Prendete nel mese di Luglio dei caroli cappucci una quantità sufficiente per riempire un botticello, levategli le foglie più verdi e dure, tagliategli in filetti più fini che sia possibile,o interi, o divisi in due parti nel mezzo, alla ri- serva dell'anima, o torzo. Alcuni hanno un ordegno fatto espressamente a guisa di piana da falegname con quattro o cinque ferri taglienti per traverso, per filettate i cavoli bene, e con sollecitudine, come si prattica in Germania. Abbiate un botticello, o altro vaso di legno con cerchi dì ferro; e che non butti o faccia danno da veruna parte, altrimenti sortirebbe la concia, e li cavoli sarebbero perduti. Spandeteci nel fondo delle foglie de' cavoli tolte alli cappucci, e sopra spandeteci un suolo di cavoli filettati fini, sbruffateci un poco dì sale. Continuate cosi per quattro o cinque suoli; indi per qualche ora fate un poco appassire i cavoli, poscia batteteli leggermente con un battitore dì legno come quello che si pesta l'uva. Dopo replicateci sopra gli altri suoli di cavoli e sale, e batteteli nella stessa maniera, fino a tanto che il botticello sarà pieno. Allora metteteci sopra altre foglie di cavoli, copriteli con una tela di lino grossa, che incastri intorno al di dentro del botticello, e poneteci sopra delle dogarelle di distanza un dito traverse le une dalle altre, ed altre due per traverso, sopra le quali sì debbono porre i pesi necessari, onde premere i cavoli. Lasciate così circa dodici, o quindici giorni, secondo il caldo della stagione, acciò possino fermentare e bollire senza che levate la schiuma. Quando averanno finito di fermentare, ciò che facilmente si conosce, cessando allora di fare la schiuma, saranno fatti. Levate allora il tutto, eccettuate le foglio de' cavoli, lavate le dogarelle all'acqua fresca con una sponga, ed anche la tela di lino, e tornate di nuovo a rimettere come prima sopra i cavoli, aggiungendoci circa due fogliette d acqua con un poco di sale. Per la maniera di preparare questi cavoli, vedete Ragù di cavoli in Sorcruta nel Tom. IV. Cap. I., ACETI DIVERSI.
, cessando allora di fare la schiuma, saranno fatti. Levate allora il tutto, eccettuate le foglio de' cavoli, lavate le dogarelle all'acqua fresca con
Tutte le Gelatine, siano di frutti, di agrumi, di fiori, le potete guarnire dentro le stampe con il frutto, con la scorretta dell'agrume, o con il fiore, cioè. Quando averete fatto gelare nella stampa due o tre dite traverse di Gelatina, se è di fravole, vi potete mettere delle fravole intere e grosse bagnate nello sciroppo freddo e ben scolate; fate con queste fravole una corona o altro disegno sopra la Gelatina, e quindi aggiungetevi altre due o tre dita di Gelatina, alquanto rappresa; e così continuate per tre, o quattro strati, finchè la stampa sarà piena. Se la fate di persiche, o di albicocche, farete lo stesso, ponendo un suolo, o due di spicchi del frutto con le loro mandorle spaccate nel mezzo, cotti con zucchero ben stretto, ben freddi. Per le Gelatine di Visciole, di Framboese, di Ribes, di Ciriegie marine, farete lo stesso, come quella di Fravole, ma alle visciole bisogna levargli il bocciolo ed i pericoli. Quello che si deve osservare, che tutti i frutti con li quali si vogliano guarnire le gelatine, eccettuate le fravole, siano cotti bene stretti di zucchero, acciò con gettino umido dentro la gelatina. Per le Gelatine di Agrumi, si pone uno strato o due di scorrette, o di Cedrato, o di Portogallo, o di Limone, ec. , ma che siano cotte allo sciroppo, e ben scolate dal zucchero e fredde. Quanto alle Gelatine di Liquori, di granato, di Cocomero, di Caffè, di Visciole secche, di Fravole senza frutto, di Crescione; queste le appresterete, e servirete come sono descritte ai loro Articoli particolari. Tutte le Gelatine di fiori le guarnirete con il fiore col quale fate la Gelatina, ma che sia tirato a secco o brillantato prima di porlo nella Gelatina. Tutte le Gelatine guarnite e tramezzate in questa maniera, fanno, in questa maniera, non solo un bell'effetto alla vista, ma di più sono più piacevoli al gusto.
