Tetis, adirata perchè Venere avesse guadagnato la mela di Paride, premio alla maggior bellezza e senza ch' essa avesse potuto prender parte al concorso, risolvette di vendicarsi di quell'affronto. Un giorno, in cui Venere era discesa sulle rive delle Gallie, per cercar perle per il di lei ornamento e conchiglie a trastullo del figliuolo, un tritone le rubò la mela, che aveva deposto sopra uno scoglio e la portò alla Dea dei mari, Tetis la prese e cavatine i semi, li piantò nelle campagne vicine per perpetuare il ricordo della propria vendetta e del proprio trionfo. Ecco perchè, dicono i Galli Celti, vi sono tanti meli nel nostro paese e perchè le nostre fanciulle son tanto belle.
e conchiglie a trastullo del figliuolo, un tritone le rubò la mela, che aveva deposto sopra uno scoglio e la portò alla Dea dei mari, Tetis la prese
La Triglia è un picciolo pesce di mare, assai delicato, e grato al gusto, esso si pasce di alga, di gamberelli, ed altri piccioli pescetti, si pretende, che sia migliore l'Inverno, che l'Estate, ossia perchè l'Inverno vive in alto mare dove che l'Estate si porta verso la riva, ciò, che lo fa nudrire di alimenti diversi in queste due stagioni, ovvero perchè nell'Estate, come credesi partorisce; ma quello però che è certo, che noi nella Primavera, e nell'Estate ne abbiamo in grande abbondanza, e più grossi, che nell'altre stagioni. Gli antichi Romani stimavano moltissimo questo pescetto, essendo consagrato a Diana, mentre si vuole, che partorisca tre volte l'anno, ciò, che viene attribuito a questa Dea.
, essendo consagrato a Diana, mentre si vuole, che partorisca tre volte l'anno, ciò, che viene attribuito a questa Dea.
Tutte codeste Ortiche si mangiavano una volta, e si mangiano ancora presentemente. Pitagora ne vietò l'uso a suoi discepoli a motivo, come dicesi che eccitano stimoli venerej, ed anche perchè erano consagrate alla Dea Ecate. Asserisce Aristotile, che sono molte buone dopo l'equinozio Invernale, e Senocrate, che sono grate al gusto, ma che non convengono allo stomaco. Difilo poi dice, che nettano il ventre, e che provocono l'orina.
eccitano stimoli venerej, ed anche perchè erano consagrate alla Dea Ecate. Asserisce Aristotile, che sono molte buone dopo l'equinozio Invernale, e
La Triglia è un picciolo pesce di mare, assai delicato, e grato al gusto, esso si pasce di alga, di gamberelli, ed altri piccioli pescetti, si pretende, che sia migliore l'Inverno, che l'Estate, ossia perchè l'Inverno vive in alto mare dove che l'Estate si porta verso la riva, ciò, che lo fa nudrire di alimenti diversi in queste due stagioni, ovvero perchè nell'Estate, come credesi partorisce; ma quello però che è certo, che noi nella Primavera, e nell'Estate ne abbiamo in grande abbondanza, e più grossi, che nell'altre stagioni. Gli antichi Romani stimavano moltissimo questo pescetto, essendo consagrato a Diana, mentre si vuole, che partorisca tre volte l'anno, ciò, che viene attribuito a questa Dea.
, essendo consagrato a Diana, mentre si vuole, che partorisca tre volte l'anno, ciò, che viene attribuito a questa Dea.
Tutte codeste Ortiche si mangiavano una volta, e si mangiano ancora presentemente. Pitagora ne vietò l'uso a suoi discepoli a motivo, come dicesi che eccitano stimoli venerej, ed anche perchè erano consagrate alla Dea Ecate.
eccitano stimoli venerej, ed anche perchè erano consagrate alla Dea Ecate.
VESTALE (à la) alla vestale, antica sacerdotessa della dea Veste - Salade à la vestale, insalata di lattuga con fette di uova sode ripiene e crema di latte. - Oeufs à la vestale, uova cotte a bagnomaria servite alla crema con limone, mandorle dolci ed amare pestate passate al setaccio, da servire come piatto freddo.
