Mettete in una casseruola la farina, la fecola e due tuorli, incorporate i tuorli con la farina e sciogliete poi la pasta con il latte, aggiungete un grano di sale, 50 grammi di burro, la vainiglia e lo zucchero; ponete la casseruola a fuoco moderato, mescolate il composto perchè venga senza grumi, quando sia liscio fatelo ridurre a buon fuoco per dargli la consistenza di una besciamella ristretta. Passate allora il composto in un'altra casseruola e incorporate a uno a uno i rimanenti due tuorli ed il burro avanzato. Lavorate vivamente il composto per dieci minuti, mescolatelo con gli albumi battuti ben sodi e la panna montata. Compiuto l'amalgama versate il composto in uno stampo di porcellana resistente al fuoco riempiendolo fino a tre quarti. Ponete lo stampo a forno moderato per tre minuti, ritiratelo e tagliate il composto in croce penetrando fino al fondo dello stampo; rimettetelo subito nel forno per cuocerlo 20 minuti, avendo cura di glassarlo due volte con lo zucchero durante la cottura. Mandate a tavola il « soufflé » appena ritirato dal forno. I « soufflés » di qualsiasi genere esigono le cure più diligenti essendo la loro lavorazione delicatissima. Da ciò il motivo della raccomandazione di non servirli che in pranzi poco numerosi.
della raccomandazione di non servirli che in pranzi poco numerosi.
Nei pranzi familiari gli asparagi, normalmente, o si servono lessati, conditi con olio ed aceto, oppure alla parmigiana, ossia lessati, indi deposti in un piatto, spolverizzati di formaggio grattugiato, con sopra un po' di burro fuso. Sono pure serviti semplicemente lessati ed accompagnati con salse varie. Anche, e sopratutto per gli asparagi, ripetiamo la raccomandazione di cuocerli a vapore in poca acqua e ben coperti, affinchè non evapori il loro gradevole profumo.
salse varie. Anche, e sopratutto per gli asparagi, ripetiamo la raccomandazione di cuocerli a vapore in poca acqua e ben coperti, affinchè non evapori il
Madri di famiglia, Signore, Massaie, imparate a cucinare, dedicate la vostra maggior cura alla cucina, la più necessaria di tutte le cure. E questa raccomandazione rivolgiamo più specialmente alle signore agiate, a coloro cioè che si lusingano di poter disinteressarsi della cucina e lasciarne la cura alle persone di servizio. Errore, errore grandissimo per centomila ragioni, e principalmente poi per la grande difficoltà di avere in oggi delle cuoche o delle domestiche abili, premurose ed attive.
raccomandazione rivolgiamo più specialmente alle signore agiate, a coloro cioè che si lusingano di poter disinteressarsi della cucina e lasciarne la
Altra raccomandazione da farsi è questa: Quando avete molta roba da friggere è preferibile mettere due padelle su due fornelli, perchè altrimenti quel che è stato fritto per primo diventa immangiabile.
Altra raccomandazione da farsi è questa: Quando avete molta roba da friggere è preferibile mettere due padelle su due fornelli, perchè altrimenti
Prendete un recipiente più alto che largo, della capacità di circa mezzo litro. Può servire, ad esempio, un bagno-maria, o, più semplicemente, uno di quei secchietti di latta, comunemente adoperati per il latte o per la crema. In questo recipiente mettete un bicchiere molto scarso d'acqua, una noce di burro e un pizzico di sale, e ponetelo sul fuoco. In una scodella rompete due uova intere, sbattetele un poco come per fare una frittata, e diluitele con mezzo bicchiere di latte. Appena l'acqua che avete messa sul fuoco bollirà, gettateci le uova sbattute col latte; fate rialzare il bollore, poi tirate il recipiente sull'angolo del fornello, copritelo e fate che il liquido bolla insensibilmente. Dopo pochi minuti vedrete che il composto si addensa e prende l'aspetto di una crema mezzo stracciata. Immergete una forchetta lungo la parete del recipiente e quando sentirete che il composto offre una certa resistenza, rovesciatelo sopra un colabrodo affinchè l'acqua possa liberamente scolare. Con un cucchiaio di legno cercate di dare alla parte cremosa, nel colabrodo stesso, una forma arrotondata: presso a poco quella di un cervello, e lasciatela freddare completamente. Quando il composto sarà freddo, rovesciatelo su un piatto, tagliatelo in tocchetti, che infarinerete, passerete nell' uovo sbattuto e friggerete, come se si trattasse di vero cervello. Mettete il fritto in un piatto con salviettina e guarnitelo con spicchi di limone. Una raccomandazione: procurate che il composto non sia eccessivamente duro, altrimenti avreste una specie di frittata... fritta. Perchè possa dirsi riuscita, questa frittura deve rimanere morbida, nè più nè meno di un cervello.