levargli il bocciolo ed i pericoli. Quello che si deve osservare, che tutti i frutti con li quali si vogliano guarnire le gelatine, eccettuate le
Il vero rosbiff è la lombata di manzo con l'annesso filetto. Una lombata cotta a dovere semplicemente glassata, circondata da bella e buona gelatina, è un grosso pezzo semplice ma ad un tempo pregevolissimo. — Cuocete la lombata senza dissossarla interamente ma spogliandola il meglio possibile dalle ossa superflue affine di non trovarsi nella necessità di riordinarla quando è cotta; rotolatela e cuocetela allo spiedo e nel forno colle debite cure in modo da conservarla di bel colore; tolta dal fuoco, lasciatela divenir fredda; sciogliete dal l'ossatura il grosso filetto della lombata per ritornarlo e tagliarlo in fette sottili; rimettete le parti tagliate al loro posto. Glassate la lombata nel suo insieme, eccettuate le parti tagliate, disponetela su un piatto grande, circondatela abbondantemente di gelatina trita, non che con crostoni di gelatina.
ritornarlo e tagliarlo in fette sottili; rimettete le parti tagliate al loro posto. Glassate la lombata nel suo insieme, eccettuate le parti tagliate
In un vaso di cristallo, di vetro o di terra si mettono le frutta fresche (ribes, fragole, lamponi, ciliege, uva, susine, albicocche, pesche) mondate dalle foglie, dai gambi, dal nocciolo, eccettuate le ciliege, che s'immergono tali quali e col gambo lungo un centimetro.
dalle foglie, dai gambi, dal nocciolo, eccettuate le ciliege, che s'immergono tali quali e col gambo lungo un centimetro.
Si riproduce per margotte, propagini, innesto e semina. Se ne contano 18 varietà dell'arancio dolce e 7 di quello amaro o selvatico. — Dà frutto il 5° anno nei climi favorevoli — si raccoglie in varie epoche. La pianta dell'arancio à vita secolare. Qui è pianta da serra, ma è coltivata in tutta Italia, da Malta e dalla Sicilia al lago di Garda. A Salò dicesi Portogallo l'arancio a frutto dolce, e arancio quello a frutti amari, coi quali si fà l'acqua distillata. Il così detto napolino, che viene adoperato esclusivamente dal confetturiere, è detto Citrus bigaradia sinensis e chinotto in italiano, chinois o chinettier in francese. In China ve ne sono infinite varietà. Sono chiamati Kiu-Kù ossia frutti d'oro. Il Mandarino è detto Kan, cioè profumo. Anche là si condisce e se ne fà confettura. In Oceania e nelle Isole Fiji, l'arancio raggiunge un'enorme grossezza. La bellezza, il profumo e la dolcezza degli aranci ricordano i pomi dei mitologici orti esperidi, per cui alla specie di questa famiglia alcuni diedero il nome di esperidee e il frutto chiamarono espiridio. Eccettuate le radici, tutte le parti dell'arancio sono corroboranti, stomatiche, cordiali, antisettiche. I fiori e le foglie servono al distillatore, al credenziere. I fiori si colgono in Maggio e Giugno, nè subito dopo la pioggia, nè prima che sia scomparsa la rugiada. Dalle prime anche la farmacia ne estrae un decotto antispasmodico, antiepilettico. Dai fiori, l'acqua distillata chiamata aqua nanfa, calmante, e un olio essenziale detto: essenza di neroli. I fiori servono a coronare le spose. I frutti si confettano con zuccaro, si candiscono, si compongono in mostarda. Mitigano la sete dei febbricitanti, principalmente quando la bocca è affetta da afte, da difterite, da stomacace, malattie contro le quali è particolarmente indicato il sugo d'arancio. La corteccia è tonica, stomatica. Anche colla radice si fanno pallottole di cauteri, le quali hanno il pregio di facilmente rammolirsi e gonfiarsi. A mascherare il cattivo odore e spiacevole sapore di certe medicine fà ottimo effetto il masticare la scorza od una foglia d'arancio. L'arancio entra nella ricetta della famosa Acqua di Colonia. Fra i lodatori dell'arancio è da ricordarsi il milanese Lodovico Settala, professore di medicina a Pavia, poi di filosofia morale a Milano, citato nei Promessi Sposi e del quale il Ripamonti, suo contemporaneo, dice che curava gratuitamente i poveri ed i letterati — pauperes et litteratos. Gli antichi