VESTALE (à la) alla vestale, antica sacerdotessa della dea Veste - Salade à la vestale, insalata di lattuga con fette di uova sode ripiene e crema di
Il Castagno è un albero a foglia caduca, indigeno, dall'Europa meridionale. Ama terreno sabbioso, argilloso non adombrato da altri alberi, e più d'ogni altro il montuoso. Non viene a più di 800 metri al disopra del livello del mare. Fiorisce in Luglio, dà frutti in Ottobre e per loro teme il freddo. Si propaga per semina, avendo cura di immergere prima il seme per 12 ore nell'aqua satura di fuliggine e noce vomica, o in olio bollito con aglio, acciò ri- mangano illese dagli animaletti. Nel linguaggio dei fiori: Sii giusto verso di me! Le varietà principali il Castagno propriamente detto, che fiorisce precocemente, il cui raccolto è quindi dubbio e dà un frutto piuttosto piccolo e poco saporito, ed il marrone che è più grosso, più saporito e nutriente. Il marrone si propaga per innesto sopra il castagno, perchè il marrone seminato produce nuovamente il castagno. Il castagno comincia a fruttificare cinque anni dopo l'innesto, e verso il 60° dà il massimo prodotto. Le piante non innestate, ritardano e sono meno produttive. A 150 anni comincia a deperire e raggiunge i 3-4 secoli. Il raccolto si fà quando alcuni pericarpi cominciano ad aprirsi, un ettolitro di castagne pesa 80 kilogrammi. La castagna fresca contiene 48 % d'aqua e 0,52 d'azoto — il marrone fresco, 54 d'acqua, e 0,53 d'azoto. — La castagna secca, contiene ancora dal 10 al 12 d'aqua, e 0,77 d'azoto ed il marrone secco contiene 1,17 ° d'azoto. Si conserva la castagna nel proprio involucro in locali asciutti e ventilati o dissecandola pei graticci. Le castagne messe sui mattoni delle camere, marciscono presto e sono preda degli insetti. Si conservano più a lungo e saporite facendole prima essicare alcun poco al sole. Il castagno dell'Etna avrebbe secondo alcuni 59 m. di circonferenza. La castagna, il qual nome si vuole venuto da Castano Magnesia, città della Macedonia è la sposa del focolare, la ghiottoneria dei fanciulli, la Dea delle chiacchere e delle mormorazioni, l'amica del vino generoso e nuovo, ed è maritata in nozze morganatiche al Dio Eolo. È eminentemente farinosa, dà una sana ed abbondante nutrizione. La lessata è più digeribile, irroratela di vino generoso se non confà al vostro stomaco non ditene male. Mille le maniere di far cocere le castagne. A lesso dette succiole o Ballotte, cotte in poc' aqua sale, finocchio, anice, o con una pianta di sedano. Lessate monde (peladei o pest) sbucciate e cotte con o senza la loro peluria in aqua, sale ed erba bona. Anseri o Vecchioni (Bellegott) quando cotte a lesso, si fanno dissecare al fumo nel serbatojo, sotto la cappa del camino (agraa). Il nome di Bellegott viene da bei e cott, (belli e cotti) Bruciate (Borœul) cotte nella padella a fiamma. Biscotti (Bescott) varietà dei Vecchioni, si mettono a seccare col guscio e poi si tengono alcun tempo nel mosto. A questi appartengano i cuni, da Cuneo, loro provenienza, cotte in forno spruzzate di vin bianco serbevoli per molti mesi, delicatissime. Le Veronesi (Veronès) così dette perchè tale maniera di cocerle, ci venne dal Veronese — e si cociono nel forno o nella stufa spruzzate di vino, o con poco burro in casserola. I marroni si fanno anche candire nello zuccaro dopo essere stati arrostiti e si chiamano marron glacès è confettura da dessert. La castagna forma l'alimento principale dei montanari. Nel Sienese se ne fa polenta, che nutrisce i più strenui faticatori, i quali non avendo che aqua da bere dicono scherzando che vivono: del pane dei boschi e del vino delle nuvole. Il Castagnaccio è una specie di pane fatto con