di vero cervello. Mettete il fritto in un piatto con salviettina e guarnitelo con spicchi di limone. Una raccomandazione: procurate che il composto non
Questa pietanza, di una semplicità e di una esecuzione assolutamente primordiali, non solamente riabilita il polipo, che — sia detto fra parentesi — nelle famiglie dei pesci gode di una fama volgaruccia anzichenò, ma immediatamente solleva lo spregiato mollusco ad altezze che non esiteremmo a chiamare epiche. C'è forse qualcosa di più squisito, di più appetitoso, di più delizioso di un polipo alla luciana? Quale pesce può compiere il prodigio di riempirvi la cucina di un profumo più intenso ? Uno di quei profumi che scendono allo stomaco «per vie non conosciute», come avrebbe detto il buon Stecchetti e che vi fanno venire l'acquolina in bocca. Di più il materiale di cucina occorrente non contribuirà certo a mandarvi in rovina: una pentola di coccio, un pezzo di carta paglia e un po' di spago. L'abbiamo già detto: si tratta di una preparazione primordiale. Il polipo che occorre deve essere di scoglio: quei polipi cioè che hanno una doppia fila di ventose sui tentacoli, e che sono detti a Napoli «veraci». Contrariamente poi a quanto si usa per le altre preparazioni sarà da preferirsi un polipo piuttosto grosso. E non abbiate timore che riesca duro: quando avrete seguito con diligenza i nostri consigli scambierete il vostro polipo per un pezzo di vitellino da latte, tanto sarà tenero. Comperato dunque il polipo, nettatelo bene, togliendo via la vescichetta della tinta, gli occhi e tutta la pelle. Quest'ultima operazione, che a prima vista può sembrare difficile, non lo è in realtà, se vi aiuterete con un piccolo coltello a punta. Fatta dunque un po' di toletta al polipo procedete ad un'altra operazione, che se non è molto gentile è però necessaria: quella della bastonatura; poichè il polipo «ama» di essere bastonato, come si legge in quei libri di cucina a base di strafalcioni. Naturalmente est modus... con quel che segue; e voi badate affinchè nella furia del combattimento il polipo non debba restare massacrato e coi tentacoli in pezzi. Dopo la bastonatura esso avrà perduto la rigidità delle fibre e sarà pronto per la cottura. La quale, come già abbiamo accennato, dovrà farsi in una pentola di terraglia, di capacità tale che il polipo possa occuparne i due terzi dell'altezza. Lavate adesso il polipo e, senza asciugarlo, deponetelo nella pentola. Conditelo con sale e pepe — è molto indicato, se piace, del peperoncino — qualche ciuffo di prezzemolo e abbondante olio (mezzo bicchiere un po' scarso per un polipo di mezzo chilogrammo). Chiudete ora la pentola con un paio di fogli di carta paglia — quella carta gialla usata dai rivenditori di generi alimentari — assicurate la carta con qualche giro di spago che fisserete sotto i manici e in ultimo coprite con un coperchio. Mettete la pentola su poca brace accesa, quasi delle ceneri calde, e lasciate che il polipo cuocia lentamente, insensibilmene, per un paio d'ore, per abbandonarlo poi sul camino fino al momento di mangiare, che esso guadagna ad essere gustato tiepido o freddo affatto. Vi ripetiamo la raccomandazione che il fuoco sia quasi niente, poichè in caso contrario rovinereste tutto. Pian piano, durante la cottura, un profumo allettatore si sprigionerà dalla pentola. Ma voi non vi lasciate vincere dalla tentazione di scoprirla fino a che non sia trascorso il tempo stabilito e sarà giunta l'ora del desinare. Togliete allora la carta, e avrete la sorpresa di vedere che il polipo è diventato come una specie di grosso crisantemo rossastro, tenerissimo, galleggiante in un brodo squisito, che la munifica bestia ha generosamente elargito. Non gli fate l'ingiuria di travasarlo. Adagiate la pentola in un piatto con salvietta, e fatelo portare in tavola così come si trova. È un piatto marinaresco, e va servito senza troppe cerimonie. In tavola dividetelo in pezzi, e fate che ogni commensale condisca il polipo con qualche cucchiaiata del suo brodo, un pochino d'olio e, se piace, qualche goccia di sugo di limone.
