano: Fo-chu-kan, cioè mano odorante. Nel linguaggio delle piante: Sono sempre presente. Il limone vuolsi originario dalla Persia. Si narra che un re di quel paese ne facesse dono agli Ateniesi, d'onde si sparse poi in Europa. Plinio parla d'un frutto detto Pomo di Media che i greci chiamavano Kitrion. Si vorrebbe che ai tempi di Plinio il limone non fosse ancor portato in Italia, scrivendo egli stesso: Sed nisi apud Medos et in Perside nasci noluit. Abbiamo però Virgilio che ne celebrò le lodi nella 2.a Georgica:
bislungo, paglierino di colore, polpa abbondante e ricca di sugo acido aromatico aggradevole. Si moltiplica per semi, talee, margotte. Ama terreno
Per analogia di nome ne viene alla penna il Lupino, il quale è uno dei più scadenti legumi che si abbiano. (Lupinus albus, Lupinus vulgaris . Franc.: Lupin. Ted.: Wolsbohe. — Ingl.: Lupine. — Spagn.: Altramuz. Se ne contano 63 varietà. Serve meglio a concimare il terreno e ciò si usava fino ai tempi di Catone. I semi sono amari, ma lungamente macerati lasciano l'amarezza, sono farinosi ed insipidi. Nella Roma antica si vendeva sulle piazze come da noi i fagioli, e serviva di cibo agli schiavi ed ai poveri. Il Sangiorgio attesta che fino alla metà del secolo scorso si vendeva anche in Milano. Il lupino come sostanza alimentare è oramai quasi dimenticato. Le pie cronache narrano che il lupino era l'esclusivo cibo penitenziale di quaresima di S. Carlo Borromeo. Interrogato Zeno Ciprio, uno dei commensali quotidiani di Areneo, del perchè era più affabile e di facile conversazione dopo che aveva bevuto vino, rispose: «Perchè sono della natura dei lupini, quanto più stanno a molle, vengono più dolci.» La sua acqua amarissima combatte molte dermatosi erpetiche usata per lavanda. Era molto in credito per la pogoniasi, ossia per impedire lo sviluppo della barba nelle donne. Dà farina per toilette, che rende la pelle bianca e morbida. Presso gli Assiri il suo decotto si adoperava per curare la rogna.
.: Lupin. Ted.: Wolsbohe. — Ingl.: Lupine. — Spagn.: Altramuz. Se ne contano 63 varietà. Serve meglio a concimare il terreno e ciò si usava fino ai
Pianta annua dell'Asia, Africa ed America, il cui frutto è bislungo, cilindrico, color pavonazzo, giallo o bruno, a norma delle varietà. È detto anche ovo vegetale. Il seme germoglia fino agli 8 anni. Si semina in aprile e maggio, si coglie in agosto e settembre. L'Ovigerum, varietà a frutto bianco, à la forma dell'uovo, e dai Milanesi è detto Œuf de pola. Vuole buon terreno, molto sole e frequenti irrigazioni. Gli ovali sono i più delicati. La polpa della melanzana è bianca e succosa. Levata la sua innata amarezza mediante infusione nell'acqua, costituisce un cibo abbastanza grato, nutritivo e di facile digestione. Conviene spogliarla dalla buccia. Concilia il sonno, nel linguaggio delle piante significa appunto: mi fai venir sonno. Si taglia a fette per le zuppe e minestre. Nei paesi caldi, immatura, si mangia in insalata e cruda coll'olio e pepe, e cotte si mettono in aceto. In Egitto si coce sotto cenere. Nel genovesato si riempie come le zucchette. Altrove, pelata, si taglia a fette, si triffola, si imborag[gia] coll'ovo e farina e si frigge. Pelata e bollita in acqua per due minuti, si secca al forno e si conserva per l'inverno. Colle foglie si fanno decotti, cataplasmi, e questi anche colla polpa del frutto. Il suo nome Melanzana, dal latino Mela insana, perchè la dicevano di diffìcile cottura e digestione. I Greci, al dire di Galeno, la usavano pochissimo. Dioscoride ne predica il gusto innocente. Teofrasto lo accusa di essere di nessun nutrimento. Il Durante le dedica un verso calunnioso e bugiardo:
, à la forma dell'uovo, e dai Milanesi è detto Œuf de pola. Vuole buon terreno, molto sole e frequenti irrigazioni. Gli ovali sono i più delicati. La
Pianta erbacea perenne, originaria dall'Inghilterra coltivata in tutta Europa. Nel linguaggio dei fiori: Calore, forza di sentimento. Se ne conoscono 15 varietà: e tra queste la crespa, la romana e la peperita, quale è la migliore e la più usitata ed è il vegetale più caldo dei climi freddi. La varietà mentapulegium pulex irritans, serve ad allontanare le pulci ed è contro la golosità. Nel linguaggio dei fiori: Virtù. À odore piacevole, piccante, sapore amarognolo alquanto di canfora, della quale è ricca, eccita dapprima un calore alla bocca, su di che segue un grato fresco. Si coltiva negli orti e nei giardini. Vuole terreno sostanzioso e umido. Si moltiplica per semi e meglio per radici in primavera ed autunno. Fiorisce in estate. È coltivata in grande nella China, nell'Inghilterra e nell'America del Nord per farne essenza. Quella inglese è la più pre[giata,]
orti e nei giardini. Vuole terreno sostanzioso e umido. Si moltiplica per semi e meglio per radici in primavera ed autunno. Fiorisce in estate. È
Il Nasturzio, o Lepidio, è pianticella annuale indigena, conosciuta e coltivata nei giardini e negli orti pei suoi fiori giallo-scuri e rossi. Nel linguaggio dei fiori: Mi importuni. Si moltiplica seminando i suoi frutti a primavera, fiorisce fino all'Ottobre, ama terreno grasso e inaffiamenti. I semi germogliano fino ai 5 anni. Avvi una varietà a larghe foglie (lepidium latifolium) che si coltiva come la precedente. Il nome di lepidio, da lepis squama, perchè si usava a rimedio delle impettigini squamose. Anche presso di noi il volgo lo usò molto tempo per distruggere i vermi ai ragazzi. La pianta è diuretica, i fiori si mangiano colla insalata, che rendono più allegra e saporita per un certo acre tra il rafano e la senape che le comunica. I semi possono supplire ai capperi, conservansi verdi nell'aceto e se ne fa salse. I Greci lo chiamavano Hardamon e lo mangiavano principalmente colla lattuga. Egineta e Zenofonte asseriscono che serviva di companatico ai Persiani. I Latini lo chiamarono Nasturtium, a nasi tormento, oppure da nasus tortus, dice Plinio, perchè fa arricciare il naso od eccita le papille nasali come la senape. Ne dissero mirabilia Dioscoride, Galeno, Avicenna. Gli antichi gli assegnarono la virtù di infondere coraggio, e di chiarificare le idee, onde il precetto:
linguaggio dei fiori: Mi importuni. Si moltiplica seminando i suoi frutti a primavera, fiorisce fino all'Ottobre, ama terreno grasso e inaffiamenti. I
Alla patata si può accoppiare il pero di terra (Heliantus tuberosus), detta pure patata americana, tartufo bianco, tartufo di canna. Franc.: Topinanbour, poir de terre, du Bresil; Ted.: Endbirn; Ingl.: Jerusalem artichoke. Radice tuberosa, simile alla pianta del girasole, con fiori gialli in settembre ed ottobre, originaria del Brasile e del Messico. Nel linguaggio dei fiori: Adorazione, falsa ricchezza. Vuol terreno ricco, si propaga, dividendone le radici in primavera. Resiste al freddo e venne coltivato in Europa prima della patata, e non è farinaceo come questa, si può lasciarla in terra anche l'inverno e lo si raccoglie al bisogno. Si usa fresco, e lavato va messo subito nell'acqua fresca, perchè non perda il suo colore. Lo si coce, gettandolo in acqua bollente e salata, in 30 o 40 minuti. Troppo cotto diventa duro e legnoso. Lo si condisce con salse, lo si frigge impannato, lo si fa in guazzetto, in insalata, ma è molto più indigesto della patata. Si vuole che l'Haliantus tuberosus possegga una particolare attività depurativa dell'aria ed aspiri una grande quantità di ossigeno a guisa dell'Eucalyptus.
settembre ed ottobre, originaria del Brasile e del Messico. Nel linguaggio dei fiori: Adorazione, falsa ricchezza. Vuol terreno ricco, si propaga
Il pero è un albero piramidale, indigeno europeo, a foglia caduca. Ama il clima temperato, ma sopporta i freddi dell'Italia settentrionale. Vuol terreno alquanto calcareo e profondo. Si propaga per semi, barbatelle ed innesto. In aprile dà fiori bianchi in mazzetti, matura i frutti a seconda delle varietà da luglio ad ottobre. À vita lunga. Le sue varietà si contano a centinaia, e però altre sono precoci ed altre tardive, altre danno frutto mangiabile appena colto, altre lo maturano d'inverno e sono chiamate invernenghe. In generale, i nomi che si danno alle pera, provengono dagli antichi nomi che avevano o dagli uomini che li fecero conoscere e posero in uso, o dai luoghi donde vennero, o dalla loro figura e colore, o dai tempi nei quali maturano. Con raffinata coltura, in Francia si ànno pere che maturano ogni mese dell'anno. Il nome pero, dal greco pyr, donde anche pira, che vuol dire fuoco, dalla forma che à il pero di piramide, di fiamma accumulata.
terreno alquanto calcareo e profondo. Si propaga per semi, barbatelle ed innesto. In aprile dà fiori bianchi in mazzetti, matura i frutti a seconda delle
La pimpinella (da bipennula, per le foglie bipennate) detta anche salvastrella, è originaria della Germania. Ve ne ànno di 5 specie. Il seme à durata germinativa per tre anni. È pianticella erbacea perenne, si moltiplica per seme, ma meglio per radici in autunno, si adatta a qualunque terreno, ma lo predilige umido e fresco, à fiori a spira rossastra, nasce naturalmente nelle montagne e nei prati, resiste al freddo. Nel linguaggio dei fiori: noncuranza. Si coltiva negli orti per uso di cucina; le sue foglie servono per condimento e per guarnizione d'insalata. Si raccomanda per il suo odore di melone. I suoi fiori, messi in decozione con certa quantità di allume, sviluppano un bellissimo color grigio che serve a tingere la lana, la seta ed il cotone. Gli antichi ne usavano per guarire la tabe. Pare fosse l'erba chiamata dai Greci Phrinion, usata contro i morsi dei rospi, chiamati appunto dai Greci phrinos. È leggermente astringente. Un proverbio dice: «L'insalata non è bona nè bella, se vi manca la pimpinella.»
germinativa per tre anni. È pianticella erbacea perenne, si moltiplica per seme, ma meglio per radici in autunno, si adatta a qualunque terreno, ma
È un grande albero a foglia caduca, originario delle Indie Orientali, della Persia, dell'Arabia e della Siria. Fra Damasco ed Aleppo ve ne ànno selve intere. Da noi è fatto indigeno in Toscana, nel Genovesato e nella Sicilia. Nelle provincie meridionali della Francia vegeta pure con prosperità. Non resiste d'inverno in piena terra nei paesi settentrionali. Vuol terreno sostanzioso, leggero e parche irrigazioni. Si moltiplica per semi, che si fanno nascere sotto cuccia, porta in primavera fiori piccoli, giallognoli, a cui succedono frutti ovali lunghi, secchi, con polpa sottilissima, e grossi quanto una oliva, contenenti un nocciolo che apresi in due valve, entro le quali trovasi una màndorla verde coperta d'una pellicola rossastra, d'un sapor dolce, soave, grato, pingue. Nel linguaggio dei fiori e piante: Accoglienza benevola. Questo frutto è mangereccio e per i pregi ed i difetti è da mettersi insieme al pignolo. Contiene molto olio, che è facile estrarre con semplice pressione. Serve a preparare alcune emulsioni, affatto simili a quelle delle màndorle dolci, prescritte nelle infiammazioni degli intestini e delle vie orinarie. I confetturieri ne fanno grande uso in paste e confetti. I salumai ne regalano le galantine e certi salami a cuocersi. I cuochi lo mettono nei polpettoni e nei croquants, che i fiorentini chiamano pistacchiata. Se ne fa pure una eccellente conserva. Gii Arabi lo chiamano pustach, e gli Olandesi pistassies. Vuoisi che chi lo portò in Italia fosse il console romano Lucio Vitellio, sotto Tiberio, di intorno dalla Siria, come Fiacco Pompeo, suo commilitone, lo portò pel primo, in Spagna.