farina di castagna, pinocchi ed uva. Fino dalla più remota epoca le castagne tennero il primato fra tutte le sorte di ghiande. Ateo, insigne medico di Antiochia, che le chiama Sardinias glandes, perchè le migliori qualità venivano dalla Sardegna, non si perita a rilasciar loro il brevetto di alimentum effatu dignum — cibo di straordinaria celebrità — ma, soggiunge che va alla testa — caput tamen tentare. Bello! quelle castagne che vanno alla testa... invece. Galeno, si capisce che non poteva digerirle e ne dice corna: Gastanœ sive elixentur, sive œstuantur, sine denique frigantur, semper sunt pravœ. Il che vuol dire comunque le ammaniate, sono porcherie. Plinio invece di visceri a prova di bomba, dopo aver detto che dai Greci i marroni erano chiamati Balani Sardi (da Balanos, ghianda) testifica che sono eccellentissime: — castanearum genere excellens; e che celerius transmittuntur che è quanto, di facilissima evacuazione. Virgilio, più sibarita, le mangiava col latte: Castanœ molles, et pressi copia lactis (Egl. 2). Tiberio adoperava la parola balanum per indicare i vegetali più saporiti. Anche i Romani adoperavano la castagna per farne la farina e pane, come si fa ancora oggidì presso alcune popolazioni. La castagna è da fuggirsi da chi patisce il mal di pietra, soffra di ernie o vada soggetto a coliche. Francesco Gallina, medico Piemontese, forse da Cuneo che fioriva all'alba del secolo XVII raccomanda di mangiare le più grosse, — perchè sono migliori di tutti li marroni, e se per lungo tempo si conservano si fanno più saporiti. E suggerisce alle ragazze bionde, di adoperare il decotto delle loro buccie per conservare il dorato dei loro capelli. È voce di scienza popolare, che mangiando le castagne crude, si popoli la capigliatura di cavalieri erranti. Raccolgo per ultimo la spiegazione chi mi fu data da un R. Padre Oblato di S. Sepolcro a Milano sulla espressione: far marrone. Egli dunque mi diceva, che viene da questo, che chi mangia i marroni difficilmente lo può nascondere e ne è quasi sempre sorpreso. Tutto per quello scandaloso matrimonio col Dio Eolo.
si vuole venuto da Castano Magnesia, città della Macedonia è la sposa del focolare, la ghiottoneria dei fanciulli, la Dea delle chiacchere e delle
Il Pomo, o Mela, è albero indigeno europeo, a foglia caduca, ama clima temperato — preferisce terreno sabbioso-argilloso. È fecondissimo. Si propaga per semi, barbatelle, innesto. À vita lunga, resiste al freddo, fiorisce tardi, chè soffre la brina pe' suoi frutti. Se ne contano più di 2000 varietà; fra queste le più apprezzate sono l'Azzeruola (pomm pomell), la Pupina (popin), od Appia — la Ruggine toscana, o Borda. Da noi tranne la varietà S. Peder e l'altra detta Pomm ravas, il pomo è frutto d'inverno. Nel linguaggio delle piante: Golosità. Può considerarsi maturo, quando incomincia a tingersi in giallo, mandare un po' della sua fragranza, e a cadere spontaneamente — indizio più sicuro è il colore nero de' suoi acini. Il raccolto è da farsi in giorno sereno, quando sia scomparsa la rugiada. Quelli che cadono avanti tempo, bisogna consumarli subito, facendoli cocere. Per conservarli freschi importa raccoglierli a mano, senza strapparli. Importa pure separare i frutti, che casualmente cadessero sul terreno, perchè presto si guasterebbero e guasterebbero gli altri. Nell'inverno gelano facilmente. Se le disgelate al fuoco, perdono: lasciate che disgelino con comodo o ponetele nell'acqua molto fredda, ma non ghiacciata; facendola intepidire a poco a poco anche il gelo della mela si rimette senza danno dell'organizzazione, così pure d'ogni altro frutto e delle ova. La mela, quando sia matura, è il più digeribile dei frutti, è