scrittori confusero sempre l'arancio col limone e col cedro. In Roma nel 1500 si chiamavano Melangoli. L'Ariosto nel Furioso C. XVIII, p. 138, adopera la parola Narancio, sulla prima vera provenienza dell'arancio ebbero molto seriamente a questionare i filosofi antichi. — Alcuni, stando col Re Giuba, che lasciò dei commentarj sulle cose di Libia, dicono che l'arancio, chiamato Pomo delle Esperidi, fosse portato in Grecia nientemeno che da Ercole. Difatti abbiamo statue di Ercole presso piante d'arancio e con aranci in mano. Ateneo col filosofo Teofrasto, lo fanno, venire dalla Persia; il poeta Marrone, dalle Indie. Il fatto è, che fu conosciuto in Europa prima del limone, e che la sua venuta rimonta a data antichissima. A coloro che dicono essere stato portato in Italia alla fine del secolo 13° da viaggiatori Veneziani e Genovesi, farò notare che Virgilio dice: Aurea mala decem misi eras altera mittam. Che nel 1200 ve n'era nel convento di Santa Sabina a Roma, che quasi nello stesso tempo si diffuse nel Napoletano e nell'Isola di Sardegna, e che precisamente verso il 1300 cominciò ad essere coltivato in grande. I Genovesi furono i primi che presero a moltiplicarlo e a farne commercio. Nel 1500 esisteva in Francia un solo arancio stato seminato a Pamplona nel 1421 e che vive ancora nell'agrumiera di Versailles.
frutto chiamarono espiridio. Eccettuate le radici, tutte le parti dell'arancio sono corroboranti, stomatiche, cordiali, antisettiche. I fiori e le
Nel linguaggio dei fiori: Generosità, Castità. È meno sensibile del limone, resiste a 4 gradi, ma ne soffre sempre. Ama terra buona, argillosa, fresca, esposizione di meriggio, riparata dal settentrione. Si riproduce per margotte, propagini, innesto e semina. Se ne contano 18 varietà dell'arancio dolce e 7 di quello amaro o selvatico. Dà frutto nel quinto anno nei climi favorevoli, si raccoglie in varie epoche. La pianta dell'arancio à vita secolare. Qui è pianta da serra, ma è coltivata in tutta Italia, da Malta e dalla Sicilia al Lago di Garda. A Salò dicesi Portogallo l'arancio a frutto dolce, e arancio quello a frutti amari, coi quali si fa l'acqua distillata. Il così detto napolino, che viene adoperato esclusivamente dal confetturiere, è detto Citrus bigaradia sinensis e chinotto in italiano, chinois o chinettier in francese. In China ve ne sono infinite varietà. Sono chiamati Kiu-Kù, ossia frutti d' oro. Il mandarino è detto Kan, cioè profumo. Anche là si candisce e se ne fa confetture. In Oceania e nelle Isole Fiji, l'arancio raggiunge un'enorme grossezza. La bellezza, il profumo e la dolcezza degli aranci ricordano i pomi dei mitologici orti esperidi, per cui, alla specie di questa famiglia, alcuni diedero il nome di esperidee e il frutto chiamarono espiridio. Eccettuate le radici, tutte le parti dell'arancio sono corroboranti, stomatiche, cordiali, antisettiche. I fiori e le foglie servono al distillatore, al credenziere. I fiori si colgono in maggio e giugno, nè subito dopo la pioggia, nè prima che sia scomparsa la rugiada. Dalle prime, anche la farmacia ne estrae un decotto antispasmodico, antiepilettico. Dai fiori, l'acqua distillata chiamata acqua nanfa, calmante, e un olio essenziale detto: essenza di nèroli. I fiori candidi servono di aureola verginale alle spose. I frutti si confettano con zuccaro, si candiscono, si compongono in mostarda. Mitigano la sete dei febbricitanti, principalmente quando la bocca è affetta da afte, da difterite, da stomacace, malattie contro le quali è particolarmente indicato il sugo d'arancio. La corteccia è tonica, stomatica. Anche colla radice si fanno pallottole di cauteri, le quali ànno il pregio di facilmente rammollirsi e gonfiarsi. A mascherare il cattivo odore e spiacevole sapore di certe medicine, fa ottimo effetto il masticare la scorza od una foglia d'arancio. L'arancio entra nella ricetta della famosa Acqua di Colonia.
di questa famiglia, alcuni diedero il nome di esperidee e il frutto chiamarono espiridio. Eccettuate le radici, tutte le parti dell'arancio sono