resiste d'inverno in piena terra nei paesi settentrionali. Vuol terreno sostanzioso, leggero e parche irrigazioni. Si moltiplica per semi, che si
Il cotogno è pianta indigena, a foglia caduca, originaria dalla Grecia. Vuol terreno sciolto, fresco, clima caldo, teme il vento. Si propaga per barbatelle, semi, tallee. Conta poche varietà: il comune, o cotogno di China (Cydonia Sinensis)a frutto piriforme ed oblungo molto grosso ed il cotogno di Portogallo (C. lusitania), che è il migliore. In aprile e maggio dà grandi fiori bianchi o di un rosso pallido. Frutti gialli in ottobre. Nel linguaggio delle piante: Fastidioso. Il suo nome Cydonia, da Cydon, città dell'isola di Creta, fondata da Cidone, figlio di Apollione, da dove venne in Italia. I Greci lo chiamavano: Crysomela, Catone:cortonea, Virgilio: mela aurea, perchè maturando acquista color giallo dorato (Buc, Egl. III, n. 73): aurea mala decem misi, cras altera mittam. Evvi chi vuole che il suo nome venga da coctognus, il che si potrebbe spiegare da ciò, che si mangia coctus, perchè crudo è insipido. La cotogna è frutto grosso come una mela ordinaria, carnoso, giallo anche nella polpa, di odore penetrante, che facilmente comunica agli oggetti vicini e si forte che non si può, senza incomodo, tenerlo nelle camere d' abitazione. À sapore sì astringente ed agro, che è impossibile mangiarlo crudo, lo perde però colla stagionatura, coll'essiccazione, colla cottura, ed
Il cotogno è pianta indigena, a foglia caduca, originaria dalla Grecia. Vuol terreno sciolto, fresco, clima caldo, teme il vento. Si propaga per
Il suo nome dal greco Selidon, o, secondo altri, da Petrosselene, pietra di luna, avendo i semi la forma d'una luna nascente. Nel linguaggio delle piante significa: Banchetto, convito. Vuolsi originario della Sardegna, dove cresce naturalmente, ma oggi è comune a tutti i paesi. Il prezzemolo non teme nè il caldo nè il freddo, non è niente delicato riguardo al terreno, amando però meglio quello leggero, ricco ed umido. Si semina a primavera e se ne à tutto l'anno. Avvi la varietà riccia, o prezzemolo crespo, le cui foglie sono frastagliate; la varietà grossa, o prezzemolo sedanino di Napoli, le cui radici voluminose sono bone a mangiarsi fritte ed accomodate. L'antico petroselinon è quello detto di Macedonia che alligna fra le pietre e fra le roccie (da cui il nome, quasi apium petrinum) à foglie più ampie ed è più dolce. La semente invece è più aromatica e d'un sapore che si avvicina a quello del cumino. Il prezzemolo è bisannuale, e i suoi semi producono fino ai 3 anni. Ama i terreni sabbiosi e teme il freddo. Avvi quello di palude e quelle di montagna selvatico. Il prezzemolo comune somiglia molto alla cicuta che nasce spontanea negli orti, si riconosce però
teme nè il caldo nè il freddo, non è niente delicato riguardo al terreno, amando però meglio quello leggero, ricco ed umido. Si semina a primavera e se
Il ramolaccio, o armoracio, è radice annuale, indigena, originaria della China o dell'Asia Minore. Vuole terreno sciolto, pingue e buona esposizione, abborre il massimo caldo. Il seme à virtù per 5 anni. Avvene molte varietà, sì per grandezza che per forma e colore. I bianchi grossi e i ruggini dolci, d'estate si seminano da marzo a giugno, per averne in estate ed autunno. I rotondi, o lunghi, sia bianchi che neri forti, dal giugno a settembre, per averli dall'autunno a primavera. Il ravanello è bianco o rosso, rotondo o lungo, o rosa lunghissimo di Firenze. Si può seminarlo tutto l'anno ed averne tutti i mesi. Meglio seminarlo appena terminati i geli. La miglior semente è quella dell'anno antecedente. Avvi pure il ravanello serpente (raphanus caudatus) di Oiava, ancora poco conosciuto, che à lunghissimi baccelli terminali che possono prolungarsi lino a un metro, di gusto piccante, e che, verde, si pone in aceto. Il ramolaccio e il ravanello addivengono stopposi, bucherati o tarlati, e ciò dipende dalla qualità della terra (che amano terreni forti, tenaci ed asciutti), o al lasciarli troppo nella terra dopo sviluppati, o al conservarli qualche giorno dopo colti. Nel linguaggio delle piante: Dispetto. Il ramolaccio à gusto acre, piccante, si mangia crudo con sale, olio, pepe colla carne. È considerato un condimento pesante allo stomaco e diffìcile a digerirsi. Fu detto che il ramolaccio fa digerire tutto, ma egli non è digeribile:
Il ramolaccio, o armoracio, è radice annuale, indigena, originaria della China o dell'Asia Minore. Vuole terreno sciolto, pingue e buona esposizione
Radice erbacea annuale, indigena, di patria ignota, che vuol terreno ricco, leggero, fresco. Si semina tutto l'anno, si raccoglie come la patata, i semi durano fino al settimo anno. Varietà: lunga dolce (hortensis), quando è cotta chiamasi da noi: bojocch, la rotonda à radice compressa. La rapa è carnosa, dolce, di facile digestione, di sapore ignoto, e contiene il 92 per cento d'aqua. La rapa è più saporita da ottobre a febbraio. Si sfetta nelle zuppe, nelle minestre, si mangia condita col burro, formaggio e spezie, in salsa bianca, in insalata, si frigge. Si marita bene al montone e all'anitra. La sua semente dà olio da ardere. Dal sugo espresso e fermentato, se ne può cavare spirito pure da ardere. In Francia, Belgio ed Inghilterra si coltiva la specie gialla per foraggio, e vi vengono grossissime. Il suo nome di rapa, viene da rapere, verbo latino, che significa rubare, perchè le rape mangiandosi crude dai Romani, si rubavano volentieri dai passanti nei campi. Nel linguaggio delle piante: Sei scipito. Pare che presso gli antichi fosse un cibo ghiotto, perchè tutti ne parlano. Marziale ne vantava il sapore allorchè anno sentito il freddo.