simpatica, profumata, saporita, durevole, è l'amore dei bambini. Si mangia cruda, cotta, secca e confettata. I cuochi ne fanno fritture, charlottes, marmellate, la uniscono alle paste (lacciadin). In alcune contrade settentrionali, meno predilette dal Cielo, dove il sole non matura i pampini, la mela aquista molta importanza economica per la fabbricazione del Sidro, celebre quello di Normandia. È bevanda che può supplire il vino, e, al pari di questo, contiene dell'alcool, ma giammai del tartaro. Se ne fabbrica anche da noi a sofisticare o simulare il vino bianco, massime quello d'Asti. Riesce meno spiritoso e spesso incomodo, perchè genera flatulenze. Il sugo delle mele agre, serve a far aceto, che si conserva molto tempo. Le agre fanno perdere la memoria, dice il Pisanelli. Galeno parla pure di un succo liquore, delle mele, che sarebbe il sidro, che si vuole inventato da Publio Negro, che lo fabbricavano pure i Mormoni e lo trasportavano in Brittannia. In medicina, sono rinfrescative, lassative, pettorali. Se ne fa decozione e sciroppo nelle tossi catarrali. La polpa cotta, onde il nome di pomata, fu usata come emolliente nelle flogosi oculari, e fa parte della pomata del Rosenstein, contro le regadi delle labbra e de' capezzoli. La poma selvatica à virtù astringenti, detersive. Il legno del pomo è di grana fina, prende facilmente la pulitura, è uno dei migliori da fuoco. Il pomo è frutto cosmopolita e vanta la più antica delle prosapie. Iddio dopo aver creato la luce e divise le acque dalla terra, creò il pomo. Eva lo trovò bello e saporito e lo mangiò e lo fece mangiare ad Adamo, e da quel pomo l'origine e la serie d'ogni disgrazia. Mala mali malo mala contulit omnia mundo. Vero è che col nome di pomo, non solo la Bibbia, ma tutti gli scrittori designarono le frutta in genere, ma se ciò avvenne era perchè il pomo era il re, il capostipite di tutti i frutti e si prese il nome suo ad indicare tutto ciò che il regno vegetale produceva di bello e di bono a mangiarsi. Così tutti i barbari che calavano da noi, chiamavano l'Italia la terra delle dolci poma, così il frutteto fu chiamato pomarium. A Roma il Dio del pomo, era detto Falacer e vi aveva un apposito sacerdote col relativo santuario. I romani li facevano cocere nel vapore dell'acqua o sotto la cenere. L'arte di conservare le poma, era all'apogeo presso i Romani. Pollione dice di Gallieno: — Uvas triennio servavit, hyeme summa, melones exibuit: mustum quemadmodum toto anno haberetur docuit: ficos virides et poma ex arboribus recentia semper alienis mensibus prœbuit (Plinio, lib. 14). I Greci raccontano del pomo cose orribili. Giove unì in nozze un bel giorno la dea dei mari, Teti, con Peleo, dal quale matrimonio nacque poi il bollente Achille. Quelle nozze furono celebrate con gran pompa e alla presenza di tutto l'olimpo au complet. Tutte le divinità infernali, aquatiche e terrestri ebbero, non solo il faire-part, ma officiale invito d'intervenire. Una Dea sola fu esclusa: la Dea Discordia. E questa per vendicarsi, al momento dei brindisi, comparve nella sala del banchetto e buttò sulla tavola un bellissimo pomo dicendo: «Alla più bella di voi» e sparì. Giunone, Pallade e Venere, ch' erano diffatti le più belle, si guardarono per traverso, e ognuna di loro pretendeva quel pomo. Giove, che in quel giorno non voleva seccature, mandò a chiamare Paride, un bel giovinotto, e lo fece arbitro della bellezza di quelle concorrenti. Tutte e tre fecero gli occhietti a quel giovinotto, ma egli consegnò il pomo a Venere, lasciando le altre due con tanto di naso. Venere ebbe il pomo, ma Giunone e Pallade lo conciarono poi per le feste, e tanto fecero che andò a finir male. Rubò