raccomandazione che il fuoco sia quasi niente, poichè in caso contrario rovinereste tutto. Pian piano, durante la cottura, un profumo allettatore si
Le basi di questi notissimi petits-fours sono assai semplici, poichè gli elementi principali che li costituiscono sono rappresentati da chiara d'uovo e zucchero, in ragione di 50 gr. di chiara d'uovo per ogni ettogrammo di zucchero. Praticamente potrete calcolare due chiare d'uovo per ogni ettogrammo di zucchero, però se vorrete eseguire parecchi richelieux sarà opportuno pesare le chiare, ciò che, sempre riferendosi a grandi quantità, dà un risultato più certo. Mettete dunque in un polsonetto o in un piccolo caldaio due chiare d'uovo con 100 grammi di zucchero in polvere, e con una frusta in fil di ferro incominciate a montare. Quando chiare e zucchero saranno sufficientemente montati, mettete il polsonetto o il piccolo caldaio in un recipiente più grande posto sul fuoco e contenente acqua bollente. Continuate a montare così a bagno-maria, fino à che il composto sia tanto caldo da poterci tenere agevolmente un dito. Badate di non eccedere nel calore altrimenti sciupereste tutto. Togliete allora dal bagno-maria il polsonetto e continuate a montare fuori del fuoco, fino ad ottenere una meringa soffice, rigonfia e ben sostenuta. Questa meringa potrete lasciarla così com'è o profumarla e colorirla a piacere. Naturalmente il colore e il profumo debbono avere una certa relazione. Trattandosi però di pasticceria da farsi in casa, dove per lo più mancano sia le essenze, sia i colori speciali da pasticceria, potrete attenervi a metodi semplicissimi. Potrete, ad esempio, mettere nella meringa qualche goccia di cognac e avere dei richeleux bianchi, o qualche goccia di caffè forte, e avere dei richelieux color avana, o finalmente profumarli con un po' di liquore dolce come rosolio di vainiglia, curaçao, alckermes, ecc. In questo ultimo caso sarebbe opportuno rafforzare il colore dei richelieux con una o due gocce di carminio che si vende in flaconi per usi di pasticceria e liquoreria. Questo carminio è dotato di forte potere colorante, e bisogna metterne soltanto una piccolissima quantità. È assolutamente innocuo. Fatta la meringa, profumata e colorita, si prende una tasca di tela con una bocchetta di latta spizzata e vi si introduce la meringa. Si unge leggerissimamente di burro — appena un sottile velo — una teglia grande o una placca da forno, e premendo sulla sommità della tasca di tela, si fanno uscire tanti bastoncini rigati della lunghezza di 6 centimetri circa, avvertendo di non metterli troppo vicini uno all'altro. S'infornano a fuoco leggerissimo per una ventina di minuti, affinchè abbiano modo di gonfiarsi e di rassodarsi Poi si lasciano freddare e con delicatezza si staccano dalla teglia, accomodandoli in un vassoio. Se la meringa è stata bene montata i richelieux dovranno risultare ben gonfi, croccanti all'esterno, quasi vuoti e liquorosi nell'interno. Un'ultima raccomandazione: l'essenza, cioè quella parte di caffè o di liquore che adopererete per profumare il composto, deve essere messa con molta parsimonia, e pian piano; abbondando, verreste a diluire troppo la meringa che, naturalmente, perderebbe la sua consistenza.
montata i richelieux dovranno risultare ben gonfi, croccanti all'esterno, quasi vuoti e liquorosi nell'interno. Un'ultima raccomandazione: l'essenza, cioè
Con la pasta da choux si confezionano anche queste pastine da tè, lunghe e ricoperte di granella di zucchero, conosciute sotto il nome di grissini di Firenze. Imburrate leggermente una teglia, mettete la pasta choux in un cartoccio, chiudetelo bene e spuntatene l'estremità inferiore in modo da lasciargli un'apertura del diametro di mezzo centimetro. Si spingono i grissini sulla teglia e si fanno della lunghezza di cinque o sei centimetri. La loro grossezza dovrà essere simile a quella di un lapis. Seminate su questi bastoncini dei granelli di zucchero grossi come chicchi di pepe e infornateli subito. Cuocendo, si gonfiano e risultano leggerissimi e vuoti all'interno. Un'ultima raccomandazione: lasciate sulla teglia un po' di distanza tra un grissino e l'altro altrimenti cuocendo si attaccherebbero tra loro.