Radice erbacea annuale, indigena, di patria ignota, che vuol terreno ricco, leggero, fresco. Si semina tutto l'anno, si raccoglie come la patata, i
Lo spinacelo o spinace di orto, è pianticella erbacea annuale, indigena, originaria dall'Asia. Vuol terreno sciolto, sostanzioso, grasso, lavorato, si semina da gennaio a tutto settembre per averne l'anno intero. Il seme dura per 5 anni. Nel linguaggio dei fiori dice: Confidenza. Pongasi cura a coprirlo leggermente dal freddo e a tenerlo pulito dalle erbe selvatiche. Fra le varietà di spinacci notiamo quello d'Inghilterra a semi pungenti, a lunghe foglie, quello d'Olanda a foglie rotonde, di Fiandra, quello a foglie di lattuga larghissime, infine la recente varietà Viroflay, la quale sorpassa in prodotto tutte le altre. Lo spinacelo è cibo leggiero, ma gustoso e sano. Chi lo cuoce asciutto e chi all'aqua; migliore il primo metodo. Si mangia in minestra, triffolato, si frigge, si marina. Se ne fa torte e puree, si marita alla frittura e colle lumache. Gli spinacci sono leggermente lassativi e non convengono a tutti gli stomaci. Fu portato lo spinaccio dagli Arabi in Spagna e dalla Spagna in Italia, e dapprima erano detti spagnacci, d'onde la corruzione spinacci. Serapione invece assevera che in lingua araba sono detti spanacli. Altri invece vogliono il suo nome da spina, perchè la sua semente è a punta spinosa. Opinano alcuni scrittori che lo spinaccio non fosse conosciuto dagli antichi, ma pare che fossero da questi indicati sotto il nome di atriplex e blitum. Greci e Latini convengono che l'atriplex e il blitum erano:
Lo spinacelo o spinace di orto, è pianticella erbacea annuale, indigena, originaria dall'Asia. Vuol terreno sciolto, sostanzioso, grasso, lavorato
Il tartufo è un tubero dalla superficie oscura e scabra, dall'interno chiaro e scuro, a seconda della qualità, dall'odore aromatico, dal sapore superlativamente ghiotto. Nel linguaggio delle piante: Tesoro. La storia del tartufo è d'una antichità pressochè biblica. Ma, concesso pure che i Dudhaïm portati a Lia dal figlio Ruben non fossero tartufi, come pretendono Carduque e Daniel, è certo che gli Orientali, nelle loro regioni sabbiose, ànno conosciuto di bon'ora il tartufo del deserto, quello che i Siri di Damasco, al dire di Chabreus, trasportavano sui cammelli e che è ancora, per gli Arabi dell'Algeria, un cibo ricercato. Questo squisito tubercolo compariva già fra le più prelibate ghiottonerie dei Faraoni. Le conquiste, le emigrazioni ed il commercio ne estesero l'uso ai Greci e poi ai Romani. Aristotile e il suo discepolo Teofrasto, tre secoli avanti l'êra volgare, divinarono la sua natura vegetale e autonomica, anzi quest'ultimo dice, che a Mitilene crescevano per le inondazioni del Tiaris, che vi portava le sementi di queste produzioni sotterranee, eh' egli chiama mysi. Plinio, eco dei pregiudizii del suo tempo e di quelli di Plutarco, racconta che Laerzio Licinio Pretore di Spagna, in Cartagine si ruppe gli incisivi masticando un tartufo che conteneva una moneta e chiama il tartufo un bitorzolo, un escremento della terra, vitium terrae. E per molto tempo, suffragante la dottrina di Galeno, indusse l'errore, che i tartufi fossero l'effetto dell'azione combinata degli elementi e del tuono, e si chiamavano gènègès, ossia figli della terra e degli Dei. Et faciunt lautas optata tonitrua coenas, cantava dei tartufi il Poeta d'Aquino. Una serie di spropositi accompagnarono il tartufo attraverso il Medio Evo fino a noi. Chi lo chiamò un fungo, chi asserì fosse una certa tuberosità di certe radici, chi la trasudazione degli alberi, chi fosse una specie di galla, di muffa, chi infine insegnò fosse un prodotto del morso di certe mosche od insetti su organi vegetali. Non fu che dopo duemila anni e coll'aiuto del microscopio, che gli scienziati giunsero a persuadersi che il tartufo è un vegetale vivente di vita propria, e che possiede grani, o semi vitali di riproduzione. Claudio Geoffroy nel 1711, fu il primo a darne all'accademia delle scienze in Francia, la notizia, e Micheli, pochi anni dopo, ne dava il disegno. Ammessi i semi, nacque naturalmente l'idea di ottenerne la riproduzione artificiale. I primi tentativi vennero fatti nel 1756 da Brandley in Inghilterra, dal Conte di Borch nel 1780 in Piemonte, da Bornholz in Germania nel 1825 e verso il 1828 dal Conte di Noè in Francia. La teoria della riproduzione artificiale fu sostenuta tra gli altri dal milanese Vittadini (Monographia tuberculorum, Milano, 1831). «Se volete dei tartufi, seminate delle ghiande di quercia.» Questo aforismo del conte De Gasparin riassume l'esperienza di oltre sessantanni. Nel 1834 un botanico, M. Delastre, fece conoscere al Congresso scientifico di Poitiers il fatto, allora paradossale, della riproduzione artificiale dei tartufi coi semi di quercia. La scoperta è dovuta a un semplice contadino, Gaspare Talon, il cui figlio Ilarione è oggi, grazie ai tartufi, milionario. Il campo della scoperta è in Francia e precisamente la pianura detta di Scilla, vicino a Croagne, ove Scilla sbaragliò del tutto i Cimbri ed i Teutoni, dopo la grande vittoria che Mario aveva riportato su quei barbari nelle vicinanze di Aix. Tale scoperta consiste in ciò, che piantando dei semi di quercia, vale a dire rimboscando di quercie il terreno ove alligna il tartufo, se ne ottiene una periodica e certa raccolta. Del come poi i semi vengono fecondati e nutriti, del come vengono portati, dove si sviluppano, è ancora l'X incognita degli scienziati. Questo solo si sa, che il tartufo nasce, vive e prospera dovunque prospera la vite, ove il terreno è argilloso, calcareo e dove la quercia è la principale vegetazione arborescente del paese. Difficilmente lo si trova fuori del raggio degli alberi, sicchè pare che se non parassita, trovi molto comodo passare la sua vita fra le loro radici. Teme la troppa ombra e l'asciutto. Le sue simpatie sono per la Quercus Alba, la Coccifera o Kermes, l'llex, la Peduncolata, la Ruber (rovere). Ne à però di straforo anche per la noce, pel faggio, la betulla, il cedro, il ginepro, la rosa, il pino silvestre, la pescia (Abies), per il pruno, il biancospino, il sorbo, il carpine (Carpinus betula) e raramente pel castano. Due sorta di tartufi si ànno, l'oscuro ed il bianco. Il primo si vuole sia l'unico, vero tartufo, l'altro il falso tartufo delle sabbie e del deserto. Si vuole ancora che il tartufo sia sempre bianco allorchè non à raggiunto la sua maturanza, e che raggiungendola diventi oscuro. Pare invece sia questione di terreno e di alimentazione, come pure da ciò dipende l'abbondanza o deficienza del suo aroma, che da noi sono più saporiti e delicati i bianchi, degli oscuri.