Elena, fu assediato e vinto a Troja, e ferito da Pirro, andò a morire sul monte Ida. Tutto per quel pomo che dappoi fu chiamato il pomo della Discordia. Nè qui finisce la storia di quel pomo. Venere in quel giorno, almeno per galanteria, doveva cederlo a Teti, che sedeva in capo tavola, sposa festeggiata, ma fe' la sorda e se la mise in saccoccia. Naturalmente Teti l'ebbe a male alla sua volta, e se la legò anch'essa al dito. Avvenne, che Venere discese un giorno sulle rive delle Gallie a raccogliere perle e un tritone le rubò il pomo, che aveva deposto su di un sasso e lo portò a Teti. Questa lo prese, lo mangiò e buttò i semi in quella campagna a perpetuare il ricordo della sua vendetta e del suo trionfo. Ecco perchè, dicono i Galli-celti, sono tante mele nel nostro paese, e perchè le nostre fanciulle sono così belle! Questa seconda parte l'aggiunge Bernardin de S. Pierre, magnificando le bellissime mele della Normandia. Al pomo i nostri fratelli Svizzeri attaccano la storiella di Guglielmo Tell, e al pomo che cadde sul naso a Newton mentre riposava in giardino dobbiamo la scoperta dell'attrazione. Il nostro popolo prende il pomo come il tipo della rotondità (rotond come un pomm), della somiglianza (vess un pomm tajaa in duu), del vino fatto colle mani (vin de pomm), della paura (pomm-pomm), degli avvenimenti necessarii (el pomm quand l'è madur, bisogna ch'el croda); infine dell'arma più pacifica per sbarazzarsi da un seccatore (fà côrr a pomm).
raccontano del pomo cose orribili. Giove unì in nozze un bel giorno la dea dei mari, Teti, con Peleo, dal quale matrimonio nacque poi il bollente Achille
Il Castagno, è un albero a foglia caduca, indigeno, dall'Europa meridionale. Ama terreno sabbioso, argilloso non adombrato da altri alberi, e più d'ogni altro; il montuoso. Non viene a più di 800 metri al disopra del livello del mare. Fiorisce in luglio, dà frutti in ottobre e per loro teme il freddo. Si propaga per semina, avendo cura di immergere prima il seme per 12 ore nell'acqua satura di fuliggine e noce vomica, o in olio bollito con aglio, acciò rimangano illese dagli animaletti. Nel linguaggio dei fiori: Sii giusto verso di me. Il castagno, dicesi, portato a noi dall'Asia Minore al tempo degli imperatori romani, o dalla Sardegna, al dire di Bruyerius, e come leggesi in Ezio e Dioscoride. Le varietà principali, il castagno propriamente detto, che fiorisce precocemente, il cui raccolto è quindi dubbio e dà un frutto piuttosto piccolo e poco saporito ed il marrone che è più grosso, più saporito e nutriente, dal nome di maraon come si chiamava ai tempi di Eustazio. Il marrone si propaga per innesto sopra il castagno, perchè il marrone seminato produce nuovamente il castagno. Il castagno comincia a fruttificare cinque anni dopo l'innesto, e verso il 60° dà il massimo prodotto. Le piante non innestate, ritardano e sono meno produttive. A 150 anni comincia a deperire e raggiunge i 3-4 secoli. Il raccolto si fa quando alcuni pericarpi cominciano ad aprirsi, un ettolitro di castagne pesa 80 chilogrammi. La castagna fresca contiene 48% d'acqua e 0,52 d'azoto — il marrone fresco 54 d'acqua e 0,53 d'azoto. — La castagna secca, contiene ancora dal 10 al 12 d'acqua e 0,77 d'azoto, ed il marrone secco contiene 1,17 % d'azoto. Si conserva la castagna nel proprio involucro in locali asciutti e ventilati o disseccandola pei graticci. Le castagne messe sui mattoni delle camere, marciscono presto e sono preda degli insetti. Si conservano più a lungo e saporite, facendole prima essicare alcun poco al sole. Il castagno dell'Etna avrebbe, secondo alcuni, 59 metri di circonferenza. La castagna, il qual nome si vuole venuto da Castano Magnesia, città della Macedonia, è la sposa del focolare, la ghiottoneria dei fanciulli, la dea delle chiacchere e delle mormorazioni, l'amica del vino generoso e nuovo, ed è maritata in nozze morganatiche al dio Eolo. Un proverbio dice: Non è da uom prudente mangiar castagne e poi star fra la gente. Ed un altro:
del focolare, la ghiottoneria dei fanciulli, la dea delle chiacchere e delle mormorazioni, l'amica del vino generoso e nuovo, ed è maritata in nozze
Fig. — Spagn.: Heigo. Il Fico è albero a foglie caduche, che cresce spontaneo nel mezzodì d' Europa. Viene in tutti i terreni, desidera posizioni calde, soleggiate, asciutte, difese dai venti, teme sopratutto i balzi di temperatura. Si propaga per margotte, polloni, tallee. Non ama essere tagliato, perchè avendo tessuto a fibre rade, facilmente ne soffre per l'acqua che vi può penetrare, e quando è necessario bisogna ricoprire il taglio con mastice, catrame, ecc. Comincia a dar frutto il terzo anno. Se ne conoscono 62 varietà, tra le quali, alcune non mangiabili e velenose. Il nome di Fico, dal greco phyo, produrre, a cagione della sua fecondità, e nel linguaggio delle piante significa pure: Fecondità. I fichi primaticci sono chiamati fioroni, e sono i frutti il cui germe era già sul ramo nell'autunno precedente. Maturano in luglio, e sono meno saporiti dei tardivi ed autunnali. Tranne un gran gelo, il fico dà un prodotto quasi sicuro. In Italia e negli altri paesi meridionali, dà un frutto che è un vero sciroppo fisso e profumato. Per farlo essicare, scegliere le varietà precoci. L'essicamento al forno, lo rende meno bello e meno saporito. Il fico frutto, contiene il 65 per cento d' acqua. Nell'Africa e nel Levante vi sono piante che danno fino a 300 chilogrammi di fichi. In China è chiamato cheudze; fresco, à il colore dell'arancio; secco, prende la forma rotonda e s'infila, come da noi il rosario; si conserva dolcissimo e prezioso per i viaggi. I rami teneri del fico e le sue foglie staccate dalla pianta, come pure il gambo del frutto immaturo, al luogo della rottura tramandano un sugo bianco, lattiginoso, che è alquanto corrosivo, e serve a cagliare il latte, e come rimedio volgare a guarire i porri della pelle. Il legno del fico è assai leggero e s'adopera per certe particolari industrie. Le foglie rigide e di un verde carico, sono adatte a pulire i vetri ed i cristalli. La decozione di dette foglie, ridona il colore alle stoffe di lana, scolorate per arature. Il Sicomoro, sul quale è salito il piccolo Zaccheo per vedere Gesù, è la varietà fico moro, o fico d'Egitto e di Faraone. È altissimo, cresce a Rodi, nella Siria ed in Egitto, dove è indigeno. Dà frutti dolciastri, tre o quattro volte l'anno. Il Fico si mangia fresco ed essicato ed è sempre cibo nutriente, sano e pettorale. Sono celebri quelli di Calabria, Sicilia e Smirne. Si usa mangiarlo col prosciutto, col salame. Se ne fa ghiotta frittura, imboraggiandoli sbucciati, con ova e pane. Se ne fa perfino salame. La buccia è indigesta, onde il proverbio: All'amico pela il fico e la persica al nemico. Frate Ambrogio da Cremona asseriva che perchè il fico sia meritevole da portarsi in tavola, dev' essere perfetto, cioè deve avere il collo torto, l'abito stracciato e l'occhio lagrimoso. Per la colazione sceglieva quelli che la mattina per tempo trovava bucati dagli uccelli. Forse da lui quel proverbio: Il fico vuol avere collo da impiccato e camicia di furfante, che nel nostro dialetto suona cosi: El figh per vess bell, el dea vess lung de coll e rott de pell, perciò il Marino lo scrive col verso:
suona cosi: El figh per vess bell, el dea vess lung de coll e rott de pell, perciò il Marino lo scrive col verso:
La Lattuga prende il nome dal succo lattiginoso che contiene. È pianta erbacea annuale, di patria ignota. Vuolsi sia originaria dall'India e dall'Asia centrale. Ve ne sono 3 varietà. Da noi se ne coltivano due, la comune e la romana. Vuol terra leggera ben lavorata e grassa e frequenti irrigazioni. Si semina da Marzo a Settembre, e la si preserva dai freddi coprendola; i semi ànno virtù fino ai 5 anni. S'imbianca come l'endivia. Il suo seme migliore è quello di due anni. Nel linguaggio dei fiori: sonno. Fu sempre conosciuta la sua azione soporifera, la quale risiede principalmente nei nervi della foglia. Galeno ne mangiava tutte le sere per procurarsi il sonno. Dioscoride e Celso l'avevano come succedaneo dell'oppio, ed è forse per questa sua proprietà d'addormentare che venne chiamata Erba dei Filosofi. Era opinione che la lattuga accrescesse il latte alle nutrici, e ciò si crede anche oggi. Pitagora la chiamò Eunachion. La lattuga fu dai romani consacrata a Venere e pochi di loro per rispetto alla Dea ne mangiavano. Era tradizione che Venere dormisse al fresco nella lattuga. Adone ucciso da un cinghiale venne seppellito sotto la lattuga. Marziale scrive che la si mangiava dopo cena, per dissipare i vapori del vino. Svetonio ci tramanda che Augusto decretò una statua al suo medico Antonio Musa perchè costui colla lattuga lo guarì dalla ipocondriasi. In ogni tempo fu creduta verdura refrigerante e debilitante. La lattuga a poco a poco era caduta in dimenticanza tale che non era neppure più coltivata verso la fine del 1600. Alcuni medici vollero emulare il Musa di Augusto. E Lanzoni la vantò contro l'ipocondria. Breteuil nelle convulsioni, Gouan nella nefrite e nell'itterizia, Schelinger nell'angina di petto, Brassavola nell'idropisia, Hudellet nelle febbri intermittenti, terzane, quartane, ecc.; insomma una specie di manna. Oggi si mangia in insalata e si mette nelle zuppe e negli intingoli diversi. Si crede che non lavata, la lattuga sia più saporita. Non va tagliata col coltello, a meno che la lama sia d'argento, ma si deve lacerarla colle dita. Colla lattuga si accompagnano assai bene le ova sode. Il proverbio dice:
oggi. Pitagora la chiamò Eunachion. La lattuga fu dai romani consacrata a Venere e pochi di loro per rispetto alla Dea ne mangiavano. Era tradizione
. I Greci poi raccontano del pomo cose orribili. Giove unì in nozze un bel giorno la dea dei mari, Teti, con Peleo, dal quale matrimonio nacque poi il bollente Achille. Quelle nozze furono celebrate con gran pompa e alla presenza di tutto l'olimpo au complet. Tutte le divinità infernali, aquatiche e terrestri ebbero, non solo il fairepart, ma ufficiale invito d'intervenire. Una dea sola fu esclusa: la dea Discordia. E questa, per vendicarsi, al momento dei brindisi, comparve nella sala del banchetto e buttò sulla tavola un bellissimo pomo, dicendo: «Alla più bella di voi,» e sparì. Giunone, Pallade e Venere, ch'erano difatti le più belle, si guardarono per traverso, e ognuna di loro pretendeva quel pomo. Giove, che in quel giorno non voleva seccature, mandò a chiamare Paride, un bel giovinotto, e lo fece arbitro della bellezza di quelle concorrenti. Tutte e tre fecero gli occhietti a quel giovinotto, ma egli consegnò il pomo a Venere, lasciando le altre due con tanto di naso. Venere ebbe il pomo, ma Giunone e Pallade lo conciarono poi per le feste, e tanto fecero che andò a finir male. Rubò Elena, fu assediato e vinto a Troja, e ferito da Pirro, andò a morire sul monte Ida. Tutto, per quel pomo che dappoi fu chiamato il pomo della Discordia. Nè qui finisce la storia di quel pomo. Venere, in quel giorno, almeno per galanteria, doveva cederlo a Teti, che sedeva in capo tavola, sposa