subito. Cuocendo, si gonfiano e risultano leggerissimi e vuoti all'interno. Un'ultima raccomandazione: lasciate sulla teglia un po' di distanza tra
(Procedimento semplificato). Il procedimento esposto più sopra è quello che potrebbe dirsi classico. Ma per chi desiderasse di semplificare le cose, ecco un piccolo segreto per ottenere rapidamente e facilissimamente le scorzette d'arancio candite. Tagliate la corteccia degli aranci in spicchi, mettete questi spicchi in un recipiente piuttosto capace e teneteli per almeno due giorni in acqua corrente, oppure rinnovate l'acqua il più spesso che vi sarà possibile. Questo bagno serve per far perdere alle cortecce il loro gusto amarognolo. Compiuta questa prima operazione, gettate le cortecce in una pentola o in una casseruola con abbondante acqua in ebollizione, e lasciate cuocere per un quarto d'ora abbondante, fino a quando, cioè, le cortecce potranno essere facilmente trapassate da uno stecchino. Estraetele allora dall'acqua, lasciatele freddare, e poi con un coltellino tagliente dividete ogni spicchio in tante listelline di circa mezzo centimetro. Pesate queste listelline a prendete un eguale peso di zucchero. Mettete lo zucchero in un polsonetto, bagnatelo con un dito d'acqua — tanto da inumidirlo e renderlo una pasta appena colante — aggiungete le scorzette ritagliate e mettete sul fuoco. Lasciate cuocere mescolando piuttosto spesso e quando lo zucchero sarà quasi tutto assorbito e ridotto a poco sciroppo molto denso rovesciate le scorzette sul marmo, staccatele delicatamente l'una dall'altra e lasciatele freddare. Queste scorzette candite sono una cosa veramente buona, e non solo potranno venire usate per tutti gli usi di pasticceria, ma potranno anche essere servite come petits-fours, completando assai simpaticamente un vassoio di pasticceria leggera da tè. È bene non spingere la cottura fino a completo assorbimento dello zucchero, che in questo caso le scorzette raffreddandosi diventano piuttosto dure. Tenete conto di questa raccomandazione specialmente se dovrete servirvi delle scorzette candite per usi di pasticceria. In questo caso le scorzette subiscono una seconda cottura nel forno e, se già cotte troppo, perderebbero necessariamente quella morbidezza che è caratteristica delle frutta candite.
raffreddandosi diventano piuttosto dure. Tenete conto di questa raccomandazione specialmente se dovrete servirvi delle scorzette candite per usi di
Questo eccellente liquore è del tipo di quello che è in commercio e che va sotto il nome di Vov. È buonissimo, nutriente e formerà la delizia vostra e delle vostre amiche. Come avviene anche per quello del commercio, questo liquore ha bisogno di essere agitato prima di essere servito, avendo i vari elementi tendenza a dissociarsi. Sarà quindi opportuno tenerlo in anforette di terraglia di quelle generalmente usate per il curacao, e di servirlo anche in bicchierini di porcellana colorata, proprio come fa la casa produttrice del Vov. Un'altra raccomandazione. Il liquore si conserva bene; però se volete gustarlo in tutto il suo profumo non prolungate enormemente la conservazione. Preparate magari una minore quantità per volta, ma usate la preparazione fresca. Ed ora veniamo alla ricetta facilissima con la quale otterrete un litro di liquore. Rompete quattro tuorli d'uovo in una terrinetta e sbatteteli con due ettogrammi di zucchero in polvere. Fate intanto bollire due bicchieri di latte con due ettogrammi di zucchero. Appena il latte bollirà versatelo pian piano, così bollente, sulle uova sbattute, mescolando energicamente con un cucchiaio o meglio con una piccola frusta di ferro. Sciolta bene tutta la massa, lasciatela raffreddare. Aggiungete allora mezzo bicchiere di marsala (100 gr.) di prima qualità e un bicchiere scarso di alcool puro (100 gr.) nel quale avrete sciolto mezzo grammo di vainiglina. Il liquore è ultimato, e non resta che metterlo in una bottiglia ben tappata. Come abbiamo detto, è necessario prima di servirlo di agitare un po' la bottiglia.
anche in bicchierini di porcellana colorata, proprio come fa la casa produttrice del Vov. Un'altra raccomandazione. Il liquore si conserva bene; però
o altra sostanza adatta, e ricordando di tenerle ritte, raccomandazione che è, del resto, applicabile a tutti i sistemi. Dopo qualche mese si può rinnovare il rivestimento con vaselina nella quale si sia incorporato il 2-3 per cento di acido salicilico.
o altra sostanza adatta, e ricordando di tenerle ritte, raccomandazione che è, del resto, applicabile a tutti i sistemi. Dopo qualche mese si può
egli diceva, parlando di Genova) scrisse «La Pratica in Arte Chirurgica». Nel IX e ultimo libro si troverà una diffida esplicita e formale contro l'abuso della pasta asciutta; la raccomandazione, la prescrizione quasi marinettiana al troppo gonfio '500: tutti i cibi di pasta si devono usare pochissime volte «pasti alia denique et victualia paste rarissime sunt concedenda».
'abuso della pasta asciutta; la raccomandazione, la prescrizione quasi marinettiana al troppo gonfio '500: tutti i cibi di pasta si devono usare