. Tale scoperta consiste in ciò, che piantando dei semi di quercia, vale a dire rimboscando di quercie il terreno ove alligna il tartufo, se ne ottiene
Timo, dal greco timos, animo, perchè si dava nei deliqui — altri, lo vuole da (thio, sacrificare, perchè si usava nei sacrifici agli dei. Piccolo arbusto perenne, indigeno, originario della Palestina. Nel linguaggio, dei fiori significa: Attività. Ve ne sono ben venti varietà. Si propaga per semi in primavera e meglio per divisione di radici. Il seme à virtù germinatrice per tre anni. Lo si semina per bordure nei giardini, ama bona esposizione, terreno magro ed asciutto. Il timo, detto anche Pepolino, Sermolino, Piperella (Serpyllum), dà piccoli fiori porporini e rosei nella state. Cresce naturalmente nei pascoli, nelle siepi e prati montuosi, à grato profumo, che si marita assai bene a quello delle rose. Il suo nome da Thymiama, profumo, citato in molti luoghi anche della Bibbia. Presso i Greci era l'emblema della forza e del coraggio, teste Dioscoride. Si adopera in cucina per dare aroma alle carni, agli intingoli, ai legumi. È antispasmodico, leggermente riscaldante ed eccitante. Serve nella distilleria per liquori ed aque da toilette. Contiene molta copia d'olio etereo giallo, dal quale si estrasse recentemente un acido detto acido timico, che è preferibile per disinfezioni al fenico, conservando nel suo stato di acido l'aroma della pianta. Il timo è amato dalle capre e dalle api, lo dice Virgilio nell'Egloga 3a:
, terreno magro ed asciutto. Il timo, detto anche Pepolino, Sermolino, Piperella (Serpyllum), dà piccoli fiori porporini e rosei nella state. Cresce
Radice biennale indigena carnosa, tonda, zuccherina, originaria dalle coste Europee dell'Atlantico e del Mediterrraneo. Principali varietà: La campestre, rossa all'esterno, screziata di bianco e roseo all'interno, e la gialla oblunga e rotonda che servono specialmente per il bestiame. Le mangiereccie sono: la Bianca di Slesia bianca all'interno ed all'esterno detta Beta Cycla (in Fr. Navet) che è quella che contiene maggior quantità di zuccaro, e la Rossa preferita per gli usi domestici ed è la più nutritiva, ma è pur quella che ingrossa meno. La Barbabietola contiene il 88% di acqua. Si spargono i semi in Febbraio e Marzo, in terreno fresco, profondo, pingue. Si colgono i frutti in Agosto - Si mangia cotta, (meglio al forno) condita in insalata: è alquanto indigesta. Dalla Barbabietola Cycla, quando è novellina se ne levano le foglie dette da noi erbette che si mangiano bollite, e servono nella minestra e a marinare le zuppe. I suoi nervi quando è invecchiata diconsi da noi cost (in Fr. còtes de poirèes), e si mangiano concie con burro, sale e cacio, richiedono molto condimento e le foglie (Bied) vengono pure usate nelle zuppe e negli erbolati (scarpazza) e nelle medicazioni vescicatorie. La Barbabietola attualmente è coltivata in grande onde cavarne zuccaro. Troviamo nominata la barbabietola da antichissimi autori, ma con poca lode. Erano celebrate quelle di Ascrea, che era un paesucolo sterile della Beozia e forse non avevano che quelle. Marziale diceva che questo cibo da fabbro bisognava condirlo di vino e di pepe:
spargono i semi in Febbraio e Marzo, in terreno fresco, profondo, pingue. Si colgono i frutti in Agosto - Si mangia cotta, (meglio al forno) condita in
Il suo nome dal greco Daucus che vuol dire bruciare, perchè i semi della carota si ritenevano molto riscaldanti. Vuolsi originaria dalle sponde del Mar Rosso. È una radice indigena annuale succosa, carnosa. Oltre la selvatica, abbiamo la varietà bianca, rossa, violacea e gialla. Da noi specialmente si coltiva la rossa e la gialla, ma la più stimata di tutte è la bianca o moscatella, che sembra essere lo Staphylinos di Galeno e di Dioscoride. Vuole terreno grasso e lavorato. Si semina alla fine di Marzo. In Ottobre e Novembre si raccolgono le radici e si custodiscono entro la sabbia per gli usi domestici, oppure si lasciano nel terreno, purché ben esposto e difeso dal gelo. Nella seguente primavera si ottiene la semente. In Inghilterra e sul napoletano si coltiva in grande anche per foraggio ai cavalli. La carota è una verdura ricca di amido e di zuccaro, che dà un cibo sano ed aromatico, che ingrassa. Si fa cuocere colle carni per dar loro sapore, si mescola in molti intingoli, allegra la busecca milanese, serve di letto alle salsiccie, è la sorella direi quasi la gemella del Sedano: dove va l'uno va quasi sempre anche l'altra. Si fa cuocere in acqua e brodo, tagliata a fettuccie si condisce col burro ed è eccellente piatto di verdura, si mangia in insalata. Colla sua polpa se ne fanno purèe e torte, entra in molte salse. Le foglie verdi servono ad allontanare le cimici mettendole nel pagliericcio o strofinando con esse le lettiere. La carota infusa nell'alcool dà un liquore nominato Olio di Venere. Se ne può cavare un'acquavite migliore di quella dei cereali. I suoi semi sono aromatici e lievemente stimolanti. In Inghilterra se ne fa un grato infuso teiforme. Nel Nord della Germania sono usati nella fabbricazione della birra, le danno maggior grazia e forza. Gli Arabi l'adoperano per fare buon alito e ritengono che il loro aroma rafforzi le gengive. Plinio e Dioscoride dicono che la carota mette appetito. Fin dall'antichità si dava ai convalescenti. Areteo lo consigliava nell'elefantiasi. Più tardi ne usarono i medici contro il cancro e le ulceri, nell'asma, nella bronchite, fino nella tisi. È rimedio volgare nelle scottature. Esternamente, la polpa si usa raschiata cruda-internamente, il roob, lo sciroppo. In Turchia se ne preparano col suo succo biscotti e pane in polvere per i bambini.