festeggiata, ma fe' la sorda e se lo mise in saccoccia. Naturalmente Teti l'ebbe a male alla sua volta, e se la legò anche essa al dito. Avvenne che Venere discese un giorno sulle rive delle Gallie a raccogliere perle e un tritone le rubò il pomo che aveva deposto su di un sasso, e lo portò a Teti. Questa lo prese, lo mangiò e buttò i semi in quella campagna a perpetuare il ricordo della sua vendetta e del suo trionfo. Ecco perchè, dicono i Galli-celti, sono tante mele nel nostro paese, e perchè le nostre fanciulle sono così belle! Questa seconda parte l'aggiunge Bernardin de S. Pierre, magnificando le bellissime mele della Normandia. Al pomo i nostri fratelli svizzeri attaccano la storiella di Guglielmo Tell, e al pomo che cadde sul naso a Newton, mentre riposava in giardino, dobbiamo la scoperta dell'attrazione. La quale attrazione, del pomo, era già scoperta migliaia d'anni fa da Eva. Ed è per questa attrazione che il re Wadislao di Polonia fuggiva e cadeva in deliquio alla vista di un pomo. Il nostro popolo, prende il pomo come il tipo della rotondità (rotond come un pomm) della somiglianza (vess un pomm tajaa in duu), del vino fatto colle mani (vin de pomm), della paura (pomm-pomm), degli avvenimenti necessari (el pomm quand l'è madur, bisogna ch' el croda); infine dell'arma più pacifica per sbarazzarsi da un seccatore (fa córr a pomm). Proverbi sul pomo:
. I Greci poi raccontano del pomo cose orribili. Giove unì in nozze un bel giorno la dea dei mari, Teti, con Peleo, dal quale matrimonio nacque poi
La Lattuga prende il nome dal succo lattiginoso che contiene. È pianta erbacea annuale, di patria ignota, la più insipida delle insalate, se se ne eccettui il lattughin detta anche insalatina, da noi, forse perchè essendo assai tenera e primaticcia si mangia volentieri. Ve ne sono 3 varietà. Da noi se ne coltivano due, la comune e la romana. Vuol terra leggera ben lavorata e grassa e frequenti irrigazioni. Si semina da Marzo a Settembre, e la si preserva dai freddi coprendola. S'imbianca come l' endivia. Il suo seme migliore è quello di due anni. Nel linguaggio dei fiori: sonno. Fu sempre conosciuta la sua azione soporifera. Galeno ne mangiava tutte le sere per procurarsi il sonno. Dioscoride e Celso l'avevano come un succedaneo dell'oppio ed è forse per questa sua proprietà d'addormentare che venne chiamata Erba dei Filosofi. Era opinione che la lattuga accrescesse il latte alle nutrici, e ciò si crede anche oggi. Pitagora la chiamò Eunachion. La lattuga fù dai romani consacrata a Venere e pochi di loro per rispetto alla Dea ne mangiavano. Era tradizione che Venere dormisse al fresco nella lattuga. Adone ucciso da un cinghiale venne sepellito sotto la lattuga. Marziale scrive che la si mangiava dopo cena, per dissipare i vapori del vino. Svetonio ci tramanda che Augusto decretò una statua al suo medico Antonio Musa perchè costui colla lattuga lo guarì dalla ipocondriasi. In ogni tempo fu creduta verdura refrigerante e debilitante. La lattuga a poco a poco era caduta in dimenticanza tale che non era neppure più coltivata verso la fine del 1600. Alcuni medici vollero emulare il Musa di Augusto. E Lanzoni la vantò contro l'ipocondria, Breteuil nelle convulsioni, Gouan nella nefrite e nell'iterizia, Schelinger nell'angina di petto, Brassavola nell'idropisia, Hudellet nelle febbri intermittenti, terzane, quartane, ecc.; insomma una specie di manna. Oggi si mangia in insalata e si mette nelle zuppe e negli intingoli diversi. Si crede che non lavata, la lattuga sia più saporita.
nutrici, e ciò si crede anche oggi. Pitagora la chiamò Eunachion. La lattuga fù dai romani consacrata a Venere e pochi di loro per rispetto alla Dea ne