. Vuole terreno grasso e lavorato. Si semina alla fine di Marzo. In Ottobre e Novembre si raccolgono le radici e si custodiscono entro la sabbia per gli
Varrone dice che cucumis viene da cucumeres a curvitate dictos, quasi circumvimeres, cioè che desumono il nome della forma. Nel linguaggio dei fiori: goffaggine. È pianta annale originaria dall'Oriente o meglio dalle Indie. Ama bon terreno a mezzodì, larghe irrigazioni. Ad ottenere grossi frutti si svetta la pianta dopo fiorita. La semente si fa nascere su letto caldo e si trapianta in Aprile in luna vecchia. Avvene molte varietà: Il bianco grosso, da insalata, il piccolo, per aceto, il giallo precoce, il tondo a pelle ruggine ricamata, che à carne fina bianchissima, il verde lungo inglese, quello d'Atene, ecc. Il citriolo à odore suo proprio, raccogliesi il frutto acerbo o mal maturo e ridotto in fette si mangia in insalata con olio, aceto, sale e pepe. I piccoli si mettono in conserva nell'aceto, per mangiarli colla carne a lesso. I citrioli sono molti indigesti — cotti i citrioli non lo sono, e si fanno farciti come le zucche e servono come guarnizione. Dei citrioli tutti ne dissero male. Fu sempre reputato un cibo difficile a digerirsi. Galeno voleva che si abolisse dai cibi dell'uomo, come la più iniqua delle vivande, e Plinio asseriva che gli restava sullo stomaco fino al giorno dopo. Nerone ne era ghiottissimo e Tiberio ne mangiava ogni giorno, ma cotti. I milanesi per dire che una cosa val poco, ànno il proverbio: la var trii cocùmer e un peveron. E per dare dell'imbecille ad alcuno lo chiamano un cocùmer. I citrioli erano una delle dolci rimembranze egiziane degli Ebrei nel deserto. Num. 11.
: goffaggine. È pianta annale originaria dall'Oriente o meglio dalle Indie. Ama bon terreno a mezzodì, larghe irrigazioni. Ad ottenere grossi frutti si
Pianticella annuale originaria della Mesopotamia che dà il noto legume coltivato molto in Francia e nel Vallese. Vuol terreno sciolto, asciutto, non molto grasso. Si semina in primavera e si colgono i frutti appena maturi perchè non cadano. Due varietà principali: la gialla e la rossiccia, questa più saporita. Si conservano per l'inverno in luogo asciutto e prima di usarne, si lasciano macerare in acqua onde si gonfino e diventino tenere. Se ne fa farina ed è molto leggera e buona pei malati. Le lenti si mangiano in minestra, come i fagioli, si mettono cotte negli umidi, accompagnano i salami cotti principalmente quello di fegato, la mortadella. Se ne fa purèe e flan di sapore delizioso. Al tempo antico dovevano essere molto più saporite d'adesso. Esaù le rese celebri cedendo per un piatto di esse la sua primo- genitura. Sono di un uso molto antico e generale. Ovidio dà la palma a quelle di Pelusio in Egitto. Ateneo da il menu d'una cena con queste parole: « mangiammo un piatto di lenti, poi ne venne un altro, poi ce ne servirono di nuovo ben condite in aceto. » Allora si servivano le lenti come oggi si fà della patata in Svizzera. Difilo comico, fà dire ad un suo personaggio: « la tavola era pulitamente disposta, noi avevamo ciascuno un piatto ben colmo di lenti. » Zenone, il fondatore della setta stoica, dice, essere uno dei caratteri del saggio quello di saper condir bene le lenti. Ecco il suo dogma - Sapientem omnia recte agere et lentem diligenter condire. La famiglia dei Lentuli doveva il suo nome a degli antenati venditori di lenti. Marziale ne parla in Xeniis:
Pianticella annuale originaria della Mesopotamia che dà il noto legume coltivato molto in Francia e nel Vallese. Vuol terreno sciolto, asciutto, non
Pianta annua dell'Asia, Africa ed America, il cui frutto è bislungo, cilindrico, color pavonazzo, giallo o bruno, a norma della varietà. Si semina in Aprile e Maggio, si coglie in Agosto e Settembre. L'Ovigerum varietà a frutto bianco à la forma dell'uovo e dai Milanesi è detto Oeuf de pola. Vuole buon terreno, molto sole e frequenti irrigazioni. Gli ovali sono i più delicati. La polpa della melanzana è bianca e succosa. Levata la sua innata amarezza, mediante infusione nell'acqua, costituisce un cibo abbastanza grato, nutritivo e di facile digestione. Conviene spogliarla dalla buccia. Concilia il sonno. Si taglia a fette per le zuppe e minestre. Nei paesi caldi, immatura si mangia in insalata e cruda coll'olio e pepe, e cotte si mettono in aceto. In Egitto si cuoce sotto cenere. Nel Genovesato si riempie come le zucchette. Altrove, pelata si taglia a fette, si triffola, si imboraggia coll'ovo e farina e si frigge. Pelata, e bollita in acqua per due minuti, si secca al forno, e si conserva per l'inverno. Colle foglie si fanno decotti, cataplasmi, e questi anche colla polpa del frutto. Il suo nome Melanzana, dal latino Mela insana, perchè la dicevano di difficile cottura e digestione. I Greci, al dire di Galeno la usavano pochissimo. Dioscoride ne predica il gusto innocente. Teofrasto lo accusa di essere di nessun nutrimento. Da noi, il più comune dà il frutto color violetto ed è quello ricordato dal Boccaccio, che ne era ghiotto, nell'Ameto. La parola Meresgian, si dice venga da Mela di Giano, cioè sacra a Giuno. Un proverbio dice:
buon terreno, molto sole e frequenti irrigazioni. Gli ovali sono i più delicati. La polpa della melanzana è bianca e succosa. Levata la sua innata
Pianta erbacea perenne, originaria dall'Inghilterra, coltivata in tutta Europa. Nel linguaggio dei fiori: Calore, forza di sentimento. Se ne conoscono 15 varietà, e tra queste la crespa, la romana e la peperita, la quale è la migliore e la più usitata — nel linguaggio dei fiori: Virtù. À odore piacevole, piccante, sapore amarognolo alquanto di canfora, della quale è ricca, eccita dapprima un calore alla bocca, su di che segue un grato fresco. Si coltiva negli orti e nei giardini. Vuole terreno sostanzioso ed umido. Si moltiplica per semi e meglio per radici in primavera ed autunno. Fiorisce in estate. È coltivata in grande nella China, nell'Inghilterra e nell'America del Nord per farne essenza. Quella in- glese è la più pregiata, il suo clima umido e freddo le è più propizio. La menta è ricordata dalla Bibbia. Ippocrate sentenziava che la mentha calefacit, urinam sciet. Marziale la diceva Mentham ructatricem. Aristotele riferisce che gli antichi capitani proibivano nei loro orti e palazzi la menta e scrive: mentham ne commedes, net plantes tempore belli. La menta è stimolante anti convulsiva, anti spasmodica. Fu adoperata contro i reumi, la gotta, la scabbia ed il colera. Ecco il precetto della scuola di Salerno:
coltiva negli orti e nei giardini. Vuole terreno sostanzioso ed umido. Si moltiplica per semi e meglio per radici in primavera ed autunno. Fiorisce
Pianticella gramignacea annuale, originaria delle Indie. Se ne contano 3 varietà, secondo il colore del seme, bianco gialliccio e nero. Da noi si coltiva solamente il gialliccio e vuol terreno sciolto, pingue, solatio. Si semina raro in Giugno e Luglio, dopo la messe. Si chiama miglio dai mille semi che produce. Anche il miglio dà farina per alimento. Lo stesso nome antico di panicum indica che serviva a far pane. Da noi si dice ancora pan de mej perchè una volta anche da noi se ne usava, onde il sonetto del Burchiello: Perchè a Milan si mangia pan di miglio? Plinio al lib. 28 cap. 10 dice: Milio campania gaudet præcipuo, pultemque candidam ex eo facit: fit et panis prœdulcis. Appare da qui che ai tempi di Plinio si coltivava la varietà bianca, e che fino d' allora il miglio serviva per chicche da offelleria. In Asia se ne fà una certa polenta che si mangia con olio e grasso di porco. Del resto era usato come farina da pane nell'Etiopia, nell'Egitto, Persia, Siria e nell'Arabia. I semi del miglio si possono cocere in minestra col brodo e massime col latte, se ne fà torte. Ridotto in farina è buono a far polenta e pane che appena uscito dal forno è saporitissimo e non isdegnato dai gusti più delicati. La farina serve pure in pasticceria. Col miglio si alimentano i pulcini, le galline, il pollame e molti uccelli. I selvaggi lo arrostiscono. In Tartaria se ne compone una specie di birra e una certa aquavite che chiamano Bysa. Il miglio dev'essere conservato in luogo assai asciutto e dura così più d'ogni altro grano.
coltiva solamente il gialliccio e vuol terreno sciolto, pingue, solatio. Si semina raro in Giugno e Luglio, dopo la messe. Si chiama miglio dai mille
Il Nasturzio, o Lepidio, è pianticella annuale indigena, conosciuta e coltivata nei giardini e negli orti pei suoi fiori giallo-scuri e rossi. Nel linguaggio dei fiori: Mi importuni. Si moltiplica seminando i suoi frutti a primavera, fiorisce fino all'Ottobre, ama terreno grasso e inaffiamenti. Avvi una varietà a larghe foglie (lepidium latifolium) che si coltiva come la precedente. Il nome di lepidio da lepis squama, perchè si usava a rimedio delle impettigini squamose. Anche presso di noi il volgo lo usò molto tempo per distruggere i vermi ai ragazzi. La pianta è diuretica, i fiori si mangiano colla insalata, che rendono più allegra e saporita per un certo acre tra il rafano e la senape che gli comunica. I semi possono supplire ai capperi, conservansi verdi nell'aceto e se ne fa salse. I Greci la chiamavano Cardamon, lo mangiavano principalmente colla lattuga. Egineta e Zenofonte asseriscono che serviva di companatico ai Persiani. I latini lo chiamarono Nasturtium, a nasi tormento, oppure da nasus tortus, dice Plinio, perchè fa arricciare il naso ed eccita le papille nasali come la senape. Ne dissero mirabilia Dioscoride, Galeno, Avicenna. Gli antichi gli assegnarono la virtù di infondere coraggio, e di chiarificare le idee, onde il precetto: homines secordes et somnolentes nasturtium edere jubeamus. l milanesi ad indicare piedi lunghi e larghi alla moda inglese chiamano le scarpe dei loro fortunati possessori: cassett de Nasturzi.
linguaggio dei fiori: Mi importuni. Si moltiplica seminando i suoi frutti a primavera, fiorisce fino all'Ottobre, ama terreno grasso e inaffiamenti
Rumex da rumo, io succhio, perchè i fanciulli ne succhiano le foglie e le punte addette - nel linguaggio dei fiori - Asinaggine - è perenne, dura fino a 12 anni - si semina da Marzo a tutto Settembre - preferisce terreno umido - si moltiplica per mezzo di radici. Se ne contano 21 specie. Cresce anche nelle campagne, ma è da preferirsi quella coltivata nell'orto. Si mangia quando è verde. Preparasi in varie maniere come cibo: col burro e panna, come gli spinaci, colle ova, nelle frittate, nelle salse verdi, colla carne, nelle zuppe, negli intingoli; si mescola coll'insalata, massime alla lattuga - serve a togliere il puzzore alle carni, principalmente di pecora e castrato. Varietà: - la patientia, detta anche acetosa spinacio - (nel linguaggio dei fiori Pazienza) è indigena, si semina in Marzo e Aprile, dà fiori verdicci. Le acetose servono ad uso medicinale, in decotto e sono antiscorbutiche e contengono molto acido ossalico che fra tutti gli acidi vegetabili, è il più ricco di ossigeno — convengono in tutte la malattie infiammatorie. Dall'acetosella si prepara il noto sale di tal nome. L'acetosa, a' tempi andati fù detta anche erba alleluja, perchè fiorisce verso le feste pasquali. Impastata coll'aceto e seccata serve all'occorrenza per cambiare in poco tempo il vino in aceto — masticata scioglie i denti intorpiditi per aver mangiato frutte acerbe. La sua radice seccata e bollita dà una tinta rossa. Da noi si chiama erba brusca, pan cucch, pan mojn, de la Madonna.
fino a 12 anni - si semina da Marzo a tutto Settembre - preferisce terreno umido - si moltiplica per mezzo di radici. Se ne contano 21 specie. Cresce
Radice erbacea annuale, indigena, di patria ignota, che vuol terreno ricco, leggero, fresco. Si semina tutto l'anno, si raccoglie come la patata. Varietà: lunga dolce (hortensis) detta, quando è cotta da noi bojocch, la rotonda a radice compressa. La rapa è carnosa, dolce, di facile digestione, di sapore ignoto, e contiene il 92 % d'acqua. Si sfetta nelle zuppe, nelle minestre, si mangia condita col burro, formaggio e spezie, in salsa bianca, in insalata, si frigge. Si marita bene al montone e all'anitra. La sua semente dà olio da ardere. Dal sugo espresso e fermentato se ne può cavare spirito pure da ardere. In Francia, Belgio ed Inghilterra si coltiva la specie gialla, per foraggio e vi vengono grossissime. Il suo nome di rapa, viene da rapere, verbo latino che significa rubare, perchè le rape mangiandosi crude dai Romani, si rubavano volentieri dai passanti nei campi. Pare che presso gli antichi fosse un cibo ghiotto, perchè tutti ne parlano. Marziale ne vantava il sapore allorchè ànno sentito il freddo.
Radice erbacea annuale, indigena, di patria ignota, che vuol terreno ricco, leggero, fresco. Si semina tutto l'anno, si raccoglie come la patata
Piccolo arbusto perenne, indigeno, originario della Palestina. In linguaggio dei fiori significa : attività. Ve ne sono ben 20 varietà. Si propaga per semi in primavera e meglio per divisione di radici. Lo si semina per bordure nei giardini, ama buona esposizione, terreno magro ed asciutto. Il timo, detto anche Pepolino, Sermolino, Piperella, [Serpyllum] dà piccoli fiori porporini e rosei nella state. Cresce naturalmente nei pascoli, nelle siepi e prati montuosi, à grato profumo, che si marita assai bene a quello delle rose. Il suo nome da Thymiama, profumo, citato in molti luoghi anche dalla Bibbia. Presso i Greci era l'emblema della forza e del coraggio, teste Dioscoride. Si adopera in cucina per dare aroma alle carni, agli intingoli, ai legumi. E antispasmodico, leggermente riscaldante ed eccitante. Serve nella distilleria per liquori ed aque da toilette. Contiene molta copia di olio etereo giallo, dal quale si estrasse recentemente un acido detto acido timico, che è preferibile per disinfezioni al fenico, conservando nel suo stato di acido l'aroma della pianta. Il timo è amato dalle capre e dalle api, lo dice Virgilio nell'Egloga 3.*: Dum thymo pascuntur apes, dum rore ricada ?. E Orazio al lib. 4, Carm. Od. 2 :
per semi in primavera e meglio per divisione di radici. Lo si semina per bordure nei giardini, ama buona esposizione, terreno magro ed asciutto. Il timo
Un negoziante di cavalli ed io, giovanotto allora, ci avviammo al lungo viaggio, per que' tempi, di una fiera a Rovigo. Alla sera del secondo giorno, un sabato, dopo molte ore di una lunga corsa con un cavallo, il quale, sotto alle abilissime mani del mio compagno, divorava la via, giungemmo stanchi e affamati alla Polesella. Com'è naturale, le prime cure furono rivolte al valoroso nostro animale; poi entrati nello stanzone terreno che in molte di simili locande serve da cucina e da sala da pranzo: — Che c'è da mangiare? — domandò il mio amico all'ostessa. — Non ci ho nulla, rispose; poi pensandoci un poco soggiunse: ho tirato il collo a diversi polli per domani e potrei fare i risi. — Fate i risi e fateli subito, si rispose, che l'appetito non manca. — L'ostessa si mise all'opera ed io lì fermo ed attento a vedere come faceva a improvvisar questi risi.
stanchi e affamati alla Polesella. Com'è naturale, le prime cure furono rivolte al valoroso nostro animale; poi entrati nello stanzone terreno che in molte
Ora, tornando al bucchero, vi fu un tempo che, come ora la Francia, era la Spagna che dava il tono alle mode, e però ad imitazione del gusto suo, al declinare del XVII secolo è al principio del XVIII, vennero in gran voga i profumi e le essenze odorose. Fra gli odori il bucchero infanatichiva e tanto se ne estese l'uso che perfino gli speziali e i credenzieri, come si farebbe oggi della vainiglia, il cacciavano nelle pasticche e nelle vivande. Donde si estraeva questo famoso odore e di che sapeva? Stupite in udirlo e giudicate della stravaganza dei gusti e degli uomini! Era polvere di cocci rotti e il suo profumo rassomigliava a quello che la pioggia d'estate fa esalar dal terreno riarso dal sole, odor di terra infine che tramandavano certi vasi detti buccheri, sottili e fragili, senza vernice, dai quali forse ha preso nome il color rosso cupo; ma i più apprezzati erano di un nero lucente. Codesti vasi furono portati in Europa dall'America meridionale la prima volta dai Portoghesi e servivano per bervi entro e per farvi bollir profumi e acque odorose, poi se ne utilizzavano i frantumi nel modo sopra descritto.
rotti e il suo profumo rassomigliava a quello che la pioggia d'estate fa esalar dal terreno riarso dal sole, odor di terra infine che tramandavano